Latest Posts

"Il dramma sociale della disuguaglianza" di Massimo Riva

A stretto giro di posta dall´indagine di Bankitalia sul precipizio dei bilanci familiari nel 2010, ecco l´Istat fornire con le sue cifre inconfutabili la spiegazione principale dell´impoverimento progressivo di cui soffre una quantità sempre maggiore di italiani. Il dato cruciale sta nella forbice fra aumento dei salari e crescita dell´inflazione.

La paga oraria ha avuto un incremento dell´1,4 per cento su base annua, mentre i prezzi sono saliti del 3,3. Così segnando uno spread micidiale di quasi due punti percentuali (1,9 per l´esattezza) che non si registrava da diciassette anni a questa parte.
Fra le cause di questo differenziale l´Istat mette in primo piano i ritardi coi quali da tempo si arriva al rinnovo dei contratti collettivi di lavoro: mediamente ormai più di due anni dalla scadenza stabilita. Non dice, viceversa, perché la corsa dei prezzi sta riprendendo fiato nonostante il rallentamento dei consumi. Ma forse non è poi così difficile spiegare l´andamento dell´inflazione. Da un lato, l´Italia è da mesi nuovamente esposta sul suo fronte più vulnerabile: quello dei rincari petroliferi che, attraverso benzina e gasolio, si trasmettono a tutto il sistema. Dall´altro lato, il paese continua a dover fare i suoi conti (in perdita) con quella frattura economico-sociale di fondo che separa le categorie deboli e indifese per lo più del lavoro dipendente da quelle del lavoro autonomo in grado di tutelare il proprio potere d´acquisto con acconci aumenti delle proprie fatture.
Si ha così l´ennesima certificazione che in Italia la diseguaglianza economica e reddituale fra cittadini è in costante crescita con l´ulteriore effetto di aver bloccato quell´ascensore sociale che dagli anni del dopoguerra aveva – in certe fasi anche brillantemente – funzionato integrando nella vita della comunità le classi più diseredate. Con la crisi esplosa nel 2008 è cominciata in proposito una lenta ma progressiva marcia indietro: i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri, mentre arretra senza freni quella classe media che dovrebbe essere il luogo di amalgama e di pacificazione dei conflitti sociali.
Occorre fare molta attenzione a questa perversa distribuzione del reddito perché è su questo terreno che si giocano le carte decisive nella partita per il rilancio della crescita economica.
Si sta, infatti, realizzando quel classico modello di ingorgo malthusiano che in genere precede le fasi di depressione. Quando le ricchezze si concentrano in poche mani e la gran parte della società viene sospinta su livelli di penuria, si inaridisce quella linfa vitale di sostegno alle attività economiche che è la domanda per consumi. E ciò perché chi ha troppi soldi per quanto spenda tende inesorabilmente a impiegare la parte maggiore del suo denaro soprattutto in speculazioni finanziarie che poco o nulla hanno a che vedere con il rilancio degli investimenti produttivi di ricchezze reali oltre che di posti di lavoro. Come ammoniva, appunto, il bistrattato reverendo inglese quasi duecento anni prima di quel che è accaduto e sta ancora accadendo oggi sotto i nostri occhi.
Nel tornante attuale la questione salariale acquista più che mai, quindi, una connotazione che non ha senso ridurre soltanto a un problema di pur evidente giustizia sociale. Se non si mettono più soldi nelle tasche di coloro che aspettano soltanto di poterli spendere per avere un livello di vita meno indecente, non c´è speranza di riavviare quel circuito consumi-investimenti – occupazione che è la chiave di volta per rimettere in moto l´economia a vantaggio dell´intera collettività. Il successo della “fase due” del governo Monti – quella della crescita – passa inevitabilmente sulla forzatura di questo varco difficile ma non impossibile. E l´arma decisiva non può essere che quella di un Fisco stavolta forte coi forti e debole coi deboli (quelli veri).

da La Repubblica del 27 gennaio 2012

******

“Divario salari-prezzi al record dal 1995 le retribuzioni sono ai minimi da 12 anni”, di VALENTINA CONTE

Gli italiani lavorano sempre di più solo per coprire le spese base: casa, auto, bollette e alimentari Nel 2011 aumenti medi in busta paga all´1,8%. Nello stesso periodo il costo della vita è cresciuto del 2,8%

