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“Bersani a Napolitano: siamo preoccupati, il Pdl non è leale”, di Emilia Patta

«Il Pdl sta venendo meno al suo dovere di responsabilità». La preoccupazione del leader del Pd Pier Luigi Bersani dopo il voto di giovedì alla Camera, con Pdl e Lega che a scrutinio segreto hanno fatto passare la responsabilità civile diretta per i magistrati che sbagliano, è palpabile. Ne ha parlato giovedì sera durante il “vertice” di maggioranza alla presenza del premier Mario Monti e del segretario azzurro Angelino Alfano. E ieri lo ha ripetuto al Quirinale a Giorgio Napolitano. «Non può esserci un partito che, pur non condividendo al 100 per 100 l’azione di governo, responsabilmente mantiene gli impegni mentre altri votano a seconda delle convenienze giocando a mani libere».
L’incontro con il capo dello Stato, che aveva già incontrato nei giorni scorsi Silvio Berlusconi e Gianni Letta per una colazione “privata”, è stato sollecitato proprio da Bersani. Il segretario democratico ha elencato una serie di episodi che al Pd non sono affatto andati giù e che alimentano la preoccupazione che il Pdl non stia giocando lealmente. La Rai e il voto a maggioranza nel cda. La giustizia e il blitz sulla responsabilità civile dei giudici. E poi le liberalizzazioni che il Pdl sta tentando di annacquare al Senato. Bersani non ci sta, e ieri lo ha detto anche a Napolitano esprimendo «forte preoccupazione per alcuni comportamenti non adeguati alla situazione da parte di forze politiche che a parole dicono di sostenere il governo Monti ma poi nei fatti fanno resuscitare la vecchia maggioranza». Per quanto riguarda la giustizia, il Pd non può accettare che la vicenda si concluda così, e per di più con le toghe sul piede di guerra e pronte allo sciopero. Bersani avrebbe anche anticipato al capo dello Stato l’intenzione di prendere qualche iniziativa, al Senato, per correggere la contestata norma sui giudici introdotta alla Camera.
Quanto al delicato tema del lavoro, sul quale anche ieri il premier è tornato invitando a superare le rigidità dell’articolo 18, Bersani tiene per ora il low profile. È il momento del silenzio – dicono a largo del Nazareno – lasciamo lavorare il tavolo Governo-parti sociali. Ma è chiaro che dietro tutta la preoccupazione e l’irritazione di Bersani sull’atteggiamento del Pdl in materia di tv e giustizia c’è proprio “lui”, l’articolo 18 e la riforma della normativa sui licenziamenti alla quale il Governo sta lavorando. Come a dire: se ogni partito vota solo ciò che gli piace, allora noi quelle norme non le dovremmo votare, con tutte le conseguenze sulla tenuta del Governo. La nuova uscita di Monti sull’articolo 18 («frena gli investitori», si veda pagina 3) ha riagitato le acque democratiche, confermando che per il Pd quello sarà il vero scoglio.
Parte in quarta il responsabile economico Stefano Fassina: «Le affermazioni di Monti sul fatto che l’articolo 18 inibisce gli investimenti esteri e nazionali sono sorprendenti perché assolutamente infondate. Nella nostra proposta non c’è perché per noi non è un problema. Toglierlo indebolirebbe il potere negoziale dei lavoratori e svaluterebbe il lavoro, è una strada perdente per i lavoratori e per il Paese». Lo segue l’ex ministro Cesare Damiano: «Sbagliato incaponirsi sull’articolo 18: le aziende non assumono perché siamo in recessione, non perché esiste l’articolo 18. Semmai il punto è aggiungere strumenti di protezione». E lo ribadisce anche un ex sindacalista come Sergio D’Antoni, cattolico e già leader della Cisl, a conferma che l’articolo 18 non è una fissazione dell’ala “sinistra” ma mette in difficoltà tutto il partito: «Parlo per me, ma credo di interpretare la sensibilità di tanti: io penso che il Pd debba spingere sulla trattativa, fare in modo che l’accordo si faccia e dire che se non c’è l’accordo con le parti sociali noi non voteremo misure che escano dall’accordo».
Da qui la cautela mostrata sull’argomento da Bersani: lasciamo lavorare Governo e parti sociali all’accordo. Sperando che ci siano le firme di tutti. Altrimenti si vedrà…

Il Sole 24 Ore 04.02.12

«Sui giudici pronta la correzione al Senato Ma il problema esiste», intervista a Paola Severino di Claudia Fusani

Dopo sei ore di Consiglio dei ministri mentre fuori nevica, il ministro Guardasigilli Paola Severino riconquista la sua scrivania nel salone Bargellini al ministero. Il Governo battuto alla Camera sull’emendamento sulla responsabilità civile dei magistrati. E’ stato un messaggio al governo o alla magistratura? Lei, poi, non era in Aula, al banco del Governo, proprio mentre si discuteva di una norma così delicata.
«Purtroppo non ho ancora ricevuto in dono l’ubiquità. Sto seguendo due decreti legge in conversione, uno in materia civile sul sovra-indebitamento, l’altro sulle carceri. Entrambi sono in scadenza e da giorni faccio la spola tra Camera e Senato. Non ho letto, in quel voto, volontà specifiche di mandare messaggi ad alcuno. Posso assicurare, anche, che….il rischio diuneventuale voto favorevole all’emendamentononè stato affatto sottovalutato nonostante si sia manifestato concretamente nella giornata di mercoledì, poco prima del voto alla Camera. Coni miei uffici ci siamo messi immediatamente in contatto con quelli del ministro Moavero per tentare una soluzione alternativa. Giovedì mattina ero in aula al Senato per il voto in materia civile. Mi sono sentita più volte al telefono con Moavero. Il Governo, nel dare parere negativo all’emendamento, anche per parziale estraneità della materia, aveva proposto di impegnarsi ad affrontare il temadella responsabilità dei magistrati nel quadro di una disciplina organica e di sistema e non attraverso norme spot».
Ma non è bastato. E il Governo è stato battuto. Come rimedierete? Del resto il problema esiste: nel 2010 lo Stato ha risarcito 46milioni per ingiusta detenzione.
«Nessuno infatti vuole eludere il problema. Per il resto prendo atto della volontà parlamentare che è sovrana. E confido che al Senato, in un clima più meditato e in un’assemblea con meno assenze di quelle di giovedì alla Camera, sia possibile proporre gli emendamenti utili per rendere la norma più equilibrata e più correttamente applicabile».
Corruzione,l’Italia è maglia nera in Europa. Questa piaga è all’ordine del
giorno del Governo?
«Certamente sì. È già all’esame della Camera un disegno di legge presentato dal precedente Governo, su cui stiamo lavorando sia per la parte relativa alla prevenzione, che per quella della repressione, due aspetti strettamente collegati. La prevenzione è essenziale per eliminare le zone grigie dove si annidano i comportamenti prodromici al fenomeno corruttivo. Procedimenti semplici e trasparenti e tempi certi di risposta della Pubblica Amministrazione sono i presupposti essenziali Soltanto responsabilizzando i pubblici funzionari e rendendo possibile un controllo da parte dei cittadini si riuscirà a circoscrivere gli spazi di eccessiva discrezionalità. Si tratta di adattare alla Pubblica Amministrazione i modelli organizzativi di prevenzione del “rischio reato” oggi previsti per le imprese».
E sulla repressione?
«È l’altro tassello essenziale di un approccio integrato di contrasto alla corruzione. Anche su questo è in corso un’ analisi degli strumenti più adeguati per reprimere in modo efficace i fenomeni. Si tratta di individuare soluzioni che tengano conto del sistema attuale di disciplina, eventualmente integrandolo anche alla luce delle indicazioniinternazionali. Ad esempio introducendo il reato di corruzione in ambito privato. Al contempo, occorre fornire una risposta sanzionatoria adeguata al livello dei beni giuridici tutelati e sufficientemente dissuasiva».
Troppo brevi i tempi della prescrizione dei reati contro la pubblica amministrazione. Se ne parla molto. Pensate di intervenire?
«Un approccio ragionato al tema della prescrizione deve, a mio avviso, non tenere conto solo degli effetti ma muovere dalle cause. Non credo che la soluzione possa essere solo quella di un aumento dei termini di prescrizione. Senza intrvenire sulla durata, spesso irragionevole, dei processi e senza, ove necessario, una revisione
equilibrata della risposta sanzionatoria, si rischierebbe di perdere di vista l’obiettivo di fondo che è quello di dare una risposta celere ed efficace alla domanda di giustizia. E’ questo l’indirizzo seguito dal governo».
Il Ministro Patroni Griffi ha individuato la figura dell’impiegato-controllore (che denuncia reati), il whistleblowing, tutelato e premiato. Che ne pensa?
«Sono figure mutuate da altri ordinamenti, condivisibili forse sul piano amministrativo,madi difficile trasposizione sul piano penale. Sotto questo secondo profilo bisogna, infatti, saper distinguere tra le ipotesi in cui tali figure diventano strumento di delazioneda quelle in cui possono costituire un elemento di prova utilizzabile per l’accusa».
Il disegno di leggea nti-corruzione in discussione alla Camera è il mezzo migliore per riscrivere le regoledella lotta ai reati alla Pubblica Amministrazione?
«Sia per il rispetto della volontà parlamentare, che per ragioni di tempo, è opportuno che eventuali emendamenti del Governo siano incardinati nell’ambito delle procedure parlamentari in corso».
Il vicepresidente di Confindustria Antonello Montante ha lanciato dalle pagine de L’Unità la proposta di un rating per le imprese che dimostrano di combattere la mafia. Cosa ne pensa?
«Bisogna valorizzare l’impegno di coloro che combattono questa difficile battaglia. Sono esperienze da non disperdere e che fanno sentire meno sole le imprese che coraggiosamente si oppongono alla violenza del fenomeno mafioso».
Risolvere ildramma delle carceri è stato il suo primo pensiero e il suo primo decreto. Confida inuna veloce approvazione da parte del Parlamento?
«La situazione delle carceri e dei detenuti imponeva l’immediata attenzione del Governo. Una pena che, nella sua ineliminabile componente afflittiva, non lasci, ove consentito, nessuno spazio alla rieducazione è unasconfitta per lo Stato e un tradimento della nostra Carta costituzionale. Per questo ho predisposto un disegno di legge, già approvato dal Consiglio dei Ministri, in materia di depenalizzazione, sospensione con messa alla prova e pene detentive non carcerarie unitamente ad un decreto per ridurre il sovraffollamento nelle carceri che, dalle notizie che mi giungono – a Catania,
ad esempio, in un mese non ci sono stati arresti da porte-girevoli -, sta dando risultati positivi. Anche per questo confido in una rapida approvazione e non solo non temo, ma ho sempreauspicato su un tema tanto delicato un aperto e costruttivo confronto».
Tribunali per le imprese, novità importante. L’Anm evidenzia criticità. Come intendete muovervi?
«L’idea è realizzare poli di specializzazione in materie di particolare complessità per favorire decisioni più rapide e di migliore qualità. L’obiettivo è costituireun ambiente favorevole e attrattivo per gli investitori, sia italiani che stranieri. Il cattivo funzionamento della giustizia è, infatti, ritenuto un fattore di grande criticità per il nostro paese. I Tribunali nasceranno dalle esistenti sezioni specializzate per la proprietà industriale. Si tratta di un primo intervento, coerente con quello più ampio di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, suscettibile di successivi ampliamenti e miglioramenti.
Sono in corso gli incontri con le rappresentanze della magistratura, dell’avvocatura e con i presidenti dei 12 tribunali e delle sezioni specializzate per verificare le esigenze organizzative e le eventuali correzioni, penso a sezioni in Calabria e in Sardegna, per
garantire una partenza efficace».
Come sarà tornare a fare l’avvocato dopo questa intensa esperienza di Governo?
«Tornerò alla professione di avvocato e all’insegnamento universitario con la stessa passione e con questa importante e qualificante esperienza alle spalle».

