Latest Posts

"E ora un Monti rafforzato va all’attacco dell’Europa", di Raffaella Cascioli

L’Italia mai così compatta sostiene il premier all’euronegoziato di lunedì

L’Italia, che Mario Monti rappresenterà lunedì al tavolo negoziale del consiglio europeo (che dovrebbe approvare il Fiscal compact e aumentare la capacità di fuoco dell’Europa contro la crisi sia sul fronte finanziario che sulla crescita), è compatta con il suo presidente del consiglio. Senza sbavature. Senza tentennamenti. Senza se e senza ma.
Una compattezza che neanche la cancelliera tedesca Merkel vanta dietro di sé. Un sostegno parlamentare e nel paese che consentirà al premier di far sentire ancora più chiara la voce dell’Italia tra i partner europei. Soprattutto in un momento in cui la situazione in Europa non è semplice e il quadro economico nel vecchio continente ha subito un aggravamento.
Al punto che anche ieri il governatore della Bce, Mario Draghi, ha ammonito come «la crisi dei debiti sovrani abbia messo a nudo molte debolezze a lungo neglette, innanzitutto l’inadeguatezza della governance europea». Ebbene mai in Italia, negli ultimi quattro lustri, si è visto un parlamento così compatto su una materia come quella economicofinanziaria, e soprattutto di politica comunitaria, tanto complessa e che investe da vicino i cittadini italiani e il loro modo di stare in Europa.
E il mandato di Monti al consiglio di Bruxelles è quanto di più europeo e di meglio che l’Italia possa esprimere da paese fondatore dell’Unione europea. È una politica che il premier non ha esitato a definire inclusiva e che ben media tra rigore e crescita, tra integrazione economica e strumenti finanziari. Un’Italia che già oggi si muove non per escludere ma perché gli stati “non euro” partecipino ai summit di capi di stato dell’Eurozona; che chiede risorse adeguate per il fondo salvastati; che si è battuta perché sul rientro del debito (deciso in sede europea dal precedente governo, ndr) ci sia il rispetto di garanzie temporali ed elementi di flessibilità; che nell’Ue è esempio significativo di una politica economica forte.
Il voto sulle mozioni, tra cui quella unitaria di Pd, Pdl e Terzo polo approvata a larga maggioranza per alzata di mano in senato e con 468 voti favorevoli e 42 contrari alla camera, si è svolto senza intoppi. Lo stesso ronzio leghista, che ha prolungato di qualche ora le discussioni al senato, si è stemperato con la votazione di un emendamento della Lega nord alla mozione unitaria di maggioranza che si è vista approvare il riconoscimento di radici giudaico-cristiane dell’Europa. Un tasto sul quale in aula era intervenuto a braccio il premier Monti nel suo intervento mattutino quando ha sostenuto che «ciascuno ha la sua posizione, io personalmente preferirei che ci sia il riferimento alle radici culturali dell’Unione».
E il premier non ha taciuto le difficoltà in cui ci si muove in Europa, ma ha anche avvistato «i contorni per una via di uscita dalla crisi che cominciano a prendere forma». Insomma, lunedì a Bruxelles l’Italia ribadirà la sua posizione che fin dall’inizio è stata chiara, senza marce indietro e ora si ritrova nella risoluzione di maggioranza. Serve una diversa governance europea in grado di prevenire e non di aggiustare, ha detto Monti, e soprattutto la messa a punto di tre meccanismi comunitari: «Il perfezionamento del sistema di disciplina di finanza pubblica, la definizione di una batteria di firewall per evitare il contagio finanziario e il rilancio delle politiche della crescita».
Sulla crescita, il premier non ha dubbi: «Credo che, con un termine che non mi piace, i capi di governo debbano metterci la faccia per ottenere un maggior impegno sui temi della crescita». E allora, Monti può ribadire alla Germania di non chiedere soldi ma l’impegno per una governance in grado di ridurre i tassi di interesse. E lo fa nelle stesse ore in cui la cancelliera tedesca Merkel parla di solidarietà che non vuol dire accollarsi i debiti degli altri, ma fa concessioni a misure per il lavoro e non solo per il rigore.
Sul fondo salvastati Monti ha parlato di risorse adeguate e la mozione unitaria, che per il premier rafforza l’Italia e il governo che la rappresenta, su questo lo ha sostenuto declinando anche cinque punti: rigore di bilancio, crescita, Tobin tax, ruolo indipendente della Bce e agenzia di rating europea. Dal Pd appoggio al premier sia al senato che alla camera, con il presidente dei senatori Pd Finocchiaro soddisfatta per il sano realismo del premier e il segretario del partito Bersani che alla camera ha ammonito come sul piano del risanamento «noi il primo passo lo stiamo facendo, il secondo va fatto con l’Europa. Nessuno può farcela da solo neanche la Germania ha fatto da sola dopo il crollo del muro».
Una buona giornata, quella di ieri per Monti, che incassato il sostegno del parlamento, ha ottenuto anche l’apprezzamento del presidente della Bce Draghi secondo cui «la forte accelerazione delle riforme compiuta negli ultimi mesi grazie alla nascita di una nuova comunità d’intenti» ha già avviato «il rafforzamento della fiducia nel nostro paese».
Ma il premier non si scompone, mantiene il suo humour inglese e al cronista che gli ricorda quando è andato al potere, risponde di non capire l’espressione e di essere ancora «sotto choc» per rispondere a domande. Ottenuta la fiducia tecnica, è un Monti politico quello che tratterà in Europa.

