"Così l'industria sarda ha smarrito il suo orizzonte", di Giacomo Mameli
In tour elettorale per le regionali Silvio Berlusconi lascia Palazzo Chigi e piomba nel Sud dell’isola che ribolle di rabbia. Il polo metallurgico di Portovesme è in agonia, Iglesias non sa più che cosa sia il lavoro produttivo, Carbonia è in apnea. Buio pesto per Ila e Rockwall, Alcoa in stand by, l’Eurallumina passata ai russi della Rusal sta per chiudere i cancelli. Agli operai B. promette il “massimo impegno” perché “chiamo subito il mio amico Putin e la fabbrica incrementerà i volumi di produzione e avrete il lavoro”. I sardi credono alla patacca. Ricompensano B. dandogli un carrettata di voti. Ma da Mosca arriva un niet grande quanto gli Urali. Oggi, dopo quattro anni di governo di centrodestra sostenuto da sedicenti sardisti, la Sardegna è in coma. Ha perso 42 mila posti di lavoro, “18mila nella sola industria”, come rimarca il leader della Cgil Enzo Costa. Dal Golfo degli Angeli all’Asinara si assiste sgomenti alla necrosi del tessuto produttivo, quello che aveva fatto uscire la Sardegna dal Medioevo. E si mette una pietra tombale …