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"Io, picchiata e umiliata per il velo", di Federica Angeli

«Ho sempre pensato che l´Italia fosse un paese libero. Sbagliavo. Ho cercato lavoro e mi hanno sbattuto la porta in faccia perché porto il velo. E per il mio velo tre giorni fa sono stata picchiata, insultata, umiliata da un gruppo di ragazzi. Stavo solo bevendo un caffè». Neila Azzabi è una donna tunisina di 37 anni. Tre giorni fa in un bar che, per una beffa della sorte si chiama “Freedom”, nella piazza principale di Monterotondo, un paese alle porte di Roma, mentre beveva un caffè è stata aggredita da un gruppo di ragazzi perché indossava l´hijab. «Ero seduta con mia sorella, quando un ragazzo, insieme ad altri otto amici, ha iniziato a gridare: “dovete tornare al vostro paese, tu sei una puttana musulmana e devi farti esplodere, che aspetti a farti saltare in aria? Kamikaze, devi ucciderti”. Poi mi ha dato uno schiaffo in faccia, mi ha tirato giù l´hijab e mi ha detto: “questo in Italia non lo puoi portare”». Le lacrime le scendono a fiumi. Ripensare a quel momento la fa star male. Per lei indossare il velo, oltre a essere un´occasione identitaria, è una scelta religiosa.
«Sono molto credente – ripete più volte scossa, quasi a voler trovare nel mantra la forza di cancellare quell´aggressione razziale – e a quel ragazzo voglio dire che quando vado a fare la spesa, pago come paga lui, che quando sorrido lo faccio come lui. Non è un velo che crea la diversità. Se mi chiedesse scusa lo perdonerei, ma la denuncia non la ritiro. Mi ha picchiata e insultata. Neanche mio padre né mio marito si sono mai permessi di darmi uno schiaffo. È giusto che paghi».
Tutto è cominciato alle 18. Neila era stata con la sorella Nadia in un parco giochi, dove avevano portato il nipotino di un anno. Poi sono entrate in un bar a prendere un caffè e si sono sedute a un tavolino in via Buozzi, il corso principale di Monterotondo. Accanto a loro un gruppo di otto ragazzi e una ragazza. «Io badavo a mio figlio – a parlare ora è Nadia – sentivo insulti, frasi offensive ma ho pensato fosse un gioco tra di loro. Mia sorella che è da poco in Italia però a un certo punto mi ha detto che quei ragazzi guardavano proprio lei. E che quegli insulti pesanti erano rivolti a noi. “Musulmane schifose, fuori da qui” e altre cose pesantissime». Una coppia di italiani è intervenuta in difesa delle due donne tunisine, ma la reazione è stata pesantissima. Il leader del gruppo – un ventisettenne già identificato e denunciato dai carabinieri per lesioni, percosse e delitti contro i culti ammessi dallo Stato – si è alzato, gli altri hanno circondato le sorelle, e hanno iniziato a picchiarle, a tentare di strapparle il velo dalla testa, a prenderle a calci. «È stato umiliante, non si sono fermati neanche di fronte a mio nipote che piangeva disperato per la paura», ha proseguito Neila.
«Io sono caduta per terra, loro mi hanno presa a calci». Poi sono fuggiti, prima dell´arrivo dei carabinieri. «La gente intorno ha guardato la scena – interviene Nadia – nessuno ha mosso un dito per fermarli, fatta eccezione per la coppia che ha preso le nostre difese dall´inizio. Sono vent´anni che abito a Monterotondo, più di quelli che ho vissuto in Tunisia. Le persone che stavano lì a gustarsi la scena le ho salutate centinaia di volte per strada, al supermercato, in piazza. Ma nessuno ci ha aiutato».
Mentre i carabinieri della compagnia Monterotondo lavorano per identificare e denunciare anche gli altri componenti del gruppo – l´unico denunciato ha ammesso ogni responsabilità – dal mondo politico arrivano parole di condanna bipartisan per l´episodio. «Ciascun uomo o donna che, proveniente da un altro Paese, nel rispetto delle nostre leggi, deve poter godere di tutti i diritti, essere accolto e messo al riparo da ogni forma di discriminazione – ha detto Mara Carfagna, deputato Pdl – Solidarietà, dunque, a Neila e a sua sorella». «Quello che è accaduto a Monterotondo è gravissimo – ha dichiarato Livia Turco, responsabile immigrazione del Pd – Tuttavia questo episodio è anche segno della debolezza della politica italiana. Questi vergognosi episodi di intolleranza razziale e religiosa non possono essere accettati nel nostro Paese».

La Repubblica 31.03.12

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Il ministro Andrea Riccardi condanna fermamente l´attacco. “Ma è la spia di un malessere più grande”. “Le donne non si devono toccare sono il motore dell´integrazione”, di Marco Ansaldo