Salari che crescono poco. Prezzi che crescono troppo. E lo “spread” che si allarga fino ad arrivare ai livelli degli anni ´90 quando c´era la lira, l´Italia rischiava il default, i conti erano disastrati e le manovre “lacrime e sangue” mettevano le mani nelle tasche (e nei conti correnti) degli italiani. Situazione non così lontana dall´Italia di oggi che l´Eurispes ritrae come un Paese “depresso”.
Divario record
Buste paga sempre più povere e inflazione galoppante ci riportano dunque indietro di tre lustri. E´ tutto nei numeri diffusi ieri dall´Istat. Nel mese di dicembre le retribuzioni, ferme rispetto a novembre, salgono solo dell´1,4% rispetto allo stesso mese del 2010, più che doppiate dai prezzi (+3,3%), la distanza maggiore dall´agosto del 1995. La musica non cambia se si considera l´intero anno: in tutto il 2011 i salari aumentano di appena l´1,8% sul 2010, mai così poco dagli albori del Giubileo (1999), mentre l´inflazione beatamente si impenna del 2,8%, segnando anche in questo caso uno scarto record tra salari-prezzi, più forte di quello registrato nel 1995.
Potere d´acquisto ai minimi
Cosa significa tutto questo? Quale impatto sulla vita di tutti i giorni? Innanzitutto, una forte erosione di potere d´acquisto e dunque la possibilità di comprare meno cose con lo stesso stipendio. Come conseguenza, consumi ancora più depressi, Pil ancora più basso, ammontare di debito pubblico più difficile da scalfire. «L´inflazione è molto elevata per la forte componente energetica. E´ questo che genera la forbice. E in un anno di recessione, come il 2012, mi aspetto che le retribuzioni crescano ancora meno», spiega Luigi Guiso, economista e docente allo European University Institute di Firenze. «Ma attenzione. Il paragone con il 1995 regge fino a un certo punto. In comune c´è la forte inflazione determinata da uno shock esterno: lì dovuta alla svalutazione del cambio (che però ci aiutava nelle esportazioni), ora tassa occulta pagata ai Paesi produttori di petrolio. Ma nel 1995 uscivamo da una grave crisi, già avviati verso la ripresa. Qui usciamo dalla stagnazione per rituffarci nella recessione. Le imprese chiudono e licenziano. Salari e consumi fermi. Una situazione meglio assimilabile alla fine degli anni ´70, allo shock energetico».
Salari troppo bassi
Negli ultimi sedici anni, in realtà lo “spread” retribuzioni-prezzi ha colpito poco. Solo nei primi anni duemila (dal 2000 al 2003) la forbice si è invertita a sfavore dei lavoratori, ma di pochi decimali di punto. Grazie all´euro, l´inflazione è stata domata e le buste paga in media sono cresciute del 3% e dunque il potere d´acquisto preservato, seppur senza sfarzo. Poi la crisi ha cambiato tutto e ci ha riportati al 1995, quando i prezzi correvano del 5,4%, ben più dei salari. Anno che ora addirittura superiamo. Non sono i prezzi oggi, quindi, a decidere la partita. Quanto gli stipendi sempre più bassi. Che giustificano l´indicatore della fiducia dei consumatori stabile a 91,6 a gennaio (come dicembre), il valore più basso dal 1996.
Esempi
La Cgia di Mestre ha confrontato due anni chiave (1995 e 2011) per valutare l´impatto del “costo della vita” sulle decisioni di spesa degli italiani, ovvero quanti giorni o mensilità di reddito occorrono per comprare le “cose”. Il risultato (vedi grafico in pagina) è abbastanza confortante per quanto riguarda il carrello della spesa, le bollette, abbigliamento e calzature, istruzione. Meno su altre voci. Ad esempio nel 2011 occorrono 5,3 paghe mensili in media per acquistare un´utilitaria contro le 4,8 nel 1995. Mentre servono 80 mensilità, quasi sette anni, rispetto alle 55 degli anni Novanta per un appartamento di circa 90 metri quadri.

da la Repubblica

On. Ghizzoni “La memoria, una risorsa per il futuro”

La visita di quei luoghi tramanda la memoria anche dopo la scomparsa dei testimoni
Mentre i ragazzi sul treno della memoria si muovono tra le testimonianze dell’orrore, non sempre chi rimane a casa ha coscienza dell’importanza del perpetuarsi del racconto e del ricordo. Una riflessione della parlamentare del Pd Manuela Ghizzoni in occasione della Giornata della memoria 2012

Oggi, nel Giorno della memoria, centinaia di studenti modenesi entrano nel vivo del viaggio promosso dalla Fondazione Fossoli ad Auschwitz e si apprestano a varcare i cancelli del campo di sterminio. Chi ha visto i ragazzi partire nelle diverse edizioni del Treno per Auschwitz ha scorto nei loro sguardi schietti, ogni volta, un misto di angoscia e attesa. Leggi…

"Shoa, ricordare è un atto di giustizia, anche per noi stessi", intervento di Francesco Profumo

Cento iniziative contro il negazionismo e oblio sulla Shoah.

Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre». Per spiegare il senso e la valenza della Giornata della memoria bastano queste poche parole di un grande italiano e grande scrittore scomparso 25 anni fa, Primo Levi. Mai più! È questo il grido che si leva nelle nostre coscienze ogniqualvolta guardiamo le immagini, leggiamo i resoconti, o studiamo i testi storici che riguardano l’Olocausto. La Shoah rappresenta uno spartiacque non solo per ilXX secolo,maper l’intera storia dell’umanità. Un evento senza precedenti, in cui una società complessa, dominata da un’ideologia crudele e senza senso, ha utilizzato le sue competenze tecnologiche e le sue infrastrutture per un’azione sistematica di distruzione e di annientamento di un’intera civiltà. Il solenne «che non avvenga mai più», esprime dunque un nobile sentimento che però non deve in alcun modo restare una mera enunciazione di maniera. Perché non sia tale, deve essere sostenuto dall’impegno costante di tutti noi contro la cultura dell’intolleranza, del razzismo e dell’antisemitismo in ogni loro forma.

Ciò è possibile soltanto coltivando la memoria storica e collettiva, senza scorciatoie o tentennamenti. La cultura della verità e della memoria devono quindi diventare patrimonio comune, e non c’è luogo migliore della scuola perché ai nostri giovani venga impartita la formazione e l’educazione alla cittadinanza, nel rispetto delle culture e delle differenze. Se i nostri ragazzi e le nostre ragazze diventeranno ottimi professionisti, ma scadenti cittadini, allora avremo fallito i nostri obiettivi. Abbiamo invece bisogno di cittadini consapevoli, liberi di discernere e capaci di ribellarsi a quella che Hannah Arendt chiamava la «banalità del Male».

Per questo il ministero dell’Istruzione è impegnato da anni in un piano nazionale di interventi rivolti a studenti e docenti, per promuovere la memoria della Shoah. Per questo il mio primo viaggio all’estero, da ministro, è stato ad Auschwitz con 180 ragazze e ragazzi di tutta Italia, accompagnati dall’Ucei e da due sopravvissuti: Tatiana Bucci e Sami Modiano. Il nostro viaggio della memoria è stato un’esperienza di valore culturale pedagogico eccezionale, una lezione per tutti, di quelle che non si imparano né si insegnano sui banchi di scuola. La risposta migliore, la speranza più grande, è stata l’assordante silenzio dei giovani in ascolto di Sami davanti al Krematorium, nella distesa di neve e orrore del campo di Auschwitz. Guardando loro, oltre che dentro di noi, si capisce perché la memoria del dramma della Shoah sia un atto di giustizia e verità: verso le vittime, certo, ma anche verso noi stessi. In questa prospettiva, siamochiamati quotidianamente a promuovere la conoscenza della storia del Novecento e a coltivare la memoria fra le nuove generazioni. Senza attendere il 27 gennaio.

da www.unita.it

Ma l'Olocausto non è misura di tutte le cose", di Abraham B. Yehoshua

Abraham Yehoshua riceve oggi alla Scuola Normale Superiore di Pisa il diploma di Perfezionamento honoris causa in Letteratura contemporanea. Nell’occasione pronuncerà una lectio (rielaborazione del suo Elogio della normalità , ed. Giuntina), di cui qui anticipiamo uno stralcio.

Pur caricandoci di un grande peso, l’Olocausto ci pone di fronte a delle sfide chiare. Come figli delle vittime, ci incombe l’obbligo di enunciare al mondo alcuni insegnamenti fondamentali.

Il primo è la profonda repulsione per il razzismo e per il nazionalismo. Abbiamo visto sulle nostre carni il prezzo del razzismo e del nazionalismo estremisti, e perciò dobbiamo respingere queste manifestazioni non solo per quanto riguarda il passato e noi stessi, ma per ogni luogo e ogni popolo. Dobbiamo portare la bandiera dell’opposizione al razzismo in tutte le sue forme e manifestazioni. Il nazismo non è una manifestazione solamente tedesca ma più generalmente umana, di fronte a cui nessun popolo, e insisto, nessun popolo è immune. […]

Ma gli anni che sono passati da allora ci provano purtroppo che manifestazioni naziste sono possibili anche tra altri popoli. Gli orrori presenti non hanno toccato i vertici della seconda guerra mondiale, ma gli avvenimenti del Biafra, del Bangladesh o della Cambogia non sono poi così lontani dalla violenza del massacro nazista.

