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"La scossa della Concordia", di Lorenzo Mondo

Ho viaggiato una volta su una nave della Costa e, a parte gli inconvenienti dovuti all’eccessivo e chiassoso affollamento, non ho avuto di che lamentarmi del personale di bordo, delle varie prestazioni offerte dalla crociera. Non ho assistito alla pratica dell’«inchino», l’abitudine cioè di avvicinarsi alle coste per salutare qualcuno o rendergli omaggio. Forse quel comandante non amava simili esibizioni, forse non erano consentite nei luoghi del Mediterraneo orientale toccati dalla navigazione. Sicché la tragedia della «Concordia» mi trova, a questo riguardo, impreparato e sgomento. Tanto più quando apprendo che la stessa nave aveva già effettuato nel corso degli anni 52 «inchini». Una notizia che rende ben più pesanti, ed estensibili, le accuse rivolte allo sciagurato Schettino.

C’è da chiedersi perché, a partire dalla Compagnia, nessuno intervenisse a scongiurare un comportamento così pericoloso e, in varie situazioni, chiaramente dissennato. Lo dimostra a usura l’infortunio del comandante Schettino, così vicino all’isola che, ad onta della sua abilità, si è avveduto solo all’ultimo momento, per «la schiuma sull’acqua», dello schianto imminente contro uno scoglio. E vengono i brividi quando Palombo, l’asserito maestro di Schettino, esalta in un libro le sue ripetute manovre rasocosta, definite rischiosi ma «bellissimi passaggi».

Mentre incombono i fantasmi delle vittime e l’incubo di una catastrofe ambientale, vien da riflettere sulle manifestazioni di un radicato costume italiota. A parte le gratificazioni riservate ai turisti e pagate nell’occasione a caro prezzo, c’è un comandante che inverte la rotta per cedere al richiamo «familistico» o paesano della terraferma. C’è l’«inchinarsi» all’oltranza di una festa segnata da luminarie e sirene spiegate. E la spavalderia che induce a strafare, ad abusare delle proprie risorse, di un malinteso estro «creativo».

Occorreva l’incredibile naufragio davanti all’Isola del Giglio per risvegliarsi dal sonno della ragione e dell’irresponsabilità? Il ministro dell’Ambiente ha promesso il varo sollecito di una legge sulle rotte a rischio che tenga a distanza i grattacieli galleggianti, che metta al riparo, insieme alle vite umane, i parchi naturali e le bellezze insostituibili del nostro Paese. In primo luogo Venezia, finora impunemente minacciata, e miracolosamente risparmiata, dal traffico osceno. Non c’è profitto di sorta, non le titillate emozioni di turisti inconsapevoli che possano giustificare così gravi rischi. Occorre una scossa, ed è doloroso che venga richiesta, imposta, dai passeggeri imprigionati nel ventre della «Concordia».

da La Stampa del 22 gennaio 2012

"Il peso dei numeri e dei progetti", di Stefano Lepri

Ci inoltriamo in un recessione economica che potrebbe diminuire il prodotto italiano di oltre il 2%, e abbiamo un governo che ci promette di farlo crescere, nel lungo periodo, dell’11%. Qualcuno può domandarsi se ci propongano fantasie irraggiungibili, imitando i politici, anche il governo tecnico, anche il premier che ogni giorno ripete di non volersi candidare a nulla nella prossima legislatura.

No, una differenza c’è. Quella cifra dell’11% in più – e salari in aumento del 12%, quindi benefici per i lavoratori – viene da studi della Banca d’Italia. Chi li ha fatti ne difende la serietà (sono pubblici da tempo, e dibattuti fra gli studiosi) pur invitando a non essere schematici. Più che un numero o un altro, si indicano delle potenzialità: la scelta di politica economica più promettente è appunto quella delle liberalizzazioni.

Può darsi che gli economisti si sbaglino; negli anni scorsi alcuni di loro avevano contribuito a creare pericolose illusioni. Ma questo è il meglio che ci offrano oggi, nel mondo; tra i punti di riferimento citati nei lavori della Banca d’Italia c’è proprio quel Raghuram Rajan sentito ieri da La Stampa, uno dei pochissimi che la crisi della finanza l’avevano prevista.

Ciò che non va nell’economia italiana è che mancano gli incentivi a darsi da fare. In troppi mestieri è difficile entrare. Troppe attività sono frenate da leggi fatte su misura per proteggere chi già le esercita. La burocrazia mette la sua taglia, implicita o esplicita, un po’ su tutto. Di potenziali imprenditori ce ne sono fin troppi, ma molti di loro trovando tutte le strade sbarrate riescono solo a vivacchiare frodando il fisco.

Gli studi della Banca d’Italia mostrano, con ampi confronti internazionali, che altri Paesi privi di questi difetti se la cavano molto meglio. La sfida è provare ad imitarli. Naturalmente non è detto che l’Italia ci riesca: può darsi che le sue energie vitali siano limitate. Dovremo riconoscere allora di essere un popolo vecchio, capace solo di campare di rendite, avvinghiato a mille piccoli status quo.