L’Unità 04.02.12

«Monti stia attento, sosteniamo il governo ma non a qualsiasi costo», intervista a Rosy Bindi di Maria Zegarelli

Se al Senato non cambia l’articolo sulla responsabilità civile dei giudici
non si va avanti né sulla Comunitaria né su altro». La presidente del Pd Rosy Bindi sta cercando di tornare a Sinalunga sotto fiocchi di neve. Clima gelido, non soltanto dal punto di vista meteo.E neanche la lettura dei giornali e delle agenzie di stampa aiuta a scaldare la temperatura. Presidente, giovedì dalla Camera è partito un segnale piuttosto chiaro al governo. Pdl e Lega possono ricompattarsi, almeno su alcuni temi, e mandare a casa i tecnici.
«Ce ne sono stati almeno due di segnali in questo senso nei giorni scorsi e vanno letti insieme: la vicenda del cda Rai e la giustizia. Sono due temi, giustizia e informazione, pietra dello scandalo di questa legislatura e sui quali la vecchia maggioranza è ancora compatta, con qualche aiutino trasversale che non mi è piaciuto affatto».
Si riferisce a quelle decine di voti arrivati dal centrosinistra e dal Terzo Polo? «Esattamente. Ma il segnale politico è arrivato da un partito, il Pdl. Per questo suggerirei al presidente Monti di leggere quei segnali e capire da dove vengono e chi organizza le imboscate. Ha fatto bene a chiedere un confronto con i leader l’altra sera, ma farebbe meglio a chiarire con il Pdl. Resto anche convinta del fatto che il ministro avrebbe fatto bene a venire in aula l’altro giorno».
Secondo lei che speranze ha di andare avanti un governo che ha iniziato la fase due: quella dei veti?
«Noi del Pdnon abbiamo iniziato alcuna fase di veti, siamo perché duri per l’intera legislatura ma, proprio per questo, a viso aperto sulle questioni fondamentali intendiamo dire la nostra. Uno: su giustizia e informazione non accettiamo che si approfitti del governo Monti per imporre scelte berlusconiane. Due: non si fanno le riforme senza di noi. Nessuna. Non abbiamo preclusioni ma non accettiamo aut aut».
Come sull’articolo 18?
«Ma come fa il ministro Fornero a dire quello che ha detto? Piuttosto il governo approfitti di questa ritrovata unità sindacale e della disponibilità delle forze politiche per portare a termine una buona e condivisa riforma del lavoro».
In realtà non è solo il ministro Fornero. Monti ha appena detto che l’articolo 18 sconsiglia gli investimenti.
«Mi dispiace doverlo dire ma questo è un atteggiamento ideologico da parte del governo. Monti ha in testa il modello danese? Bene, allora garantisca gli stessi ammortizzatori sociali, la stessa offerta di lavoro, la stessa mobilità sociale e con un miracolo la stessa coesione sociale. Altrimenti farà bene a proporre misure in grado di
allargare l’ingresso al lavoro e non le forme di uscita».
Se non si dovesse raggiungere l’accordo, il ministro Fornero ha detto che andrà comunque avanti. Sarà il Pd a fermarla in Parlamento?
«Preferisco non pronunciarmi sulla subordinata perché l’obiettivo deve essere quello di una riforma condivisa. Noi del Pd mandiamo un messaggio chiaro: no a riforme contro le parti sociali».
Monti, dopo aver detto che il posto fisso genera noia, ha appena aggiunto che i giovani farebbero bene a non pensare al loro futuro solo qui in Italia. Era solo una caduta di stile o un pensiero chiaro di come il governo pensa alla Riforma?
«Una caduta di stile c’è stata sicuramente, ma qui siamo di fronte ad un certo modo di pensare. Io sogno un’Italia dove i giovani di altri Paesi vogliono venire e non un’Italia dalla quale i nostri ragazzi devono andarsene per crearsi un futuro. La flessibilità, poi, si può chiedere a certe condizioni che non sono quelle date in questo
momento, né si creano intervenendo sull’articolo 18. Non esistono buoneo cattive teorie: vanno verificate con la realtà. Così come i governi vanno avanti se fanno le cose giuste».
Un avvertimento?
«Nessun avvertimento. Le nostre posizioni sono note: leali e disponibili al confronto per le riforme ma dando il nostro contributo, mettendoci le nostre idee».
Pdl e Lega si compattano su giustizia e informazione, il Pd fa scudo sul lavoro.
Ma quanto può durare un governo che si regge su una maggioranza così fragile?
«Intanto io non parlo di maggioranza ma di partiti che sostengono un governo tecnico per senso di responsabilità. Noi non intendiamo staccare la spina, se è questo che intende, ma Monti deve capire che non può andare avanti a tutti i costi. Qui ci sono due punti delicati: da una parte i temi ad alta sensibilità berlusconiana
di cui abbiamo già parlato; dall’altra gli impegni che abbiamo preso con l’Europa. Noi la lettera Bce l’abbiamo presa sul serio,ma non condividiamo le risposte che aveva dato il governo Berlusconi e non accettiamo che si mettano sullo stesso piano tutti i partiti, come se ci trovassimo di fronte al fallimento dell’intera classe politica. Non è così: se oggi c’è il governo Monti è perché è fallita la precedentemaggioranza.
Il fatto che il Pd abbia rinunciato, in questa fase, ad aprire una riflessione sui motivi che ci hanno portato in questa situazione, non vuol dire che sia disposto ad essere messo sullo stesso piano di Pdl e Lega».
Ma come, Polillo vuole Berlusconi al
Quirinale…
«Ecco un’altra caduta di stile da parte di questo governo. E non è l’unica. I tratti duri del volto della Fornero; “gli sfigati” del sottosegretario Martone; la noia del posto fisso evocata da Monti e adesso Polillo che vuole Berlusconi al Quirinale. Capisco che certi comportamenti di alcuni politici non aiutano ad essere autorevoli con questo governo, ma c’è un limite».
A proposito di questo, la vicenda Lusi non aiuta a restituire credibilità ai partiti.
«È evidente che quando accadono queste cose si indebolisce l’autorevolezza
dei partiti già compromessa. Ma noi dobbiamo reagire e il Pd sta facendo bene a distinguere il comportamento personale di un singolo dal partito a cui appartiene. Da tutto ciò dobbiamo trarre una lezione; serve fin da ora una legge che regolamenti la vita interna dei partiti e di nuove norme sul finanziamento pubblico».

L’Unità 04.02.12

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“Le banderillas dei partiti”, di LUIGI LA SPINA

Fragile, perché il governo Monti non può contare su un vero accordo politico tra i componenti della sua inedita maggioranza. Forte, perché i partiti che hanno votato la fiducia in Parlamento sanno che abbatterlo vorrebbe dire arrecare danni enormi al Paese, ma infliggersi anche un harakiri definitivo per la loro credibilità nei confronti dell’opinione pubblica.

Tecnico, perché si fonda sulla competenza del premier e dei ministri nelle questioni che devono dirimere. Politico, perché l’abilità del presidente del Consiglio nel destreggiarsi tra un’ex maggioranza, inquieta e delusa, e un’ex opposizione, diffidente e divisa, dimostra una vocazione certamente non improvvisata. Libero, perché non è costretto a subire i «veti» delle corporazioni che stanno affondando l’Italia, dal momento che non si regge sul loro consenso. Prigioniero, vincolato com’è a distribuire sacrifici e vantaggi, con millimetrica equità, tra tutte le forze sociali tutelate dai partiti che devono approvare, in Parlamento, i suoi provvedimenti. Il governo Monti, in realtà, più che un governo «strano», come lo ha definito il premier, è il campione dei contrari, il trionfo dell’ossimoro, quella figura retorica che accosta termini in assoluta antitesi tra loro.

