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Il Pd sfida il governo «Intesa con i sindacati oppure votiamo no», di Andrea Carugati

Il Pd non ci sta. L’uno-due Monti Fornero sui temi del lavoro ha parecchio irritato i democratici. E se la battuta del premier sul posto fisso viene derubricata appunto ad una battuta da Pierluigi Bersani, l’uscita del ministro del Welfare sulla riforma del lavoro («Andremo avanti anche senza accordo con i sindacati») scatena una sollevazione.
«Per quanto mi riguarda il lavoro stabile può diventare noioso, ma per chi ce l’ha. Per chi non ce l’ha è desiderabile», dice il segretario. «Non inchiodiamo Monti a una battuta», aggiunge. «Non sarà questo a far venire meno la nostra fiducia nel premier». Non tutti hanno voglia di sdrammatizzare: «Una battuta infelice», taglia corto Nicola Zingaretti. «Monti ha detto una sciocchezza», va giù duro Nicola Latorre.
Ma è soprattutto il sinistro annuncio sull’articolo 18 del ministro Fornero ad irritare i democratici. E il seminario su lavoro e precarietà organizzato ieri pomeriggio alla sede Pd del Nazareno da Cesare Damiano e Pierpaolo Baretta diventa uno sfogatoio dei tanti malumori che covano contro il governo dei professori. Il più esplicito è Sergio D’Antoni, non certo un estremista: «Fortuna che c’è il governo Monti che ci ha liberato dalla barbarie di Berlusconi», premette sornione. Poi attacca: «Il dibattito sul posto fisso? Roba di vent’anni fa, per favore finiamola e si parli di cose serie. Il Pd deve difendere la ritrovata unità sindacale, o c’è l’accordo con le parti sociali o sul lavoro non votiamo niente. Visto che Fornero manda segnali, anche i nostri devono essere chiari», chiude l’ex leader Cisl tra gli applausi della platea. D’accordo con lui anche l’ex Cgil Paolo Nerozzi, appena un poco più diplomatici Damiano e Stefano Fassina. Dice il responsabile economico del Pd: «Un testo non condiviso con i sindacati troverà molti problemi in Parlamento». E Damiano: «Questo governo non mi sembra molto portato alla concertazione, e non vorrei che dal dialogo si passasse al monologo. Se dopo aver fatto un atto unilaterale sulle pensioni, ne arrivasse un altro sul lavoro, sorgerebbero molti problemi politici, e in Parlamento la maggioranza potrebbe restringersi…».
FASSINA CONTRO MONTI
Fassina, più prudente sulle conseguenze parlamentari dello stentato avvio della concertazione, picchia duro sul concetto di «apartheid» nel mercato del lavoro evocato mercoledì sera da Monti. «È un termine dell’estremismo neoliberista di destra, una parola violenta e offensiva che parte da un’analisi infondata della realtà». «Chi sarebbero i “segregazionisti bianchi” che impediscono l’ingresso nel mercato del lavoro ai “neri”? Gli operai in cassa integrazione? Perché il ministro Passera non si fa un giro tra i “garantiti” di Eutelia, di Porto Torres, di Termini Imerese?». E ancora: «Il premier conosce bene i mercati delle merci e dei servizi, ma c’è un deficit di conoscenza del mercato del lavoro: qui non si tratta di merci ma di persone». Sull’articolo 18, Fassina è ancora più esplicito: «C’è una strumentalizzazione della condizione giovanile, i precari sono solo la punta dell’iceberg di un mondo del lavoro che in questi anni è regredito nella sua totalità, a partire dai salari dei cosiddetti garantiti». «L’articolo 18 non c’entra nulla, è solo una questione ideologica», insiste. «E se il governo vuole attaccarlo per recuperare competitività nell’area euro riducendo ancora il costo del lavoro almeno abbia il coraggio di dirlo».
Anche Rosi Bindi è molto netta: «Il tempo delle battute e degli annunci è finito per tutti». La ricetta avanzata dal Pd è quella tedesca, come ribadisce D’antoni: «Ammortizzatori universali, partecipazione dei lavoratori alle scelte dell’azienda, uso intelligente del parttime. In questo modo hanno risollevato l’economia dell’ex Ddr».
Anche sul capitolo pensioni il Pd punta i piedi. «Fornero ha detto che la questione è chiusa, per noi non è così», insistono Damiano e Fassina. «E non lo sarà finché ci saranno lavoratori che rischiano di restare nel limbo senza lavoro e senza pensione». L’ex ministro del Lavoro ribadisce il netto no alla proposta Ichino sul contratto unico: «Non ha senso neppure parlare di una distinzione tra chi è già dentro e chi entrando perderebbe l’articolo 18». Mentre Marco Follini si colloca sul fronte opposto: «La nettezza di Monti pone il Pd di fronte ad un bivio. Se la mediazione non si troverà, dovremo comunque prendere una posizione chiara e netta».

