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"Concorso scuola, la ricetta di Cicirinella", di Marina Boscaino

Ennesimo colpo di scena sul fronte di una delle consuete storie all’italiana. Condita, peraltro, da un nuovo ingrediente: l’incertezza del diritto che – anche a seguito della disattenzione ostentata dal precedente governo su sentenze del Tar e persino del Consiglio di Stato – rende particolarmente incerta la vita di chi si trova ad incappare con la contraddittorietà del nostro sistema. Parlo del concorso per dirigente scolastico.

È di lunedì la notizia che il Consiglio di Stato, con le ordinanze n. 64/2012 e 67/2012 dell’11 gennaio, ha confermato il provvedimento monocratico che ha consentito l’ammissione alla prova scritta – celebratasi il 14 e il 15 dicembre – di candidati che nella prova preselettiva di ottobre avevano totalizzato fino a 5 punti di meno di quello previsto per essere ammessi allo scritto. Perché? La prova preselettiva del 12 ottobre è stata contestatissima sin dai giorni precedenti alla sua somministrazione. I candidati dovevano rispondere a 100 quesiti a risposta multipla selezionati su 5563 pubblicati il primo settembre sul sito del Miur. Già dal 2 settembre si avvicendavano errata corrige per emendare errori nei quesiti. Il climax dell’approssimazione si è raggiunto ad una settimana circa dalla prova, quando il Miur ha dovuto espungere dalla numero totale più di 900 domande, sbagliate. La polemica raddoppiava anche in seguito alla (seppur tardiva) pubblicazione dei nomi degli “esperti” che hanno curato l’elaborazione dei quesiti, in alcuni casi anche passibili – oltre che di ignoranza – di conflitto di interesse – trattandosi di formatori nei corsi per la preparazione alla prova.

Dal 13 ottobre sono cominciati a piovere ricorsi, caratterizzati da un’attività particolarmente energica da parte dell’Anief – associazione professionale sindacale – da una parte (a favore degli esclusi) e dell’Anp – Associazione Nazionale Dirigenti e Alte Professionalità nella scuola – dall’altra, che si è costituito ad opponendum per la difesa delle procedure espletate. Le richieste di ammissione con riserva alle prove scritte avanzate dai ricorrenti, però, erano state respinte dal Tar Lazio e confermate in appello, quando già il 20 dicembre, i giudici della VI sezione del Consiglio di Stato, avevano avuto modo di rilevare che “i motivi dedotti (dai legali dell’Anief, n.d.) investono profili di legittimità dell’intera fase di selezione basata su quiz a risposta multipla, con la conseguenza che essi, qualora dovessero risultare fondati in sede di decisione nel merito, determinerebbero l’effetto demolitorio dell’intera procedura, con obbligo di rinnovazione della stessa e coinvolgimento di tutti i partecipanti al concorso, e dunque con pieno effetto satisfattivo delle pretese azionate dai concorrenti non ammessi al prosieguo delle prove”.

Con le ordinanze sopra citate si sciolgono le riserve sulla valutazione del test, evidentemente inadeguato allo scopo perché infarcito di errori (alcuni quesiti errati sono stati rilevati anche dopo la celebrazione della prova). La regolarità dell’intera procedura concorsuale è in forse: “Considerato che, ad un primo esame, l’appello cautelare in epigrafe appare meritevole di parziale accoglimento laddove ha rilevato – per un verso – il carattere obiettivamente erroneo di alcuni dei quiz somministrati e – per altro verso – l’alta probabilità che, in assenza degli errori in questione, gli appellanti avrebbero potuto accedere al prosieguo delle prove concorsuali.”
Ciascuno dei contendenti sostiene la legittimità delle proprie argomentazioni e convinzioni: l’Anief chiede l’interruzione in auto-tutela delle procedure di correzione delle prove scritte (che le singole commissioni regionali hanno iniziato ad effettuare) e di rinnovare le prove pre-selettive. L’Anp ribadisce la propria posizione, finalizzata “unicamente ad agire nell’interesse delle tantissime scuole che – in assenza di una regolare conclusione del concorso – rimarrebbero prive per chissà quanto tempo di dirigenti regolarmente selezionati, nonché a contribuire al rispetto delle regole ed a sostenere i diritti di chi ha diritti da tutelare”.

Che il concorso sia stato preparato in maniera pedestre dai dilettanti allo sbaraglio, ospitati a Viale Trastevere fino a 3 mesi fa, non c’è dubbio. Come non c’è dubbio che gli errori sono stati per tutti i partecipanti alla prova preselettiva, compreso per quelli che l’hanno superata, che peraltro hanno affrontato nelle settimane seguenti lo sforzo notevole della preparazione delle prove scritte. Sarebbe auspicabile che il Ministro intervenisse per fare finalmente chiarezza in una situazione determinata da chi l’ha preceduto – una delle pesanti eredità che ha trovato – ma di cui adesso (nel caos che si sta creando e nella jungla di notizie ed ipotesi che si stanno affastellando) deve dar conto lui e su cui solo lui può esprimere indicazioni fondate e convincenti.

I 33.531 candidati che il 12 ottobre hanno sostenuto le prove preselettive – di cui 9.111 (pari al 27,17%) ammessi allo scritto – hanno già visto sfumare, per effetto della recente legge 183/11 un terzo dei 2.386 posti previsti dal bando. Stiamo giocando un gioco le cui regole cambiano continuamente ed improvvisamente. Qualcuno si prenda la responsabilità di farci sapere una volta per tutte quali sono.

da Il Fatto

"In arrivo i fondi della Legge 440", di R.P.