Ci sono stereotipi figli di una mentalità. Ma la maggior parte dei musulmani qui lavora e si fa voler bene. «Le donne, tutte le donne, straniere e non, vanno rispettate anche perché rappresentano un elemento di integrazione decisivo. Mi fa impressione sapere che, come nel caso di Monterotondo, ci sono persone che le picchiano. Purtroppo in Italia c´è un clima di tensione: bisogna lavorare tutti per evitare che si ripetano episodi come questo». Il ministro per la Cooperazione internazionale e per l´Integrazione, Andrea Riccardi, usa parole ferme per condannare l´attacco e gli insulti in un bar a due sorelle tunisine, una delle quali indossava il copricapo islamico. Ma la sua non è una difesa d´ufficio. Da studioso attento va oltre, con un ragionamento che tocca questo momento storico.
Ministro Riccardi, quanto accaduto alle porte di Roma è un semplice episodio o la spia di un malessere più grande?
«È un episodio di cui non abbiamo ancora tutti i contorni. Ma è un caso che ci fa capire che dobbiamo stare attenti».
A che cosa?
«Al fatto che ci troviamo in un periodo di crisi economica e di difficoltà per le famiglie. Così aumenta il rischio della ricerca di un capro espiatorio».
Lei pensa ad altri casi?
«Sì, l´Europa ha ancora negli occhi quanto accaduto con le uccisioni dei bambini ebrei a Tolosa».
Quello di Monterotondo però è un caso diverso.
«Certo. Ma ho riflettuto molto su quel che è avvenuto in Francia, dopo essere andato nella sinagoga di Roma. Non è bastata la Shoah a estirpare l´antisemitismo, il razzismo è duro a morire».
Ma non l´ha colpita anche la violenza verbale usata?
«Ci sono stereotipi figli di una mentalità. Purtroppo sono alimentati dalla stoltezza dell´islamismo radicale. Ma la maggior parte dei musulmani qui lavora e si fa volere bene».
E il suo ministero che cosa fa su questo fronte?
«Ora ho istituito una Conferenza permanente su “Religioni, cultura e integrazione”. Ho riunito tutti i leader religiosi in Italia, che considero dei mediatori importanti con le comunità straniere. E a loro ho ricordato il ruolo decisivo che ha la donna».
Da che punto di vista?
«La donna rischia talvolta di essere prigioniera della famiglia e di una cultura che non rispetta i diritti umani. Mentre, quando può relazionarsi, con il mondo esterno è un elemento fondamentale di integrazione».
Ma le regole di casa nostra vengono sempre rispettate?
«Io credo che sia giusto conservare le tradizioni religiose, ma che non si devono nemmeno negare le regole del Paese in cui si vive. Perché dobbiamo avere valori comuni e sicurezza per tutti».
A Monterotondo nessuno è intervenuto in difesa delle straniere…
«Mi fa impressione. Un uomo che picchia una donna è un fatto inqualificabile. Però qui c´è un clima di tensione da prevenire».
Come?
«Trasmettendo un messaggio di speranza alla gente: che, dopo i sacrifici, ce la faremo a vivere meglio, tutti insieme».

La Repubblica 31.03.12

“Io, picchiata e umiliata per il velo”, di Federica Angeli

«Ho sempre pensato che l´Italia fosse un paese libero. Sbagliavo. Ho cercato lavoro e mi hanno sbattuto la porta in faccia perché porto il velo. E per il mio velo tre giorni fa sono stata picchiata, insultata, umiliata da un gruppo di ragazzi. Stavo solo bevendo un caffè». Neila Azzabi è una donna tunisina di 37 anni. Tre giorni fa in un bar che, per una beffa della sorte si chiama “Freedom”, nella piazza principale di Monterotondo, un paese alle porte di Roma, mentre beveva un caffè è stata aggredita da un gruppo di ragazzi perché indossava l´hijab. «Ero seduta con mia sorella, quando un ragazzo, insieme ad altri otto amici, ha iniziato a gridare: “dovete tornare al vostro paese, tu sei una puttana musulmana e devi farti esplodere, che aspetti a farti saltare in aria? Kamikaze, devi ucciderti”. Poi mi ha dato uno schiaffo in faccia, mi ha tirato giù l´hijab e mi ha detto: “questo in Italia non lo puoi portare”». Le lacrime le scendono a fiumi. Ripensare a quel momento la fa star male. Per lei indossare il velo, oltre a essere un´occasione identitaria, è una scelta religiosa.
«Sono molto credente – ripete più volte scossa, quasi a voler trovare nel mantra la forza di cancellare quell´aggressione razziale – e a quel ragazzo voglio dire che quando vado a fare la spesa, pago come paga lui, che quando sorrido lo faccio come lui. Non è un velo che crea la diversità. Se mi chiedesse scusa lo perdonerei, ma la denuncia non la ritiro. Mi ha picchiata e insultata. Neanche mio padre né mio marito si sono mai permessi di darmi uno schiaffo. È giusto che paghi».
Tutto è cominciato alle 18. Neila era stata con la sorella Nadia in un parco giochi, dove avevano portato il nipotino di un anno. Poi sono entrate in un bar a prendere un caffè e si sono sedute a un tavolino in via Buozzi, il corso principale di Monterotondo. Accanto a loro un gruppo di otto ragazzi e una ragazza. «Io badavo a mio figlio – a parlare ora è Nadia – sentivo insulti, frasi offensive ma ho pensato fosse un gioco tra di loro. Mia sorella che è da poco in Italia però a un certo punto mi ha detto che quei ragazzi guardavano proprio lei. E che quegli insulti pesanti erano rivolti a noi. “Musulmane schifose, fuori da qui” e altre cose pesantissime». Una coppia di italiani è intervenuta in difesa delle due donne tunisine, ma la reazione è stata pesantissima. Il leader del gruppo – un ventisettenne già identificato e denunciato dai carabinieri per lesioni, percosse e delitti contro i culti ammessi dallo Stato – si è alzato, gli altri hanno circondato le sorelle, e hanno iniziato a picchiarle, a tentare di strapparle il velo dalla testa, a prenderle a calci. «È stato umiliante, non si sono fermati neanche di fronte a mio nipote che piangeva disperato per la paura», ha proseguito Neila.
«Io sono caduta per terra, loro mi hanno presa a calci». Poi sono fuggiti, prima dell´arrivo dei carabinieri. «La gente intorno ha guardato la scena – interviene Nadia – nessuno ha mosso un dito per fermarli, fatta eccezione per la coppia che ha preso le nostre difese dall´inizio. Sono vent´anni che abito a Monterotondo, più di quelli che ho vissuto in Tunisia. Le persone che stavano lì a gustarsi la scena le ho salutate centinaia di volte per strada, al supermercato, in piazza. Ma nessuno ci ha aiutato».
Mentre i carabinieri della compagnia Monterotondo lavorano per identificare e denunciare anche gli altri componenti del gruppo – l´unico denunciato ha ammesso ogni responsabilità – dal mondo politico arrivano parole di condanna bipartisan per l´episodio. «Ciascun uomo o donna che, proveniente da un altro Paese, nel rispetto delle nostre leggi, deve poter godere di tutti i diritti, essere accolto e messo al riparo da ogni forma di discriminazione – ha detto Mara Carfagna, deputato Pdl – Solidarietà, dunque, a Neila e a sua sorella». «Quello che è accaduto a Monterotondo è gravissimo – ha dichiarato Livia Turco, responsabile immigrazione del Pd – Tuttavia questo episodio è anche segno della debolezza della politica italiana. Questi vergognosi episodi di intolleranza razziale e religiosa non possono essere accettati nel nostro Paese».