Quanto potrà durare questo virtuosistico cammino sul filo che Monti è costretto a compiere tutti i giorni? E, soprattutto, il premier riuscirà a realizzare le fondamentali riforme che consentiranno all’Italia di uscire dalla «zona a rischio» dell’Europa? Oppure, quel filo finirà per avvolgerlo nella tela di ragno dell’impotenza e della delusione? Sono domande a cui proprio la curiosa contraddittorietà delle caratteristiche di questo governo consiglierebbe risposte caute e ambigue. Si possono affacciare alcune considerazioni, invece, che potrebbero indurre a un certo ottimismo sulla sorte dell’esperienza Monti, sfidando il destino dei commentatori politici, quello dell’immediata e clamorosa smentita.

Questo governo, come si è detto, ha saputo intercettare una diffusa domanda di cambiamento nel costume della politica italiana. Un desiderio di rigore, di competenza, soprattutto la necessità di una vera efficacia realizzativa, veloce nei tempi e concreta nelle conseguenze, dopo tanti anni di quelle inutili promesse e di quelle imprudenti autoesaltazioni tipiche dei «governi del fare».
A questa richiesta di una decisa svolta, i partiti dimostrano la loro incapacità di rispondere con proposte forti, condivise al loro interno, coraggiose e innovative al punto tale da imporle al centro della discussione pubblica. Ecco perché la frustrazione, provocata dalla consapevolezza di questa loro impotenza, produce l’effetto di un ribellismo trasversale che, di tanto in tanto, si sfoga nel voto parlamentare contrario al parere del governo. Non a caso, sempre in una ottica difensiva e corporativa, tipica di una categoria che si sente debole e invisa. Una volta, per salvare dalla galera un loro rappresentante; un’altra, per opporsi alla riduzione di privilegi pensionistici e non; un’altra ancora, per vendicarsi delle iniziative giudiziarie delle procure. Spesso, nel tentativo nostalgico di ritornare al clima di contrapposizione frontale del passato, come nel caso della Rai o, appunto, della lotta contro la magistratura. Un tempo in cui il chiacchiericcio della polemica, aspra e sguaiata, dava loro l’impressione di una primazia e di un potere che, oggi, sembrano del tutto svaniti.

A rimorchio sul tema che interessa veramente i cittadini e sul quale è il governo a condurre la danza, cioè l’economia, i partiti non comprendono che potrebbero dare un significato alla loro esistenza e alla loro attività in questo scorcio di fine legislatura solo su una questione, peraltro in cui avrebbero piena sovranità e sulla quale potrebbero sperare in un riscatto di fiducia da parte degli italiani: la legge elettorale. Una riforma che restituisse al popolo il potere di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento. Ma le speranze di un’intesa sono poche, perché è molto difficile un accordo che soddisfi interessi elettorali contrastanti e, soprattutto, perché è così comodo, per tutte le segreterie dei partiti, continuare a dipingere a loro somiglianza deputati e senatori, scaricandosi vicendevolmente la responsabilità di non voler cambiare la legge.

Ecco perché è probabile che i volteggi di Monti, tra un’intervista televisiva e un Consiglio dei ministri-fiume, possano continuare, nonostante gli avvertimenti, le punzecchiature, le ribellioni della pancia parlamentare, come quelli dei giorni scorsi. Sussulti di protagonismo che mirano a infiacchire la vitalità del governo, come, nella corrida, le banderillas fanno al toro, ma che non vogliono scagliargli il colpo mortale.

La Stampa 04.02.12

"Articolo 18, lo strappo di Monti", di Bianca Di Giovanni

Monti sposa la linea dura sull’articolo 18. «Alcuni lavoratori sono chiusi in una cittadella, altri non hanno difese», dichiara.
Così le posizioni al tavolo sul lavoro virano verso destra. Berlusconi soddisfatto.

«L’articolo 18 è un tema centrale della discussione. È ora di passare dai miti, dai simboli, alla realtà». Con questo passaggio dell’intervista rilasciata a Repubblica Tv, Mario Monti scopre le carte del suo governo sul tavolo del lavoro: e sono carte pesantissime. Non solo per la norma sui licenziamenti senza giusta causa, che in questo modo viene imposta come prioritaria nella trattativa (al contrario di quanto si era detto finora), con un’ipotetica scadenza a fine marzo. Ma anche per una lunga serie di osservazioni sulla politica sociale, che lasciano amaro in bocca.
Come quella sul «buonismo» dei governi passati. Sarebbe questo il motivo per cui l’Italia è ridotta male. «Per decenni i governi italiani hanno avuto troppo cuore, hanno diffuso troppo buonismo sociale – dichiara il premier – soprattutto prima che arrivasse l’Europa un po’ austera a renderci più attenti». E non si ferma qui. «Anche i tecnici hanno un cuore – aggiunge -ma spesso più si eroga bontà, più si creano le condizioni che graveranno sui giovani». Insomma, serve rigore, austerità, «cattiveria», naturalmente con i lavoratori. Che dire della corruzione dilagante, dell’evasione massiccia, dell’abbandono di intere regioni del Paese nelle mani della criminalità? Nulla di tutto questo: l’Italia sta male perché si sarebbe concesso troppo ai lavoratori, che nel frattempo – va ricordato – hanno continuato a perdere potere d’acquisto, mentre una piccola fetta di società si è arricchita sempre di più.
Invece per Monti torna l’assioma: meno diritti da una parte, più dall’altra. Come una coperta tirata di qua o di là. «Bisogna dare meno tutele a chi oggi ne ha troppe ed è quasi blindato nella sua cittadella – dichiara – e darne di più a chi è in forme estreme di precariato o è fuori dal mercato del lavoro». Insomma, serve un travaso: così gli over 50 potranno starsene a casa e gli under 35 andare al lavoro. Sarebbe questa la soluzione? Per il governo (e anche per Confindustria) proprio la possibilità di reintegro nel posto di lavoro terrebbe lontani gli investimenti stranieri. Finora avevano raccontato di una burocrazia elefantiaca, di mancanza di infrastrutture, di incertezza del diritto: ma questa del reintegro finora non si era mai sentita.

CHI USA LO SPREAD
È chiaro a questo punto che il governo vira verso destra: prima Elsa Fornero che tira dritto con o senza consenso dei sindacati, poi Monti che picchia duro su chi «è blindato nella cittadella ».Non è un caso che Silvio Berlusconi annuncia al Financial Times un forte sostegno all’esecutivo Monti.
Con l’ex premier sembra esserci una luna di miele mai interrotta. Tanto che Monti ne prende le difese, dichiarando che si è esagerato ad usare lo spread per attaccare il suo predecessore. Forse non è neanche un caso che le esternazioni sull’articolo 18 arrivano a poche ore dall’incontro sul lavoro con la delegazione Pdl, tra cui anche il «falco» Maurizio Sacconi. Probabilmente il premier pensa a quella «maggioranza ampia ma purtroppo evanescente» che il giorno prima lo ha inchiodato alla prima sconfitta in un’aula parlamentare sulla responsabilità civile dei giudici.
Poi tenta un accreditamento anche a sinistra. C’è da dire che liscia il pelo alla sinistra. «In manovra abbiamo pur sempre introdotto una cosa, che non abbiamo chiamato “imposta patrimoniale” per non urtare le sensibilità di chi non gradiva quell’impostazione», spiega riferendosi alle tasse sugli immobili e sui depositi bancari.
Quanto all’equità, il premier difende le sue iniziative sulla lotta all’evasione, elemento decisivo per la redistribuzione della ricchezza. Ma è chiaro che la partita centrale per il governo oggi è il lavoro, e la supposta contrapposizione giovani-vecchi. Tanto che il premier si perita di chiarire la sua ultima gaffe sul posto fisso che sarebbe «monotono». Specifica che intendeva dire semplicemente che i giovani dovranno abituarsi a cambiare posto e luogo di lavoro. Anzi, arriva persino a consigliare ai giovani di non pensare necessariamente a un futuro in Italia. Per un premier di un Paese non è il massimo.
La partita europea – che pure è cruciale – resta sullo sfondo. Assicura che, dopo il rigore, cioè dopo l’entrata in vigore dell’ultima intesa sulle regole di finanza pubblica (il cosiddetto fiscal compact), con la Germania si potrà ragionare di Eurobond. Insomma, una visione di medio-lungo termine, a patto che, tanto per citare Keynes, nel lungo termine non saremo tutti morti. Sulla Tobin tax (la tassa sulle transazioni finanziarie) Monti si dice convinto che i tempi siano maturi.

Da l’Unità

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“Ma sul posto fisso ammette: una battuta infelice”, di Claudio Tito

