Latest Posts

“Basta maggioranze variabili niente forzature sull´articolo 18 serve il consenso dei sindacati”, intervista a Dario Franceschini di Giovanna Casadio

Per difendere il finanziamento ai partiti vanno introdotte regole scrupolose. Non siamo disposti a escludere il Terzo Polo da un accordo Serve una intesa molto larga.
Su giustizia, articolo 18 e mercato del lavoro, il Pd è in allarme, onorevole Franceschini?
«Noi Democratici abbiamo cercato e voluto il governo Monti, al contrario del Pdl che l´ha subito. Sapevamo che non sarebbe stato un cammino semplice, perché un esperimento totalmente inedito, reso possibile dall´emergenza e dalla gravità della crisi, cioè di avversari politici – che si sono scontrati duramente e che torneranno a scontrarsi alle elezioni, e che intanto sostengono lo stesso governo – è inevitabilmente difficile. Però il Pd appoggia Monti pienamente, sapendo che il lavoro è appena iniziato».
Tuttavia il segretario Bersani lancia l´offensiva e avverte che i Democratici non sono disposti a farsi prendere in giro.
«Il voto a Montecitorio sulla responsabilità dei giudici è stato gravissimo. Innanzitutto, mostra il rischio davvero grosso che quando le forze politiche non trovano tra loro un´intesa, Lega e Pdl tornano a votare insieme e sono maggioranza in Parlamento. Né ci si può affidare a una logica di maggioranze variabili e imprevedibili. A Monti abbiamo chiesto un suo impegno diretto per trovare una soluzione su quei “nodi” su cui è prevedibile uno scontro tra le forze politiche. Ferma restando la nostra lealtà».
Anche se il governo modifica l´articolo 18 sarete leali a tutti i costi?
«Non penso che il problema si porrà. Il ministro Fornero ha detto ci sarà un percorso di concertazione con le parti sociali, sindacato in primo luogo. Non mi riferisco solo al confronto, che è dovuto, ma al testo che giungerà in Parlamento e che dovrà avere il consenso delle parti sociali, indispensabile in un momento così carico di tensioni nel paese. Attenzione, però: nessuno faccia forzature su questo, né alle Camere né tantomeno nel paese».
È diventato Berlusconi ora il più convinto supporter di Monti, almeno a sentire le ultime dichiarazioni?
«Dopo vent´anni non riesco proprio a credere alle dichiarazioni di giornata di Berlusconi, e comunque se fosse vero che lo sostiene in modo convinto, ben venga».
L´ex premier pensa a una riforma elettorale con il Pd. E voi come rispondete a questa offerta di dialogo?
«Rispondiamo che non siamo disposti a escludere il Terzo Polo da un accordo. Facciamo un passo indietro. Il tema legge elettorale/riforme costituzionali è un compito affidato al Parlamento: al governo spetta affrontare l´emergenza economica, alle forze politiche costituire un sistema di regole che metta nelle condizioni chi vincerà le elezioni di riuscire a governare. Manca più di un anno alla fine della legislatura ed è un tempo più che sufficiente perché il Parlamento cambi i propri regolamenti, superi il bicameralismo perfetto e le sue lentezze, faccia una nuova legge elettorale. Non si può usare l´alibi del poco tempo. Noi vogliamo fare anche alcune riforme istituzionali e la legge elettorale. Ma non potremmo mai rinunciare alla modifica del Porcellum, dell´attuale legge porcata».
Quindi, pensate a un confronto con il Pdl?
«Serve una intesa molto larga. Alla trattativa devono partecipare tutte le forze parlamentari, comprese Idv e Lega. Tanto che Anna Finocchiaro e io abbiamo proposto le conferenze congiunte dei capigruppo di Camera e Senato e stiamo aspettando la risposta dei presidenti Fini e Schifani. La sede è istituzionale e nessuno può parlare di inciuci. Questo è l´obiettivo massimo, ovvero una intesa generale. Ce n´è però uno imprescindibile: l´accordo tra le forze che sostengono Monti. Perciò se l´idea è di un´intesa tra Pd e Pdl a scapito del Terzo Polo, la risposta è “no”. Sia perché la legge elettorale non si può fare imponendo la logica dei numeri in Parlamento, sia perché si metterebbe a rischio il governo stesso».
Quali caratteristiche sono irrinunciabili per il Pd in una nuova legge elettorale?
«Primo, restituire agli elettori la scelta degli eletti, per noi con i collegi uninominali; liberare dal vincolo delle alleanze forzose, inevitabilmente eterogenee e incapaci poi di governare; ridurre la frammentazione partitica. Incontri a livello tecnico ce ne sono già stati, e mi pare del tutto naturale. Ce ne saranno altri».
Il discredito nei confronti della politica è altissimo, e il “caso Lusi” , il tesoriere della Margherita – che è il partito in cui lei militava – contribuisce ad aumentarlo.
«Anche dalle vicende più brutte come questa possono scattare dei meccanismi virtuosi. Oggi tutti capiscono che, se si vuole difendere il finanziamento pubblico ai partiti, vanno introdotte regole di controllo e certificazione scrupolose, che garantiscano la totale trasparenza».