La differenza con le promesse dei politici dunque c’è. Per la prima volta dopo una dozzina d’anni chi governa in Italia torna ad avere un progetto. Ad alcuni potrà non scaldare il cuore, ma un progetto c’è. Non se ne sentiva più parlare da quando entrati nell’euro il centro-sinistra non seppe come proseguire da lì, e nel 2000, messo sotto scacco dalle promesse di Silvio Berlusconi, provò ad imitarlo abbassando le tasse in deficit.

Per lunghi anni abbiamo sentito ripetere che i progetti erano roba da intellettuali giacobini, illusi di diventare i pedagoghi delle masse; che invece occorreva assecondare la gente così com’è, scambiando le pulsioni più rozze per la verità della gente com’è. Il risultato è che anche nell’economia ha trionfato la legge del più forte; si è spenta la voglia dei giovani di farsi avanti scaricando su di loro il peso di tutto ciò che non si voleva cambiare.

Ora sappiamo che in fondo a quella china può esserci il default. Anche se riuscissimo ad evitare il default, c’è il declino. La nuova recessione del 2012 non è ormai evitabile, perché dobbiamo prendere atto che, causa errori precedenti, non possiamo più reggere il tenore di vita di prima. La speranza di risalire la china può darcela solo una direzione di marcia coerente.

Il paradosso è che occorrerebbero dei bravi politici per spiegare che cosa si sta facendo; errori di ingenuità possono perfino creare simpatie per i tassisti, come da sondaggio. In certi casi, è vero che le novità nascono da movimenti di protesta; ma per il momento quanto a protesta abbiamo più che altro i «forconi» in Sicilia, dove si chiede o di lasciare tutto come prima o di fare ancora di peggio.