Si tratta di quelli del 2011, mentre non si sa dove siano finiti i fondi del 2010. Proteste della Flc che rileva l’esiguità delle risorse: meno di 11milioni di euro, mille euro in media per ciascuna scuola.

Stanno arrivando alle scuole le comunicazioni del Miur relative ai fondi della legge 440 a sostegno dell’autonomia scolastica.
Sono meno di 11milioni di euro in tutto, praticamente un terzo rispetto a quanto veniva erogato negli anni precedenti.
Meglio di niente, dicono molti, ma in realtà si tratta di una modestissima “boccata d’ossigeno” che non cambia per niente la situazione pesantissima delle finanze scolastiche. D’altronde proprio grazie al sito della “Scuola in chiaro” è facile ormai verificare scuola per scuola in che modo le istituzioni scolastiche stanno sopravvivendo. Per ciascuna scuola, infatti, viene indicata la composizione percentuale delle entrate: in molti casi i contributi di soggetti privati (le famiglie in particolare) superano il 70-80%.
La Flc-Cgil parla di quasi totale azzeramento dei fondi e lamenta il fatto che nel sito del Miur non si trova il testo della direttiva, ma a dire il vero i problemi sono ben altri.
Va detto che è vero che il testo della direttiva con tanto ti timbro e protocollo del Miur non si trova, ma in realtà già da tempo si conosce il testo della bozza, approvato fin da ottobre dal Parlamento e che comunque riproponiamo ai nostri lettori nell’allegato.
Il fatto più strano e allarmante è però un altro: per quanto se ne sa nessuno è in grado di fornire informazioni sui fondi della legge 440 relativi all’anno 2010 di cui, anzi, si è persa ogni traccia. C’è chi dice che i 25-30 milioni dello scorso anno sono stati “divorati” da qualche buco del bilancio del Ministero o che siano stati bloccati definitivamente dal MEF.
Ma perché i sindacati non chiedono chiarimenti al Ministero?

da La Tecnica della Scuola

Le "lenzuolate" e la memoria corta della stampa

Il dossier de L’Unità dedicato alle “dimenticate” liberalizzazioni di Prodi e Bersani, articoli di Bianca De Giovanni, Pietro Spataro e Marcella Ciarnelli.

“Dalle lenzuolate di Prodi e Bersani maggiori risparmi ai consumatori”, di Bianca De Giovanni – L’Unità

Non sappiamo se si tratti di innocenti amnesie, o di una studiata «damnatio memoriae». Sta di fatto che da quando il decreto liberalizzazioni è stato varato venerdì scorso, sui mass media si ripete lo stesso ritornello: finalmente l’Italia ha fatto cose mai viste prima. Qualche ministro (sottaciamo il nome) si attribuisce anche altisonanti primati: queste misure aspettavano da 20 anni.

Tutto bene, per carità. Meglio agire che restare fermi come Berlusconi. Male però che si racconti una storia «addomesticata». Dalle cosiddette lenzuolate del governo Prodi non è passato molto tempo: difficile che tutti le abbiano dimenticate. E altrettanto poco credibili appaiono questi inni, dopo un triennio di silenzio assordante su tutti i tentativi, spesso riusciti, di ammorbidire quelle norme.

Vale la pena abbozzare un confronto sull’impatto delle misure di allora, rispetto a quelle che ora affronteranno l’esame parlamentare. Tutti ricorderanno i costi di ricarica che i grandi gruppi telefonici imponevano ai clienti. Sono scomparsi con un tratto di penna, consentendo immediatamente un risparmio complessivo valutato in due miliardi di euro. Nessun rinvio a prossimi decreti. Tra le nuove norme si fa fatica a rintracciare una misura tanto vantaggiosa per i bilanci familiari. Da notare che durante la discussione sempre gli stessi giornali erano pieni di fosche previsioni (che non si sono avverate) sul conseguente taglio di posti di lavoro da parte delle compagnie telefoniche.

Sui farmaci non c’è partita: l’apertura di nuovi punti vendita per quelli da banco ha ottenuto il calo dei prezzi di circa il 18%. Prima di allora nel Lazio avevano invitato le farmacie a fare sconti, con risultati molto deludenti. E oggi sui farmaci di fascia C si fa retromarcia, e si rafforza il potere dei farmacisti.

Mentre il centrodestra accusava Bersani di prendersela con i poveri parrucchieri, le banche subivano un colpo durissimo: niente spese di chiusura conto, niente penali per la rinegoziazione dei mutui, niente ricorso al notaio per estinguere l’ipoteca. Nel solo 2008, con la crisi che fece schizzare le rate a livelli mai visti prima, sono stati 408mila i cittadini che hanno rimborsato il prestito evitando spese per la cancellazione dell’ipoteca. Sulla mobilità dei correntisti si è fatto un balzo in avanti che ha portato l’Italia ai primi posti in Europa, con il 13,1% che nel 2009 ha cambiato banca (dati Ue). In media sono 2 milioni i clienti che decidono di cambiare istituto, senza versare l’obolo di chiusura conto. Tutto questo è entrato in vigore immediatamente, portando vantaggi economici sostanziosi per le famiglie. Oggi le banche sono assenti dagli interventi. Che dire? Non si affronta neanche il tema delle commissioni per il pagamento via bancomat.