La Repubblica 31.03.12

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Il ministro Andrea Riccardi condanna fermamente l´attacco. “Ma è la spia di un malessere più grande”. “Le donne non si devono toccare sono il motore dell´integrazione”, di Marco Ansaldo

Ci sono stereotipi figli di una mentalità. Ma la maggior parte dei musulmani qui lavora e si fa voler bene. «Le donne, tutte le donne, straniere e non, vanno rispettate anche perché rappresentano un elemento di integrazione decisivo. Mi fa impressione sapere che, come nel caso di Monterotondo, ci sono persone che le picchiano. Purtroppo in Italia c´è un clima di tensione: bisogna lavorare tutti per evitare che si ripetano episodi come questo». Il ministro per la Cooperazione internazionale e per l´Integrazione, Andrea Riccardi, usa parole ferme per condannare l´attacco e gli insulti in un bar a due sorelle tunisine, una delle quali indossava il copricapo islamico. Ma la sua non è una difesa d´ufficio. Da studioso attento va oltre, con un ragionamento che tocca questo momento storico.
Ministro Riccardi, quanto accaduto alle porte di Roma è un semplice episodio o la spia di un malessere più grande?
«È un episodio di cui non abbiamo ancora tutti i contorni. Ma è un caso che ci fa capire che dobbiamo stare attenti».
A che cosa?
«Al fatto che ci troviamo in un periodo di crisi economica e di difficoltà per le famiglie. Così aumenta il rischio della ricerca di un capro espiatorio».
Lei pensa ad altri casi?
«Sì, l´Europa ha ancora negli occhi quanto accaduto con le uccisioni dei bambini ebrei a Tolosa».
Quello di Monterotondo però è un caso diverso.
«Certo. Ma ho riflettuto molto su quel che è avvenuto in Francia, dopo essere andato nella sinagoga di Roma. Non è bastata la Shoah a estirpare l´antisemitismo, il razzismo è duro a morire».
Ma non l´ha colpita anche la violenza verbale usata?
«Ci sono stereotipi figli di una mentalità. Purtroppo sono alimentati dalla stoltezza dell´islamismo radicale. Ma la maggior parte dei musulmani qui lavora e si fa volere bene».
E il suo ministero che cosa fa su questo fronte?
«Ora ho istituito una Conferenza permanente su “Religioni, cultura e integrazione”. Ho riunito tutti i leader religiosi in Italia, che considero dei mediatori importanti con le comunità straniere. E a loro ho ricordato il ruolo decisivo che ha la donna».
Da che punto di vista?
«La donna rischia talvolta di essere prigioniera della famiglia e di una cultura che non rispetta i diritti umani. Mentre, quando può relazionarsi, con il mondo esterno è un elemento fondamentale di integrazione».
Ma le regole di casa nostra vengono sempre rispettate?
«Io credo che sia giusto conservare le tradizioni religiose, ma che non si devono nemmeno negare le regole del Paese in cui si vive. Perché dobbiamo avere valori comuni e sicurezza per tutti».
A Monterotondo nessuno è intervenuto in difesa delle straniere…
«Mi fa impressione. Un uomo che picchia una donna è un fatto inqualificabile. Però qui c´è un clima di tensione da prevenire».
Come?
«Trasmettendo un messaggio di speranza alla gente: che, dopo i sacrifici, ce la faremo a vivere meglio, tutti insieme».

La Repubblica 31.03.12

“Io, picchiata e umiliata per il velo”, di Federica Angeli

«Ho sempre pensato che l´Italia fosse un paese libero. Sbagliavo. Ho cercato lavoro e mi hanno sbattuto la porta in faccia perché porto il velo. E per il mio velo tre giorni fa sono stata picchiata, insultata, umiliata da un gruppo di ragazzi. Stavo solo bevendo un caffè». Neila Azzabi è una donna tunisina di 37 anni. Tre giorni fa in un bar che, per una beffa della sorte si chiama “Freedom”, nella piazza principale di Monterotondo, un paese alle porte di Roma, mentre beveva un caffè è stata aggredita da un gruppo di ragazzi perché indossava l´hijab. «Ero seduta con mia sorella, quando un ragazzo, insieme ad altri otto amici, ha iniziato a gridare: “dovete tornare al vostro paese, tu sei una puttana musulmana e devi farti esplodere, che aspetti a farti saltare in aria? Kamikaze, devi ucciderti”. Poi mi ha dato uno schiaffo in faccia, mi ha tirato giù l´hijab e mi ha detto: “questo in Italia non lo puoi portare”». Le lacrime le scendono a fiumi. Ripensare a quel momento la fa star male. Per lei indossare il velo, oltre a essere un´occasione identitaria, è una scelta religiosa.
«Sono molto credente – ripete più volte scossa, quasi a voler trovare nel mantra la forza di cancellare quell´aggressione razziale – e a quel ragazzo voglio dire che quando vado a fare la spesa, pago come paga lui, che quando sorrido lo faccio come lui. Non è un velo che crea la diversità. Se mi chiedesse scusa lo perdonerei, ma la denuncia non la ritiro. Mi ha picchiata e insultata. Neanche mio padre né mio marito si sono mai permessi di darmi uno schiaffo. È giusto che paghi».
Tutto è cominciato alle 18. Neila era stata con la sorella Nadia in un parco giochi, dove avevano portato il nipotino di un anno. Poi sono entrate in un bar a prendere un caffè e si sono sedute a un tavolino in via Buozzi, il corso principale di Monterotondo. Accanto a loro un gruppo di otto ragazzi e una ragazza. «Io badavo a mio figlio – a parlare ora è Nadia – sentivo insulti, frasi offensive ma ho pensato fosse un gioco tra di loro. Mia sorella che è da poco in Italia però a un certo punto mi ha detto che quei ragazzi guardavano proprio lei. E che quegli insulti pesanti erano rivolti a noi. “Musulmane schifose, fuori da qui” e altre cose pesantissime». Una coppia di italiani è intervenuta in difesa delle due donne tunisine, ma la reazione è stata pesantissima. Il leader del gruppo – un ventisettenne già identificato e denunciato dai carabinieri per lesioni, percosse e delitti contro i culti ammessi dallo Stato – si è alzato, gli altri hanno circondato le sorelle, e hanno iniziato a picchiarle, a tentare di strapparle il velo dalla testa, a prenderle a calci. «È stato umiliante, non si sono fermati neanche di fronte a mio nipote che piangeva disperato per la paura», ha proseguito Neila.
«Io sono caduta per terra, loro mi hanno presa a calci». Poi sono fuggiti, prima dell´arrivo dei carabinieri. «La gente intorno ha guardato la scena – interviene Nadia – nessuno ha mosso un dito per fermarli, fatta eccezione per la coppia che ha preso le nostre difese dall´inizio. Sono vent´anni che abito a Monterotondo, più di quelli che ho vissuto in Tunisia. Le persone che stavano lì a gustarsi la scena le ho salutate centinaia di volte per strada, al supermercato, in piazza. Ma nessuno ci ha aiutato».
Mentre i carabinieri della compagnia Monterotondo lavorano per identificare e denunciare anche gli altri componenti del gruppo – l´unico denunciato ha ammesso ogni responsabilità – dal mondo politico arrivano parole di condanna bipartisan per l´episodio. «Ciascun uomo o donna che, proveniente da un altro Paese, nel rispetto delle nostre leggi, deve poter godere di tutti i diritti, essere accolto e messo al riparo da ogni forma di discriminazione – ha detto Mara Carfagna, deputato Pdl – Solidarietà, dunque, a Neila e a sua sorella». «Quello che è accaduto a Monterotondo è gravissimo – ha dichiarato Livia Turco, responsabile immigrazione del Pd – Tuttavia questo episodio è anche segno della debolezza della politica italiana. Questi vergognosi episodi di intolleranza razziale e religiosa non possono essere accettati nel nostro Paese».