da La Stampa del 22 gennaio 2012

"I nostri benefici imprigionati nella rete delle lobby", di Eugenio Scalfari

Il decreto “salva Italia”, ormai diventato legge, suscitò molte critiche, soprattutto a causa della riforma delle pensioni che creava sofferenza ma aboliva anche diseguaglianze notevoli tra quanti godevano ancora del privilegio del sistema retributivo e quanti (i più giovani) erano già passati al sistema contributivo.
Ma l´opposizione alla grandinata di tasse, necessaria per evitare lo sfascio dei conti pubblici, non è paragonabile all´ondata di recriminazioni, contestazioni, scioperi, blocchi stradali, riserve da parte delle forze politiche (del Pdl soprattutto), manifestazioni di “indignati”. Scioperano i tassisti, i camionisti, i pescatori siciliani, i farmacisti, i benzinai, gli avvocati; in Sicilia la protesta ha paralizzato l´isola intera ed ha inalberato addirittura la bandiera separatista della Trinacria. Solo adesso si intravede qualche segnale di resipiscenza.
Era prevedibile, il nostro è il Paese corporativo per eccellenza, tutti i tentativi di introdurre qualche modesta liberalizzazione sono puntualmente falliti contro la muraglia delle lobbies. Ma questa volta è diverso, non a caso Monti è stato per anni commissario alla concorrenza nella Commissione di Bruxelles, dove ha ingaggiato memorabili battaglie contro il potere monopolistico di alcune potenti multinazionali.
Il decreto varato l´altro ieri ha uno spessore politico che va molto al di là dei singoli provvedimenti, configura una politica economica che ha come obiettivo la crescita dell´economia, della produttività, dell´iniziativa individuale e lo smantellamento delle clientele lobbistiche. Un programma di lunga lena di cui il decreto rappresenta solo il primo passo al quale altri seguiranno come lo stesso Monti ha preannunciato.
I beneficiari saranno i consumatori, le famiglie, i giovani e la crescita nel suo complesso perché gli effetti della concorrenza premiano il merito e accrescono la competitività del sistema. Ma le resistenze saranno fortissime.
La modernizzazione di un paese appesantito da mali antichi e dall´incombenza di poteri forti – concentrati o diffusi che siano – è impresa necessaria ma difficilissima.
Se i partiti fossero forti e moderni sarebbe spettato a loro realizzare un obiettivo così ambizioso. Invece è toccato a un governo strano, come lo ha battezzato lo stesso Monti, che ha il vantaggio di non doversi cimentare con le elezioni politiche e l´handicap d´essere appoggiato da una maggioranza parlamentare altrettanto strana, tenuta insieme dall´emergenza e dall´attiva presenza del presidente della Repubblica che sta esercitando un ruolo essenziale pur restando rigorosamente nell´ambito delle prerogative che la Costituzione gli riconosce.
Se si dovesse definire con una parola la natura di questo governo, la più sbagliata sarebbe quella finora più usata di governo tecnico. Non significa nulla l´etichetta di tecnico. Questo è un governo riformista e innovatore e proprio per questo più vicino al centro e al centrosinistra, sebbene sia il centro sia il centrosinistra siano riformisti e innovatori solo parzialmente. Quanto al centrodestra, avrebbe voluto esserlo a parole, ma non lo è stato affatto perché il populismo ha soffocato e stravolto il liberismo liberale che fu all´inizio la sua bandiera.
La crisi dei partiti ha fatto il resto. Per avviare un percorso nuovo essi hanno poco tempo a disposizione: undici mesi, perché a gennaio 2013 comincerà la campagna elettorale ed anche il semestre bianco che limita i poteri d´iniziativa del Quirinale.
Undici mesi, nel corso dei quali dovrebbero dar prova d´una rinnovata capacità d´azione varando una nuova legge elettorale e le riforme istituzionali che riguardano il nuovo ruolo del Senato e la diminuzione del numero dei parlamentari. Riusciranno ad adempiere questi compiti?
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Giorgio Napolitano ha incontrato nei giorni scorsi i loro rappresentanti nel tentativo di mobilitarli su questo programma riformatore che è di loro stretta competenza ma, a quanto risulta, sia la riforma del Senato sia lo snellimento del numero dei parlamentari trovano ostacoli pressoché insormontabili.
Maggiori spiragli si sono manifestati per quanto riguarda la riforma della legge elettorale, anche se non sarà facile comporre le divergenze esistenti tra il centro che punta al sistema proporzionale e i due partiti maggiori che preferiscono mantenere il criterio maggioritario.
Il compromesso si potrebbe trovare sulla linea del sistema elettorale tedesco: una soglia del 5 per cento per evitare la frammentazione dei partiti e un doppio sistema di voto affidato per una parte a collegi uninominali e per un´altra parte a liste con sistema proporzionale. L´ideale sarebbe accrescere la quota riservata ai collegi uninominali rispetto alle liste votate col criterio proporzionale. Forse su questo progetto si potrà trovare l´accordo e sarebbe un passo avanti, ma del tutto insufficiente a riannodare il rapporto tra i partiti e il consenso popolare.
Questo rapporto è ormai del tutto inesistente perché i partiti hanno perso da molti anni il loro ruolo di indirizzo e di visione del bene comune da usare come raccordo tra il popolo e le istituzioni. Il nodo da sciogliere è quello che presuppone però il ritiro dei partiti dalle istituzioni. Fu il più importante obiettivo di Enrico Berlinguer quello di porre fine all´occupazione delle istituzioni da parte dei partiti e il ritorno alla lettera della Costituzione per quanto riguarda la formazione dei governi e la scelta del presidente del Consiglio che la nostra Carta riserva al capo dello Stato.