Interessante il confronto sulle assicurazioni. Quella è stata forse la partita più complicata (dopo quella – persa – sui taxi che sembrano vincere anche stavolta), ma ricca di proposte innovative. Come quella dell’agente plurimandatario. L’Ania ha lavorato di fino per lasciare la norma inattuata, tanto che oggi ci si presenta un’ipotesi più debole: cioè che sull’Rc auto si presentino almeno tre ipotesi di diverse compagnie. Peccato che la legge, per l’appunto, già c’era. Come già esiste la possibilità si sconti in caso di istallazione della scatola nera. Dei risarcimenti diretti, arrivati a circa 5 milioni, non si è saputo più nulla, a parte il fatto che Berlusconi ha accontentato le compagnie nel ridimensionarli. Sempre durante il governo Prodi entrò in vigore anche la possibilità per i titolari di vecchie e onerose polizze di cambiare compagnia. E infine, quella di comparare le offerte on-line. Tutto questo è stato sostanzialmente «oscurato».

Oggi invece si spaccia come risultato rivoluzionario quello sulle polizze legate ai mutui: la banca dovrà presentare almeno due ipotesi. Ebbene, finora la sottoscrizione della polizza non era obbligatoria: con quella disposizione la si legalizza. Tanto per far spendere di più i cittadini.

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“Grandi giornali, poca memoria”, di Pietro Spataro – L’Unità

Fare di tutta l’erba un fascio è il lavoro preferito di alcuni giornali. In questa attività di demolizione di tutta la politica (la buona e la cattiva) non vanno per il sottile e devono rimuovere pezzi di memoria. Prendete Repubblica. Nella foga, legittima, di osannare le liberalizzazioni di Monti (che anche noi, a scanso di equivoci, abbiamo giudicato positive pur senza negare lacune e omissioni) si spinge a parlarne come di un primo fatto epocale. Ha detto il direttore Ezio Mauro a Che tempo che fa: tutti quelli che oggi dicono che si poteva fare di più dovrebbero chiedersi perché tutto ciò nel nostro Paese non è mai stato fatto. Ha scritto Massimo Giannini: «Per la prima volta, ormai da molti anni, un governo ha l’ambizione di proporre una prima riforma di sistema».

Se si cambia giornale e ci si sposta a via Solferino la musica non cambia. Sul Corriere di sabato, mentre nell’editoriale si scrive con enfasi che «mai l’albero era stato scosso così» sempre in prima pagina Antonio Polito ritiene il decreto del governo «il primo tentativo organico» e chiede polemicamente a Berlusconi e Bersani (insieme, ovviamente) «perché più e meglio non sia stato fatto in questi quindici anni».

Come i cittadini-consumatori sanno, nel 2006 il governo guidato da Romano Prodi approvò un consistente pacchetto di liberalizzazioni poi passato alla cronaca come le lenzuolate di Bersani. Ora, non vogliamo assolutamente ricordare quel che scrisse allora l’Unità perché siamo in evidente conflitto di interessi. Ci limitiamo a ricordare quel che gli stessi due giornali scrissero in quei giorni. Repubblica, come si vede nella foto qui sopra, titolò a tutta pagina sulla «rivoluzione di Prodi».

Massimo Riva nell’editoriale scriveva: «A sessant’anni dalla caduta del regime fascista l’Italia sta cominciando a muovere i primi passi nel disboscare le sacche di resistenza dell’economia corporativa».

Aggiungeva Giuseppe Turani: finalmente una cosa di sinistra. E sul Corriere, oltre a Monti di cui parliamo qui accanto, persino Francesco Giavazzi, mai tenero con il centrosinistra, ci spiegò che quelle misure erano «significative» e che «finalmente si ha il coraggio di non sottomettersi alla pressione delle lobby e finora nessuno c’era riuscito».

Dopo quasi sei anni torna la prima volta. È evidente che Repubblica vuole dimostrare che i tecnici alla fine sono meglio dei politici e che il centrosinistra non combina mai niente di buono. Ed è evidente anche che il Corriere vuole cavalcare una certa onda antipolitica che è in attesa di qualche altro salvatore della Patria. Basta saperlo e regolarsi di conseguenza. Ma si abbia, non diciamo la coerenza, ma almeno la pazienza di cliccare sull’archivio storico dei propri giornali, digitare le parole concorrenza e liberalizzazioni e vedere quel che risponde il computer. Che, non avendo tesi da dimostrare, non scorda mai niente.

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“L’opinionista Monti scriveva: si può aprire una nuova era”, di Marcella Ciarnelli – L’Unità

L’Italia è un Paese in cui cambiare è stata sempre operazione complessa e, troppo spesso, lo si è fatto per non cambiare. Il Gattopardo insegna. Ma è anche vero che l’Italia è un Paese in cui la memoria corta porta a sorprendersi ogni volta che qualcuno si mette all’opera per cambiare. Anche perché, e di recente è capitato, è bastato cancellare le norme perché venissero dimenticate. Spazzate via d’un colpo dalla storia economica e politica. Come se nessuno ci avesse mai pensato.

Tutto questo per dire che le liberalizzazioni non sono materia mai affrontata fin qui e che forse è eccessivo, come pure ha detto il ministro Passera, che «in appena due mesi è stato fatto quanto non era mai stato fatto in quasi due decenni».

E l’Italia sarà anche il «Paese delle corporazioni» ma, solo pochi anni fa, si era trovata a misurarsi con una “lenzuolata” che molti degli argomenti affrontati dal governo in questi giorni li aveva posti e risolti. Anche altri di effetto immediato. E tutto meno di sei anni fa.

Il cosiddetto “pacchetto Bersani” spaziava dalle comunicazione ai mutui per la casa alle assicurazioni, dalle tariffe aeree a quelle delle Poste, dalle facilitazioni per la nascita delle imprese alla vendita libera dei giornali, dai conti correnti all’apertura alla concorrenza nei trasporti regionali. Dai farmaci ai taxi.