La Repubblica 06.02.12

"Il paese sconfitto", di Giovanni Valentini

Non c´era bisogno di un´altra triste metafora, dopo i rifiuti di Napoli, i crolli di Pompei e il naufragio del Giglio, per rappresentare la crisi del nostro Paese sul piano mediatico planetario. Ma la disfatta di Roma, sotto una nevicata di poche ore e di pochi centimetri, è piuttosto un esplicito atto d´accusa contro un apparato pubblico palesemente inadeguato.
“Capitale inetta, Nazione sconfitta”, si potrebbe dire parafrasando uno storico slogan del settimanale L´Espresso.
Quando il maltempo si combina con il malgoverno, non c´è scampo per i cittadini. Allora la forza della natura s´incarica di mettere a nudo tutta la debolezza dell´uomo: per dire l´incapacità di prevenire e affrontare un´emergenza ambientale già ampiamente annunciata. Per l´occasione, il sindaco Alemanno avrebbe potuto almeno risparmiarsi (e risparmiarci) il consueto scaricabarile con la Protezione civile sulla puntualità delle previsioni meteorologiche: bastava ascoltare nei giorni scorsi un qualsiasi giornale radio o telegiornale, per informarsi e provvedere di conseguenza.
La “Città eterna”, dunque, degna Capitale del Malpaese. Centro nevralgico di un intero sistema – ferroviario, aereo, stradale e autostradale – obsoleto e inefficiente. Ma anche simbolo di un cattivo governo del territorio, del suo assetto idro-geologico, del suo contesto ambientale. Non a caso, fin dai tempi del boom economico, Antonio Cederna denunciava il “sacco di Roma” come paradigma di un malcostume nazionale, alimentato dalla speculazione edilizia e dalla cementificazione selvaggia.
Di questa cultura o incultura collettiva, fa parte integrante la mancanza o insufficienza cronica dell´ordinaria manutenzione. Cioè di quei “piccoli lavori” quotidiani che, a differenza delle mitiche “grandi opere”, si possono (e si devono) realizzare con minori costi e rischi. È proprio questa, in realtà, la forma di prevenzione più efficace per arginare e contenere l´impatto delle fenomeni o delle calamità naturali.
Basta allora una nevicata, neppure tanto catastrofica, per mettere in ginocchio una Capitale e mandare in tilt mezzo Paese. A parte, poi, le vittime e i danni che un evento del genere riesce in queste condizioni a provocare. Danni materiali, economici e comunque anche d´immagine, se è vero che quella del turismo resta tuttora la prima industria nazionale.
Il fatto è che il nostro appare oggi un Paese a rischio permanente. E a dispetto del suo incomparabile patrimonio storico, artistico e culturale, come della sua antica tradizione di accoglienza e civiltà, non offre un´ospitalità adeguata ai visitatori e ai turisti italiani o stranieri. C´è uno spreco intollerabile di risorse che pure appartengono al patrimonio pubblico e non influiscono quanto potrebbero sul Prodotto interno lordo, né in termini finanziari né tantomeno di occupazione.
Qualsiasi politica di rilancio e di crescita, invece, non può che fondarsi sulla sicurezza ambientale e civile. E questo vale in particolare per il Mezzogiorno, afflitto dal degrado e dall´abusivismo edilizio oltre che dalla criminalità organizzata. Senza sicurezza non c´è turismo e senza turismo per noi non c´è sviluppo.
È tanto paradossale quanto inaccettabile, perciò, che una nevicata spacchi il Paese in due, paralizzando la Capitale, i collegamenti stradali e ferroviari. Che centinaia di passeggeri rimangano bloccati per un giorno intero in stazioni gelate, che intere zone rimangano isolate, che quasi duecentomila famiglie rimangano senza elettricità. Mentre cerchiamo faticosamente di risalire la china della credibilità internazionale e di ridurre finalmente lo spread, per pagare meno interessi sul finanziamento del debito pubblico, nello stesso momento mostriamo al mondo intero il nostro volto peggiore: quello di un popolo arruffone, disorganizzato, inefficiente. Un´Italia occupata in gran parte da catene montuose, le Alpi in tutto l´arco settentrionale e gli Appennini come spina dorsale da nord a sud, ma senza spazzaneve e camion spargi-sale a sufficienza.
A Roma e dintorni, nei prossimi giorni il ghiaccio si scioglierà. La circolazione stradale tornerà più o meno regolare. I treni e gli aerei riprenderanno a viaggiare più male che bene. Ma, prima che arrivi un´altra nevicata, un´altra alluvione o un´altra frana, dovremmo imparare una buona volta la lezione che di tanto in tanto la natura severamente impartisce.