Ma recuperare il ruolo proprio dei partiti non basta perché le istituzioni sono anche occupate da un´oligarchia annidata nel Consiglio di Stato. Esso accoppia una preziosa funzione giurisdizionale con l´improvvida prassi di fornire ai governi lo stuolo dei capi di gabinetto e dei dirigenti degli uffici legali ministeriali, realizzando in tal modo un gigantesco conflitto di interessi dove i controllori appartengono allo stesso organismo dei controllati col risultato di un gretto conservatorismo e di molteplici benefici clientelari. Neppure l´attuale governo è sfuggito a questa malformazione nella sfera dei sottosegretari e dei capi di gabinetto, mentre ha evitato l´occupazione da parte dei partiti.
Queste sono le vere innovazioni all´insegna del buon governo. Quello di Monti, per come è stato nominato dal capo dello Stato, sta dando dimostrazione di una nuova qualità che dovrà essere preservata anche in futuro e dalla quale deriva un rafforzamento dell´autonomia del Parlamento rispetto ad un potere esecutivo di carattere istituzionale. Preservare ed anzi rafforzare la separazione dei poteri: questo è l´obiettivo da perseguire ed è da esso che deriva anche il recupero di dignità dei partiti e il loro insostituibile ruolo. L´antipolitica e il qualunquismo dilagante si combattono soltanto così.
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Nel frattempo e nonostante il brutale declassamento che l´agenzia di rating Standard & Poor´s ha effettuato all´intera Eurolandia, i mercati sono orientati da qualche giorno in positivo: le Borse sono in rialzo, i titoli bancari anche, lo spread rispetto ai Bund della Germania è in calo e così pure i rendimenti, soprattutto quelli dei titoli pubblici a breve e media durata.
Questi andamenti favorevoli hanno coinciso con i messaggi negativi delle agenzie di rating, con le previsioni sull´aggravarsi del ciclo e con il persistere della politica rigorista del governo tedesco. Come si spiega questa contraddizione tra le previsioni pessimistiche di alcuni dati e il comportamento ottimistico dei mercati?
Vari elementi hanno contribuito al capovolgimento delle aspettative. Elenchiamone alcuni: il miglioramento della domanda interna e la creazione di nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti, la fondata previsione d´un accordo sul debito greco tra il governo di Atene e le banche europee interessate, la straordinaria “performance” del governo Monti e soprattutto la politica monetaria della Bce.
Erano state fatte molte riserve critiche sugli interventi di Draghi in materia di liquidità. Si era ironizzato sul quel bazooka dei prestiti triennali di volume illimitato al tasso dell´1 per cento, che si era trasformato (così sembrava) in un boomerang, visto che le banche europee avevano prelevato 500 miliardi dallo sportello della Bce e li avevano quasi tutti ridepositati nella stessa Bce.
Bazooka potenziale, boomerang effettivo, questo era il giudizio. Abbiamo più volte affrontato questo tema spiegandone le caratteristiche e l´ovvia gradualità della messa in atto. Ora se ne cominciano a vedere i risultati: la Bce ha accresciuto i suoi interventi sui mercati “secondari” dei titoli pubblici, le banche hanno ricominciato a frequentare le aste dei debiti sovrani, si sta rianimando il flusso del mercato interbancario, si sta anche rianimando il flusso dei prestiti alla clientela sebbene la richiesta di tali prestiti sia ancora piuttosto esile a causa della stagnante domanda interna.
Le prime vere somme sull´esito di questa operazione le avremo dalle prossime aste europee di febbraio e marzo. Al secondo sportello che la Bce aprirà in febbraio per i prestiti triennali, le prenotazioni delle banche europee sono raddoppiate rispetto a quelle dello scorso dicembre. Questo è il modo con cui la Bce sta perseguendo il risultato di garantire indirettamente i debiti sovrani europei e questa è anche la ragione per cui Monti non insiste – per ora – sul ruolo della Banca centrale e sulla creazione degli eurobond. La Germania sa che l´approdo dovrà esser questo ma per ora lo esclude perché la Merkel non vuole mettersi in rotta con la sua opinione pubblica in vista delle elezioni politiche. Monti sta al gioco. L´uno e l´altra fanno affidamento sul bazooka di Draghi.
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C´è un´ultima questione della quale è bene far memoria al nostro governo. Abbiamo già detto dello spessore politico delle liberalizzazioni, ma il loro effetto sull´economia si avrà dopo un certo tempo. Il rilancio della domanda interna e la creazione di nuovi posti di lavoro sono però obiettivi che richiedono interventi immediati.
Un primo effetto si è già avuto per merito dei ministri Passera e Barca: lo smobilizzo di 5,5 miliardi per la realizzazione di opere pubbliche, dalla linea C della metropolitana di Roma alla ferrovia Napoli-Bari-Lecce-Taranto, a quella Salerno-Reggio Calabria, a quella Potenza-Foggia. Oltre a questi lavori sono stati stanziati 680 milioni contro le frane di fango e 550 per l´edilizia scolastica.
Ottime iniziative, ma insufficienti. Ci vuole ora con la massima urgenza una robusta esenzione fiscale a favore dei redditi medio-bassi, destinando a copertura le somme che saranno ricavate dalla spending review che dovrebbe esser pronta a marzo.
Nella settimana che inizia domani si aprirà il negoziato sul lavoro, il nuovo contratto di apprendistato e la nuova scala di ammortizzatori sociali. L´articolo 18 per ora resterà come è.
Berlusconi l´altro ieri ha detto che questo governo non ha dato alcun frutto e che forse gli italiani stanno pensando di richiamare lui in servizio. Era una battuta, lo si è capito dal tono scherzoso, ma i giornali di famiglia, e non soltanto loro, l´hanno presa sul serio. Peccato, perché come battuta fa ridere ma se non lo fosse stimolerebbe serie riflessioni sullo stato mentale del suo autore.