ROMA – «Forse era una battuta che potevo risparmiarmi». Il giorno dopo l´affondo contro il “posto fisso” e le violente polemiche che ne sono scaturite, Mario Monti prova a dare le sue spiegazioni in una intervista che è stata in larga parte trasmessa anche dal sito di Repubblica. Il presidente del consiglio rettifica, dice che l´accento va messo sulla frase «un posto» ma nello stesso tempo avverte che nell´agenda del suo governo tecnico – «non mi piace questa definizione» – c´è anche «un po´ di pedagogia», la necessità di avviare il Paese verso una «modifica della mentalità». Una correzione di rotta senza la quale «faremmo il male dell´Italia». Così dal suo studio a Palazzo Chigi, rilancia sulla modifica dell´articolo 18: un´opzione che «sarebbe inutile precludersi».
L´ufficio ad angolo si affaccia su Piazza Colonna e Via del Corso e fino a pochi mesi fa era occupato da Silvio Berlusconi. Il Professore ha lasciato quasi tutto come prima. I tendaggi e la tappezzeria gialla, i divani in tinta. Ha fatto togliere due statue romane (tra cui un Bacco) e fatto appendere su una parete la foto del Presidente della Repubblica, che fino a tre mesi fa mancava. La scrivania colma di giornali, dossier e libri. Uno dei quali in bella vista: “Il capitale – Una critica cristiana alle ragioni del mercato”, di Reinhard Marx l´arcivescovo di Monaco. Che il premier incontrerà proprio oggi nella città tedesca.
Seduto su uno di quei divani elenca le priorità che deve affrontare il suo esecutivo e risponde alle domande dei lettori di Repubblica, che gli sottopone Laura Pertici. Avverte che il suo obiettivo è anche quello di far uscire «la politica dall´apnea» e che non vuole ricandidarsi nel 2013. Che sulla Giustizia pensa ad una «riforma strutturale» e non a interventi «spot« come quello sulla responsabilità civile dei magistrati che al Senato «andrà modificata». Sta studiando un sistema fiscale «progressivo» abbandonando i sogni della «flat tax». E che nell´arco dei suoi impegni c´è «presto» anche un intervento sulla Rai. Il tutto tenendo conto di essere sostenuto da un maggioranza larga ma «potenzialmente evanescente».
La sua frase sul posto fisso, intanto, ha provocato un bel po´ di reazioni.
«Mi è dispiaciuto. Alcune volte le parole sono sbagliate. Effettivamente una frase come quella, presa fuori dal contesto può prestarsi a un equivoco. Se per posto fisso si intende un posto che ha una sua stabilità e con delle tutele, ha un valore positivo. Ma io dicevo che i giovani devono abituarsi all´idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Dovranno abituarsi a cambiare spesso luogo, tipo di lavoro e paese. Questo non è da guardare con spavento. Gli italiani hanno troppa diffidenza verso la mobilità e il cambiamento. Dobbiamo tutelare un po´ meno chi è molto tutelato e quasi blindato nella sua cittadella, e tutelare un po´ di più chi si trova in una situazione quasi di schiavitù. Creare lavoro per i giovani è l´obiettivo centrale della politica economica e sociale del governo. Se ci si riesce, non significa che i giovani non possano avere quel lavoro per tutta l´esistenza. Se esistono tutele, il cambiamento è da guardare positivamente».
Molti però si chiedono se anche lei non abbia un figlio che cerca un lavoro e se non debba usare più attenzione al sociale.
«Mio figlio in effetti è disoccupato. Ma il punto è che più che i provvedimenti, va modificata la mentalità».
Forse il dubbio di molti è che lasciato un posto, non se ne trovi un altro.
«Il modello non sono gli Usa ma i paesi del nord, come la Danimarca. Ma non dobbiamo diventare tutti danesi. La tutela è data al lavoratore non al posto di lavoro. Quando non può più lavorare in quell´impresa ha una serie di ammortizzatori sociali e la possibilità di riaddestramento professionale che gli consentono di non rimanere al buio senza spiragli. Non esiste solo il lavoro dipendente, ma anche le professioni. Quando proponiamo le liberalizzazioni, abbiamo spesso reazioni seccate dall´establishment delle professioni e un appoggio dai giovani che vogliono entrare in quelle professioni».
Però le banche chiedono un posto fisso per concedere un mutuo.
«Lo so. Ma occorre creare più occasioni di lavoro per i giovani. Meglio avere più occasioni di lavoro tutelato e meno trincerato, ma averne di più. E i posti sono di più o di meno se il Paese è più o meno competitivo. Bisogna far sì che le aziende si espandano. Perché poi escludere che un giovane voglia fare l´imprenditore? Non saranno tutti Bill Gates, ma far nascere in un garage un´impresa come ha fatto Gates in Italia non è semplice. Per questo abbiamo introdotto la ssrl per agevolare l´imprenditoria dei giovani».
Il nodo però resta sempre lo stesso: cambierete l´articolo 18 dello statuto dei lavoratori?
«In passato era una punta di una spada offensiva o il centro di uno scudo difensivo. Il nostro scopo è passare dai simboli e dai miti alla realtà pratica. Contemperando la garanzia di certi diritti con forme che non scoraggiano le imprese dall´assumere maggiormente. Dobbiamo compararci a livello internazionale. L´Italia, nei decenni passati, si è distinta con la perfezione dei diritti in astratto, ma spesso è stato un Paese più “ideale” che pragmatico. Il tutto si è tradotto in una scarsa garanzia».
Lei teme che l´articolo 18 faccia perdere gli investimenti stranieri?
«L´articolo 18, per come viene applicato, sconsiglia l´investimento di capitali stranieri e italiani. Il governo non ha potere di intervento su come la giustizia è amministrata, ma ci possono essere chiarimenti o modifiche legislative che danno dei nuovi paletti a chi deve amministrare la legge. Non so dire se entro marzo sia essenziale una modifica o no. Si tratta di un mosaico e non sarebbe utile precludersi di usare ogni tessera di quel mosaico».
Le banche intanto hanno preso soldi dalla Bce e per molti cittadini si limitano ad acquistare bot i cui interessi saranno pagati dai cittadini.
«Ne comprano abbastanza poco rispetto ai soldi in prestito dalla Bce. Fanno più prestiti alle imprese e tengono molta liquidità presso la stessa Banca centrale europea. Il sistema bancario esce da un momento di debolezza e è quindi comprensibile che si vogliano tutelare. Il cittadino ha interesse che facciano prestiti a imprese e anche che acquistino titoli di stato. È stato detto da più parti che questo governo non è stato incisivo sulle banche. Non è vero. Il mondo bancario è stato disturbato dalla norma che impedisce ai membri del cda di una banca di sedere in un cda di un´altra banca. Questo vale anche per le assicurazioni. Questo modo di essere nei salotti della finanza ha spesso portato a scarsa concorrenza tra banche. E pure a prestiti alle imprese con tassi più alti. Inoltre il governo precedente si era dichiarato contrario alla Tobin tax, noi abbiamo cambiato posizione e ci siamo dichiarati favorevoli allo studio e alla introduzione della tassa a livello europeo.
Ci si arriverà davvero?
«Questa può essere la volta buona. La dimensione delle transazioni finanziarie è un fattore che colpisce. Il sistema finanziario che in passato ha combinato tanti guai, può contribuire a risanare.
Il termine spread è diventato di uso comune. Quale pensa sia a questo punto la soglia accettabile?
«Lo spread è stato usato in modo esagerato come arma contundente contro Berlusconi e si esagera a usarlo, quando scende, come andamento di buona condotta. Certo e un indicatore. Dal nove novembre – quando sono stato raggiunto proprio a Berlino da una telefonata del capo dello Stato – è sceso di duecento punti. Siamo soddisfatti ma non ci basta. Questa diminuzione non riflette ancora pienamente la messa in sicurezza dei conti italiani, ma riflette il rischio eurozona. Le decisioni prese anche nell´ultimo consiglio europeo, dovrebbero favorire una discesa. I tassi sono troppo altini sui titoli a lungo termine: i mercati sono fiduciosi nel breve periodo, ma temono un fattore di rischio politico con le elezioni. Confido molto che finito questo governo al più tardi nella primavera 2013, saranno cambiate abbastanza cose in Italia. Lo vediamo già quotidianamente nel rapportarsi delle forze politiche. Credo che sarà un sistema politico che quando tornerà al potere, sarà più civile, disteso, più capace di prendere decisioni nell´interesse generale del paese».
L´euro non rischia di rimanere debole fino a quando non ci saranno gli Eurobond?
«L´euro è una creatura adolescente, ma è un giovane robusto che ha dato prova di grande forza. C´è stato un problema nella gestione dell´eurozona. Io sono tra quelli che considerano gli eurobond importanti. I tedeschi pensano che non lo siano, anzi li giudicano nocivi perché deresponsabilizzerebbero i singoli paesi. Io e Merkel siamo d´accordo sul fatto che una volta perfezionato ulteriormente il meccanismo della disciplina di bilancio, si potrà guardare più serenamente da parte tedesca agli eurobond. E anche l´euro si rafforzerà».
I lettori si lamentano per tagli ai fondi per la scuola e la ricerca. E anche della qualità del sistema universitario.
«Questo è un governo che non ha molti soldi. Ma su questo cercheremo di non tagliare. Sbagliano le università quando vedevano solo nella carenza di fondi la ragione di comparazioni sfavorevoli con il resto del mondo. Ci sono altre tare che hanno bloccato la qualità delle università italiane. La quasi totale mancanza di concorrenza, un sistema di governance lasciato nelle mani dei professori. Con il rettore eletto dagli stessi professori, massimo spazio alle tutele delle corporazioni e scarsa voce agli studenti e alle famiglie.
Lei consiglierebbe a un suo amico o a un parente di andare a studiare all´estero
«Anche all´estero. Se hanno sufficienti mezzi, suggerirei di non pensare necessariamente a un futuro in Italia. Consiglio a chi vuole essere un protagonista, di fare la scuola e l´università in Italia e fare periodi di stage alle università estere. E un periodo di specializzazione all´estero. Un percorso a segmenti multipli».
Andrà avanti sul valore legale della laurea?
«Si e lanceremo una consultazione pubblica, tutti potranno dare un parere. Vogliamo contemperare la certificazione di certi studi senza dare troppo peso al voto di laurea perché da per scontato che tutte le facoltà diano la stessa preparazione. È una forma di equivalenza superficiale. È importante che si possano scegliere le università. La concorrenza è uno stimolo – ad esempio – a non assumere come professore un parente del preside».
Alcuni la accusano di non aver dato il segno dell´equità al suo governo.
«Si guardi a quello che abbiamo fatto. Abbiamo reso più difficile fare pagamenti in contanti, abbiamo introdotto la trasparenza sui conti bancari, misure contro la criminalità. La lotta all´evasione è molto rafforzata. Ci dispiace se qualche volte la sensibilità e colpita da certe operazioni incisive ma necessarie. Abbiamo riaperto i conti dello scudo fiscale e messo una tassa sugli scudi nella protesta di buona parte della borghesia.
E l´Ici per la Chiesa?
«È un punto importante. Un tema che stiamo approfondendo e stiamo andando avanti nell´approfondimento».
Ma lei non teme che il suo governo tecnico non abbia un cuore, sia poco attento al sociale?
«Non tocca a me dire se abbiamo un cuore buono. Di certo lo abbiamo. Alcune cose aridamente enunciate dimostrano che c´è attenzione al sociale. Perché l´Italia è ridotta un pò male? Perché per decenni i governi hanno avuto troppo cuore, troppo buonismo sociale. Soprattutto prima che arrivasse l´Europa austera a renderci più attenta. Aveva ogni anno un disavanzo pubblico del 7, 8 o 10 per cento. I governi politici erano un cuore esuberante, dicevano: “ma sì questa istanza sociale è giusta, questa rivendicazione è giusta”. La somma delle spese pubbliche annuale era superiore alle somme delle entrate e anno dopo anno il debito pubblico cresceva. La società si appagava della sua generosità verso i deboli. Il debito pubblico gravava su persone che allora non votavano o non erano ancora nate. Sono i giovani di oggi che non trovano lavoro. Nel cuore buono va tenuto presente che più è buono e più le condizioni future graveranno come i l piombo. Anche per questo i giovani non trovano lavoro oggi. Un governo tecnico – termine che non mi piace anche se non è un governo politico, spero sia un governo – ha il compito di spiegare che ciò che sembra sgradevole ha l´intenzione di riequilibrare le cose e di far ripartire la macchina della produzione italiana con attenzione al sociale. A dicembre abbiamo introdotto di fatto una cosa che non abbiamo chiamato patrimoniale per non urtare la sensibilità nella nostra ampia ma potenzialmente evanescente maggioranza. Una parte non gradiva questa impostazione, ma abbiamo introdotto molte imposte sul patrimonio. È giusto avere attenzione all´equità, ma se ci presentassimo con il cuore saremmo più simpatici e faremmo il male dell´Italia e dei giovani».
A proposito di Maggioranza. Come vanno i rapporti con Berlusconi e con il Pdl?
«Il presidente del Pdl si è dimostrato un elemento di stabilità e responsabilità. Il mio compito è fare uscire la politica dall´apnea. Fare dei semilavorati per loro. E poi saranno i partiti ad andare avanti».
Ieri, però, li ha dovuti chiamare a Palazzo Chigi. Come è andata con i segretari?
«Qualcuno di loro mi chiede di mettere a disposizione un po´ di risorse proprio da investire sul sociale. Di farlo ora dopo i decreti salva-Italia e Cresci-Italia. Noi non abbiamo tanti soldi anche se qualcosa faremo. Ma la nostra idea è che si debbano prendere decisioni per cambiare mentalità. Ad esempio sul fisco».
Cioè?
«Io credo che le risorse possano essere recuperate con un sistema fiscale progressivo, abbandonando il sogno della flat tax».
Anche sulla Giustizia cambierete? La norma sulla responsabilità civile sta creando scompiglio nella sua “evanescente” maggioranza.
«Un giornale straniero ha parlato della prima sconfitta del governo. In effetti è così anche se non era una nostra proposta. La mia posizione è quella del ministro Severino. Quella norma va modificata, non servono provvedimenti spot».
Servono riforme complessive?
«Certe misure vanno messe in una riforma strutturale che noi già stiamo facendo. Basti pensare alle carceri e al diritto penale e civile. Ecco, serve una riforma strutturale. Anche se il nostro raggio d´azione non può riguardare tutto».
In che senso?
«Il nostro programma è chiaro. Le questioni etiche, le riforme istituzionali o la legge elettorale, lo ius soli per gli immigrati vanno lasciate al confronto dei partiti in parlamento».
Al Senato proprio la commissione giustizia sta però bloccando le liberalizzazioni?
«Sono molto preoccupato ma vedrete non andrà in quel mondo. Terremo duro».
La sua maggioranza glielo consentirà?
«Penso di sì ma noi dobbiamo sempre tenere presente che bisogna bilanciare il cambio di passo con la tenuta della coalizione che non è politica».
Non è il momento di intervenire sulla Rai?
«Non è stata una priorità fino ad ora, ma adesso lo diventerà. Sicuramente è un problema che non eluderemo. Dobbiamo tenere presente le competenze del governo e del Parlamento. Ma interverremo. Ho già visto il presidente della Rai Garimberti e lo rivedrò».
Nel 2013 si concluderà il lavoro del suo governo. Se, dopo le elezioni i partiti le chiedessero nuovamente un impegno in politica, lei accetterebbe?
«Vorrebbe dire che non ho fatto un buon lavoro. Io devo preparare il terreno per i politici. Vanno bene anche dei semilavorati. Del resto io credo che le cose stiano già cambiando, tutti si accorgono che le cose sono diverse. E io, anche se sono senatore a vita, non ho mai fatto politica».