da www.europaquotidiano.it

"Debiti di stato, acceleriamo", di Antonio Misiani

Qualcosa si sta muovendo sul fronte dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione. La questione ha assunto negli anni dimensioni abnormi e l’Italia è finita in fondo alle classifiche europee. La pubblica amministrazione è esposta per 90 miliardi verso le aziende fornitrici, che in alcuni casi (sanità, ma non solo…) attendono fino a tre-quattro anni prima di ricevere quanto dovuto. I comuni sono paralizzati dal patto interno di stabilità. Le imprese, a loro volta, sono cronicamente in ritardo nei pagamenti delle transazioni commerciali tra privati.
Il risultato è una situazione sempre più insostenibile per moltissime aziende: secondo la Cgia di Mestre circa un terzo dei fallimenti sono dovuti alle difficoltà di riscossione dei crediti commerciali. La nuova direttiva comunitaria sulla lotta ai ritardi di pagamento (2011/7/UE), che ridefinisce in modo assai più rigoroso le regole del gioco, va recepita entro marzo 2013. Il parlamento si è più volte occupato della questione: da più di un anno giace alla camera una proposta di legge (A.C. 3753 Beltrandi e altri), che si ispira alla direttiva e ha raccolto le adesioni di 75 deputati di tutti gli schieramenti politici (compreso il sottoscritto), esclusa la Lega Nord.
La legge sullo Statuto delle imprese ha a sua volta previsto una delega di un anno al governo, mentre il disegno di legge comunitaria 2011, attualmente in discussione alla camera, affronta la parte riguardante le transazioni tra privati.
Con l’aggravarsi della situazione economica è però necessario accelerare, se vogliamo evitare una ulteriore desertificazione produttiva: pochi giorni fa trenta deputati di Pd, Terzo polo e Pdl hanno scritto a Monti e Passera per sollecitare un rapido recepimento della direttiva. Il governo sembra aver colto l’importanza della questione e nel decreto legge sulle liberalizzazioni ha messo sul piatto 5 miliardi per iniziare a saldare gli arretrati della pubblica amministrazione.
È un primo passo importante, anche se inevitabilmente parziale. Qualcosa si sta muovendo, insomma, anche se solo la piena attuazione della direttiva può cambiare realmente le cose, rimettendo su un binario di competitività il sistema produttivo italiano. Dai tempi di pagamento dipende un pezzo importante della modernizzazione della nostra economia.
Ma il problema va al di là dei freddi numeri, perché nasconde veri e propri drammi umani: sono decine i casi di imprenditori che negli anni della crisi sono arrivati a gesti estremi. Morire di crediti è una delle peggiori vergogne italiane. Di fronte a tutto questo non si può e non si deve rimanere indifferenti.

da www.europaquotidiano.it

"Dal mercato alle diseguaglianze la crisi di un modello globale", di Federico Rampini

La recessione, i guasti della finanza, la ricerca di alternative: ecco perché anche i teorici del sistema economico dominante lo mettono in discussione. Cinque anni dopo il disastro del 2008 non ne siamo ancora usciti. Tramonta l´illusione di essere di fronte a un normale evento ciclico. La concorrenza tra paesi rischia di incoraggiare una competizione verso il peggio, dove tutti si adeguano al livello più basso