La Repubblica 31.03.12

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Il ministro Andrea Riccardi condanna fermamente l´attacco. “Ma è la spia di un malessere più grande”. “Le donne non si devono toccare sono il motore dell´integrazione”, di Marco Ansaldo

Ci sono stereotipi figli di una mentalità. Ma la maggior parte dei musulmani qui lavora e si fa voler bene. «Le donne, tutte le donne, straniere e non, vanno rispettate anche perché rappresentano un elemento di integrazione decisivo. Mi fa impressione sapere che, come nel caso di Monterotondo, ci sono persone che le picchiano. Purtroppo in Italia c´è un clima di tensione: bisogna lavorare tutti per evitare che si ripetano episodi come questo». Il ministro per la Cooperazione internazionale e per l´Integrazione, Andrea Riccardi, usa parole ferme per condannare l´attacco e gli insulti in un bar a due sorelle tunisine, una delle quali indossava il copricapo islamico. Ma la sua non è una difesa d´ufficio. Da studioso attento va oltre, con un ragionamento che tocca questo momento storico.
Ministro Riccardi, quanto accaduto alle porte di Roma è un semplice episodio o la spia di un malessere più grande?
«È un episodio di cui non abbiamo ancora tutti i contorni. Ma è un caso che ci fa capire che dobbiamo stare attenti».
A che cosa?
«Al fatto che ci troviamo in un periodo di crisi economica e di difficoltà per le famiglie. Così aumenta il rischio della ricerca di un capro espiatorio».
Lei pensa ad altri casi?
«Sì, l´Europa ha ancora negli occhi quanto accaduto con le uccisioni dei bambini ebrei a Tolosa».
Quello di Monterotondo però è un caso diverso.
«Certo. Ma ho riflettuto molto su quel che è avvenuto in Francia, dopo essere andato nella sinagoga di Roma. Non è bastata la Shoah a estirpare l´antisemitismo, il razzismo è duro a morire».
Ma non l´ha colpita anche la violenza verbale usata?
«Ci sono stereotipi figli di una mentalità. Purtroppo sono alimentati dalla stoltezza dell´islamismo radicale. Ma la maggior parte dei musulmani qui lavora e si fa volere bene».
E il suo ministero che cosa fa su questo fronte?
«Ora ho istituito una Conferenza permanente su “Religioni, cultura e integrazione”. Ho riunito tutti i leader religiosi in Italia, che considero dei mediatori importanti con le comunità straniere. E a loro ho ricordato il ruolo decisivo che ha la donna».
Da che punto di vista?
«La donna rischia talvolta di essere prigioniera della famiglia e di una cultura che non rispetta i diritti umani. Mentre, quando può relazionarsi, con il mondo esterno è un elemento fondamentale di integrazione».
Ma le regole di casa nostra vengono sempre rispettate?
«Io credo che sia giusto conservare le tradizioni religiose, ma che non si devono nemmeno negare le regole del Paese in cui si vive. Perché dobbiamo avere valori comuni e sicurezza per tutti».
A Monterotondo nessuno è intervenuto in difesa delle straniere…
«Mi fa impressione. Un uomo che picchia una donna è un fatto inqualificabile. Però qui c´è un clima di tensione da prevenire».
Come?
«Trasmettendo un messaggio di speranza alla gente: che, dopo i sacrifici, ce la faremo a vivere meglio, tutti insieme».

La Repubblica 31.03.12

"L'acconto per l'Imu diventa un rebus", di Saverio Fossati e Gianni Trovati

La disciplina dell’Imu si arricchisce di particolari, ma complica ulteriormente il rebus del primo appuntamento effettivo alla cassa, fissato per il 18 giugno prossimo con il versamento dell’acconto (il 16 cade di sabato).
È questo il risultato degli emendamenti dei relatori alla legge di conversione del decreto fiscale (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), che nascono dalla difficoltà di avere in tempi brevi un quadro chiaro sui gettiti reali dell’imposta e offrono quindi più tempo ai sindaci per fissare le aliquote definitive. In pratica, secondo gli emendamenti le amministrazioni locali potranno prendersi fino al 30 settembre per decidere le aliquote definitive da applicare alle diverse tipologie di immobili; nulla, però, si dice sulle modalità di calcolo da seguire per effettuare il versamento dell’acconto mettendosi al riparo da eventuali sanzioni riservate a chi paga una prima rata troppo leggera.