da la Repubblica

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Il sindacato: “Chi scoraggia gli investimenti è Monti che così suggerisce ai capitali di non investire da noi” , di Giovanna Casadio

La Cgil insorge: “Il premier offende i lavoratori” . I Democratici attaccano sull´articolo 18: affermazioni sorprendenti. Di Pietro: una truffa

ROMA – «Chi scoraggia gli investimenti è Monti suggerendo con le sue affermazioni ai capitali di non investire». La Cgil è sul piede di guerra, ma anche Cisl e Uil sono in fibrillazione. Monti ritiene che in Italia siano troppe le tutele sul lavoro e che tutto ciò renda il mercato stagnate, anzi scoraggi gli investimenti? «Al presidente del Consiglio piacciono gli esempi estremi – contrattacca il sindacato di Susanna Camusso – ma parlare di troppe tutele per chi è “blindato nella sua cittadella”, è non solo sbagliato, non vero, ma anche un po´ offensivo verso quei lavoratori». Un atto d´accusa che Fulvio Fammoni, segretario confederale traduce in una domanda diretta: «Monti conosce la condizione reale del lavoro? In tre anni abbiamo perso centinaia di migliaia di posti».
Le parole del premier sono benzina sul fuoco di scioperi già indetti dalla Fiom (Landini: «L´articolo 18 esca dal tavolo della trattativa»), mentre la minoranza interna della Cgil pensa a uno sciopero generale. Però la piattaforma unitaria del sindacato per ora regge, e mercoledì prossimo i segretari di Cgil, Cisl e Uil, Camusso, Bonanni e Angeletti hanno in programma un incontro, poco prima del tavolo con le imprese. Il tam tam di Fornero e Passera ha preparato il terreno alla svolta sul mercato del lavoro, che Monti ha ormai lanciato. Il clima sociale e politico si surriscalda.
Il Pd frena e avverte che così non va. Bersani ha ribadito che si può essere innovativi sul lavoro senza cancellare l´articolo 18, anche se ritiene sia meglio per il momento lasciare che esca una proposta dal confronto tra governo e parti sociali. Teme l´effetto domino. I partiti insomma facciano un passo indietro. Di Pietro invece accusa: «Le dichiarazioni di Monti sembrano un´intimidazione e una truffa mediatica. Le ragioni della crisi economica e occupazionale in Italia non sono certo causate dall´articolo 18, ma dal fatto che lo Stato ha accumulato quasi duemila miliardi di debito e da una classe politica allo sbando». Casomai le tutele vanno estese – secondo il leader di Idv – non certo tolte. Altolà da Vendola: «Il governo è guidato da un conservatore di destra». E anche il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina taglia corto: «Quelle di Monti sono affermazioni sorprendenti perché infondate». Nelle file democratiche ci sono opinioni divergenti. Cesare Damiano afferma che se il governo non trovasse un accordo con i sindacati, allora si aprirebbe un problema politico in Parlamento, e a Monti: «Sull´articolo 18 sbaglia». Al contrario Piero Ichino è convinto che, se anche non ci fosse condivisione, il governo non debba rinunciare alla riforma del lavoro. I Radicali propongono di procedere pragmaticamente, varando ad esempio una moratoria triennale sull´articolo 18. «Nelle imprese fino a 30 dipendenti», suggeriscono Pannella e De Lucia. Nel centrodestra tutt´altra musica. Brunetta entusiasticamente dichiara: «Togliamo questo tabù che ingessa». Quagliariello rincara: necessarie riforme coraggiose.

da la Repubblica

“Articolo 18, lo strappo di Monti”, di Bianca Di Giovanni

Monti sposa la linea dura sull’articolo 18. «Alcuni lavoratori sono chiusi in una cittadella, altri non hanno difese», dichiara.
Così le posizioni al tavolo sul lavoro virano verso destra. Berlusconi soddisfatto.

«L’articolo 18 è un tema centrale della discussione. È ora di passare dai miti, dai simboli, alla realtà». Con questo passaggio dell’intervista rilasciata a Repubblica Tv, Mario Monti scopre le carte del suo governo sul tavolo del lavoro: e sono carte pesantissime. Non solo per la norma sui licenziamenti senza giusta causa, che in questo modo viene imposta come prioritaria nella trattativa (al contrario di quanto si era detto finora), con un’ipotetica scadenza a fine marzo. Ma anche per una lunga serie di osservazioni sulla politica sociale, che lasciano amaro in bocca.
Come quella sul «buonismo» dei governi passati. Sarebbe questo il motivo per cui l’Italia è ridotta male. «Per decenni i governi italiani hanno avuto troppo cuore, hanno diffuso troppo buonismo sociale – dichiara il premier – soprattutto prima che arrivasse l’Europa un po’ austera a renderci più attenti». E non si ferma qui. «Anche i tecnici hanno un cuore – aggiunge -ma spesso più si eroga bontà, più si creano le condizioni che graveranno sui giovani». Insomma, serve rigore, austerità, «cattiveria», naturalmente con i lavoratori. Che dire della corruzione dilagante, dell’evasione massiccia, dell’abbandono di intere regioni del Paese nelle mani della criminalità? Nulla di tutto questo: l’Italia sta male perché si sarebbe concesso troppo ai lavoratori, che nel frattempo – va ricordato – hanno continuato a perdere potere d’acquisto, mentre una piccola fetta di società si è arricchita sempre di più.
Invece per Monti torna l’assioma: meno diritti da una parte, più dall’altra. Come una coperta tirata di qua o di là. «Bisogna dare meno tutele a chi oggi ne ha troppe ed è quasi blindato nella sua cittadella – dichiara – e darne di più a chi è in forme estreme di precariato o è fuori dal mercato del lavoro». Insomma, serve un travaso: così gli over 50 potranno starsene a casa e gli under 35 andare al lavoro. Sarebbe questa la soluzione? Per il governo (e anche per Confindustria) proprio la possibilità di reintegro nel posto di lavoro terrebbe lontani gli investimenti stranieri. Finora avevano raccontato di una burocrazia elefantiaca, di mancanza di infrastrutture, di incertezza del diritto: ma questa del reintegro finora non si era mai sentita.