La Repubblica 05.02.12

“Il paese sconfitto”, di Giovanni Valentini

Non c´era bisogno di un´altra triste metafora, dopo i rifiuti di Napoli, i crolli di Pompei e il naufragio del Giglio, per rappresentare la crisi del nostro Paese sul piano mediatico planetario. Ma la disfatta di Roma, sotto una nevicata di poche ore e di pochi centimetri, è piuttosto un esplicito atto d´accusa contro un apparato pubblico palesemente inadeguato.
“Capitale inetta, Nazione sconfitta”, si potrebbe dire parafrasando uno storico slogan del settimanale L´Espresso.
Quando il maltempo si combina con il malgoverno, non c´è scampo per i cittadini. Allora la forza della natura s´incarica di mettere a nudo tutta la debolezza dell´uomo: per dire l´incapacità di prevenire e affrontare un´emergenza ambientale già ampiamente annunciata. Per l´occasione, il sindaco Alemanno avrebbe potuto almeno risparmiarsi (e risparmiarci) il consueto scaricabarile con la Protezione civile sulla puntualità delle previsioni meteorologiche: bastava ascoltare nei giorni scorsi un qualsiasi giornale radio o telegiornale, per informarsi e provvedere di conseguenza.
La “Città eterna”, dunque, degna Capitale del Malpaese. Centro nevralgico di un intero sistema – ferroviario, aereo, stradale e autostradale – obsoleto e inefficiente. Ma anche simbolo di un cattivo governo del territorio, del suo assetto idro-geologico, del suo contesto ambientale. Non a caso, fin dai tempi del boom economico, Antonio Cederna denunciava il “sacco di Roma” come paradigma di un malcostume nazionale, alimentato dalla speculazione edilizia e dalla cementificazione selvaggia.
Di questa cultura o incultura collettiva, fa parte integrante la mancanza o insufficienza cronica dell´ordinaria manutenzione. Cioè di quei “piccoli lavori” quotidiani che, a differenza delle mitiche “grandi opere”, si possono (e si devono) realizzare con minori costi e rischi. È proprio questa, in realtà, la forma di prevenzione più efficace per arginare e contenere l´impatto delle fenomeni o delle calamità naturali.
Basta allora una nevicata, neppure tanto catastrofica, per mettere in ginocchio una Capitale e mandare in tilt mezzo Paese. A parte, poi, le vittime e i danni che un evento del genere riesce in queste condizioni a provocare. Danni materiali, economici e comunque anche d´immagine, se è vero che quella del turismo resta tuttora la prima industria nazionale.
Il fatto è che il nostro appare oggi un Paese a rischio permanente. E a dispetto del suo incomparabile patrimonio storico, artistico e culturale, come della sua antica tradizione di accoglienza e civiltà, non offre un´ospitalità adeguata ai visitatori e ai turisti italiani o stranieri. C´è uno spreco intollerabile di risorse che pure appartengono al patrimonio pubblico e non influiscono quanto potrebbero sul Prodotto interno lordo, né in termini finanziari né tantomeno di occupazione.
Qualsiasi politica di rilancio e di crescita, invece, non può che fondarsi sulla sicurezza ambientale e civile. E questo vale in particolare per il Mezzogiorno, afflitto dal degrado e dall´abusivismo edilizio oltre che dalla criminalità organizzata. Senza sicurezza non c´è turismo e senza turismo per noi non c´è sviluppo.
È tanto paradossale quanto inaccettabile, perciò, che una nevicata spacchi il Paese in due, paralizzando la Capitale, i collegamenti stradali e ferroviari. Che centinaia di passeggeri rimangano bloccati per un giorno intero in stazioni gelate, che intere zone rimangano isolate, che quasi duecentomila famiglie rimangano senza elettricità. Mentre cerchiamo faticosamente di risalire la china della credibilità internazionale e di ridurre finalmente lo spread, per pagare meno interessi sul finanziamento del debito pubblico, nello stesso momento mostriamo al mondo intero il nostro volto peggiore: quello di un popolo arruffone, disorganizzato, inefficiente. Un´Italia occupata in gran parte da catene montuose, le Alpi in tutto l´arco settentrionale e gli Appennini come spina dorsale da nord a sud, ma senza spazzaneve e camion spargi-sale a sufficienza.
A Roma e dintorni, nei prossimi giorni il ghiaccio si scioglierà. La circolazione stradale tornerà più o meno regolare. I treni e gli aerei riprenderanno a viaggiare più male che bene. Ma, prima che arrivi un´altra nevicata, un´altra alluvione o un´altra frana, dovremmo imparare una buona volta la lezione che di tanto in tanto la natura severamente impartisce.