L’iniziativa del governo di Romano Prodi si meritò l’attenzione di Mario Monti, allora impegnato in Europa, che in un fondo sul Corriere della Sera, nel luglio del 2006 invitò ad «alzare la posta». Il quesito che poneva il presidente del Consiglio era di prospettiva. Le liberalizzazioni approvate dal governo dell’altro Professore che ha governato l’Italia di recente «sono provvedimenti importanti ma isolati o segnano l’inizio di una politica nuova per l’Italia che metta in primo piano l’interesse dei cittadini-consumatori?».

Una domanda retorica, fatta aspettandosi una risposta diversa rispetto alla tradizione. Scriveva Monti: «Quei provvedimenti creano l’aspettativa che si tratti di una politica economica orientata ai consumatori, nella consapevolezza che l’apertura dei mercati alla concorrenza è anche il modo più efficace per avere un sistema produttivo efficiente e competitivo». Che, però, ricordava che un approccio di tal genere era «antitetico alla tradizione di gran parte delle forze politiche italiane, portate a dare più dignità e tutela ai diversi modi in cui i cittadini partecipano al processo produttivo (le piccole e le grandi corporazioni) che al loro essere cittadini-consumatori. Questa modificazione genetica nella quale il governo sembra impegnato deve essere accompagnata con speranza e valutata con attenzione, alla luce di quella bussola, l’interesse dei consumatori, che il governo ha fatto propria».

L’invito di Monti, ancora distante dalla poltrona di Palazzo Chigi, fatto all’esecutivo era stato di «alzare la posta in gioco» estendendo l’ambito delle liberalizzazioni e non temendone il rischio. Chissà se il professore in questi giorni si è ricordato di quanto scrisse allora: «Il governo ha dato l’impressione di sfidare i tassisti e qualche altra categoria. In realtà ha sfidato se stesso. Ha sfidato la cultura che ha caratterizzato per lungo tempo molte componenti della sua maggioranza. Speriamo che vinca».

da www.partitodemocratico.it

"Fornero, riforma in 5 punti che rimangono sulla carta", di Mariantonietta Colimberti

No delle parti sociali che potrebbero decidere di incontrarsi senza governo
immagine documento Al momento la notizia è che non c’è notizia e che questo non deve essere considerato un fatto negativo. Sfrondata dai distinguo e dalle differenti modalità di espressione, la valutazione comune dei protagonisti dell’incontro – oltre quattro ore – di ieri a palazzo Chigi tra governo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro è stata che il confronto si è aperto e che tutti si sforzeranno di avere un atteggiamento costruttivo.
Niente di più, anzi, qualcosa di meno. Nel senso che il documento in cinque punti che Elsa Fornero ha letto agli ospiti della sala Verde di palazzo Chigi non è stato consegnato alla fine della riunione. Non è, dunque, la proposta ufficiale del governo. O meglio, per ora si tratta di punti di riflessione che la ministro del lavoro approfondirà, pur invitando le parti ad un confronto tematico-informatico.
I sindacati, però, non hanno gradito e qualcuno – nella Cisl per esempio – sta pensando alla possibilità di promuovere un incontro fra le parti sociali, senza il governo. Raccontano che alla Fornero che aveva annunciato di voler lasciare a ognuno di loro il documento che stava illustrando è arrivato il consiglio di non compiere questo passo, perché esso avrebbe potuto compromettere il negoziato. Un problema di metodo e di contenuti, a quanto si apprende. Di metodo, perché i sindacati (Cisl in testa) non ritengono accettabile il reiterarsi delle modalità utilizzate dal governo in occasione del decreto salva-Italia, molto vicine al fatto compiuto.
Si osserva che l’esecutivo dei tecnici «non può pensare di azzerare forme consolidate di confronto», riducendo tutto a un dibattito telematico. «Non è così che si fa». Ma c’è anche una contrarietà, forte, sulle idee contenute nel documento. Quella ritenuta più esplosiva, per le potenziali conseguenze qualora diventasse operativa, riguarda la cassa integrazione. Nella bozza Fornero si prevede un ricorso limitatissimo a quella ordinaria, circoscritto ai casi in cui sia possibile riprendere il lavoro in tempi molto brevi. Niente più cassa straordinaria o in deroga. Per tutti i lavoratori di aziende in difficoltà per i quali non sia prevedibile una ripresa dell’occupazione nel breve periodo, ci sarebbe il licenziamento con il sostegno del reddito minimo.
L’introduzione di questa nuova (per l’Italia) forma di ammortizzatore sociale richiede, però, ha chiarito Fornero, «risorse ora non individuabili». Per questa ragione, l’applicazione normativa potrebbe essere «dilazionata». «Non si può superare la cassa integrazione straordinaria, non è fattibile – ha affermato la leader della Cgil, Susanna Camusso, aggiungendo che «tutte le parti sociali hanno detto che non si può fare». Che una grande prudenza alberghi anche dalle parti di Confindustria è risultato chiaro dal commento di Emma Marcegaglia: «Abbiamo ragionato su una riforma più profonda degli ammortizzatori sociali e ci siamo detti aperti a riflettere su cassa integrazione e indennità di licenziamento ma anche che, al momento, dobbiamo fronteggiare una grande crisi e che quindi per ora non si debba procedere a grandi cambiamenti».
E allora? Il tema è apertissimo, le soluzioni molto difficili da individuare e i tempi stretti, strettissimi: tre o quattro settimane al massimo, nelle intenzioni dell’esecutivo, per arrivare a un’intesa non affidata a un decreto. Gli altri punti sollevati nella bozza Fornero riguardano una nuova tipologia contrattuale a tutele crescenti legate all’età, riduzione delle tipologie contrattuali e costo più elevato dei contratti a termine, formazione e apprendistato, flessibilità. Il prossimo incontro, secondo l’orientamento del governo, dovrebbe svolgersi la prossima settimana. Alla Cisl non nascondono un certo pessimismo e fanno notare che nel 2011 le ore di cassa integrazione autorizzate sono state complessivamente 953 milioni, corrispondenti a circa 500 mila lavoratori.
«Come si può pensare di smantellare questo sistema di ammortizzatori sociali se non ci sono risorse?» è la domanda. «Non abbandonare l’idea di un’intesa condivisa» è l’esortazione arrivata dal Pd.