CHI USA LO SPREAD
È chiaro a questo punto che il governo vira verso destra: prima Elsa Fornero che tira dritto con o senza consenso dei sindacati, poi Monti che picchia duro su chi «è blindato nella cittadella ».Non è un caso che Silvio Berlusconi annuncia al Financial Times un forte sostegno all’esecutivo Monti.
Con l’ex premier sembra esserci una luna di miele mai interrotta. Tanto che Monti ne prende le difese, dichiarando che si è esagerato ad usare lo spread per attaccare il suo predecessore. Forse non è neanche un caso che le esternazioni sull’articolo 18 arrivano a poche ore dall’incontro sul lavoro con la delegazione Pdl, tra cui anche il «falco» Maurizio Sacconi. Probabilmente il premier pensa a quella «maggioranza ampia ma purtroppo evanescente» che il giorno prima lo ha inchiodato alla prima sconfitta in un’aula parlamentare sulla responsabilità civile dei giudici.
Poi tenta un accreditamento anche a sinistra. C’è da dire che liscia il pelo alla sinistra. «In manovra abbiamo pur sempre introdotto una cosa, che non abbiamo chiamato “imposta patrimoniale” per non urtare le sensibilità di chi non gradiva quell’impostazione», spiega riferendosi alle tasse sugli immobili e sui depositi bancari.
Quanto all’equità, il premier difende le sue iniziative sulla lotta all’evasione, elemento decisivo per la redistribuzione della ricchezza. Ma è chiaro che la partita centrale per il governo oggi è il lavoro, e la supposta contrapposizione giovani-vecchi. Tanto che il premier si perita di chiarire la sua ultima gaffe sul posto fisso che sarebbe «monotono». Specifica che intendeva dire semplicemente che i giovani dovranno abituarsi a cambiare posto e luogo di lavoro. Anzi, arriva persino a consigliare ai giovani di non pensare necessariamente a un futuro in Italia. Per un premier di un Paese non è il massimo.
La partita europea – che pure è cruciale – resta sullo sfondo. Assicura che, dopo il rigore, cioè dopo l’entrata in vigore dell’ultima intesa sulle regole di finanza pubblica (il cosiddetto fiscal compact), con la Germania si potrà ragionare di Eurobond. Insomma, una visione di medio-lungo termine, a patto che, tanto per citare Keynes, nel lungo termine non saremo tutti morti. Sulla Tobin tax (la tassa sulle transazioni finanziarie) Monti si dice convinto che i tempi siano maturi.

Da l’Unità

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“Ma sul posto fisso ammette: una battuta infelice”, di Claudio Tito