La Repubblica 05.02.12

"Fiducia nei partiti, dopo il caso Lusi crolla all'8% E il 56% degli elettori vuole cambiamenti radicali", di Renato Mannheimer

L’appropriazione truffaldina dei fondi della Margherita da parte del tesoriere del partito ha ulteriormente fatto crollare la stima degli italiani nelle forze politiche. Non ci si limita infatti a ritenere riprovevole il comportamento del senatore Lusi, ma si allarga la critica all’intero sistema dei partiti. Ad esempio, molti intervistati giungono a domandarsi perché questi ultimi — persino quelli scomparsi dallo scenario politico — possano disporre di così ingenti somme di denaro, tali da essere stornate o, come è successo per la Lega, investite pericolosamente in paradisi fiscali. Trattandosi di soldi pubblici lo stupore e l’indignazione sono comprensibili, specie in un periodo in cui tutti sono chiamati a fare sacrifici.
Anche — ma non solo — a causa di questo episodio, la percentuale di chi esprime fiducia nei confronti dei partiti, già molto bassa nei mesi scorsi, è ulteriormente diminuita sino a scendere oggi sotto l’8%. Era il 12% nell’ottobre scorso e il 17% a luglio del 2011. Dunque, in questo momento più del 90% della popolazione manifesta uno scarso credito verso le forze politiche. Le espressioni maggiori di disistima provengono dai più giovani, da chi è in cerca di prima occupazione, da chi vota per l’Idv di Di Pietro e, in misura ancora maggiore, dai molti che si dichiarano orientati verso l’astensione dal voto. Il risultato è che i partiti costituiscono oggi in Italia l’istituzione meno stimata in assoluto. Ma anche il Parlamento, che pure ottiene un livello di apprezzamento maggiore, ha subito un drastico calo di consensi negli ultimi mesi: era stimato dal 35% dei cittadini a luglio, dal 22% a ottobre e oggi si colloca sotto il 18%. Viceversa si assegna la massima fiducia al presidente della Repubblica (78%) e al presidente del Consiglio (58%) che vede, anzi, una crescita proprio nelle ultime settimane.
Tutto ciò vuol dire che gli italiani desiderano una società priva di partiti? Non è così. La popolazione appare convinta della necessità dell’esistenza delle forze politiche, considerate un fattore necessario per il funzionamento della democrazia. Ma auspica fortemente un mutamento di quelle attuali: solo poco più dell’1% dell’elettorato (con una accentuazione tra i più anziani e coloro che posseggono un basso titolo di studio) afferma che i partiti politici «vanno bene così». Ciò non significa però necessariamente che quelli odierni debbano scomparire per far posto a forze politiche nuove: esprime questo desiderio solamente una minoranza — anche se molto consistente, più di un italiano su cinque — della popolazione, con una particolare enfasi da parte dei più giovani, di chi si astiene e, in generale, di chi si rifiuta (e sono numerosi) di collocarsi in una qualche posizione sul continuum sinistra-destra.
Ancora meno diffusa (18%) è la richiesta di un mero ricambio dei vertici attuali dei partiti (auspicata comunque in misura relativamente maggiore dai laureati e dagli elettori del Pd). Non basta sostituire le persone: la netta maggioranza (56%) dell’elettorato domanda un più consistente e generale mutamento nel modo stesso di far politica da parte dei leader e delle loro organizzazioni: è una richiesta proveniente in misura ancora maggiore da chi risiede nei grossi centri urbani e dagli elettori del Terzo polo di centro.
Secondo molti osservatori, al termine del governo presieduto da Mario Monti, quando si faranno nuove elezioni, non ci troveremo di fronte ai partiti attuali, ma all’esito di un processo — di cui già si percepiscono le avvisaglie — di rimescolamento di quelli oggi esistenti. È ciò che in parte auspica anche l’elettorato. Tuttavia, come si è visto, quest’ultimo non si limita a desiderare solo una riallocazione o un mutamento di facciata delle forze politiche che oggi conosciamo. Si richiede invece una vera e profonda revisione nei comportamenti e negli atteggiamenti verso lo Stato e i cittadini. Pena l’ulteriore crescita della disaffezione dalla politica e della astensione potenziale che, come si sa, oggi coinvolge addirittura quasi metà degli elettori.