da www.europaquotidiano.it

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“Lavoro, la ministra bocciata”, di Massimo Franchi

Monti annuncia una «riforma strutturale» in tempi brevi e a costo zero. Ma esclude il decreto

«Il tavolo è partito, ma no alle forzature ». Quattro ore di «incontro interlocutorio» e in salita fra governo e parti sociali producono il via ai «quattro titoli dell’agenda», quattro tavoli di lavoro: tipologie contrattuali, apprendistato e formazione, flessibilità per la crescita, ammortizzatori sociali. Partiranno la prossima settimana quando arriverà anche una nuova convocazione del governo. Prima invece saranno le sole parti sociali ad incontrarsi per mettere a punto una proposta comune sui vari temi. E quindi l’effetto principale del tavolo è stato quello di ricompattare sindacati e imprese che, in nome dell’autonomia, riacquistano centralità. In una riunione informale nel pomeriggio Cgil, Cisl e Uil hanno messo a punto la strategia comune su come procedere nella trattativa assieme a Confindustria e ReteImprese. Un incontro che si è quindi concluso più con indicazioni di metodo che di merito, visto che le parti sociali in toto hanno commentato negativamente il documento del ministro Elsa Fornero. «Un agenda non condivisa, i contenuti dei tavoli non sono predeterminati », spiega Susanna Camusso, bloccando sul nascere le polemiche sulle modifiche (soprattutto alla cassa integrazione) rilanciate dalle agenzie.
«NON CI SONO RISORSE» È stato il presidente del Consiglio Mario Monti, prima di volare a Bruxelles, ad aprire l’incontro sottolineando la necessità di una riforma «strutturale» e «in tempi brevi», seppur non sotto la forma diun decreto legge. «Servono buone soluzioni strutturali per il mercato del lavoro, spero – ha detto – che si riesca a non ridurre il messaggio che mandiamo sulla riforma del lavoro solo sull’articolo 18». I due punti fermi sulla trattativa sono dunque i tempi più celeri possibili e l’amara constatazione che la riforma andrà fatta a costo zero o giù di lì: di soldi non ce sono ed è stato lo stesso premier Monti a specificarlo. All’uscita le reazioni delle parti sociali sono tutte improntate alla prudenza. Comincia Marco Venturi, portavoce di ReteImprese, sottolineando come «bisogna fare passi avanti». Tocca poi a Emma Marcegaglia sintetizzare la posizione degli industriali. «Oggi abbiamo aperto il tavolo stabilendo il metodo e i tempi. Da parte nostra – ha continuato il presidente uscente di Confindustria – abbiamo presentato un documento dove dimostriamo che la percentuale di lavoro instabile sul totale è più bassa da noi rispetto alla Germania ».Da qui arriva il monito: «Attenzione a ridurre le forme di flessibilità ». Inevitabile poi da qui arrivare alla canonica domanda sull’articolo 18: «Non si è parlato specificatamente di articolo 18, si è parlato di flessibilità in entrata e in uscita». L’idea di Confindustria è presto detta: «Per ridurre il dualismo e aumentare le garanzie per i giovani e donne è necessario ridurre le garanzie per gli attori più forti». Più conciliante con i sindacati è la parte sulle tipologie di contratto: «Insieme a loro concordiamo sul fatto che apprendistato e contratto in somministrazione sono le forme che funzionano meglio. Nel primo caso «si può migliorare e limare qualcosa ma la legge c’è», nel secondo l’«assunzione a tempo determinato da parte delle agenzie interinali concede una buona copertura di diritti ai lavoratori».
«SCOTTATI DALLE PENSIONI» Tornando a sedersi davanti al governo, i sindacati scontavano «la scottatura » della riforma delle pensioni, arrivata per decreto e senza consenso e consulto. A chiudere il giro sono arrivati i quattro sindacati confederali. Tutti e quattro, Camusso, Bonanni, Angeletti e Centrella, hanno puntato sull’autonomia delle parti sociali, annunciando l’incontro per preparare una proposta comune da sottoporre al governo prima del prossimo incontro. Luigi Angeletti si è soffermato sul metodo: «Per noi il confronto deve essere sostanziale: discutere, negoziare e poi decidere. No a documenti contrapposti e poi la sintesi la fa il governo e troviamo delle sorprese: non siamo alunni a cui è stato dato un tema che poi la professoressa corregge». Camusso ha poi ribadito i punti chiave della piattaforma comune dei sindacati: «Ricondurre ad unità il mercato del lavoro riducendo precarietà e sommerso; estendere gli ammortizzatori a tutti». Bonanni invece ha aperto alla possibilità «di gestione» dell’articolo 18: «Ci sono contenziosi col giudice che durano un sacco di tempo: si può trovare il modo per ridurli e semplificare a vantaggio di lavoratori e imprese. A nessuno conviene che le cose vadano per le lunghe».

da L’ Unità del 24/01/2012

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“Lavoro, il governo accelera”, di Alessandro Trocino