Il problema era già emerso dopo che il «Milleproroghe» aveva fatto slittare al 30 giugno i termini per chiudere preventivi e regolamenti tributari ma naturalmente si complica ora che la distanza fra la scadenza per l’acconto e quella per le aliquote definitive si allunga da due settimane a tre mesi e mezzo. Una prima versione del decreto fiscale aveva deciso di ancorare i calcoli dell’acconto alle aliquote di riferimento fissate dal decreto «Salva-Italia» (4 per mille per l’abitazione principale e 7,6 per mille per gli altri immobili, con eccezioni per categorie particolari come i fabbricati strumentali all’attività agricola) ma nel testo approvato dal Governo non c’è traccia della previsione. Alla luce dei nuovi emendamenti, la questione si fa ancora più urgente.
I correttivi diffusi nella serata di giovedì, che saranno votati lunedì, si incaricano anche di tornare sugli obblighi dichiarativi, resi urgenti dalle tante novità determinate nel passaggio dalla disciplina Ici a quella dell’Imu. La nuova imposta, per esempio, permette di trattare come abitazione principale solo un garage, una cantina e una tettoia, mentre l’Ici consentiva una geografia delle pertinenze più generosa, e una stretta ancora più drastica arriva per le assimilazioni.

La nuova regola proposta dagli emendamenti fissa la prima scadenza al 30 luglio prossimo (quindi, anch’essa, un mese e mezzo dopo i termini dell’acconto) per gli immobili già posseduti allo scorso 1° gennaio e, proprio a causa delle tante novità portate dall’Imu rispetto alla vecchia imposta comunale sugli immobili, appare destinata a imbarcare un’ampia platea di contribuenti. Sarà comunque un decreto ministeriale, previsto dal decreto legislativo sul federalismo dei sindaci (articolo 9, comma 6 del Dlgs 23/2011) ma non ancora varato, a stabilire le modalità della dichiarazione, che senza dubbio sarà più ricca di informazioni rispetto alle dichiarazioni Ici.
Le novità messe nero su bianco dai relatori al provvedimento si occupano poi di alleggerire un po’ il carico agli agricoltori, esentano i fabbricati sopra i mille metri quadrati (per i terreni continuano invece a operare le vecchie esenzioni nei Comuni collinari e montani), reintroducono forme di abbattimento dell’imponibile e tagliando l’acconto al 30% per i terreni. “Salvati” dalla quota erariale dell’imposta gli immobili di Iacp e cooperative edilizie a proprietà indivisa, insieme al mattone dei Comuni utilizzato per scopi non istituzionali che per questa via esce del tutto dall’ambito Imu.

Sull’intera partita, però, pesano le ristrettezze del bilancio pubblico, che per esigenze di copertura lasciano fuori dai correttivi una ricca platea che invece guardava con speranza al passaggio parlamentare. In prima fila ci sono i proprietari di immobili dati in affitto, che nel passaggio all’Imu vanno incontro a regole che moltiplicano la vecchia Ici per 2-3 volte quando il canone è di mercato e arrivano a decuplicarla quando l’affitto è a canone concordato. Il colpo rischia di essere duro per il mercato degli affitti (e letale per i canoni concordati) già frenato dalla crisi economica. Un ritocco, inaspettato, è invece giunto per i proprietari di dimore storiche, che si vedono gonfiare l’imponibile e di conseguenza il conto presentato dall’Imu.

Il Sole 24 Ore 31.03.12

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“La confusione peserà sul debutto dell’imposta”, di Saverio Fossati

Questi dodici miliardi in più ce li ricorderemo a lungo. Come l’indifferenza del legislatore alle richieste di rendere l’Imu meno ingiusta o almeno di far capire ai contribuenti quanto pagare in acconto senza rischiare sanzioni.
L’esordio della nuova imposta, dopo gli ultimi sconti-beffa sui fabbricati agricoli e sulle dimore storiche, non poteva essere peggiore. La confusione creata dalla sovrapposizione dell’Imu anticipata con quella a regime e con la disciplina Ici è stato un segnale preoccupante ma ciò che colpisce è la serenità con la quale il Governo ha accolto alcune richieste di modifica, lasciate senza esito.

Anzitutto quelle riguardanti gli effetti devastanti dell’applicazione dei nuovi moltiplicatori, che incrementano le sperequazioni già segnalate da anni sui valori catastali: immobili che sul mercato hanno prezzi identici vengono considerati catastalmente in modo molto diverso e l’aumento della base imponibile può essere pesantissimo per alcuni e leggero per altri. Senza contare che un incremento di gettito di tale portata avrebbe dovuto indurre a considerare l’aspetto reddituale dei contribuenti: macché, tutti uguali. Povero e ricco paghino lo stesso, se hanno uguali valori catastali, come se la casa fosse un lusso rinunciabile. Poi c’è la questione affitti: il 14-15% degli italiani vive in locazione, al netto delle famiglie “assistite” nelle case popolari. Ora i proprietari si vedono incrementare il peso fiscale con importi che rendono del tutto sfavorevole i canoni concordati: quindi questa formula, che interessava circa il 20% dei contratti e permetteva affiti umani sostenuti dall’agevolazione fiscale, scomparirà ben presto. Per gli affitti di mercato, poi, è inevitabile che l’Imu venga scaricata alla prima occasione nel canone. Con la conseguenza che il mercato degli affitti diventi insostenibile per tutte quelle famiglie che lo avevano scelto nell’impossibilità di accedere a un mutuo per l’acquisto. Quindi, o usciranno dal mercato le case affittate (si consideri che quelle sfitte sono incongruamente avvantaggiate dall’Imu) o saranno proprio le famiglie meno abbienti a sopportare il nuovo peso fiscale. E lascia scorati la mancanza di un atto che non sarebbe costato nulla se non una briciola d’impegno in più da parte degli uffici legislativi: una norma di salvaguardia per consentire ai contribuenti di pagare in serenità l’acconto basandosi, per esempio, sulle aliquote stabilite con il Dl 201/2011, in attesa di pagare il saldo con quelle che i Comuni possono decidere entro settembre. Con gli ultimi emendamenti ci si è preoccupati di estendere il periodo nel quale i municipi potranno deliberare in merito, dimenticandosi del fatto che decine di milioni di contribuenti il 18 giugno dovranno pagare l’acconto e, allo stato della normativa, se sbaglieranno per difetto si beccheranno una sanzione. Eppure il problema era stato segnalato da settimane.