Il capitalismo ha un deficit mortale: di autostima. La crisi di fiducia in se stesso traspare dai dibattiti che animano due dei più influenti media economico-finanziari. Il Financial Times e The Economist dedicano inchieste, dibattiti e analisi a un interrogativo esistenziale: quella che viviamo è una crisi “terminale” o è ancora curabile all´interno delle regole di un´economia di mercato? Ha più probabilità di sopravvivenza il capitalismo di Stato che governa i Bric, cioè Cina India Brasile Russia?
Martin Wolf, l´economista più autorevole del Financial Times, ammette che l´idea di una “estinzione” del capitalismo oggi ha ancora più peso di quanto ne avesse quattro anni fa nell´epicentro della recessione. «Nel 2009 – osserva Wolf – dedicavamo una serie di inchieste al futuro del capitalismo, oggi abbiamo cambiato il titolo e il dibattito ruota sul capitalismo in crisi». La ragione: cinque anni dopo il disastro sistemico del 2008, non ne siamo ancora usciti. Tramonta ogni illusione di avere a che fare con un normale evento ciclico, nella fisiologica “distruzione creatrice”. Chiamando a raccolta i migliori intelletti del mondo angloamericano, il Financial Times conclude che per sopravvivere il capitalismo deve affrontare sette sfide. Sono sette temi familiari, in cima alle preoccupazioni dell´opinione pubblica, presenti nell´agenda dei governi e sugli schermi radar degli espertti.
Al primo posto c´è la questione sociale: lavoro e diseguaglianze. Questo capitalismo ha generato società sempre più ineguali e la sua capacità di creare occupazione declina paurosamente. Le cause sono state individuate in passato nella globalizzazione e nel progresso tecnologico; più di recente si è rafforzata la scuola di pensiero secondo cui le diseguaglianze sono “fabbricate” da un sistema politico dove le oligarchie esercitano un´influenza spropositata.
A questo sono collegati altri tre temi. La questione fiscale, che ieri Barack Obama ha messo al centro del suo discorso sullo Stato dell´Unione: il finanziamento della spesa pubblica si è spostato in modo anomalo sul lavoro dipendente, alleggerendo il capitale. Il dinamismo dell´economia di mercato necessita di profonde riforme fiscali, tanto più in una fase di shock demografico per l´arrivo all´età pensionabile delle generazioni più popolose.
Terza questione, il rapporto fra democrazia e denaro; non è solo politica ma anche economica, perché la deriva oligarchica è una “inefficienza” che distorce sistematicamente le decisioni collettive, vedi le lobby scatenate contro le riforme del governo Monti.
Quarto tema nell´elenco del Financial Times è la riforma del sistema finanziario, un cantiere ancora largamente bloccato nonostante lo shock del 2008. La finanza ha sempre avuto una tendenza degenerativa, analizzata dal grande economista Hyman Minsky: dall´arbitraggio delle opportunità si scivola verso la speculazione, da questa si precipita nella frode. È una storia antica ma le potenzialità distruttive sono amplificate dalla dimensione e interconnessione dei mercati finanziari moderni.
È impossibile aggredire le patologie del sistema bancario senza affrontare la questione della corporate governance (numero cinque): l´azienda moderna ha tradito i principi di responsabilità e di controllo, nel momento in cui l´élite manageriale si è affrancata dagli azionisti, per esempio fissando paghe sempre più stratosferiche e inappellabili.
Il problema numero sei è la questione dei “beni pubblici” in una economia globale: il mercato si è rivelato un meccanismo inadeguato a gestire beni universali ma scarsi come l´acqua, l´aria, le risorse naturali; la sicurezza o l´accesso all´istruzione.
Infine, la settima emergenza riguarda la gestione delle “macro-instabilità” e la concorrenza tra sistemi-paese. Il mercato rischia di incoraggiare una competizione al ribasso: in cui tutti i problemi elencati sopra (diseguaglianze, bassa tassazione dei capitali, saccheggio ambientale) si risolvono in una rincorsa del peggiore, verso il minimo comune denominatore. Ci sono però indicazioni contrarie: per esempio società fortemente egualitarie o meno ingiuste della media (Germania e paesi nordico-scandinavi) che si dimostrano competitive nella globalizzazione.
La questione della concorrenza tra sistemi è quella evocata dall´Economist nell´inchiesta sul ritorno del capitalismo di Stato. La Cina è un modello alternativo la cui forza contribuisce al crollo di autostima dell´Occidente. Anche India Brasile e d statalista ha sempre avuto fortuna nelle fasi di decollo iniziale (dalla Prussia al Giappone, all´Italia dell´Iri), poi con l´arrivo alla maturità le crepe del modello dirigista diventano evidenti. In passato però la crisi dei capitalismi di Stato si confrontava con la forza del paradigma “puro”, quello americano: oggi invece anche nel cuore di questo modello originario il dubbio esistenziale ha messo radici.