Limiti all’uso della cassa integrazione. No dei sindacati. Ipotesi fiducia

ROMA — Una riforma strutturale, da realizzare senza ricorrere allo strumento del decreto legge, ma in tempi brevi, entro le prossime 3-4 settimane. È la rotta indicata sul mercato del lavoro dal premier Mario Monti e dal ministro Elsa Fornero. Che si è presentata all’incontro con le parti sociali con alcune linee guida: stretta sulla cassa integrazione, sostegno al reddito per chi ha perso il lavoro, reddito minimo garantito (ma «dilazionato», ché per ora non ci sono i soldi), lavoro flessibile più caro e contratto modellato sull’età lavorativa. Per la titolare del Welfare «si è partiti con il piede giusto». Pdl e sindacati non condividono affatto quest’opinione. Susanna Camusso, leader della Cgil, non nasconde l’irritazione per il metodo: ha spiegato che «non c’è stata nessuna condivisione delle proposte e non si può partire da contenuti predeterminati». Il Pdl, come dice Maurizio Sacconi, chiede che «non si facciano due pesi e due misure» e che si proceda per decreto, come per le liberalizzazioni. Decreto, quest’ultimo, su cui potrebbe essere posta la fiducia anche se il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, precisa che «per ora il governo non ha espresso un orientamento» e punta ad ottenere in Parlamento «il consenso necessario».
Il premier, prima di partire per Bruxelles, ha spiegato: «Servono buone soluzioni strutturali. Spero che si riesca a non ridurre il messaggio solo all’articolo 18». All’incontro di ieri, durato quattro ore, erano presenti tra gli altri il sottosegretario alla presidenza Antonio Catricalà, il ministro Corrado Passera, i segretari di Cgil, Cisl e Uil e il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. È stata la Fornero a illustrare un documento in cinque punti con le linee guida dell’esecutivo.
Secondo le intenzioni del governo, dovrebbe restare solo la cassa integrazione ordinaria (quella legata a eventi temporanei e con una durata massima di 52 settimane), mentre si eliminerebbe la possibilità di utilizzarla a fronte di chiusura dell’azienda (come è accaduto per la Fiat di Termini Imerese). A fronte del mancato rientro in azienda, si studia invece un’indennità risarcitoria e il rafforzamento del sussidio di disoccupazione. Nelle linee guida è emersa anche la possibilità di utilizzare il «reddito minimo», ma le risorse necessarie sono al momento «non individuabili».
Un intervento, quello della Fornero, che i sindacati bocciano nettamente, perché considerato un «colpo di spugna alla cassa integrazione straordinaria e a quella in deroga, che in questi anni hanno invece protetto i lavoratori di aziende in crisi». Anche Confindustria avanza dubbi: «In questo momento dobbiamo fronteggiare una grande crisi — spiega Emma Marcegaglia —, per ora non è il caso di procedere a grandi cambiamenti sulla Cig». E ancora: «Il problema non è la flessibilità in entrata ma quella in uscita».
Dal Pd le reazioni sono caute ma non negative. Il segretario Pier Luigi Bersani apprezza soprattutto l’apertura del tavolo e il tentativo di un confronto ampio. L’ex ministro Cesare Damiano condivide l’impostazione secondo cui il lavoro precario dovrà costare di più, ma spiega di «non aver gradito alcuni accenni all’articolo 18». Sergio D’Antoni si dice soddisfatto che non si proceda per decreto.
Esattamente l’opposto del Pdl. Per Gaetano Quagliariello «la richiesta di sacrifici ha un senso se riguarda tutti, con la medesima sollecitudine. Altrimenti ci saranno conseguenze». Critiche anche nel merito arrivano da Sacconi: «Non bisogna inseguire la chimera del reddito minimo garantito, che evoca solo deresponsabilizzazione e assistenzialismo». Protesta anche Antonio Di Pietro contro il depotenziamento della Cig: «Si rischia di far scoppiare un conflitto sociale ingovernabile».

dal Corriere del 24/01/2012

"I disegni della memoria", a cura di Andrea Tarquini e Miguel Gotor

Sono rimasti nascosti in una bottiglia per oltre sessanta anni. Adesso 32 disegni realizzati da un internato anonimo tornano alla luce, documentando la tragica realtà della fabbrica della morte del campo di concentramento Sono pagine straordinarie, tramandate come un reportage perché il mondo non dimentichi.
L´autore misterioso si firmava “MM”: si preoccupò di conservare i suoi bozzetti tra le fondamenta di una baracca
Sono le immagini dell´orrore che raccontano la separazione tra gli adulti e i bimbi, la prima selezione all´arrivo dei treni
Il documento ora è nel museo del campo di concentramento e sul web, a disposizione di tutti.