Il Sole 24 Ore 31.03.12

“L’acconto per l’Imu diventa un rebus”, di Saverio Fossati e Gianni Trovati

La disciplina dell’Imu si arricchisce di particolari, ma complica ulteriormente il rebus del primo appuntamento effettivo alla cassa, fissato per il 18 giugno prossimo con il versamento dell’acconto (il 16 cade di sabato).
È questo il risultato degli emendamenti dei relatori alla legge di conversione del decreto fiscale (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), che nascono dalla difficoltà di avere in tempi brevi un quadro chiaro sui gettiti reali dell’imposta e offrono quindi più tempo ai sindaci per fissare le aliquote definitive. In pratica, secondo gli emendamenti le amministrazioni locali potranno prendersi fino al 30 settembre per decidere le aliquote definitive da applicare alle diverse tipologie di immobili; nulla, però, si dice sulle modalità di calcolo da seguire per effettuare il versamento dell’acconto mettendosi al riparo da eventuali sanzioni riservate a chi paga una prima rata troppo leggera.

Il problema era già emerso dopo che il «Milleproroghe» aveva fatto slittare al 30 giugno i termini per chiudere preventivi e regolamenti tributari ma naturalmente si complica ora che la distanza fra la scadenza per l’acconto e quella per le aliquote definitive si allunga da due settimane a tre mesi e mezzo. Una prima versione del decreto fiscale aveva deciso di ancorare i calcoli dell’acconto alle aliquote di riferimento fissate dal decreto «Salva-Italia» (4 per mille per l’abitazione principale e 7,6 per mille per gli altri immobili, con eccezioni per categorie particolari come i fabbricati strumentali all’attività agricola) ma nel testo approvato dal Governo non c’è traccia della previsione. Alla luce dei nuovi emendamenti, la questione si fa ancora più urgente.
I correttivi diffusi nella serata di giovedì, che saranno votati lunedì, si incaricano anche di tornare sugli obblighi dichiarativi, resi urgenti dalle tante novità determinate nel passaggio dalla disciplina Ici a quella dell’Imu. La nuova imposta, per esempio, permette di trattare come abitazione principale solo un garage, una cantina e una tettoia, mentre l’Ici consentiva una geografia delle pertinenze più generosa, e una stretta ancora più drastica arriva per le assimilazioni.

La nuova regola proposta dagli emendamenti fissa la prima scadenza al 30 luglio prossimo (quindi, anch’essa, un mese e mezzo dopo i termini dell’acconto) per gli immobili già posseduti allo scorso 1° gennaio e, proprio a causa delle tante novità portate dall’Imu rispetto alla vecchia imposta comunale sugli immobili, appare destinata a imbarcare un’ampia platea di contribuenti. Sarà comunque un decreto ministeriale, previsto dal decreto legislativo sul federalismo dei sindaci (articolo 9, comma 6 del Dlgs 23/2011) ma non ancora varato, a stabilire le modalità della dichiarazione, che senza dubbio sarà più ricca di informazioni rispetto alle dichiarazioni Ici.
Le novità messe nero su bianco dai relatori al provvedimento si occupano poi di alleggerire un po’ il carico agli agricoltori, esentano i fabbricati sopra i mille metri quadrati (per i terreni continuano invece a operare le vecchie esenzioni nei Comuni collinari e montani), reintroducono forme di abbattimento dell’imponibile e tagliando l’acconto al 30% per i terreni. “Salvati” dalla quota erariale dell’imposta gli immobili di Iacp e cooperative edilizie a proprietà indivisa, insieme al mattone dei Comuni utilizzato per scopi non istituzionali che per questa via esce del tutto dall’ambito Imu.

Sull’intera partita, però, pesano le ristrettezze del bilancio pubblico, che per esigenze di copertura lasciano fuori dai correttivi una ricca platea che invece guardava con speranza al passaggio parlamentare. In prima fila ci sono i proprietari di immobili dati in affitto, che nel passaggio all’Imu vanno incontro a regole che moltiplicano la vecchia Ici per 2-3 volte quando il canone è di mercato e arrivano a decuplicarla quando l’affitto è a canone concordato. Il colpo rischia di essere duro per il mercato degli affitti (e letale per i canoni concordati) già frenato dalla crisi economica. Un ritocco, inaspettato, è invece giunto per i proprietari di dimore storiche, che si vedono gonfiare l’imponibile e di conseguenza il conto presentato dall’Imu.

Il Sole 24 Ore 31.03.12

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“La confusione peserà sul debutto dell’imposta”, di Saverio Fossati

Questi dodici miliardi in più ce li ricorderemo a lungo. Come l’indifferenza del legislatore alle richieste di rendere l’Imu meno ingiusta o almeno di far capire ai contribuenti quanto pagare in acconto senza rischiare sanzioni.
L’esordio della nuova imposta, dopo gli ultimi sconti-beffa sui fabbricati agricoli e sulle dimore storiche, non poteva essere peggiore. La confusione creata dalla sovrapposizione dell’Imu anticipata con quella a regime e con la disciplina Ici è stato un segnale preoccupante ma ciò che colpisce è la serenità con la quale il Governo ha accolto alcune richieste di modifica, lasciate senza esito.