Noi, in quanto vittime del microbo nazista, dobbiamo essere portatori degli anticorpi di questa malattia tremenda, da cui ogni popolo può essere affetto. E in quanto portatori di anticorpi dobbiamo anzitutto curare il rapporto con noi stessi.

Dobbiamo inoltre fare attenzione a non perdere il senso della misura, e a non misurare tutto in rapporto all’Olocausto. Poiché dietro di noi c’è una sofferenza così terribile, potremmo essere indifferenti a ogni sofferenza meno violenta della nostra. Chi ha molto sofferto può non rendersi conto del dolore degli altri, e questo è un comportamento del tutto naturale. Come alfieri dell’antinazismo dobbiamo acuire la nostra sensibilità, e non diminuirla. Perché dobbiamo ricordarci che il fatto di essere stati vittime non è sufficiente per conferirci uno status morale. La vittima non diventa morale in quanto vittima. L’Olocausto, al di là delle azioni turpi nei nostri confronti, non ci ha dato un diploma di eterna rettitudine. Ha reso immorali gli assassini, ma non ha reso morali le vittime. Per essere morale bisogna compiere degli atti morali; e per questo affrontiamo degli esami quotidiani.

Ho già detto che l’Olocausto può condurre l’uomo a un atteggiamento di disperazione nei confronti del mondo. È del tutto naturale non avere fiducia nell’uomo e nei suoi atti dopo un’esperienza del genere. Noi, figli delle vittime, possiamo esprimere la nostra delusione con un vigore raddoppiato. Ma dobbiamo ricordare che la sfiducia nel mondo è proprio un atteggiamento tipico del nazismo. Il nazismo è nato anch’esso dalla sensazione che il mondo è nella sua essenza privo di valori, che non si può sperare nulla di buono dall’uomo, e che gli unici valori che hanno un peso sono la forza e l’astuzia. Chi, in seguito all’esperienza dell’Olocausto, arriva a una conclusione nichilista, dà paradossalmente ragione alle tesi naziste. Non è cosa facile nutrire speranza e fiducia nell’uomo dopo l’Olocausto, ma se vogliamo essere coerenti nel nostro antinazismo dobbiamo fare nostra questa sfida.

Quando esaminiamo quello che è avvenuto e ci domandiamo meravigliati come sia potuto avvenire, siamo costretti a riconoscere quanto scarsa e povera fosse la nostra conoscenza delle atrocità durante la guerra. Ci chiediamo spesso come sia stato possibile che una parte consistente del popolo (compresa la colonia ebraica in terra di Israele) fosse all’oscuro di quanto avveniva nell’Europa occupata. E se avessimo saputo quello che avveniva laggiù, forse avremmo potuto essere più utili. Il problema della chiusura dei canali di comunicazione non è solo un problema oggettivo di una situazione imposta da un ferreo regime totalitario, preoccupato di nascondere le proprie atrocità agli occhi del mondo: la chiusura di questi canali ha anche origine da un rifiuto interno di sapere quello che avviene, il rifiuto di scavare dietro ogni briciola di notizia che potrebbe fornire un quadro più chiaro degli avvenimenti. L’importanza della comunicazione umana, l’apertura dei canali di comunicazione, lo sviluppo della stampa e di altri mezzi di comunicazione, sono uno degli insegnamenti chiari di quel periodo. E mi pare che il mondo dopo l’Olocausto, il mondo occidentale, lo abbia capito bene, e cerchi per quanto è possibile di assicurare una situazione in cui l’occultamento e la soppressione delle notizie non siano più possibili. […]

E per finire, l’esperienza dell’Olocausto in quanto esperienza prettamente ebraica ha un significato perenne per tutta l’umanità. Anche tra molti anni si continuerà a studiare quel periodo, perché gli eventi di quella guerra tremenda hanno esteso il concetto di uomo, il ventaglio delle sue possibilità. Quella guerra ci ha insegnato cose che non conoscevamo sulla natura dell’uomo. Il concetto di uomo non è più lo stesso di prima, nel bene e nel male. Riusciamo a capire meglio l’uomo, dopo l’Olocausto. E’ vero, abbiamo sempre saputo che l’uomo è capace di compiere il male più efferato e il bene più straordinario; ma nonostante questo l’Olocausto ci ha svelato un nuovo abisso di male a cui l’uomo può giungere, ma anche la forza della sua resistenza. Degli scheletri ambulanti nei campi di concentramento, che da un punto di vista biologico dovevano quasi considerarsi come morti, davano ancora delle prove di moralità, dividendo con gli altri l’ultimo pezzo di pane che restava.