da La Repubblica del 22 gennaio 2012

"Un New Deal per il lavoro", di Luciano Gallino

Ci sono due strade per creare occupazione. Una è quella delle politiche fiscali: lo Stato riduce le tasse alle imprese per incentivarle ad assumere. L´altra vede lo Stato creare direttamente posti di lavoro. Rientrano palesemente nella prima le misure predisposte dal governo che sono entrate in vigore a gennaio.
La più rilevante sta nell´articolo 2: prevede, per le imprese che assumono a tempo indeterminato giovani sotto i 35 anni, una deduzione Irap di 10.600 euro per ogni neo assunto, aumentata della metà per le imprese del Meridione.
C´è una obiezione di fondo alle misure del governo: le politiche fiscali presentano una serie di inconvenienti che ne limitano molto la capacità di creare occupazione. Anzitutto esse offrono incentivi a pioggia, ossia non distinguono tra i settori di attività economica in cui appare più utile creare occupazione. Un nuovo assunto è un disoccupato in meno, però sarebbe meglio per l´economia se l´assunzione riguardasse un centro di ricerca invece che un fast food, scelta che non si può fare con incentivi del genere. In secondo luogo bisognerà vedere se le imprese aumentano realmente il personale grazie alle assunzioni incentivate dagli sgravi fiscali, oppure se ne approfittano licenziando appena possono un numero ancora maggiore di quarantenni. Infine le politiche fiscali hanno un effetto incerto. Un´impresa che sa di fruire entro l´anno fiscale di uno sgravio di imposta per ogni assunzione non è detto si precipiti ad assumere tot operai o impiegati il 2 gennaio. È possibile che aspetti di vedere come andranno i futuri ordinativi, i crediti che ha richiesto, i pagamenti dei clienti in ritardo di un anno; con il risultato che, ove decida di assumere, lo fa magari a novembre. Uno sfasamento troppo lungo a fronte di 7 milioni di disoccupati e male occupati in attesa.
Veniamo alla seconda strada. Dagli Usa provengono due casi che attestano, da un lato, la scarsa efficacia delle politiche fiscali per creare occupazione; dall´altro, il ritorno dell´idea che il modo migliore per farlo consiste nel creare direttamente posti di lavoro. A febbraio 2009 il governo Obama varò una legge sulla ripresa (acronimo Arra) comprendente un pacchetto di 787 miliardi di dollari tra riduzione di imposte, prestiti e facilitazioni di vario genere. Secondo uno studio di due consiglieri del presidente, grazie a tale intervento si sarebbe evitato che la perdita di posti di lavoro toccasse i 5 milioni, mentre entro fine 2010 se ne sarebbero creati 3.675.000 di nuovi. E la disoccupazione avrebbe toccato al massimo l´8% a metà 2009 per scendere presto al 7. In realtà i posti di lavoro persi dopo l´entrata in vigore della legge hanno superato gli 8 milioni, quelli creati ex novo erano soltanto un milione e mezzo a metà 2011 e il tasso di disoccupazione ha toccato il 10%.
Forse scottato dall´insuccesso di Arra, a ottobre 2011 il presidente Obama ha presentato al Congresso un altro piano in cui le politiche fiscali hanno ancora un certo peso, però accanto ad esse propone lo stanziamento di 140 miliardi di dollari per mantenere in servizio 280.000 insegnanti; modernizzare oltre 35.000 scuole; effettuare investimenti immediati per riattare strade, ferrovie, trasporti locali e aeroporti e ridare così un lavoro a centinaia di migliaia di operai delle costruzioni. In sostanza, il governo Usa ha deciso di puntare meno sui tagli di tasse e assai più su interventi diretti “per creare posti di lavoro adesso” (così dice la copertina del piano). È un passo significativo verso un recupero da parte dello Stato del ruolo di datore di lavoro di ultima istanza, quello che durante il New Deal creò in pochi mesi milioni di posti di lavoro.
Uno Stato che voglia oggi rivestire tale ruolo assume il maggior numero possibile di disoccupati a un salario vicino a quello medio (intorno ai 15.000 euro lordi l´anno), e li destina a settori di urgente utilità pubblica; tali, altresì, da comportare un´alta intensità di lavoro. Quindi niente grandi opere, bensì gran numero di opere piccole e medie. Tra i settori che in Italia presentano dette caratteristiche si possono collocare in prima fila il riassetto idrogeologico, la ristrutturazione delle scuole che violano le norme di sicurezza (la metà), la ricostruzione degli ospedali obsoleti (forse il 60%). Significa questo che lo Stato dovrebbe mettersi a fare l´idraulico o il muratore, come un tempo fece panettoni e conserve? Certo che no. Lo Stato dovrebbe semplicemente istituire un´Agenzia per l´occupazione, che determina i criteri di assunzione e il sistema di pagamento. Dopodiché questa si mette in contatto con enti territoriali, servizi per l´impiego, organizzazioni del volontariato, che provvedono localmente alle pratiche di assunzione delle persone interessate e le avvìano al lavoro. È probabile che non vi sarebbero difficoltà eccessive a farlo, visto le tante Pmi, cooperative e aziende pubbliche, aventi competenze idonee in uno dei settori indicati, le quali potrebbero aver interesse a impiegare stabilmente personale il cui costo è sopportato per la maggior parte dallo Stato.
La domanda cruciale è come finanzia le assunzioni il datore di lavoro di ultima istanza. Si può tentare qualche indicazione, partendo da una cifra-obiettivo: un milione di assunzioni (di disoccupati) entro pochi mesi. A 15.000 euro l´uno, la spesa sarebbe (a parte il problema di tasse e contributi) di 15 miliardi l´anno. Le fonti potrebbero essere molteplici. Si va dalla soppressione delle spese del bilancio statale che a paragone di quelle necessarie appaiono inutili, a una piccola patrimoniale di scopo; dal contributo delle aziende coinvolte, che potrebbero trovare allettante l´idea di pagare, supponiamo, un terzo della spesa pro capite, a una riforma degli ammortizzatori sociali fondata sull´idea che, in presenza di lunghi periodi di cassa integrazione, proponga agli interessati la libera scelta tra 750 euro al mese o meno per stare a casa, e 1.200 per svolgere un lavoro decente. Altri contributi potrebbero venire da enti territoriali e ministeri interessati dalle attività di ristrutturazione di numerosi spazi e beni pubblici. Non va infine trascurato che disoccupazione e sotto-occupazione sottraggono all´economia decine di miliardi l´anno. John M. Keynes – al quale risale l´idea di un simile intervento – diceva che l´essenziale per un governo è decidere quali scelte vuol fare; poi, aguzzando l´ingegno, i mezzi li trova.