Il Corriere della Sera 05.02.12

“Fiducia nei partiti, dopo il caso Lusi crolla all’8% E il 56% degli elettori vuole cambiamenti radicali”, di Renato Mannheimer

L’appropriazione truffaldina dei fondi della Margherita da parte del tesoriere del partito ha ulteriormente fatto crollare la stima degli italiani nelle forze politiche. Non ci si limita infatti a ritenere riprovevole il comportamento del senatore Lusi, ma si allarga la critica all’intero sistema dei partiti. Ad esempio, molti intervistati giungono a domandarsi perché questi ultimi — persino quelli scomparsi dallo scenario politico — possano disporre di così ingenti somme di denaro, tali da essere stornate o, come è successo per la Lega, investite pericolosamente in paradisi fiscali. Trattandosi di soldi pubblici lo stupore e l’indignazione sono comprensibili, specie in un periodo in cui tutti sono chiamati a fare sacrifici.
Anche — ma non solo — a causa di questo episodio, la percentuale di chi esprime fiducia nei confronti dei partiti, già molto bassa nei mesi scorsi, è ulteriormente diminuita sino a scendere oggi sotto l’8%. Era il 12% nell’ottobre scorso e il 17% a luglio del 2011. Dunque, in questo momento più del 90% della popolazione manifesta uno scarso credito verso le forze politiche. Le espressioni maggiori di disistima provengono dai più giovani, da chi è in cerca di prima occupazione, da chi vota per l’Idv di Di Pietro e, in misura ancora maggiore, dai molti che si dichiarano orientati verso l’astensione dal voto. Il risultato è che i partiti costituiscono oggi in Italia l’istituzione meno stimata in assoluto. Ma anche il Parlamento, che pure ottiene un livello di apprezzamento maggiore, ha subito un drastico calo di consensi negli ultimi mesi: era stimato dal 35% dei cittadini a luglio, dal 22% a ottobre e oggi si colloca sotto il 18%. Viceversa si assegna la massima fiducia al presidente della Repubblica (78%) e al presidente del Consiglio (58%) che vede, anzi, una crescita proprio nelle ultime settimane.
Tutto ciò vuol dire che gli italiani desiderano una società priva di partiti? Non è così. La popolazione appare convinta della necessità dell’esistenza delle forze politiche, considerate un fattore necessario per il funzionamento della democrazia. Ma auspica fortemente un mutamento di quelle attuali: solo poco più dell’1% dell’elettorato (con una accentuazione tra i più anziani e coloro che posseggono un basso titolo di studio) afferma che i partiti politici «vanno bene così». Ciò non significa però necessariamente che quelli odierni debbano scomparire per far posto a forze politiche nuove: esprime questo desiderio solamente una minoranza — anche se molto consistente, più di un italiano su cinque — della popolazione, con una particolare enfasi da parte dei più giovani, di chi si astiene e, in generale, di chi si rifiuta (e sono numerosi) di collocarsi in una qualche posizione sul continuum sinistra-destra.
Ancora meno diffusa (18%) è la richiesta di un mero ricambio dei vertici attuali dei partiti (auspicata comunque in misura relativamente maggiore dai laureati e dagli elettori del Pd). Non basta sostituire le persone: la netta maggioranza (56%) dell’elettorato domanda un più consistente e generale mutamento nel modo stesso di far politica da parte dei leader e delle loro organizzazioni: è una richiesta proveniente in misura ancora maggiore da chi risiede nei grossi centri urbani e dagli elettori del Terzo polo di centro.
Secondo molti osservatori, al termine del governo presieduto da Mario Monti, quando si faranno nuove elezioni, non ci troveremo di fronte ai partiti attuali, ma all’esito di un processo — di cui già si percepiscono le avvisaglie — di rimescolamento di quelli oggi esistenti. È ciò che in parte auspica anche l’elettorato. Tuttavia, come si è visto, quest’ultimo non si limita a desiderare solo una riallocazione o un mutamento di facciata delle forze politiche che oggi conosciamo. Si richiede invece una vera e profonda revisione nei comportamenti e negli atteggiamenti verso lo Stato e i cittadini. Pena l’ulteriore crescita della disaffezione dalla politica e della astensione potenziale che, come si sa, oggi coinvolge addirittura quasi metà degli elettori.