ROMA – «Forse era una battuta che potevo risparmiarmi». Il giorno dopo l´affondo contro il “posto fisso” e le violente polemiche che ne sono scaturite, Mario Monti prova a dare le sue spiegazioni in una intervista che è stata in larga parte trasmessa anche dal sito di Repubblica. Il presidente del consiglio rettifica, dice che l´accento va messo sulla frase «un posto» ma nello stesso tempo avverte che nell´agenda del suo governo tecnico – «non mi piace questa definizione» – c´è anche «un po´ di pedagogia», la necessità di avviare il Paese verso una «modifica della mentalità». Una correzione di rotta senza la quale «faremmo il male dell´Italia». Così dal suo studio a Palazzo Chigi, rilancia sulla modifica dell´articolo 18: un´opzione che «sarebbe inutile precludersi».
L´ufficio ad angolo si affaccia su Piazza Colonna e Via del Corso e fino a pochi mesi fa era occupato da Silvio Berlusconi. Il Professore ha lasciato quasi tutto come prima. I tendaggi e la tappezzeria gialla, i divani in tinta. Ha fatto togliere due statue romane (tra cui un Bacco) e fatto appendere su una parete la foto del Presidente della Repubblica, che fino a tre mesi fa mancava. La scrivania colma di giornali, dossier e libri. Uno dei quali in bella vista: “Il capitale – Una critica cristiana alle ragioni del mercato”, di Reinhard Marx l´arcivescovo di Monaco. Che il premier incontrerà proprio oggi nella città tedesca.
Seduto su uno di quei divani elenca le priorità che deve affrontare il suo esecutivo e risponde alle domande dei lettori di Repubblica, che gli sottopone Laura Pertici. Avverte che il suo obiettivo è anche quello di far uscire «la politica dall´apnea» e che non vuole ricandidarsi nel 2013. Che sulla Giustizia pensa ad una «riforma strutturale» e non a interventi «spot« come quello sulla responsabilità civile dei magistrati che al Senato «andrà modificata». Sta studiando un sistema fiscale «progressivo» abbandonando i sogni della «flat tax». E che nell´arco dei suoi impegni c´è «presto» anche un intervento sulla Rai. Il tutto tenendo conto di essere sostenuto da un maggioranza larga ma «potenzialmente evanescente».
La sua frase sul posto fisso, intanto, ha provocato un bel po´ di reazioni.
«Mi è dispiaciuto. Alcune volte le parole sono sbagliate. Effettivamente una frase come quella, presa fuori dal contesto può prestarsi a un equivoco. Se per posto fisso si intende un posto che ha una sua stabilità e con delle tutele, ha un valore positivo. Ma io dicevo che i giovani devono abituarsi all´idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Dovranno abituarsi a cambiare spesso luogo, tipo di lavoro e paese. Questo non è da guardare con spavento. Gli italiani hanno troppa diffidenza verso la mobilità e il cambiamento. Dobbiamo tutelare un po´ meno chi è molto tutelato e quasi blindato nella sua cittadella, e tutelare un po´ di più chi si trova in una situazione quasi di schiavitù. Creare lavoro per i giovani è l´obiettivo centrale della politica economica e sociale del governo. Se ci si riesce, non significa che i giovani non possano avere quel lavoro per tutta l´esistenza. Se esistono tutele, il cambiamento è da guardare positivamente».
Molti però si chiedono se anche lei non abbia un figlio che cerca un lavoro e se non debba usare più attenzione al sociale.
«Mio figlio in effetti è disoccupato. Ma il punto è che più che i provvedimenti, va modificata la mentalità».
Forse il dubbio di molti è che lasciato un posto, non se ne trovi un altro.
«Il modello non sono gli Usa ma i paesi del nord, come la Danimarca. Ma non dobbiamo diventare tutti danesi. La tutela è data al lavoratore non al posto di lavoro. Quando non può più lavorare in quell´impresa ha una serie di ammortizzatori sociali e la possibilità di riaddestramento professionale che gli consentono di non rimanere al buio senza spiragli. Non esiste solo il lavoro dipendente, ma anche le professioni. Quando proponiamo le liberalizzazioni, abbiamo spesso reazioni seccate dall´establishment delle professioni e un appoggio dai giovani che vogliono entrare in quelle professioni».
Però le banche chiedono un posto fisso per concedere un mutuo.
«Lo so. Ma occorre creare più occasioni di lavoro per i giovani. Meglio avere più occasioni di lavoro tutelato e meno trincerato, ma averne di più. E i posti sono di più o di meno se il Paese è più o meno competitivo. Bisogna far sì che le aziende si espandano. Perché poi escludere che un giovane voglia fare l´imprenditore? Non saranno tutti Bill Gates, ma far nascere in un garage un´impresa come ha fatto Gates in Italia non è semplice. Per questo abbiamo introdotto la ssrl per agevolare l´imprenditoria dei giovani».
Il nodo però resta sempre lo stesso: cambierete l´articolo 18 dello statuto dei lavoratori?
«In passato era una punta di una spada offensiva o il centro di uno scudo difensivo. Il nostro scopo è passare dai simboli e dai miti alla realtà pratica. Contemperando la garanzia di certi diritti con forme che non scoraggiano le imprese dall´assumere maggiormente. Dobbiamo compararci a livello internazionale. L´Italia, nei decenni passati, si è distinta con la perfezione dei diritti in astratto, ma spesso è stato un Paese più “ideale” che pragmatico. Il tutto si è tradotto in una scarsa garanzia».
Lei teme che l´articolo 18 faccia perdere gli investimenti stranieri?
«L´articolo 18, per come viene applicato, sconsiglia l´investimento di capitali stranieri e italiani. Il governo non ha potere di intervento su come la giustizia è amministrata, ma ci possono essere chiarimenti o modifiche legislative che danno dei nuovi paletti a chi deve amministrare la legge. Non so dire se entro marzo sia essenziale una modifica o no. Si tratta di un mosaico e non sarebbe utile precludersi di usare ogni tessera di quel mosaico».
Le banche intanto hanno preso soldi dalla Bce e per molti cittadini si limitano ad acquistare bot i cui interessi saranno pagati dai cittadini.
«Ne comprano abbastanza poco rispetto ai soldi in prestito dalla Bce. Fanno più prestiti alle imprese e tengono molta liquidità presso la stessa Banca centrale europea. Il sistema bancario esce da un momento di debolezza e è quindi comprensibile che si vogliano tutelare. Il cittadino ha interesse che facciano prestiti a imprese e anche che acquistino titoli di stato. È stato detto da più parti che questo governo non è stato incisivo sulle banche. Non è vero. Il mondo bancario è stato disturbato dalla norma che impedisce ai membri del cda di una banca di sedere in un cda di un´altra banca. Questo vale anche per le assicurazioni. Questo modo di essere nei salotti della finanza ha spesso portato a scarsa concorrenza tra banche. E pure a prestiti alle imprese con tassi più alti. Inoltre il governo precedente si era dichiarato contrario alla Tobin tax, noi abbiamo cambiato posizione e ci siamo dichiarati favorevoli allo studio e alla introduzione della tassa a livello europeo.
Ci si arriverà davvero?
«Questa può essere la volta buona. La dimensione delle transazioni finanziarie è un fattore che colpisce. Il sistema finanziario che in passato ha combinato tanti guai, può contribuire a risanare.
Il termine spread è diventato di uso comune. Quale pensa sia a questo punto la soglia accettabile?
«Lo spread è stato usato in modo esagerato come arma contundente contro Berlusconi e si esagera a usarlo, quando scende, come andamento di buona condotta. Certo e un indicatore. Dal nove novembre – quando sono stato raggiunto proprio a Berlino da una telefonata del capo dello Stato – è sceso di duecento punti. Siamo soddisfatti ma non ci basta. Questa diminuzione non riflette ancora pienamente la messa in sicurezza dei conti italiani, ma riflette il rischio eurozona. Le decisioni prese anche nell´ultimo consiglio europeo, dovrebbero favorire una discesa. I tassi sono troppo altini sui titoli a lungo termine: i mercati sono fiduciosi nel breve periodo, ma temono un fattore di rischio politico con le elezioni. Confido molto che finito questo governo al più tardi nella primavera 2013, saranno cambiate abbastanza cose in Italia. Lo vediamo già quotidianamente nel rapportarsi delle forze politiche. Credo che sarà un sistema politico che quando tornerà al potere, sarà più civile, disteso, più capace di prendere decisioni nell´interesse generale del paese».
L´euro non rischia di rimanere debole fino a quando non ci saranno gli Eurobond?
«L´euro è una creatura adolescente, ma è un giovane robusto che ha dato prova di grande forza. C´è stato un problema nella gestione dell´eurozona. Io sono tra quelli che considerano gli eurobond importanti. I tedeschi pensano che non lo siano, anzi li giudicano nocivi perché deresponsabilizzerebbero i singoli paesi. Io e Merkel siamo d´accordo sul fatto che una volta perfezionato ulteriormente il meccanismo della disciplina di bilancio, si potrà guardare più serenamente da parte tedesca agli eurobond. E anche l´euro si rafforzerà».
I lettori si lamentano per tagli ai fondi per la scuola e la ricerca. E anche della qualità del sistema universitario.
«Questo è un governo che non ha molti soldi. Ma su questo cercheremo di non tagliare. Sbagliano le università quando vedevano solo nella carenza di fondi la ragione di comparazioni sfavorevoli con il resto del mondo. Ci sono altre tare che hanno bloccato la qualità delle università italiane. La quasi totale mancanza di concorrenza, un sistema di governance lasciato nelle mani dei professori. Con il rettore eletto dagli stessi professori, massimo spazio alle tutele delle corporazioni e scarsa voce agli studenti e alle famiglie.
Lei consiglierebbe a un suo amico o a un parente di andare a studiare all´estero
«Anche all´estero. Se hanno sufficienti mezzi, suggerirei di non pensare necessariamente a un futuro in Italia. Consiglio a chi vuole essere un protagonista, di fare la scuola e l´università in Italia e fare periodi di stage alle università estere. E un periodo di specializzazione all´estero. Un percorso a segmenti multipli».
Andrà avanti sul valore legale della laurea?
«Si e lanceremo una consultazione pubblica, tutti potranno dare un parere. Vogliamo contemperare la certificazione di certi studi senza dare troppo peso al voto di laurea perché da per scontato che tutte le facoltà diano la stessa preparazione. È una forma di equivalenza superficiale. È importante che si possano scegliere le università. La concorrenza è uno stimolo – ad esempio – a non assumere come professore un parente del preside».
Alcuni la accusano di non aver dato il segno dell´equità al suo governo.
«Si guardi a quello che abbiamo fatto. Abbiamo reso più difficile fare pagamenti in contanti, abbiamo introdotto la trasparenza sui conti bancari, misure contro la criminalità. La lotta all´evasione è molto rafforzata. Ci dispiace se qualche volte la sensibilità e colpita da certe operazioni incisive ma necessarie. Abbiamo riaperto i conti dello scudo fiscale e messo una tassa sugli scudi nella protesta di buona parte della borghesia.
E l´Ici per la Chiesa?
«È un punto importante. Un tema che stiamo approfondendo e stiamo andando avanti nell´approfondimento».
Ma lei non teme che il suo governo tecnico non abbia un cuore, sia poco attento al sociale?
«Non tocca a me dire se abbiamo un cuore buono. Di certo lo abbiamo. Alcune cose aridamente enunciate dimostrano che c´è attenzione al sociale. Perché l´Italia è ridotta un pò male? Perché per decenni i governi hanno avuto troppo cuore, troppo buonismo sociale. Soprattutto prima che arrivasse l´Europa austera a renderci più attenta. Aveva ogni anno un disavanzo pubblico del 7, 8 o 10 per cento. I governi politici erano un cuore esuberante, dicevano: “ma sì questa istanza sociale è giusta, questa rivendicazione è giusta”. La somma delle spese pubbliche annuale era superiore alle somme delle entrate e anno dopo anno il debito pubblico cresceva. La società si appagava della sua generosità verso i deboli. Il debito pubblico gravava su persone che allora non votavano o non erano ancora nate. Sono i giovani di oggi che non trovano lavoro. Nel cuore buono va tenuto presente che più è buono e più le condizioni future graveranno come i l piombo. Anche per questo i giovani non trovano lavoro oggi. Un governo tecnico – termine che non mi piace anche se non è un governo politico, spero sia un governo – ha il compito di spiegare che ciò che sembra sgradevole ha l´intenzione di riequilibrare le cose e di far ripartire la macchina della produzione italiana con attenzione al sociale. A dicembre abbiamo introdotto di fatto una cosa che non abbiamo chiamato patrimoniale per non urtare la sensibilità nella nostra ampia ma potenzialmente evanescente maggioranza. Una parte non gradiva questa impostazione, ma abbiamo introdotto molte imposte sul patrimonio. È giusto avere attenzione all´equità, ma se ci presentassimo con il cuore saremmo più simpatici e faremmo il male dell´Italia e dei giovani».
A proposito di Maggioranza. Come vanno i rapporti con Berlusconi e con il Pdl?
«Il presidente del Pdl si è dimostrato un elemento di stabilità e responsabilità. Il mio compito è fare uscire la politica dall´apnea. Fare dei semilavorati per loro. E poi saranno i partiti ad andare avanti».
Ieri, però, li ha dovuti chiamare a Palazzo Chigi. Come è andata con i segretari?
«Qualcuno di loro mi chiede di mettere a disposizione un po´ di risorse proprio da investire sul sociale. Di farlo ora dopo i decreti salva-Italia e Cresci-Italia. Noi non abbiamo tanti soldi anche se qualcosa faremo. Ma la nostra idea è che si debbano prendere decisioni per cambiare mentalità. Ad esempio sul fisco».
Cioè?
«Io credo che le risorse possano essere recuperate con un sistema fiscale progressivo, abbandonando il sogno della flat tax».
Anche sulla Giustizia cambierete? La norma sulla responsabilità civile sta creando scompiglio nella sua “evanescente” maggioranza.
«Un giornale straniero ha parlato della prima sconfitta del governo. In effetti è così anche se non era una nostra proposta. La mia posizione è quella del ministro Severino. Quella norma va modificata, non servono provvedimenti spot».
Servono riforme complessive?
«Certe misure vanno messe in una riforma strutturale che noi già stiamo facendo. Basti pensare alle carceri e al diritto penale e civile. Ecco, serve una riforma strutturale. Anche se il nostro raggio d´azione non può riguardare tutto».
In che senso?
«Il nostro programma è chiaro. Le questioni etiche, le riforme istituzionali o la legge elettorale, lo ius soli per gli immigrati vanno lasciate al confronto dei partiti in parlamento».
Al Senato proprio la commissione giustizia sta però bloccando le liberalizzazioni?
«Sono molto preoccupato ma vedrete non andrà in quel mondo. Terremo duro».
La sua maggioranza glielo consentirà?
«Penso di sì ma noi dobbiamo sempre tenere presente che bisogna bilanciare il cambio di passo con la tenuta della coalizione che non è politica».
Non è il momento di intervenire sulla Rai?
«Non è stata una priorità fino ad ora, ma adesso lo diventerà. Sicuramente è un problema che non eluderemo. Dobbiamo tenere presente le competenze del governo e del Parlamento. Ma interverremo. Ho già visto il presidente della Rai Garimberti e lo rivedrò».
Nel 2013 si concluderà il lavoro del suo governo. Se, dopo le elezioni i partiti le chiedessero nuovamente un impegno in politica, lei accetterebbe?
«Vorrebbe dire che non ho fatto un buon lavoro. Io devo preparare il terreno per i politici. Vanno bene anche dei semilavorati. Del resto io credo che le cose stiano già cambiando, tutti si accorgono che le cose sono diverse. E io, anche se sono senatore a vita, non ho mai fatto politica».

da la Repubblica

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Il sindacato: “Chi scoraggia gli investimenti è Monti che così suggerisce ai capitali di non investire da noi” , di Giovanna Casadio

La Cgil insorge: “Il premier offende i lavoratori” . I Democratici attaccano sull´articolo 18: affermazioni sorprendenti. Di Pietro: una truffa