L’Unità 03.02.12

"Monti e i tre segretari, nervi saldi e vertice", di Francesco Lo Sardo

«I partiti che sostengono la maggioranza dovrebbero tutti rendersi conto, e sottolineo tutti, che non siamo più al tempo del governo Berlusconi. E che se non ci si muove con saggezza, nelle azioni e nelle reazioni, la maggioranza si farà slabbrare dalla Lega da una parte e di Di Pietro dall’altra e anche il governo ne risentirà. Quello che è avvenuto a Montecitorio nel voto segreto, ma anche dopo il voto segreto, è stato un brutto scossone…». Il sottosegretario del governo Monti che si confida è amareggiato.
Respinge l’accusa di un governo pressappochista e «distratto», che avrebbe sottovalutato che la mina dell’emendamento del maronianissimo Pini (Lega) sulla responsabilità civile diretta dei magistrati, infilato nella legge comunitaria, era stato riammesso nel corso della notte e che occorreva disinnescarlo. «Lo sapevamo e sapevamo anche che era possibile un voto segreto, per via dei precedenti. Abbiamo fatto tutto il possibile: c’era un ordine del giorno della maggioranza, incluso il Pdl, che fissava i paletti condivisi di un provvedimento ad hoc del governo e il ministro Moavero ha confermato in aula che la questione sarebbe stata affrontata “in tempi rapidi” nel quadro di una disciplina organica, ma poi…».
Ma poi? Ma poi accade che nel voto segreto l’emendamento leghista passa con 264 voti contro 211 e il governo – che aveva poco prima deciso di esprimere parere contrario sottovalutandone l’insidia – a quel punto va sotto. All’ombra del voto segreto, irritato dai toni dell’intervento anti-emendamento della finiana Giulia Bongiorno, il gruppo del Pdl insorge e tradisce l’odg: compatto vota con la Lega, si spappola e crolla anche l’Udc e poiché nelle file del Pdl c’è il 32 per cento di assenti, il capogruppo Cicchitto calcola che per arrivare a quota 264 dev’esserci stato anche un robusto soccorso di franchi tiratori del Pd. Idem sostiene Di Pietro.
Bersani respinge l’accusa («Macché voto trasversale…») e il capogruppo Franceschini intima al governo di esigere un «chiarimento» dallo sleale Pdl. Alta tensione, accuse di voler far saltare il governo: è il putiferio alla camera e fuori, con l’Anm che insorge e il ministro della giustizia Paola Severino spiazzato: «Terremo conto del voto», ma «confidiamo in una modifica in seconda lettura al senato».
E infatti, dopo i toni fiammeggianti delle prime ore, un riflessivo Bersani fa capire in serata che si sta già lavorando a rimediare il danno: un ddl o, più probabilmente, un emendamento da presentare in senato, dov’è finita la comunitaria. «Se non corretta – spiegano al Pd – questa norma finirà cassata dalla Consulta, l’emendamento approvato è scritto coi piedi». «Troveremo una soluzione al senato per affrontare in modo serio e organico la questione», promettono le colombe del Pdl. «Riconfermeremo l’emendamento», dicono i falchi.
E Alfano? Ecco: quanto avvenuto, per tornare alle parole dell’anonimo sottosegretario di Monti, rilancia il tema di un «maggiore coordinamento» tra Pdl, Pd Terzo polo. «A noi risulta che Alfano, Bersani e Casini torneranno a vedersi a giorni…», dice l’esponente del governo. Quel che è accaduto è «una lezione» per tutti, non si può «lasciare solo sulle spalle dei capigruppo» la gestione quotidiana di un equilibrio politico «così delicato e complesso» come quello su cui poggia il governo. Altrimenti gli «scossoni» si ripeteranno, col rischio di far saltare il delicato gioco delle geometrie variabili – mettere nel conto di perdere voti su un versante della maggioranza per recuperane dall’altro e viceversa, su questo o su quel provvedimento – su cui ha finora poggiato il governo Monti.