Il Corriere della Sera 05.02.12

"Rai, l´altolà del Pdl al Professore", di Silvio Buzzanca

Mario Monti e il suo governo non si possono, e non devono, occuparsi della Rai. Tutte le idee e i progetti su Viale Mazzini sono «fantasia o velleità che verrebbero stroncate in un decimo di secondo». La minaccia arriva da Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, dopo che il presidente del Consiglio aveva annunciato un intervento sulla tv pubblica. Non ci pensi nemmeno, attacca Gasparri. «Sulla Rai – dice – Monti sa bene quali siano i limitatissimi ruoli del governo, e il fondamentale ruolo del Parlamento». E per avvalorare il suo diktat ricorda che «le numerose sentenze della Corte costituzionale, ben note a tutti e da me ricordate a tutti i massimi livelli istituzionali, sono chiare. Atti illegali sono inimmaginabili. Ci sono tempi e norme chiare in vigore».
Un ammonimento che sembra rivolto anche al presidente della Repubblica. Uno stop ad ogni intervento che sembra essere un atto collettivo del Pdl. «Un ragionamento sulla governance Rai può essere fatto solo nei termini e nelle sedi opportune, senza furie riformatrici che nulla hanno a che fare con la corretta vigilanza che il Parlamento deve svolgere sull´equilibrio e l´indipendenza del servizio pubblico», aggiunge infatti Paolo Romani. Anche secondo l´ex ministro, il governo «non deve invadere campi di pertinenza del Parlamento, garanzia della sovranità popolare, come il servizio pubblico».
La reazione del Pdl non piace al Pd. «Gasparri fa fatica ad abituarsi all´idea dell´indipendenza della Rai», dice Matteo Orfini. Secondo il responsabile cultura del Pd, «evidentemente per lui e per i suoi compagni di partito è accettabile solo un´azienda occupata militarmente dalla destra». Invece, spiega Orfini, «il governo è azionista della Rai e ha il diritto e il dovere di liberarla dai partiti e di garantirne il funzionamento». Allora, conclude il dirigente democratico «Gasparri ci risparmi dichiarazioni ipocrite e ridicole minacce al governo. Dopo anni passati a lottizzare e a condizionare le scelte dell´azienda per interessi di partito non ha i titoli per difendere l´autonomia del servizio pubblico».
Secca anche la replica dell´Udc. «Criticare il governo perché ha il coraggio che è mancato ad altri o strumentalizzare le parole del presidente Monti è un tentativo fin troppo chiaro di ostacolare le riforme. – dice Roberto Rao, capogruppo in Vigilanza – Le prerogative del Parlamento non sono state violate fin ora e non lo saranno in futuro». Anche dall´Idv arriva un invito a Monti ad andare avanti, ma senza colpi di mano. Intanto i leghisti riscoprono la vecchia campagna contro il canone. Questa volta usano Telepadania dove va in onda uno spot che mostra spezzoni di alcune trasmissioni Rai, per esempio quella di Saviano e Fazio e, alla fine, recita: «Il canone tv non è proprio un contributo come tutti gli altri: se questo è un disservizio pubblico, pagarlo non può essere un obbligo».

La Repubblica 05.02.12

******

Rai, il governo preme e il Pdl frena
Per Monti la riforma è una «priorità». Gasparri: l’esecutivo ha poteri limitatissimi