da La Repubblica del 22 gennaio 2012

"Il decreto apre strade nuove. Ma ci sono omissioni e rinvii", di Laura Matteucci

Farmacisti ma anche avvocati e notai sono stati appena sfiorati dal decreto del governo. Impresa facile a rischio infiltrazioni della criminalità. Sull’energia vantaggi per i consumatori.

Cosa va/1
L’acqua non si tocca. Edicole, più sconti
L’istituzione di un’Autorità indipendente per i trasporti, che toglie competenze dirette alla politica, è un provvedimento che può avere un vero impatto positivo sulla regolamentazione dei mercati. Peccato solo venga rinviata ad un ulteriore ddl, da presentare entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto sulle liberalizzazioni.
Più immediati potrebbero essere gli effetti positivi della semplificazione per la creazione di imprese (per quelle edili soprattutto è prevista una minore tassazione e menovincoli burocratici). Un capitolo cui è ascritta anche la nuova figura di società «a responsabilità limitata», quella per i giovani under 35, con il versamento di un capitale minimo di 1 euro e senza l’obbligo di intervento del notaio.
Una grande apertura per chi non ha mezzi, soggetta comunquea parecchie critiche: la più pesante, il rischio che una società di questo tipo, fondata senza particolari controlli, possa fare da facciata per la malavita organizzata, considerando anche che chiunque avrebbe la possibilità di ricoprire il ruolo di amministratore. In più, società di questo tipo, di fatto non capitalizzate, avrebbero certamente qualche problema di accesso al credito, a meno di fideiussioni da parte di terzi (ma in tal caso la capitalizzazione zero sarebbe fittizia). Il Tribunale per le imprese, canale preferenziale che dovrebbe accorciare i tempi dei contenziosi, sembra però il semplice cambio di denominazione di sezioni giudiziarie già esistenti, quelle specializzate nei brevetti.
I consumatori potrebbero trarre qualche beneficio dalle nuove norme per gli edicolanti, che potranno praticare sconti sulla merce venduta. L’articolo che li riguarda tende a migliorare il rapporto contrattuale con i distributori, cui possono rifiutare le forniture di prodotti complementari.
Quanto ai servizi pubblici locali, per i quali sono favoriti gli accorpamenti e le aggregazioni di aziende, è sparito nell’ultima versione il divieto di gestione pubblica del servizio idrico. Una vittoria per tutti i referendari, i cui comitati avevano già prospettato, in caso contrario, il ricorso alla Corte costituzionale.

Cosa va/2
Giù il petrolio. Risparmio di 116 euro
La società Snam, (società nazionale metanodotti), è la holding che controlla Snam Rete Gas spa, ovvero la principale società italiana di trasporto del gas naturale. È attiva anche nello stoccaggio del gas naturale, con Stogit, e nella vendita del gas, attraverso il controllo di Italgas. Il principale azionista di Snam è l’Eni con il 52,53%, il cui principale azionista è, a sua volta, lo Stato. La separazione della rete del gas da Eni sarà realizzata mediante lo scorporo proprietario dell’interaSnam. È il metodo ottimale per attuare un effettivo mercato concorrenziale del gas naturale, garantendo un migliore sviluppo della rete infrastrutturale e l’accesso «libero» degli operatori. Il che dovrebbe consentire anche di abbassare i prezzi finali al consumatore. Ma lo scorporo è demandato ad un dpcm (decreto del presidente del Consiglio) da varare entro sei mesi, che dovrà anche chiarire le modalità con cui Eni dovrà scendere sotto il 50%.
Nella nuova costituenda maxi Authority, quella delle reti, confluiranno le competenze dell’Autorità per l’energia e dell’attesa Autorità per i trasporti. Aggiornando le tariffe per famiglie e pmi, l’Autorità dovrebbe ridurre gradualmente il riferimento ai prezzi del petrolio per considerare anche quelli sui mercati europei del gas, con effetti di contenimento delle bollette. Il dl istituisce un nuovo tipo di servizio di stoccaggio per consentire alle imprese di approvvigionarsi direttamente all’estero a prezzi più competitivi. E, quanto al mercato elettrico, viene aggiornata la disciplina per tener conto della crescita dell’energia prodotta da fonti rinnovabili e maggiore integrazione con i mercati elettrici europei, sempre per contenere le bollette. Nel complesso, secondo le associazioni dei consumatori, sulle bollette energetiche si potrà risparmiare fino a109 euro a famiglia.
La partita si completa con le nuove norme relative agli impianti di distribuzione dei carburanti: è prevista una pluralità di contratti possibili tra gestori e compagnie petrolifere, da regolamentare in sede sindacale.
Ma lo stop alle forniture esclusive riguarderà solo il 50% dell’approvvigionamento e solo i titolari dell’autorizzazione, insomma i proprietari: in sostanza il provvedimento sarà valido dal 30 giugno per 500 impianti su 25mila (motivo per cui parte della categoria ha proclamato la serrata). Per il resto, l’intera filiera – dall’estrazione alla pompa – resta in mano alle compagnie petrolifere, che continueranno a decidere anche i prezzi finali agli automobilisti.
I consumatori calcolano comunque che ne deriverà un risparmio di circa 116 euro l’anno. È confermata la possibilità di vendere nei mega distributori (minimo 1500 metri quadrati di superficie) anche prodotti non oil. E la rimozione dei vincoli non giustificati all’apertura di impianti presso i centri commerciali.