Dalla disperazione più tremenda può perciò nascere anche la speranza. Noi che siamo stati lì, e che ne siamo usciti, possiamo e secondo me dobbiamo alzare il vessillo della fede nell’uomo.

da La Stampa

"Auschwitz l'antidoto è il silenzio", di Elena Loewenthal

Una palestra di Dubai che, per rendere convincente la promessa di addio alle calorie, usa per la sua campagna pubblicitaria una gigantografia dell’ingresso di Auschwitz. Degli ultraortodossi indignati con il governo israeliano e dei loro concittadini indignati vuoi con la polizia vuoi con gli avversari politici, che si battono a suon di stelle gialle appuntate sul petto ed esclamazioni «nazista!» elargite un po’ qua e un po’ là. Stelle gialle, ancora, usate da islamici di Svizzera per protestare contro la discriminazione. Per non parlare di chi con queste armi va nella direzione opposta: rimpiangere quei tempi e auspicarne il ritorno. E non sono pochi. Leggi…

Milleproroghe. Dalla Camera arriva la fiducia al governo

Con 469 sì, il governo Monti ottiene la fiducia sul decreto Milleproroghe. Passano gli emendamenti del PD sulle pensioni per i lavoratori precoci e i cosiddetti esodati. Bersani: “Fatto un lavoro parlamentare buono, si sono risolti i 2 punti sulle pensioni e questo è un po’ anche un premio al nostro sforzo”

La Camera ha dato il via libera al decreto Milleproroghe su cui il governo aveva posto il voto di fiducia. I voti a favore dell’esecutivo sono stati 469, 74 quelli contrari e 5 astenuti. Determinante il ruolo del PD volto a raggiungere obiettivi di equità e di sviluppo. Sono passati gli emendamenti proposti dai democratici in tema di pensioni: la cancellazione delle penalizzazione per i lavoratori precoci e i cosiddetti esodati.

“Nell’insieme è stato fatto un lavoro parlamentare buono, si sono risolti i 2 punti sulle pensioni e questo è un po’ anche un premio al nostro sforzo”. Questo è stato il primo commento del segretario Pier Luigi Bersani sul voto alla Camera. “Abbiamo risolto qualche problema – ha continuato il leader del PD – la norma sulle pensioni ce la prendiamo come un nostro risultato”.

Nell’azione del governo Monti “benissimo la verità, che cominciamo a vedere, benissimo la competenza, che cominciamo a sentire, ma mettiamoci anche il calore della solidarietà” ha concluso Bersani. “Abbiamo davanti un anno di recessione, con effetti pesanti sul piano sociale, perciò anche se nessuno fa miracoli, ci dobbiamo attivare, perché la gente deve sapere che c’è chi fa qualcosa”.

Per Marina Sereni, vicepresidente dell’assemblea nazionale del PD “il voto di fiducia di oggi sul decreto proroghe ha confermato l’ampia maggioranza parlamentare di cui gode il Governo Monti anche se dal Pdl arrivano molti segnali di insofferenza”.

“Il PD ha dimostrato con il voto e con il lavoro in commissione la sua lealtà al governo e il suo impegno volto a raggiungere obiettivi di equità e di sviluppo. In questa direzione sono andate le modifiche ottenute grazie alla nostra iniziativa sul tema delle pensioni, in particolare per quanto riguarda la cancellazione delle penalizzazione per i lavoratori precoci e i cosiddetti esodati. Restano aperti problemi sui quali continueremo a lavorare a partire dalla lettura al Senato.
A Idv e Sel diciamo che oggi tutte le forze politiche che hanno l’ambizione di governare il Paese sono chiamate a misurarsi con l’urgenza dei problemi concreti delle famiglie, dei lavoratori e delle imprese e a dare prova di responsabilita”.

*****

Breve approfondimento sui due emendamenti passati sulle pensioni

I lavoratori precoci, quanti lasceranno il lavoro con 42 anni di anzianità, prima di avere compiuto i 62 anni d’età (41 e un mese per le donne) non subiranno penalizzazioni se lasciano il lavoro con un’anzianità contributiva maturata entro il 31 dicembre 2017 inclusi i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e cassa integrazione ordinaria.