La Rai «non è stata una priorità fino ad ora, ma adesso lo diventerà. Sicuramente è un problema che non eluderemo». Lo ha detto ieri il presidente del Consiglio Mario Monti in un’intervista a la Repubblica aggiungendo: «Dobbiamo tenere presente le competenze di governo e Parlamento. Ma interverremo. Ho già visto il presidente della Rai Garimberti e lo rivedrò». L’annuncio è chiarissimo e segue di un mese quello fatto da Fabio Fazio («La Rai non è l’urgenza numero uno nella mia attività. È una forza del panorama civile e culturale italiano, è una forza che ha bisogno di passi in avanti. Mi dia qualche settimana e lei vedrà»).
In un mese le cose sono evidentemente cambiate, per Mario Monti. Prima (da Fazio) la Rai non rappresentava «un’urgenza», da ieri è «diventata una priorità». La scadenza del Consiglio di amministrazione è vicinissima (maggio) e un consigliere (Nino Rizzo Nervo) ha già lasciato Viale Mazzini, in aperta polemica sulle nomine presentate dal direttore generale Lorenza Lei e votate dalla sola maggioranza di centrodestra col voto contrario del presidente Paolo Garimberti. Dunque a palazzo Chigi si pensa a Viale Mazzini.
E la frase di ieri di Monti diventa una esplicita risposta proprio a Garimberti che, nei giorni scorsi, aveva chiesto un incontro per spiegare al capo del governo che, a suo avviso, la Rai con questo sistema di nomina dei vertici «è ingovernabile».
Immediate le reazioni alle parole di Monti del centrodestra, e sono anche durissime. Maurizio Gasparri, Pdl: «Sulla Rai Monti sa bene quali siano i limitatissimi ruoli del governo, e il fondamentale ruolo del Parlamento. Le numerose sentenze della Corte costituzionale, ben note a tutti e da me ricordate a tutti i massimi livelli istituzionali, sono chiare. Atti illegali sono inimmaginabili. Ci sono tempi e norme chiare in vigore. Il resto è fantasia o velleità che verrebbero stroncate in un decimo di secondo». Tra gli «atti illegali» potrebbe esserci, fa capire Gasparri, il commissariamento. Dello stesso avviso Paolo Romani, ministro dello Sviluppo nell’ultimo governo Berlusconi: «Un ragionamento sulla governance Rai può essere fatto solo nei termini e nelle sedi opportune, senza furie riformatrici che nulla hanno a che fare con la corretta vigilanza che il Parlamento deve svolgere sull’equilibrio e l’indipendenza del Servizio pubblico»
Di parere diametralmente opposto il Pd. Parla Matteo Orfini: «Per Gasparri e per i suoi compagni di partito è accettabile solo un’azienda occupata militarmente dalla destra. Il governo è azionista della Rai e ha il diritto e il dovere di liberarla dai partiti e di garantirne il funzionamento». Anche l’Idv chiede una rapida riforma della governance della Rai, come spiega Felice Belisario: «Il sacco della Rai va fermato al più presto, bisogna sfrattare da Viale Mazzini i partiti. Per questo invitiamo il governo, senza inaccettabili colpi di mano, a discutere le nostre proposte per affrontare subito in Parlamento la drammatica situazione della Rai».
Roberto Rao, Udc, è sicuro che Monti non intenda travalicare alcun limite e polemizza col Pdl: «Criticare il governo perché ha il coraggio che è mancato ad altri o strumentalizzare le parole del presidente Monti è un tentativo fin troppo chiaro di ostacolare le riforme: le prerogative del Parlamento non sono state violate finora e non lo saranno in futuro».

Il Corriere della Sera 05.02.12

“Rai, l´altolà del Pdl al Professore”, di Silvio Buzzanca

Mario Monti e il suo governo non si possono, e non devono, occuparsi della Rai. Tutte le idee e i progetti su Viale Mazzini sono «fantasia o velleità che verrebbero stroncate in un decimo di secondo». La minaccia arriva da Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, dopo che il presidente del Consiglio aveva annunciato un intervento sulla tv pubblica. Non ci pensi nemmeno, attacca Gasparri. «Sulla Rai – dice – Monti sa bene quali siano i limitatissimi ruoli del governo, e il fondamentale ruolo del Parlamento». E per avvalorare il suo diktat ricorda che «le numerose sentenze della Corte costituzionale, ben note a tutti e da me ricordate a tutti i massimi livelli istituzionali, sono chiare. Atti illegali sono inimmaginabili. Ci sono tempi e norme chiare in vigore».
Un ammonimento che sembra rivolto anche al presidente della Repubblica. Uno stop ad ogni intervento che sembra essere un atto collettivo del Pdl. «Un ragionamento sulla governance Rai può essere fatto solo nei termini e nelle sedi opportune, senza furie riformatrici che nulla hanno a che fare con la corretta vigilanza che il Parlamento deve svolgere sull´equilibrio e l´indipendenza del servizio pubblico», aggiunge infatti Paolo Romani. Anche secondo l´ex ministro, il governo «non deve invadere campi di pertinenza del Parlamento, garanzia della sovranità popolare, come il servizio pubblico».
La reazione del Pdl non piace al Pd. «Gasparri fa fatica ad abituarsi all´idea dell´indipendenza della Rai», dice Matteo Orfini. Secondo il responsabile cultura del Pd, «evidentemente per lui e per i suoi compagni di partito è accettabile solo un´azienda occupata militarmente dalla destra». Invece, spiega Orfini, «il governo è azionista della Rai e ha il diritto e il dovere di liberarla dai partiti e di garantirne il funzionamento». Allora, conclude il dirigente democratico «Gasparri ci risparmi dichiarazioni ipocrite e ridicole minacce al governo. Dopo anni passati a lottizzare e a condizionare le scelte dell´azienda per interessi di partito non ha i titoli per difendere l´autonomia del servizio pubblico».
Secca anche la replica dell´Udc. «Criticare il governo perché ha il coraggio che è mancato ad altri o strumentalizzare le parole del presidente Monti è un tentativo fin troppo chiaro di ostacolare le riforme. – dice Roberto Rao, capogruppo in Vigilanza – Le prerogative del Parlamento non sono state violate fin ora e non lo saranno in futuro». Anche dall´Idv arriva un invito a Monti ad andare avanti, ma senza colpi di mano. Intanto i leghisti riscoprono la vecchia campagna contro il canone. Questa volta usano Telepadania dove va in onda uno spot che mostra spezzoni di alcune trasmissioni Rai, per esempio quella di Saviano e Fazio e, alla fine, recita: «Il canone tv non è proprio un contributo come tutti gli altri: se questo è un disservizio pubblico, pagarlo non può essere un obbligo».