Cosa non va/1
Parafarmacie al palo Deregulation ferrovie
C’è il danno, continuare a non poter vendere i farmaci di fascia C, quelli per cui è necessaria la ricetta ma che sono a carico del cittadino. E c’è anche la beffa: la prospettata apertura di 5mila nuove farmacie (il cui numero sale così da 18mila a 23mila) che, complice il fatto di poter praticare sconti (ma è solo una possibilità), sarebbero da subito in diretta concorrenza. Per le 3.823 parafarmacie italiane è débacle su tutta la linea. A rischio, con la loro sopravvivenza, sono circa 8mila posti di lavoro. E svaniscono anche 600 milioni di investimenti già preventivati.
La possibilità di vendere negli ipermercati e nelle parafarmacie medicinali classificati di «fascia C» (che rappresenta circa il 17% del fatturato, e non sarebbe stata liberalizzata comunque per intero) avrebbe invece potuto creare circa 5mila nuovi posti di lavoro, determinando, grazie alla concorrenza che si sarebbe aperta, un abbattimento dei prezzi per un risparmio calcolato tra i 250 e i 500 milioni di euro l’anno. Previsto già nel decreto di dicembre, dal quale era svanito dopo le pressioni di alcuni parlamentari Pdl che si erano fatti portavoce della lobby dei farmacisti, era tra gli interventi più attesi, come le stesse parole di Monti avevano fatto intendere (per i farmaci «porremo rimedio a gennaio», aveva detto). Il decreto prevede solo un unico grande concorso straordinario per l’apertura di oltre 5mila farmacie (una ogni 3mila abitanti), la possibilità di sconti anche per i farmaci di fascia A direttamente pagati dal cittadino, e orari e turni allargati. Il
concorso sarà per i farmacisti non titolari e potranno parteciparvi, vedendo riconosciuto il punteggio di servizio maturato, anche farmacisti che lavorano in ambito diverso da quello delle farmacie. Inserita una norma volta a generalizzare la cultura e la pratica del farmaco generico: il medico sarà obbligato ad indicarlo nella sua ricetta. Menomale.
Un punto tutto da verificare è poi la deregulation sui contratti di lavoro ferroviari (decade l’obbligo per le aziende di applicare i contratti collettivi), un modo per agevolare l’ingresso di nuovi operatori e che finisce per colpire anche i lavoratori di Trenitalia. Lo scorporo tra Fs e rete ferroviaria Rfi, inizialmente previsto, non viene contemplato nel decreto. Se ne occuperà, eventualmente, la costituenda Autorità dei trasporti.