“Auschwitz. Il fumetto del lager”, di Andrea Tarquini

Restarono per oltre sessant´anni nascosti in una bottiglia, come l´ultimo appello d´aiuto d´un naufrago, quei disegni che oggi tornano alla luce e ci documentano l´Olocausto in modo drammatico e straordinario. Trentadue schizzi, Auschwitz tramandato come in un reportage, quasi col genio giornalistico che ebbe al fronte in Spagna, e poi con gli Alleati, Robert Capa, l´ebreo ungherese, esule, inventore del fotogiornalismo, ma tutto tramandato solo con una matita, senza fotocamere Leica o Zeiss con cui scattare istantanee. Trentadue disegni, eccoli qui davanti ai nostri occhi di pronipoti smemorati dell´orrore. Sono stati trovati dai curatori del Museo di Auschwitz, l´istituzione internazionale che cura la memoria là a Auschwitz-Birkenau.
Era la fabbrica della morte costruita dalla Germania per ordine di Hitler nella Polonia che il Reich occupò e sognò di cancellare dal mondo. Un documento eccezionale, narra della Shoah fin nei minimi dettagli. Ci tacciono un solo particolare: chi fu mai il coraggioso che al rischio di essere eliminato nei modi più dolorosi e orrendi prese carta e matita per schizzare quelle immagini e lasciarle a noi posteri, sui semplici fogli d´un quaderno da disegno tenuti insieme da una spirale da cui uno a uno i disegni venivano strappati.
The sketchbook from Auschwitz, il libro degli schizzi di Auschwitz, si chiama questo documento eccezionale che ora il museo ha editato. Lo puoi comprare online oppure ordinandolo per telefono o per posta, basta rivolgerti al Memorial Museum Auschwitz-Birkenau (www. en. auschwitz. org). Riaprire gli occhi costa anche poco: 32 zloty, cioè circa 8 euro, è il prezzo del pamphlet curato da Agnieszka Sieradzka. Vale la pena, e ieri Spiegel online (www. spiegel. de) ha diffuso dieci delle trentadue immagini. Scorriamo i disegni dell´ignoto reporter-artista di Auschwitz, e il loro racconto. Affermare che facciano rabbrividire è poco. Nella prima vedi una folla enorme scendere dal treno merci piombato alla “Judenrampe”, la rampa di scarico degli ebrei, quella dove finiva il binario davanti all´ingresso di Auschwitz 2-Birkenau. Quasi senti la locomotiva nazista “tipo 52” sbuffare dopo l´arrivo. Vedevano già la sinistra scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Soldati delle SS, il fucile Mauser 9 o il mitra MP 38 in pugno, li spingono nella fabbrica della morte.
Sono ancora ben vestiti, dignitosi da crema della borghesia europea, gli ebrei portati là a morire nei modi più orrendi. Vedi donne in cappotti o vestiti decorosi. Un signore anziano sfoggia baffi ben curati, cappello e giacca da sartorie di qualità. Ancor più elegante è un uomo sulla quarantina, abito impeccabile, fazzolettino elegante sulla tasca della giacca, cappello da passeggio e trenchcoat al braccio. Suo figlio, un bel bimbo sui quattro o sei anni vestito alla marinara, lo tiene per mano. In un disegno successivo, il numero due ben numerato come tutti prima di venir nascosto nella bottiglia della memoria dal disegnatore-cronista sconosciuto, l´idillio apparente finisce. Arrivano le SS, strappano a forza il bimbo dalle braccia del padre. Invano il bimbo urla e piange, il disegno lo rende a perfezione. Le SS lo portano via, insieme a quel signore anziano dai baffi ben curati. È la prima selezione: vecchi, malati e bambini, inutili, perché incapaci di lavorare come forzati in condizioni disumane per la macchina bellica del Reich, vengono portati subito alle “docce”, i locali sigillati dai cui sfoghi sul tetto non si diffondeva acqua, bensì il Zyklone-B, il gas letale prodotto dalla modernissima azienda modello IG Farben gloria della Germania. Nel disegno, il camion per portarli via verso l´ultimo destino è già pronto, l´autocarro d´ordinanza Opel Blitz della Wehrmacht (copia nazista del Dodge americano), sembra avere anche il motore già acceso.
Il racconto dell´orrore prosegue, una pagina schizzata dopo l´altra. Ma chi fu mai il deportato che ricordò il talento ed ebbe il coraggio di narrare tutto con i suoi disegni? Non lo sappiamo, forse non lo sapremo mai, dice Jarek Mensfelt, portavoce del Museo di Auschwitz. Il disegnatore misterioso lasciò solo una fragile traccia, un abbozzo di firma: “MM”, scritto su ognuno dei disegni. Le iniziali, forse, ma vai a cercare tra i sei milioni e passa di vittime della Shoah. Il deportato “MM” non dedicò mai disegni a se stesso. Si preoccupò soltanto di nasconderli tutti insieme ben ordinati in una bottiglia, e di sotterrarla tra le fondamenta di una baracca del Lager. Forse nella sua genialità vitale e disperata ebbe un attimo di tempo per scegliere con cura il luogo del nascondiglio: la bottiglia era sotterrata proprio presso una baracca che sorgeva tra le camere a gas e i forni crematori numero 4 e numero 5. Fu scoperta per caso, nel 1947, da un altro ex deportato, Jozef Odi, che dopo la liberazione la consegnò ai custodi del museo. Odi continuò a lavorare per loro fino alla morte, adesso – tra i milioni di oggetti trovati nel territorio dell´orrore, là ad Auschwitz, o tra tutto quanto i nazisti sequestravano a chi scendeva dai treni – la bottiglia della memoria è stata riscoperta.
Il racconto continua, un disegno dopo l´altro. Vedi le SS caricare i più deboli, già magri oltre lo scheletrico, sui camion speciali dello “Haeftlingskrankenbau”, il servizio medico per i deportati: chi non serviva più per produrre veniva finito con un´iniezione letale al cuore. Scorriamo ancora l´almanacco di Auschwitz: ecco chi ha tentato la fuga, e viene impiccato alla meglio con una corda appesa al tetto d´una baracca: efficienza, produttività, taglio ai costi erano il credo della fabbrica della morte. Oppure ecco immortalati i sadici e ben nutriti Kapò che con lo stivale spaccano l´osso del collo ai detenuti. O ancora il crematorio e le camere a gas, con fuori ufficiali SS che si godono la pausa d´una sigaretta mentre i loro sottoposti gettano salme sul pianale di carico di un camion, come fossero sacchi di patate. Fino a dettagli orridi del quotidiano: il timbro a fuoco del numero e del triangolo o di altri simboli sull´avambraccio.
Il documento è adesso online in tutto il mondo, perché ricordi. Mentre in una triste coincidenza uno studio ufficiale reso pubblico ieri dal vicepresidente del Bundestag (il Parlamento tedesco) informa che anche in Germania, tanti decenni dopo, l´antisemitismo «è enormemente diffuso in vasti strati della società, attraverso i ceti e nel cuore della società», non solo nelle violente, marginali frange neonaziste. L´albo dei disegni di Auschwitz chiama a ricordare vigili, come un altro reperto del museo dell´ex Lager, quelle poche righe scritte e sotterrate vicino alla baracca della bottiglia dal deportato ebreo polacco Salmen Gradowski: «Caro scopritore futuro di queste righe, ti prego, cerca dappertutto, in ogni centimetro di terreno qui dove noi fummo. Qui troverai tanti documenti, ti diranno quanto è accaduto qui, tramanda tracce di noi milioni di morti al mondo che verrà dopo».