da la Repubblica

"Il messaggio di Napolitano «Il lavoro non è un privilegio»", di Marcella Ciarnelli

l presidente risponde a una manager: la soddisfazione lavorativa è un diritto di tutti. Il Centro studi di Confindustria delinea un 2012 difficile: deboli occupazione e consumi

Federica Giorgi è una graziosa donna dai capelli rossi, una giovane manager che lavora per Gucci. Emozionata è intervenuta nel corso della cerimonia che ha visto arrivare al Quirinale il top del made in Italy, i rappresentanti dell’eccellenza italiana all’estero nei settori dell’economia, della cultura e della tecnologia ed ha affermato di ritenersi «privilegiata » parche ha un lavoro, che in più le piace, e le ha consentito di «comprare una casa». Alei, e attraverso lei a tutti i giovani, quelli che un lavoro ce l’hanno, quelli che lo cercano, quelli che ancora studiano per guadagnarsene uno, si è rivolto il presidente della Repubblica. «Io spero che la signora Giorgi presto possa non considerarsi più privilegiata perché ha un lavoro: questo è l’augurio e l’impegno che rivolgiamo ai giovani, naturalmente » ha detto Napolitano tornando su quello che è da sempre un suo assillo: i giovani e il loro futuro. «Voi sapete quanto io credo nella ricerca e nell’innovazione, quanta importanza io annetta alla ricerca, all’innovazione e dunque all’affinamento della qualità delle nostre creazioni e produzioni come chiave di volta dello sforzo che dobbiamo compiere affinché l’Italia non perda posizioni ma ne guadagni ancora nella competizione mondiale». Anche rivitalizzando settori come l’artigianato, quei «lavori guidati dalle mani che però si possono avvalere di antica sapienza e nuove tecnologie ». I PROBLEMI DEL PAESE La situazione del Paese, le prospettive, i sacrifici sono stati al centro di una cerimonia rivolta all’imprenditoria ma destinata, inevitabilmente a parlare a tutto il Paese. La difficile situazione italiana è stata al centro dell’intervento del ministro Corrado Passera così come del messaggio di Mario Draghi cui è andato lo speciale premio Leonardo. Per i numero uno della Bce «la crisi dei debiti sovrani ha messo a nudo molte debolezze a lungo neglette, innanzitutto l’inadeguatezza della governance europea; per il suo superamento sono ora chiamati ad operare con drammatica urgenza tutti gli stati membri». Contro questa situazione si è agito in questi ultimi mesi «con una forte accelerazione delle riforme che ha già avviato il rafforzamento della fiducia nel nostro Paese». Ma ora bisognerà portarle a compimento «con determinazione».Equesto è l’atteggiamento «decisivo per uscire dalla stagnazione e per sventare i rischi di una deriva pericolosa ». L’impegno del governo su questa strada è stato ribadito da Passera che ha confermato la presentazione di un «pacchetto di semplificazioni nel prossimo consiglio dei ministri». Un altro passo sulla strada delle riforme che non possono non passare attraverso il confronto. «Il governo è impegnato a rendere il più efficace possibile il confronto tra le parti sociali » ha ribadito il ministro che si è augurato di «convincere tutti ad accettare sacrifici in nome del bene comune, al di sopra degli interessi corporativi e per la creazione di nuova occupazione». In modo che nessuno possa più dire di essere «privilegiato » solo perché ha un lavoro. Ma secondo il Centro Studi Confindustria le prospettive restano «negative », e «la debolezza dell’economia italiana si protrarrà almeno fino a metà 2012». L’occupazione, hanno sostenuto i tecnici di viale dell’Astronomia, «diventa ancora più fragile e penalizza i consumi». Il calo dell’occupazione erode il reddito disponibile delle famiglie ed i consumatori, avendo già ridotto il tasso di risparmio ai minimi storici (11,6 per cento nel terzo trimestre), sono costretti a rivedere al ribasso i piani di spesa. Brutte notizie anche da Bankitalia. Si restringe il reddito medio delle famiglie che nel 2010, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali è risultato pari a 32.714 euro, 2.726 euro al mese. In termini reali il reddito medio nel 2010 è inferiore del 2,4 per cento rispetto a quello riscontrato nel 1991. 14,4% nel 2010 in aumento di un punto rispetto al 2008.

da L’Unità

Valutare per punire o per premiare?

Report finale dell’indagine AIMC. Valutare non significa solo premiare l’eccellenza, ma sostenere chi ha bisogno di incrementare le competenze professionali.