La Repubblica 05.02.12

******

Rai, il governo preme e il Pdl frena
Per Monti la riforma è una «priorità». Gasparri: l’esecutivo ha poteri limitatissimi

La Rai «non è stata una priorità fino ad ora, ma adesso lo diventerà. Sicuramente è un problema che non eluderemo». Lo ha detto ieri il presidente del Consiglio Mario Monti in un’intervista a la Repubblica aggiungendo: «Dobbiamo tenere presente le competenze di governo e Parlamento. Ma interverremo. Ho già visto il presidente della Rai Garimberti e lo rivedrò». L’annuncio è chiarissimo e segue di un mese quello fatto da Fabio Fazio («La Rai non è l’urgenza numero uno nella mia attività. È una forza del panorama civile e culturale italiano, è una forza che ha bisogno di passi in avanti. Mi dia qualche settimana e lei vedrà»).
In un mese le cose sono evidentemente cambiate, per Mario Monti. Prima (da Fazio) la Rai non rappresentava «un’urgenza», da ieri è «diventata una priorità». La scadenza del Consiglio di amministrazione è vicinissima (maggio) e un consigliere (Nino Rizzo Nervo) ha già lasciato Viale Mazzini, in aperta polemica sulle nomine presentate dal direttore generale Lorenza Lei e votate dalla sola maggioranza di centrodestra col voto contrario del presidente Paolo Garimberti. Dunque a palazzo Chigi si pensa a Viale Mazzini.
E la frase di ieri di Monti diventa una esplicita risposta proprio a Garimberti che, nei giorni scorsi, aveva chiesto un incontro per spiegare al capo del governo che, a suo avviso, la Rai con questo sistema di nomina dei vertici «è ingovernabile».
Immediate le reazioni alle parole di Monti del centrodestra, e sono anche durissime. Maurizio Gasparri, Pdl: «Sulla Rai Monti sa bene quali siano i limitatissimi ruoli del governo, e il fondamentale ruolo del Parlamento. Le numerose sentenze della Corte costituzionale, ben note a tutti e da me ricordate a tutti i massimi livelli istituzionali, sono chiare. Atti illegali sono inimmaginabili. Ci sono tempi e norme chiare in vigore. Il resto è fantasia o velleità che verrebbero stroncate in un decimo di secondo». Tra gli «atti illegali» potrebbe esserci, fa capire Gasparri, il commissariamento. Dello stesso avviso Paolo Romani, ministro dello Sviluppo nell’ultimo governo Berlusconi: «Un ragionamento sulla governance Rai può essere fatto solo nei termini e nelle sedi opportune, senza furie riformatrici che nulla hanno a che fare con la corretta vigilanza che il Parlamento deve svolgere sull’equilibrio e l’indipendenza del Servizio pubblico»
Di parere diametralmente opposto il Pd. Parla Matteo Orfini: «Per Gasparri e per i suoi compagni di partito è accettabile solo un’azienda occupata militarmente dalla destra. Il governo è azionista della Rai e ha il diritto e il dovere di liberarla dai partiti e di garantirne il funzionamento». Anche l’Idv chiede una rapida riforma della governance della Rai, come spiega Felice Belisario: «Il sacco della Rai va fermato al più presto, bisogna sfrattare da Viale Mazzini i partiti. Per questo invitiamo il governo, senza inaccettabili colpi di mano, a discutere le nostre proposte per affrontare subito in Parlamento la drammatica situazione della Rai».
Roberto Rao, Udc, è sicuro che Monti non intenda travalicare alcun limite e polemizza col Pdl: «Criticare il governo perché ha il coraggio che è mancato ad altri o strumentalizzare le parole del presidente Monti è un tentativo fin troppo chiaro di ostacolare le riforme: le prerogative del Parlamento non sono state violate finora e non lo saranno in futuro».

Il Corriere della Sera 05.02.12