da Europa Quotidiano 03.02.12

“Monti e i tre segretari, nervi saldi e vertice”, di Francesco Lo Sardo

«I partiti che sostengono la maggioranza dovrebbero tutti rendersi conto, e sottolineo tutti, che non siamo più al tempo del governo Berlusconi. E che se non ci si muove con saggezza, nelle azioni e nelle reazioni, la maggioranza si farà slabbrare dalla Lega da una parte e di Di Pietro dall’altra e anche il governo ne risentirà. Quello che è avvenuto a Montecitorio nel voto segreto, ma anche dopo il voto segreto, è stato un brutto scossone…». Il sottosegretario del governo Monti che si confida è amareggiato.
Respinge l’accusa di un governo pressappochista e «distratto», che avrebbe sottovalutato che la mina dell’emendamento del maronianissimo Pini (Lega) sulla responsabilità civile diretta dei magistrati, infilato nella legge comunitaria, era stato riammesso nel corso della notte e che occorreva disinnescarlo. «Lo sapevamo e sapevamo anche che era possibile un voto segreto, per via dei precedenti. Abbiamo fatto tutto il possibile: c’era un ordine del giorno della maggioranza, incluso il Pdl, che fissava i paletti condivisi di un provvedimento ad hoc del governo e il ministro Moavero ha confermato in aula che la questione sarebbe stata affrontata “in tempi rapidi” nel quadro di una disciplina organica, ma poi…».
Ma poi? Ma poi accade che nel voto segreto l’emendamento leghista passa con 264 voti contro 211 e il governo – che aveva poco prima deciso di esprimere parere contrario sottovalutandone l’insidia – a quel punto va sotto. All’ombra del voto segreto, irritato dai toni dell’intervento anti-emendamento della finiana Giulia Bongiorno, il gruppo del Pdl insorge e tradisce l’odg: compatto vota con la Lega, si spappola e crolla anche l’Udc e poiché nelle file del Pdl c’è il 32 per cento di assenti, il capogruppo Cicchitto calcola che per arrivare a quota 264 dev’esserci stato anche un robusto soccorso di franchi tiratori del Pd. Idem sostiene Di Pietro.
Bersani respinge l’accusa («Macché voto trasversale…») e il capogruppo Franceschini intima al governo di esigere un «chiarimento» dallo sleale Pdl. Alta tensione, accuse di voler far saltare il governo: è il putiferio alla camera e fuori, con l’Anm che insorge e il ministro della giustizia Paola Severino spiazzato: «Terremo conto del voto», ma «confidiamo in una modifica in seconda lettura al senato».
E infatti, dopo i toni fiammeggianti delle prime ore, un riflessivo Bersani fa capire in serata che si sta già lavorando a rimediare il danno: un ddl o, più probabilmente, un emendamento da presentare in senato, dov’è finita la comunitaria. «Se non corretta – spiegano al Pd – questa norma finirà cassata dalla Consulta, l’emendamento approvato è scritto coi piedi». «Troveremo una soluzione al senato per affrontare in modo serio e organico la questione», promettono le colombe del Pdl. «Riconfermeremo l’emendamento», dicono i falchi.
E Alfano? Ecco: quanto avvenuto, per tornare alle parole dell’anonimo sottosegretario di Monti, rilancia il tema di un «maggiore coordinamento» tra Pdl, Pd Terzo polo. «A noi risulta che Alfano, Bersani e Casini torneranno a vedersi a giorni…», dice l’esponente del governo. Quel che è accaduto è «una lezione» per tutti, non si può «lasciare solo sulle spalle dei capigruppo» la gestione quotidiana di un equilibrio politico «così delicato e complesso» come quello su cui poggia il governo. Altrimenti gli «scossoni» si ripeteranno, col rischio di far saltare il delicato gioco delle geometrie variabili – mettere nel conto di perdere voti su un versante della maggioranza per recuperane dall’altro e viceversa, su questo o su quel provvedimento – su cui ha finora poggiato il governo Monti.