Agli esodati (coloro che accettando incentivi economici dall’azienda in crisi si sono licenziati con la prospettiva di andare i pensione entro i successivi due anni e che con le nuove norme hanno visto svanire questa possibilità) non verrà applicata la riforma Fornero se hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011. Se le risorse non fossero sufficienti potrebbe scattare un aumento dei contributi che le imprese versano per gli ammortizzatori sociali.

da www.partitodemocratico.it

RAI, Bersani: "Stop a inciuci, il PD non partecipa"

Il Segretario del PD ha ribadito la necessità di riformare la ‘governance’ della RAI, sospendendo i vecchi riti di una così grande azienda pubblica. Vita: “Ci appelliamo al Presidente di garanzia Garimberti, per evitare la morte in diretta del servizio pubblico”

“Non so di accordi ma mi stupirei se in tempi di tanta sobrietà si moltiplicassero le nomine”, così il Segretario del PD, Pier Luigi Bersani, ha risposto ai giornalisti in Transatlantico, in relazione a voci di un’intesa tra Pdl e Lega sulle nomine al prossimo CdA di viale Mazzini.

La voce, in particolare è di Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21, che a Radio Radicale ha dichiarato: “Mi assumo tutta la responsabilità di quello che dico e spero di essere smentito subito dalla RAI e dalle persone coinvolte: è stata raggiunta questa notte un’intesa tra la Lega e il Pdl, che poi qui fanno finta di litigare, per procedere nella prossima seduta del CdA, costi quel che costi, a nominare per un anno ulteriormente l’attuale direttore del Tg1 Maccari, già in pensione, e a nominare un Direttore della Lega che si chiama Casarin alla Tgr, con due condirettori del centro destra….”.

“Noi non partecipiamo a inciuci – ha fortemente ribadito Bersasni – e se questo succederà diremo con voce alta la nostra. La Rai deve essere sottratta dalla deriva, sospendendo i vecchi riti e riformando la governance di una così grande azienda pubblica”.

“Non voglio crederci! Alla faccia dell’informazione plurale e autonoma del servizio pubblico! Ha affermato con indignazione Carlo Rognoni, responsabile del Forum PD per la Riforma del sistema radiotelevisivo. “Ma se fosse confermata la notizia diffusa dall’onorevole Giulietti, in Rai avremmo toccato il fondo – ha proseguito – anzi raschiato il fondo del barile. Saremmo davanti a uno scandalo insopportabile e inaccettabile, le cui conseguenze non potrebbero che essere quelle di far precipitare la RAI in una crisi di governo profonda e irrecuperabile”.

Rognoni ha poi considerato che in questa situazione, “risulti difficile immaginare che il Presidente della Rai resti al suo posto così come quei consiglieri che sentono la preoccupazione di scelte adeguate e responsabili, oggi che sono alla fine del loro mandato ancor più di ieri. Non voglio crederci, poi – ha insistito – perchè immagino che anche se Pdl e Lega hanno firmato questo patto scellerato, sarà il direttore generale Lorenza Lei ad avere la forza e il coraggio di opporsi. E, come è noto le proposte in Cda alla RAI devono sempre essere fatte dal direttore generale. Non dai consiglieri, neppure dalla maggioranza del consiglio”.

“Se fossero vere le notizie di un imminente colpo di mano alla Rai sulla direzione del Tg1 e del Tgr, se ne dovrebbero trarre le dovute conseguenze”, ha commentato il senatore del PD Vincenzo Vita, componente della Commissione di Vigilanza Rai.

“Persino chi di noi è sempre stato contrario a forme di commissariamento della Rai, sarebbe costretto dalla gravità dei fatti a ricredersi. Per non dire della ventilata partecipazione al voto di Antonio Verro, consigliere e parlamentare insieme. Ci troveremmo in tal caso di fronte ad un vero e proprio aggiramento delle norme sull’incompatibilità e a una spregiudicata esibizione di potere extra legem. Noi non rimaniamo inerti – ha proseguito Vita – porremo la questione nelle sedi competenti e intanto ci appelliamo al Presidente di garanzia Garimberti, affinché chiarisca quello che sta succedendo. In linea con le parole molto chiare usate dal presidente della commissione di vigilanza della Rai Sergio Zavoli, nei giorni scorsi, sollecitiamo chiarezza e trasparenza per evitare la morte in diretta del servizio pubblico”.

da www.partitodemocratico.it