Anzitutto quelle riguardanti gli effetti devastanti dell’applicazione dei nuovi moltiplicatori, che incrementano le sperequazioni già segnalate da anni sui valori catastali: immobili che sul mercato hanno prezzi identici vengono considerati catastalmente in modo molto diverso e l’aumento della base imponibile può essere pesantissimo per alcuni e leggero per altri. Senza contare che un incremento di gettito di tale portata avrebbe dovuto indurre a considerare l’aspetto reddituale dei contribuenti: macché, tutti uguali. Povero e ricco paghino lo stesso, se hanno uguali valori catastali, come se la casa fosse un lusso rinunciabile. Poi c’è la questione affitti: il 14-15% degli italiani vive in locazione, al netto delle famiglie “assistite” nelle case popolari. Ora i proprietari si vedono incrementare il peso fiscale con importi che rendono del tutto sfavorevole i canoni concordati: quindi questa formula, che interessava circa il 20% dei contratti e permetteva affiti umani sostenuti dall’agevolazione fiscale, scomparirà ben presto. Per gli affitti di mercato, poi, è inevitabile che l’Imu venga scaricata alla prima occasione nel canone. Con la conseguenza che il mercato degli affitti diventi insostenibile per tutte quelle famiglie che lo avevano scelto nell’impossibilità di accedere a un mutuo per l’acquisto. Quindi, o usciranno dal mercato le case affittate (si consideri che quelle sfitte sono incongruamente avvantaggiate dall’Imu) o saranno proprio le famiglie meno abbienti a sopportare il nuovo peso fiscale. E lascia scorati la mancanza di un atto che non sarebbe costato nulla se non una briciola d’impegno in più da parte degli uffici legislativi: una norma di salvaguardia per consentire ai contribuenti di pagare in serenità l’acconto basandosi, per esempio, sulle aliquote stabilite con il Dl 201/2011, in attesa di pagare il saldo con quelle che i Comuni possono decidere entro settembre. Con gli ultimi emendamenti ci si è preoccupati di estendere il periodo nel quale i municipi potranno deliberare in merito, dimenticandosi del fatto che decine di milioni di contribuenti il 18 giugno dovranno pagare l’acconto e, allo stato della normativa, se sbaglieranno per difetto si beccheranno una sanzione. Eppure il problema era stato segnalato da settimane.

Il Sole 24 Ore 31.03.12

“L’acconto per l’Imu diventa un rebus”, di Saverio Fossati e Gianni Trovati

La disciplina dell’Imu si arricchisce di particolari, ma complica ulteriormente il rebus del primo appuntamento effettivo alla cassa, fissato per il 18 giugno prossimo con il versamento dell’acconto (il 16 cade di sabato).
È questo il risultato degli emendamenti dei relatori alla legge di conversione del decreto fiscale (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), che nascono dalla difficoltà di avere in tempi brevi un quadro chiaro sui gettiti reali dell’imposta e offrono quindi più tempo ai sindaci per fissare le aliquote definitive. In pratica, secondo gli emendamenti le amministrazioni locali potranno prendersi fino al 30 settembre per decidere le aliquote definitive da applicare alle diverse tipologie di immobili; nulla, però, si dice sulle modalità di calcolo da seguire per effettuare il versamento dell’acconto mettendosi al riparo da eventuali sanzioni riservate a chi paga una prima rata troppo leggera.

Il problema era già emerso dopo che il «Milleproroghe» aveva fatto slittare al 30 giugno i termini per chiudere preventivi e regolamenti tributari ma naturalmente si complica ora che la distanza fra la scadenza per l’acconto e quella per le aliquote definitive si allunga da due settimane a tre mesi e mezzo. Una prima versione del decreto fiscale aveva deciso di ancorare i calcoli dell’acconto alle aliquote di riferimento fissate dal decreto «Salva-Italia» (4 per mille per l’abitazione principale e 7,6 per mille per gli altri immobili, con eccezioni per categorie particolari come i fabbricati strumentali all’attività agricola) ma nel testo approvato dal Governo non c’è traccia della previsione. Alla luce dei nuovi emendamenti, la questione si fa ancora più urgente.
I correttivi diffusi nella serata di giovedì, che saranno votati lunedì, si incaricano anche di tornare sugli obblighi dichiarativi, resi urgenti dalle tante novità determinate nel passaggio dalla disciplina Ici a quella dell’Imu. La nuova imposta, per esempio, permette di trattare come abitazione principale solo un garage, una cantina e una tettoia, mentre l’Ici consentiva una geografia delle pertinenze più generosa, e una stretta ancora più drastica arriva per le assimilazioni.

La nuova regola proposta dagli emendamenti fissa la prima scadenza al 30 luglio prossimo (quindi, anch’essa, un mese e mezzo dopo i termini dell’acconto) per gli immobili già posseduti allo scorso 1° gennaio e, proprio a causa delle tante novità portate dall’Imu rispetto alla vecchia imposta comunale sugli immobili, appare destinata a imbarcare un’ampia platea di contribuenti. Sarà comunque un decreto ministeriale, previsto dal decreto legislativo sul federalismo dei sindaci (articolo 9, comma 6 del Dlgs 23/2011) ma non ancora varato, a stabilire le modalità della dichiarazione, che senza dubbio sarà più ricca di informazioni rispetto alle dichiarazioni Ici.
Le novità messe nero su bianco dai relatori al provvedimento si occupano poi di alleggerire un po’ il carico agli agricoltori, esentano i fabbricati sopra i mille metri quadrati (per i terreni continuano invece a operare le vecchie esenzioni nei Comuni collinari e montani), reintroducono forme di abbattimento dell’imponibile e tagliando l’acconto al 30% per i terreni. “Salvati” dalla quota erariale dell’imposta gli immobili di Iacp e cooperative edilizie a proprietà indivisa, insieme al mattone dei Comuni utilizzato per scopi non istituzionali che per questa via esce del tutto dall’ambito Imu.

Sull’intera partita, però, pesano le ristrettezze del bilancio pubblico, che per esigenze di copertura lasciano fuori dai correttivi una ricca platea che invece guardava con speranza al passaggio parlamentare. In prima fila ci sono i proprietari di immobili dati in affitto, che nel passaggio all’Imu vanno incontro a regole che moltiplicano la vecchia Ici per 2-3 volte quando il canone è di mercato e arrivano a decuplicarla quando l’affitto è a canone concordato. Il colpo rischia di essere duro per il mercato degli affitti (e letale per i canoni concordati) già frenato dalla crisi economica. Un ritocco, inaspettato, è invece giunto per i proprietari di dimore storiche, che si vedono gonfiare l’imponibile e di conseguenza il conto presentato dall’Imu.

Il Sole 24 Ore 31.03.12

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“La confusione peserà sul debutto dell’imposta”, di Saverio Fossati

Questi dodici miliardi in più ce li ricorderemo a lungo. Come l’indifferenza del legislatore alle richieste di rendere l’Imu meno ingiusta o almeno di far capire ai contribuenti quanto pagare in acconto senza rischiare sanzioni.
L’esordio della nuova imposta, dopo gli ultimi sconti-beffa sui fabbricati agricoli e sulle dimore storiche, non poteva essere peggiore. La confusione creata dalla sovrapposizione dell’Imu anticipata con quella a regime e con la disciplina Ici è stato un segnale preoccupante ma ciò che colpisce è la serenità con la quale il Governo ha accolto alcune richieste di modifica, lasciate senza esito.