Cosa non va/2
Banche indenni. L’inganno polizze
Le banche escono sostanzialmente indenni dal decreto. Verranno definite le caratteristiche dei conti correnti e conti base, e Banca d’Italia dovrà indicare anche l’ammontare degli importi delle commissioni da applicare sui prelievi effettuati con carta di credito. Ma le banche, come rilevano le associazioni dei consumatori, continuano ad applicare tassi di interesse più elevati dello 0,67% sui mutui, in Italia al 4,6% contro il 3,93% della media Ue. Anche la norma sulle polizze assicurative per poter accedere ad un mutuo, con l’obbligo di fornire due preventivi al cliente, appare beffarda (perché non vietare tout-court la vendita delle polizze?). Altra questione toccata solo di sfuggita è poi quella delle Rc auto: quello degli sconti per chi installa in auto la scatola nera è un esperimento già fatto cinque anni fa su 14mila vetture, senza risultati di rilievo. Viceversa, non è stato toccato il meccanismo del bonus-malus, quello su cui si regola davvero il mercato tariffario.
Quanto ai notai, il loro aumento, già risicato (500 unità) è solo sulla carta: si tratta di un invito a completare entro il 31 dicembre 2012 le procedure per i concorsi già banditi negli ultimi tre anni. Non si parla peraltro di sanzioni in caso contrario.
L’abolizione delle tariffe professionali era in realtà già prevista sia dalle «lenzuolate» di Bersani, sia dalla manovra del luglio scorso: si tratta quindi di un’estensione di norme già fissate. La stessa manovra prevedeva già anche l’obbligo per i professionisti di presentare un preventivo scritto al cliente, procedura atta a favorire la trasparenza ma che potrebbe rivelarsi complicata nella sua reale attuazione.
Nell’immediato, e nonostante le infuocate proteste, per i taxisti non accade proprio nulla. Ogni eventuale modifica nel numero e nelle modalità di rilascio delle licenze (l’incremento verrebbe comunque accompagnato da adeguate compensazioni) è infatti affidata all’Autorità per l’energia, in attesa dell’istituzione di una specifica Autorità di regolazione dei trasporti, entro 3 mesi dalla conversione del dl.

da L’Unità

"Liberalizzazioni, tutte le novità settore per settore", da www.ilsole24ore.it

Sono oltre 15 i settori coinvolti dal piano liberalizzazioni targato Monti, dal gas alle professioni, dalle banche alle farmacie. Dopo un lavoro di alcune settimane il pacchetto è stato approvato come primo capitolo del decreto “cresci-Italia”. Varie bozze, trattative e correzioni hanno portato al risultato finale in cui spiccano le misure per la libertà di impresa, il pacchetto energia e quello sulle assicurazioni.

ENERGIA – Tariffe del gas agganciate all’Europa

CARBURANTI – Più spazio al self service fuori città
C
RETE GAS – Sei mesi per scorporare Snam da Eni

ASSICURAZIONE – Risarcimenti, disincentivi alle frodi

BANCHE – Polizze mutui, almeno 2 preventivi

COMMERCIO EDICOLE – Attività al via senza autorizzazioni

TAXI – Più licenze ma con compensazione

FARMACIE – Concorso per 5mila nuove farmacie

FERROVIE – Fs: rinvio per la rete, gare per i pendolari

AUTOSTRADE – Price cap per il futuro, ora salvati i lavori

PROFESSIONISTI E NOTAI – Via le tariffe per i professionisti

CLASS ACTION – Consumatori con diritti omogenei

IMPRESE – Un tribunale ad hoc per le imprese

PAGAMENTI IMPRESE – Bond per pagare i vecchi debiti della Pa

INFRASTRUTTURE – Cantieri aperti al project financing

IL TESTO DEL DECRETO DELLE LIBERALIZZAZIONI

da www.ilsole24ore.it

"I cattivi maestri del sorteggio", di Michele Prospero

Sul Corriere della Sera, il costituzionalista Michele Ainis torna sulla sua proposta di creare un Senato attraverso il metodo del sorteggio.
Ai critici «troppo vivaci», dice, della stravagante idea di indire una lotteria per designare i membri di Palazzo Madama, replica che l’idea non era poi così peregrina.
punto di vista dottrinale. Anzi, ribadisce che il sorteggio è un grande e desiderabile
obiettivo di innovazione istituzionale perché «piaceva ad Aristotele non meno che a
Montesquieu».
Aristotele teorico della dea bendata? Il sorteggio egli lo registrava come una consuetudine invalsa in alcune città democratiche greche. Ma la democrazia per
Aristotele non era la forma preferita di ordine politico, così come non gradito era il
regime a lei opposto, l’oligarchia. La politia, questo era il suo modello istituzionale, contemplava la mediazione tra i due sistemi antitetici e per motivi speculari molto difettosi.
Grazie all’abbinamento tra le due costituzioni avverse, la politia doveva «fare le cariche elettive secondo l’oligarchia, renderle indipendenti dal censo secondo la democrazia» (Politica, IV, 9). Quindi: elezione e non sorteggio delle cariche politiche e diritto di voto concesso indipendentemente dal censo.
Anche in Montesquieu la predilezione per il sorteggio è solo una favola. Lo stigmatizzava anzi in modo esplicito come un metodo «di per sé difettoso» (Spirito delle Leggi, II, 2). Cosa auspicava allora il teorico francese? Semplice: «Nella democrazia regolata si è eguali solo come cittadini, in quella non regolata invece si è eguali anche come senatori, come giudici, come magistrati» (ivi, VIII, 3). Appunto, nella democrazia con regole e forme giuridiche efficaci vige la rappresentanza e il voto, non già il sorteggio. Nelle altre democrazie, quelle degeneri però, i senatori e i giudici si sorteggiano, ma sono lungi dall’essere dei regimi politici desiderati e ben funzionanti.