da Europa Quotidiano 03.02.12

"Raddoppia l´Europa senza posto fisso. Italia più precaria degli altri con i cococo", di Luisa Grion

Un esercito di precari nell´Europa a 27: dal 2003 al 2010 i lavoratori a scadenza sono passati, dati Eurostat, da 63 a 124 milioni. Un raddoppio in soli sette anni. La disoccupazione, nello stesso periodo ha raggiunto il tetto record dei 16,5 milioni (una quota pari alla popolazione dell´intera Olanda). Le statistiche europee tengono conto solo di tre tipologie di precariato (lavoro a tempo determinato, part time e lavoro parasubordinato) e nella classifica così costruita l´Italia rispecchia la media. Ma se alle tre forme considerate si aggiunge la miriade di altre possibilità di lavoro flessibile (co.co.pro in primis) presenti nel nostro Paese ecco che il precariato nazionale passa dal 12,8 al 17,2 per cento. I ragazzi italiani sono penalizzati riguardo ai tempi d´attesa per trovare un posto a tempo indeterminato dopo la fine degli studi: qui ci vogliono quasi 4 anni, in Germania ne bastano meno di 3. Solo portoghesi e spagnoli aspettano di più. E il 70 per cento delle nuove assunzioni sono a scadenza. Per Claudio Treves e Walter Cerfeda della Cgil questi sono decisi segnali di decadenza del Paese. «Il nostro precariato è più frammentato e ci porta ad una maggiore dequalificazione del lavoro» commentano. «E ciò spiega il crescente livello delle diseguaglianze sociali».
Da noi si aspettano quasi quattro anni prima di trovare un´occupazione non a termine. Peggio solo Madrid e LisbonaIn sette anni i lavoratori europei parasubordinati e a tempo determinato sono passati da 63 a 124 milioni.

La Repubblica 03.02.12

“Raddoppia l´Europa senza posto fisso. Italia più precaria degli altri con i cococo”, di Luisa Grion

Un esercito di precari nell´Europa a 27: dal 2003 al 2010 i lavoratori a scadenza sono passati, dati Eurostat, da 63 a 124 milioni. Un raddoppio in soli sette anni. La disoccupazione, nello stesso periodo ha raggiunto il tetto record dei 16,5 milioni (una quota pari alla popolazione dell´intera Olanda). Le statistiche europee tengono conto solo di tre tipologie di precariato (lavoro a tempo determinato, part time e lavoro parasubordinato) e nella classifica così costruita l´Italia rispecchia la media. Ma se alle tre forme considerate si aggiunge la miriade di altre possibilità di lavoro flessibile (co.co.pro in primis) presenti nel nostro Paese ecco che il precariato nazionale passa dal 12,8 al 17,2 per cento. I ragazzi italiani sono penalizzati riguardo ai tempi d´attesa per trovare un posto a tempo indeterminato dopo la fine degli studi: qui ci vogliono quasi 4 anni, in Germania ne bastano meno di 3. Solo portoghesi e spagnoli aspettano di più. E il 70 per cento delle nuove assunzioni sono a scadenza. Per Claudio Treves e Walter Cerfeda della Cgil questi sono decisi segnali di decadenza del Paese. «Il nostro precariato è più frammentato e ci porta ad una maggiore dequalificazione del lavoro» commentano. «E ciò spiega il crescente livello delle diseguaglianze sociali».
Da noi si aspettano quasi quattro anni prima di trovare un´occupazione non a termine. Peggio solo Madrid e LisbonaIn sette anni i lavoratori europei parasubordinati e a tempo determinato sono passati da 63 a 124 milioni.