da la Repubblica 24.1.12

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“Quello spazio di libertà nell’orrore quotidiano”, di Miguel Gotor

L´autore è ignoto, sappiamo solo che si firmava «MM». La mano è ferma e il tratto sicuro, attento a cogliere ogni dettaglio e a registrarlo sulla carta ruvida di un taccuino. Lo immaginiamo intento a disegnare nella penombra, nelle ore di riposo tra un turno e l´altro, con il capo chino e la schiena curva, il blocchetto di fogli poggiato sulle ginocchia irrigidite, il mozzicone di matita stretto tra le mani nere e incallite dalla fatica. I suoi schizzi furono ritrovati nel 1947 dentro una bottiglia, occultati nelle fondamenta di una baracca del campo di sterminio polacco di Birkenau, non lontano dai forni crematori IV e V. Il fatto che l´ultimo disegno sia incompleto lascia pensare che quello poteva essere un nascondiglio quotidiano, un anfratto tra i tavolacci di legno, per sfuggire alla sorveglianza dei Kapò.
E riprendere di volta in volta il lavoro, a ogni occasione possibile. Fino all´ultima volta, subito prima di un improvviso trasferimento o, assai più probabilmente, della morte.
Si tratta di un documento eccezionale in cui ogni segno rivela l´ardimento del disegnatore, in grado di infrangere, a rischio della propria vita, il divieto dei suoi custodi. Si scrive per ricordare, si scrive per resistere, si scrive per lasciare una traccia. E si disegna per le stesse ragioni, per sfidare la morte che ti bracca e riempire il tempo che separa da lei, per conservare uno spazio di intangibile libertà anche dentro il terrore, per aggirare il progetto totalitario dei nazisti, quello che angosciò e motivò Primo Levi al racconto: «tanto non vi crederanno». Per vincere l´oblio, la condanna peggiore, quella che rende la tua creaturale sofferenza senza comunicazione e senza testimonianza.
Non è la prima volta che dei disegni sopravvivono all´universo concentrazionario nazista e ce ne raccontano il raccapriccio. Sono celebri, ad esempio, quelli dei bambini rinchiusi nel campo di concentramento cecoslovacco di Terezin, i quali, sotto la direzione di un adulto, ingannavano il tempo che li separava dai forni crematori raffigurando scene della loro infanzia perduta o immagini della prigionia.
La peculiarità dei disegni di Birkenau è che sono certamente l´opera clandestina di un adulto. Sembrano fotografie in bianco e nero con un chiarissimo intento documentario: non c´è il lusso dell´astrazione, ma la necessità di un realismo estremo e angoscioso che raffiguri e informi. L´autore usa una matita e soltanto in alcuni casi aggiunge dei tocchi di colore: per evidenziare di rosso i tetti delle baracche e i mattoni delle costruzioni, per distinguere le fiamme dei forni crematori, per far risaltare la divisa scura di una SS o quella a righe blu di un Kapò.
In alcuni casi un unico foglio è diviso in due riquadri dallo stesso autore per distinguere scene diverse come se fosse un cartone animato dell´orrore. Evidentemente, la carta a disposizione non era molta, ma la voglia di raccontare tanta: l´esperienza della «rampa degli ebrei», ossia il capolinea dove i deportati arrivano in massa per essere subito divisi in sommersi e salvati, i vecchi e i bambini da una parte, gli uomini e le donne abili al lavoro dall´altra; la «casa della morte», ove si raffigurano i cadaveri trasferiti al forno crematorio, mentre una SS, in primo piano, inganna il tempo fumando una sigaretta; la condanna reiterata del comportamento dei Kapò e la brutale dimostrazione del loro dominio. Uno di questi è colto nell´atto di gettare in una pozzanghera un prigioniero e, in un altro riquadro, si vede ricompensato con del cibo speciale, mentre sullo sfondo i detenuti sono in fila per ritirare la zuppa di sempre. E ancora: il momento della selezione che separava i sani dai malati, una scena di tortura in cui un ebreo è legato attorno un palo e frustato sotto lo sguardo vigile delle SS; il vagone piombato, i prigionieri scheletrici avviati ai forni.
Non è solo la coincidenza topografica, ossia la contiguità del campo di Birkenau a quello di Auschwitz che fa pensare a Se questo è un uomo di Primo Levi. Le immagini sembrano le ideali quanto pertinenti illustrazioni di quel libro, e in una prossima edizione andrebbero pubblicate insieme perché riproducono una serie di scene e di momenti della vita quotidiana nei campi di sterminio che abbiamo già potuto leggere nelle pagine dello scrittore torinese.
Questi disegni sono riusciti a oltrepassare il filo spinato da cui hanno avuto origine per giungere misteriosamente sino a noi e sono la testimonianza di una vittoria della vita sulla morte, dell´ingegno umano sull´abisso delle coscienze, pezzi di carta, fragili e ingialliti dal tempo, che hanno saputo sopravvivere alle fiamme dell´inferno dei viventi.

da Repubblica 24.1.12

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