L’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC) ha presentato nei giorni scorsi il report finale dell’indagine “Valutazione dell’insegnamento e qualità della scuola”, realizzata su tutto il territorio nazionale con il coinvolgimento di oltre 2000 docenti e dirigenti di ogni ordine di scuola.

Molti gli elementi significativi emersi: particolarmente apprezzato da parte di coloro che hanno compilato il questionario (2101) è stato il tentativo di fare chiarezza sulla questione valutazione non sempre percepita come opportunità per il miglioramento dell’insegnamento.

La valutazione, dovrebbe essere strumento di aiuto per ogni docente per migliorare la propria attività anche di fronte a un esito negativo: premiare chi s’impegna maggiormente nel lavoro che si svolge con i bambini, ma anche sostenere e promuovere chi ha bisogno di incrementare le competenze professionali. Si tratta di un aspetto importante su cui riflettere per rendere concreto il dettato costituzionale che punta a garantire a ogni persona pari opportunità formative; sono in molti (43%) a evidenziare il collegamento tra valutazione dell’insegnamento e miglioramento dell’apprendimento degli alunni. Anche nel progetto sperimentale del Miur “Valorizza” l’attenzione è stata focalizzata prevalentemente all’incentivazione dell’eccellenza. L’invito che proviene dalla ricerca Aimc è di non sottovalutare i punti di debolezza che emergono nel processo valutativo in riferimento allo sviluppo professionale.

Nel campo d’indagine Valutare perché?, per alcuni (9%) può essere gratificante un riconoscimento economico, ma questo risulta di secondaria importanza (44%) rispetto all’esigenza di migliorare la qualità della scuola e dell’offerta formativa. Per colmare i “vuoti” e rendere la valutazione finalizzata al miglioramento della professionalità, la formazione in servizio viene indicata quale leva di sviluppo in quanto cura della formazione professionale (49%).
Si riconosce la difficoltà, ma anche la necessità di individuare parametri valutativi attendibili. La valutazione degli insegnanti è, infatti, materia molto complessa e richiede specifici indicatori rappresentativi della complessità dell’insegnare.

Nel Valutare che cosa? la maggioranza degli intervistati (21%) indica la competenza didattica quale elemento primario di valutazione a cui seguono la relazione educativa (17%), la competenza disciplinare (17%) e la cura della formazione professionale (17%).

Nell’ambito del Chi valuta? requisito ritenuto fondamentale è che i soggetti esterni, non coinvolti nelle dinamiche degli istituti, posseggano una visione al di sopra delle parti. La questione più complessa riguarda l’individuazione dei “valutatori”: quale profilo, quali competenze? Il 29% indica la necessità che chi valuta conosca gli aspetti più rilevanti della professione e il 62% ritiene che debba provenire da una pregressa o attuale docenza.

Nella sezione Valutare come?, la maggioranza (74%) indica come via privilegiata l’interazione tra l’autovalutazione interna e quella esterna. Strumenti considerati più efficaci le griglie di autoanalisi dell’attività didattica (35%) e il sistema di autovalutazione di scuola (35%).
La via da percorrere, per assicurare attendibilità e significatività alla valutazione, passa attraverso la domanda: quale il senso del valutare inteso come “dare valore”?

dan www.partitodemocratico.it

La pagella dei presidi "Aumenti solo ai migliori", di Salvo Intravaia

Scuola, l´esame ai presidi “Aumenti di stipendio solo a quelli più bravi”
Al via la sperimentazione su 300 istituti

Pagelle ai presidi e stipendio in base al merito. È la strada annunciata ai sindacati dai tecnici del ministero dell´Istruzione. Si inizia con una sperimentazione su 300 scuole medie e superiori, che presto potrebbe essere estesa alle 10 mila scuole italiane. Il progetto di valutazione delle scuole verrà infatti modificato inserendo la performance dei dirigenti scolastici. Leggi…

"Le riforme che la Sinistra deve realizzare", di Felipe Gonzales*

Quarto anno di crisi e la prospettiva ci spinge a pensare al famoso decennio perduto dell’America Latina, negli Anni 80 del secolo scorso. A questi livelli, si tende a dimenticare che l’origine di tutto fu l’implosione di un sistema finanziario sregolato, colmo d’ingegneria finanziaria carica di presunzione, senza alcun rapporto con l’economia produttiva. Tutto ciò causò una recessione mondiale dell’economia reale, particolarmente grave nei Paesi centrali, epicentro di questo assurdo sistema. Leggi…