La Repubblica 03.02.12

"Ora il PD reagisca", di Alfredo Reichlin

Che cosa aspetta il Pd ad aprire con la gente un dialogo più alto e più serio sulla crisi della politica? La crisi è molto grave. I corrotti ci sono, ma la classe politica non è una banda di ladri. Perciò va benissimo espellere le «mele marce» e deferire gli indagati alla commissione di garanzia. Ma ha ragione l’Unità. La discussione che a noi spetta aprire deve riguardare il problema del perché la crisi sia così profonda e rischia di sfociare nel dramma di una democrazia malata e impotente. E quindi deve riguardare il problema della sua riforma. Questo è il nostro compito e il nostro dovere. Non possiamo più accettare che di noi si parli solo per dire che il Pd «non esiste», «non parla», «non sa cosa vuole». Altroché se esiste.
Con tutti i suoi limiti esso rappresenta (forse per caso?) il solo perno solido dell’operazione «salva Italia». Io ne ho viste tante nella mia lunga vita. Ma non ricordo una guerra feroce come questa. Sento che la democrazia è in pericolo. Intendendo per democrazia, ciò che consenta alla gente non solo di votare e di vedere i dibattiti in tv,ma di partecipare alla vita statale attraverso i suoi organismi intermedi, i suoi partiti. Perciò è così importante riformare i partiti e cacciare i corrotti. Ma bisogna anche sapere a che gioco si sta giocando. La posta è altissima. Cosa c’è dopo il governo Monti? Si può affermare una nuova classe dirigente o, sia pure in forme nuove, resta l’Italia di sempre? I poveracci pagheranno il conto e restano al comando quelle forze, quei mondi e quei poteri forti responsabili di aver consegnato l’Italia a Berlusconi e che in tutti questi anni gli hanno consentito di ridurla in queste condizioni: un paese sull’orlo della catastrofe, reso impotente di fronte ai saccheggi dell’oligarchia finanziaria e per di più irriso in tutta Europa e nel mondo. Qui sta il cuore dello scontro. Adesso nessuno può più negare la gravità della crisi. Il problema allora diventa quello di contro chi indirizzare la protesta. Contro la sinistra? Fino a un certo punto. Del resto chi è più di sinistra di Tremonti? In realtà contro il Pd. Cioè contro quella forza che, con tutti i suoi limiti, è la sola che potrebbe prendere realmente in mano la guida del Paese e riformarlo rendendolo più giusto. Avverto subito che non sto cercando giustificazioni per il mio partito. Anzi. Io penso che noi stiamo sottovalutando il peso e la gravità di ciò che accade. Non mi consolano i buonisondaggi. Al di là di essi esiste – altroché – un problema enorme di distacco della gente dalla democrazia dei partiti.Ma forse non ci rendiamo conto che non si tratta del solito, vecchio anarchismo italiano. C’è ben altro. C’è un grande vuoto. C’è la debolezza di una risposta democratica ai nuovi, grandi interrogativi, perfino esistenziali, posti da quella che non è solo una crisi dell’economia ma un passaggio della storia mondiale. Si è rotto un ordine, ed è per questo che il vecchio sistema politico non solo non regge più ma non tornerà più. Ma è esattamente qui che sta la necessità di un nuovo partito come il Pd, più largo della vecchia sinistra ma che sia capace di collocarsi all’altezza del nuovo livello dei problemi. Quel livello in cui la lotta politica interna non si distingue più da quella estera e che un partito nazionale diventa parte integrante delle forze europee che vogliono restituire all’Europa e alla sua civiltà un ruolo globale. Così da poter finalmente lottare ad armi pari contro lo strapotere delle oligarchie. Perciò è così grave e insidioso l’argomento ripetuto in modo ossessivo che i partiti sono tutti uguali. Non è vero affatto, e non solo per ragioni morali. Ma rispondiamo, perbacco, con le rime. Domandiamoci quali problemi e quali pensieri occupano le menti delle nuove generazioni. Io penso che ha ragione Vendola quando parla della necessità di una nuova «narrazione». Quella che lui propone non va bene ma il problema è questo. Si è aperto un enorme problema non soltanto economico ma di legittimità anche morale per un sistema come questo in cui l’economia di carta si mangia l’economia reale. Dietro i travagli dell’euro c’è la rottura del patto sociale tra il capitalismo industriale e la democrazia che ha garantito per quasi un secolo il progresso dell’Europa moderna. Esattamente questo è il cuore del problema: mettere in campo una nuova soggettività politica e culturale che abbia la forza di misurarsi con l’oligarchia non in nome di una inesistente rivoluzione proletaria ma di un nuovo patto democratico e sociale. Di qui la mia ostinata battaglia in difesa del Pd. Da un lato io non mi nascondo affatto la debolezza di un partito ancora appesantito da una vecchia idea della politica essenzialmente dall’alto e molto ristretta dentro i vecchi canali notabilari (candidati, elezioni, luoghi istituzionali, ecc.). E sostengo la necessità per il Pd di occupare un terreno di battaglie più ampio, che è il terreno delle nuove idee da contrapporre alla forza vera dell’avversario. La quale nel mondo attuale sta soprattutto in quella estremaconcentrazione della ricchezza immateriale
che consiste nel controllo delle coscienze. Nella capacità di imporre una visione della realtà come strumento di direzione di una società atomizzata. Ma è proprio questa analisi delle cose che mi spinge non solo al sostegno ma alla militanza in un partito come questo. L’orgoglio di unmilitante che sa benissimo che la politica è in crisi e che in molte zone è anche corrotta.Ma sa quanto ha pesato, e pesa tuttora, il fatto che i grandi poteri sono altrove, ben oltre i confini di Montecitorio, e conosco il peso dell’intreccio politica-affari e la assoluta necessità di un sistema mediatico più libero che parta dai fatti e che fornisca non solo opinioni (peraltro tutte uguali) ma informazioni vere. Bersani fu trattato come un poveretto perché negli anni di Berlusconi cercava di dire alla tv che l’economia stava andando a rotoli e che questo dato era preoccupante almeno quanto le notti del Cavaliere. Poi tutti, due mesi fa, hanno scoperto lo «spread». Ma io vorrei soprattutto insistere sulla ragione principale della crisi della politica, la quale sta nel fatto che il lavoro umano è stato emarginato e che è stata avvilita la sua stessa funzione sociale. Qui sta
la spiegazione di tante cose essendo il lavoro (non dimentichiamolo) il garante dei diritti politici e civili di tutti. La base dello Stato democratico.