ROMA – «Chi scoraggia gli investimenti è Monti suggerendo con le sue affermazioni ai capitali di non investire». La Cgil è sul piede di guerra, ma anche Cisl e Uil sono in fibrillazione. Monti ritiene che in Italia siano troppe le tutele sul lavoro e che tutto ciò renda il mercato stagnate, anzi scoraggi gli investimenti? «Al presidente del Consiglio piacciono gli esempi estremi – contrattacca il sindacato di Susanna Camusso – ma parlare di troppe tutele per chi è “blindato nella sua cittadella”, è non solo sbagliato, non vero, ma anche un po´ offensivo verso quei lavoratori». Un atto d´accusa che Fulvio Fammoni, segretario confederale traduce in una domanda diretta: «Monti conosce la condizione reale del lavoro? In tre anni abbiamo perso centinaia di migliaia di posti».
Le parole del premier sono benzina sul fuoco di scioperi già indetti dalla Fiom (Landini: «L´articolo 18 esca dal tavolo della trattativa»), mentre la minoranza interna della Cgil pensa a uno sciopero generale. Però la piattaforma unitaria del sindacato per ora regge, e mercoledì prossimo i segretari di Cgil, Cisl e Uil, Camusso, Bonanni e Angeletti hanno in programma un incontro, poco prima del tavolo con le imprese. Il tam tam di Fornero e Passera ha preparato il terreno alla svolta sul mercato del lavoro, che Monti ha ormai lanciato. Il clima sociale e politico si surriscalda.
Il Pd frena e avverte che così non va. Bersani ha ribadito che si può essere innovativi sul lavoro senza cancellare l´articolo 18, anche se ritiene sia meglio per il momento lasciare che esca una proposta dal confronto tra governo e parti sociali. Teme l´effetto domino. I partiti insomma facciano un passo indietro. Di Pietro invece accusa: «Le dichiarazioni di Monti sembrano un´intimidazione e una truffa mediatica. Le ragioni della crisi economica e occupazionale in Italia non sono certo causate dall´articolo 18, ma dal fatto che lo Stato ha accumulato quasi duemila miliardi di debito e da una classe politica allo sbando». Casomai le tutele vanno estese – secondo il leader di Idv – non certo tolte. Altolà da Vendola: «Il governo è guidato da un conservatore di destra». E anche il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina taglia corto: «Quelle di Monti sono affermazioni sorprendenti perché infondate». Nelle file democratiche ci sono opinioni divergenti. Cesare Damiano afferma che se il governo non trovasse un accordo con i sindacati, allora si aprirebbe un problema politico in Parlamento, e a Monti: «Sull´articolo 18 sbaglia». Al contrario Piero Ichino è convinto che, se anche non ci fosse condivisione, il governo non debba rinunciare alla riforma del lavoro. I Radicali propongono di procedere pragmaticamente, varando ad esempio una moratoria triennale sull´articolo 18. «Nelle imprese fino a 30 dipendenti», suggeriscono Pannella e De Lucia. Nel centrodestra tutt´altra musica. Brunetta entusiasticamente dichiara: «Togliamo questo tabù che ingessa». Quagliariello rincara: necessarie riforme coraggiose.

da la Repubblica

"Il corpo delle donne, e degli altri", di Franca Fossati

Chi ha qualche anno in più non può averlo dimenticato: il film in cui una giovane e sventata cameriera di un pub viene stuprata da tre uomini incitati con urla e schiamazzi dagli altri avventori. Per quel film (Sotto accusa diretto da Jonathan Kaplan) Jodie Foster meritò l’Oscar. E gli spettatori, anche i più insensibili, riconobbero un vergognoso lato di se stessi e dei propri simili guardando uno stupro di gruppo e la vigliaccheria di quanti, pur non compiendo materialmente la violenza, ne erano partecipi, complici e corresponsabili.
Forse nessuno dei giudici della terza sezione della corte di cassazione ama il cinema e ha visto quel film. Forse nessuno ha mai guardato negli occhi una donna vittima di un “branco” di maschi. Altrimenti non avrebbe potuto equiparare la violenza di gruppo allo stupro individuale. Certo, come dice Giulia Buongiorno, è difficile fare una classifica degli orrori. Ma la giustizia dei tribunali è fatta di aggravanti e di attenuanti e ogni decisione in merito assume una valenza simbolica e culturale.
Per questo, io credo, donne di età e di mondi diversi si sono indignate per la sentenza che lascia decidere al giudice caso per caso se consegnare gli imputati di stupro alla custodia cautelare in carcere o adottare altre misure. La Cassazione si rifà a una precedente decisione della Consulta che attenuava le disposizioni di una legge, scritta sull’onda dello stupro della Caffarella, secondo la quale non potevano esserci arresti domiciliari per gli imputati di reato sessuale.
Vuol dire che lo stupro, per di più di gruppo, vale meno di un delitto di mafia? Questo si chiedono le donne. Vuol dire che i giudici lo considerano un reato minore? Che non capiscono che la violenza sulle donne è un’emergenza sociale come la criminalità organizzata? Su Facebook sono questi i post che si susseguono, mentre si annunciano lettere e petizioni. Loredana Lipperini pubblica sul suo blog il monologo di Franca Rame sullo stupro, quel recital-testimonianza, trasmesso dalla Rai in una puntata di Fantastico nel 1988, che fece emozionare mezza Italia. Anche i giornali non rinunciano alla titolazione a effetto lasciando credere che non ci sia più carcere per gli stupratori, anche se condannati. Infatti, non c’è solo la questione simbolica. Si sta parlando di imputati, di uomini dei quali non è ancora stata processualmente confermata la colpa. Si sta parlando di carcerazione preventiva. Siamo proprio sicure, noi donne soprattutto, di volerla a tutti i costi? Siamo certe che debba essere sempre e comunque la galera a sancire la gravità dell’offesa che abbiamo subito?
Viviamo in un paese dove più di un terzo dei detenuti sono in attesa di giudizio e dove le condizioni di carcerazione sono da tutti definite inumane. Vogliamo davvero che sia obbligatorio per tutti gli imputati di reati sessuali attendere il processo in carcere? Ma, si obietta, non si possono usare due pesi e due misure: se si va in prigione per una qualsiasi rissa fuori da una discoteca, o per qualche grammo di droga, perché dovrebbe beneficiare dei domiciliari chi è accusato di violenza sessuale? Giusto. Ma forse siamo abbastanza forti e mature per chiedere per tutti un uso più saggio del carcere preventivo.
Trent’anni fa, quando ci siamo battute perché la violenza sessuale fosse considerato un reato contro la persona e non, come prevedeva la legge di allora, contro la morale, sostenevamo che non era l’entità della pena che ci interessava. Piuttosto l’affermazione di un principio, di un valore. Quello dell’inviolabilità del nostro corpo. E quindi della nostra psiche, della nostra anima.
Perciò, fatte salve le ragioni della sicurezza, soprattutto da noi dovrebbe venire un grande rispetto per il corpo degli altri. Compresi gli imputati.

da Europa Quotidiano 04.02.12

“Il corpo delle donne, e degli altri”, di Franca Fossati

Chi ha qualche anno in più non può averlo dimenticato: il film in cui una giovane e sventata cameriera di un pub viene stuprata da tre uomini incitati con urla e schiamazzi dagli altri avventori. Per quel film (Sotto accusa diretto da Jonathan Kaplan) Jodie Foster meritò l’Oscar. E gli spettatori, anche i più insensibili, riconobbero un vergognoso lato di se stessi e dei propri simili guardando uno stupro di gruppo e la vigliaccheria di quanti, pur non compiendo materialmente la violenza, ne erano partecipi, complici e corresponsabili.
Forse nessuno dei giudici della terza sezione della corte di cassazione ama il cinema e ha visto quel film. Forse nessuno ha mai guardato negli occhi una donna vittima di un “branco” di maschi. Altrimenti non avrebbe potuto equiparare la violenza di gruppo allo stupro individuale. Certo, come dice Giulia Buongiorno, è difficile fare una classifica degli orrori. Ma la giustizia dei tribunali è fatta di aggravanti e di attenuanti e ogni decisione in merito assume una valenza simbolica e culturale.
Per questo, io credo, donne di età e di mondi diversi si sono indignate per la sentenza che lascia decidere al giudice caso per caso se consegnare gli imputati di stupro alla custodia cautelare in carcere o adottare altre misure. La Cassazione si rifà a una precedente decisione della Consulta che attenuava le disposizioni di una legge, scritta sull’onda dello stupro della Caffarella, secondo la quale non potevano esserci arresti domiciliari per gli imputati di reato sessuale.
Vuol dire che lo stupro, per di più di gruppo, vale meno di un delitto di mafia? Questo si chiedono le donne. Vuol dire che i giudici lo considerano un reato minore? Che non capiscono che la violenza sulle donne è un’emergenza sociale come la criminalità organizzata? Su Facebook sono questi i post che si susseguono, mentre si annunciano lettere e petizioni. Loredana Lipperini pubblica sul suo blog il monologo di Franca Rame sullo stupro, quel recital-testimonianza, trasmesso dalla Rai in una puntata di Fantastico nel 1988, che fece emozionare mezza Italia. Anche i giornali non rinunciano alla titolazione a effetto lasciando credere che non ci sia più carcere per gli stupratori, anche se condannati. Infatti, non c’è solo la questione simbolica. Si sta parlando di imputati, di uomini dei quali non è ancora stata processualmente confermata la colpa. Si sta parlando di carcerazione preventiva. Siamo proprio sicure, noi donne soprattutto, di volerla a tutti i costi? Siamo certe che debba essere sempre e comunque la galera a sancire la gravità dell’offesa che abbiamo subito?
Viviamo in un paese dove più di un terzo dei detenuti sono in attesa di giudizio e dove le condizioni di carcerazione sono da tutti definite inumane. Vogliamo davvero che sia obbligatorio per tutti gli imputati di reati sessuali attendere il processo in carcere? Ma, si obietta, non si possono usare due pesi e due misure: se si va in prigione per una qualsiasi rissa fuori da una discoteca, o per qualche grammo di droga, perché dovrebbe beneficiare dei domiciliari chi è accusato di violenza sessuale? Giusto. Ma forse siamo abbastanza forti e mature per chiedere per tutti un uso più saggio del carcere preventivo.
Trent’anni fa, quando ci siamo battute perché la violenza sessuale fosse considerato un reato contro la persona e non, come prevedeva la legge di allora, contro la morale, sostenevamo che non era l’entità della pena che ci interessava. Piuttosto l’affermazione di un principio, di un valore. Quello dell’inviolabilità del nostro corpo. E quindi della nostra psiche, della nostra anima.
Perciò, fatte salve le ragioni della sicurezza, soprattutto da noi dovrebbe venire un grande rispetto per il corpo degli altri. Compresi gli imputati.

da Europa Quotidiano 04.02.12