Anzitutto quelle riguardanti gli effetti devastanti dell’applicazione dei nuovi moltiplicatori, che incrementano le sperequazioni già segnalate da anni sui valori catastali: immobili che sul mercato hanno prezzi identici vengono considerati catastalmente in modo molto diverso e l’aumento della base imponibile può essere pesantissimo per alcuni e leggero per altri. Senza contare che un incremento di gettito di tale portata avrebbe dovuto indurre a considerare l’aspetto reddituale dei contribuenti: macché, tutti uguali. Povero e ricco paghino lo stesso, se hanno uguali valori catastali, come se la casa fosse un lusso rinunciabile. Poi c’è la questione affitti: il 14-15% degli italiani vive in locazione, al netto delle famiglie “assistite” nelle case popolari. Ora i proprietari si vedono incrementare il peso fiscale con importi che rendono del tutto sfavorevole i canoni concordati: quindi questa formula, che interessava circa il 20% dei contratti e permetteva affiti umani sostenuti dall’agevolazione fiscale, scomparirà ben presto. Per gli affitti di mercato, poi, è inevitabile che l’Imu venga scaricata alla prima occasione nel canone. Con la conseguenza che il mercato degli affitti diventi insostenibile per tutte quelle famiglie che lo avevano scelto nell’impossibilità di accedere a un mutuo per l’acquisto. Quindi, o usciranno dal mercato le case affittate (si consideri che quelle sfitte sono incongruamente avvantaggiate dall’Imu) o saranno proprio le famiglie meno abbienti a sopportare il nuovo peso fiscale. E lascia scorati la mancanza di un atto che non sarebbe costato nulla se non una briciola d’impegno in più da parte degli uffici legislativi: una norma di salvaguardia per consentire ai contribuenti di pagare in serenità l’acconto basandosi, per esempio, sulle aliquote stabilite con il Dl 201/2011, in attesa di pagare il saldo con quelle che i Comuni possono decidere entro settembre. Con gli ultimi emendamenti ci si è preoccupati di estendere il periodo nel quale i municipi potranno deliberare in merito, dimenticandosi del fatto che decine di milioni di contribuenti il 18 giugno dovranno pagare l’acconto e, allo stato della normativa, se sbaglieranno per difetto si beccheranno una sanzione. Eppure il problema era stato segnalato da settimane.

Il Sole 24 Ore 31.03.12

"La mossa di Casini è abile, ma i costi della politica sono altri", di Stefano Folli

Come spesso accade, Pier Ferdinando Casini è un politico svelto di riflessi. La sua rinuncia ai privilegi spettanti agli ex presidenti della Camera vuole essere una «mossa del cavallo», come dicono gli scacchisti: un gesto imprevisto che coglie impreparati gli avversari e li spiazza. In questo caso non ci sono avversari, bensì una consuetudine felpata che data da tempo immemorabile, in base alla quale le regole che riguardano il funzionamento della Camera, comprese le guarentigie a cui hanno diritto i presidenti emeriti, sono affare interno di Montecitorio e dei suoi organismi. Che decidono senza clamori e di solito senza pubblicità. Un mondo chiuso, almeno fino a ieri.
Stavolta invece, sotto la pressione degli istinti anti-casta serpeggianti nel paese, la Camera ha fatto conoscere i suoi orientamenti per ridurre i privilegi degli «ex» (segreteria, autista con macchina di servizio, scorta eccetera). Ma si è trattato di un deliberato piuttosto complesso e controverso. I due «ex» che perderanno i loro attuali diritti al termine della legislatura sono Irene Pivetti e Pietro Ingrao, del quale ieri ricorreva il 97esimo compleanno. Quanto agli altri (Violante, Bertinotti, Casini, in futuro lo stesso Fini) godranno di un periodo transitorio di dieci anni, sempre a partire dal 2013. Quindi fino al 2023 il regime degli ex presidenti non dovrebbe mutare.

Qui Casini si è inserito con la sua mossa a effetto. In un certo senso, ha rotto un tabù. Di sicuro rende difficile al presidente della Camera e all’ufficio di presidenza fare finta di nulla, cioè ignorare il passo di un autorevole «ex», tuttora molto attivo sulla scena politica. La decisione potrebbe essere rivista. Oppure, ipotesi più pratica, gli altri ex-presidenti potrebbero vedersi costretti dalle circostanze a imitare Casini.
C’è un po’ di «fiera dell’ipocrisia» in tutto questo, come sostiene Violante? Probabilmente, sì. Ma siamo vicini alle amministrative e un po’ di spregiudicatezza conviene, specie su un tema delicato come i costi della politica. Tanto più che il presidente dell’Udc accarezza il disegno ambizioso di dar vita a un grande «rassemblement» centrista e terzopolista, capace di farsi largo fra i due grossi partiti in crisi, il Pdl e il Pd. Casini guarda a un’opinione pubblica allargata: non ha tempo per le sfumature e non si nega nemmeno un filo di demagogia.

Semmai la questione è un’altra. Il problema «costi della politica» non lo si affronta solo con questi strumenti. Tagliare i privilegi degli ex-presidenti delle assemblee legislative può essere moralmente consigliabile; in ogni caso è una concessione allo spirito dei tempi. Ma dal punto di vista economico, le misure della Camera e quelle del Senato portano benefici irrisori. I veri risparmi verrebbero da altri capitoli che però restano nel cassetto.
Non si parla più, ad esempio, di abolizione delle province. E nemmeno di accorpamento dei comuni minori. E ci si domanda che fine hanno fatto le promesse di rendere inespugnabili i bilanci dei partiti, visto che i flussi del finanziamento pubblico (in teoria abolito da un referendum sempre disatteso) sollecitano molti appetiti.

Temi che avrebbero potuto trovar posto nell’agenda del vertice a tre dell’altro giorno. Ma non è stato così. Peccato, perché qui si annidano gli autentici «costi della politica». Viceversa si preferisce guardare altrove. E togliere la segretaria a un signore di 97 anni.

Il Sole 24 Ore 31.03.12