L’Unità 03.02.12

“Ora il PD reagisca”, di Alfredo Reichlin

Che cosa aspetta il Pd ad aprire con la gente un dialogo più alto e più serio sulla crisi della politica? La crisi è molto grave. I corrotti ci sono, ma la classe politica non è una banda di ladri. Perciò va benissimo espellere le «mele marce» e deferire gli indagati alla commissione di garanzia. Ma ha ragione l’Unità. La discussione che a noi spetta aprire deve riguardare il problema del perché la crisi sia così profonda e rischia di sfociare nel dramma di una democrazia malata e impotente. E quindi deve riguardare il problema della sua riforma. Questo è il nostro compito e il nostro dovere. Non possiamo più accettare che di noi si parli solo per dire che il Pd «non esiste», «non parla», «non sa cosa vuole». Altroché se esiste.
Con tutti i suoi limiti esso rappresenta (forse per caso?) il solo perno solido dell’operazione «salva Italia». Io ne ho viste tante nella mia lunga vita. Ma non ricordo una guerra feroce come questa. Sento che la democrazia è in pericolo. Intendendo per democrazia, ciò che consenta alla gente non solo di votare e di vedere i dibattiti in tv,ma di partecipare alla vita statale attraverso i suoi organismi intermedi, i suoi partiti. Perciò è così importante riformare i partiti e cacciare i corrotti. Ma bisogna anche sapere a che gioco si sta giocando. La posta è altissima. Cosa c’è dopo il governo Monti? Si può affermare una nuova classe dirigente o, sia pure in forme nuove, resta l’Italia di sempre? I poveracci pagheranno il conto e restano al comando quelle forze, quei mondi e quei poteri forti responsabili di aver consegnato l’Italia a Berlusconi e che in tutti questi anni gli hanno consentito di ridurla in queste condizioni: un paese sull’orlo della catastrofe, reso impotente di fronte ai saccheggi dell’oligarchia finanziaria e per di più irriso in tutta Europa e nel mondo. Qui sta il cuore dello scontro. Adesso nessuno può più negare la gravità della crisi. Il problema allora diventa quello di contro chi indirizzare la protesta. Contro la sinistra? Fino a un certo punto. Del resto chi è più di sinistra di Tremonti? In realtà contro il Pd. Cioè contro quella forza che, con tutti i suoi limiti, è la sola che potrebbe prendere realmente in mano la guida del Paese e riformarlo rendendolo più giusto. Avverto subito che non sto cercando giustificazioni per il mio partito. Anzi. Io penso che noi stiamo sottovalutando il peso e la gravità di ciò che accade. Non mi consolano i buonisondaggi. Al di là di essi esiste – altroché – un problema enorme di distacco della gente dalla democrazia dei partiti.Ma forse non ci rendiamo conto che non si tratta del solito, vecchio anarchismo italiano. C’è ben altro. C’è un grande vuoto. C’è la debolezza di una risposta democratica ai nuovi, grandi interrogativi, perfino esistenziali, posti da quella che non è solo una crisi dell’economia ma un passaggio della storia mondiale. Si è rotto un ordine, ed è per questo che il vecchio sistema politico non solo non regge più ma non tornerà più. Ma è esattamente qui che sta la necessità di un nuovo partito come il Pd, più largo della vecchia sinistra ma che sia capace di collocarsi all’altezza del nuovo livello dei problemi. Quel livello in cui la lotta politica interna non si distingue più da quella estera e che un partito nazionale diventa parte integrante delle forze europee che vogliono restituire all’Europa e alla sua civiltà un ruolo globale. Così da poter finalmente lottare ad armi pari contro lo strapotere delle oligarchie. Perciò è così grave e insidioso l’argomento ripetuto in modo ossessivo che i partiti sono tutti uguali. Non è vero affatto, e non solo per ragioni morali. Ma rispondiamo, perbacco, con le rime. Domandiamoci quali problemi e quali pensieri occupano le menti delle nuove generazioni. Io penso che ha ragione Vendola quando parla della necessità di una nuova «narrazione». Quella che lui propone non va bene ma il problema è questo. Si è aperto un enorme problema non soltanto economico ma di legittimità anche morale per un sistema come questo in cui l’economia di carta si mangia l’economia reale. Dietro i travagli dell’euro c’è la rottura del patto sociale tra il capitalismo industriale e la democrazia che ha garantito per quasi un secolo il progresso dell’Europa moderna. Esattamente questo è il cuore del problema: mettere in campo una nuova soggettività politica e culturale che abbia la forza di misurarsi con l’oligarchia non in nome di una inesistente rivoluzione proletaria ma di un nuovo patto democratico e sociale. Di qui la mia ostinata battaglia in difesa del Pd. Da un lato io non mi nascondo affatto la debolezza di un partito ancora appesantito da una vecchia idea della politica essenzialmente dall’alto e molto ristretta dentro i vecchi canali notabilari (candidati, elezioni, luoghi istituzionali, ecc.). E sostengo la necessità per il Pd di occupare un terreno di battaglie più ampio, che è il terreno delle nuove idee da contrapporre alla forza vera dell’avversario. La quale nel mondo attuale sta soprattutto in quella estremaconcentrazione della ricchezza immateriale
che consiste nel controllo delle coscienze. Nella capacità di imporre una visione della realtà come strumento di direzione di una società atomizzata. Ma è proprio questa analisi delle cose che mi spinge non solo al sostegno ma alla militanza in un partito come questo. L’orgoglio di unmilitante che sa benissimo che la politica è in crisi e che in molte zone è anche corrotta.Ma sa quanto ha pesato, e pesa tuttora, il fatto che i grandi poteri sono altrove, ben oltre i confini di Montecitorio, e conosco il peso dell’intreccio politica-affari e la assoluta necessità di un sistema mediatico più libero che parta dai fatti e che fornisca non solo opinioni (peraltro tutte uguali) ma informazioni vere. Bersani fu trattato come un poveretto perché negli anni di Berlusconi cercava di dire alla tv che l’economia stava andando a rotoli e che questo dato era preoccupante almeno quanto le notti del Cavaliere. Poi tutti, due mesi fa, hanno scoperto lo «spread». Ma io vorrei soprattutto insistere sulla ragione principale della crisi della politica, la quale sta nel fatto che il lavoro umano è stato emarginato e che è stata avvilita la sua stessa funzione sociale. Qui sta
la spiegazione di tante cose essendo il lavoro (non dimentichiamolo) il garante dei diritti politici e civili di tutti. La base dello Stato democratico.

L’Unità 03.02.12