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"Balduzzi: talenti in fuga per tagli e precariato ma adesso si cambierà", di Marcella Ciarnielli

È una vicenda amara, molto amara, anche se non deve portare alla rassegnazione». E poi: «Bisogna essere inflessibili rispetto alle regole e soprattutto circa quelle procedure che premiano il merito». Renato Balduzzi, ministro della Salute, ha raccolto la sollecitazione che è venuta dalla storia che Luigi Agresti, cardiochirurgo di 34 anni, ha raccontato all’Unità. Una storia fatta di speranze e delusioni, di soddisfazioni e di una lunga precarietà che ora, solo andando all’estero, potrà avere uno sbocco.
Un’altra capacità che se ne va. Uno dei mille giovani medici che ogni anno lasciano il Paese perché altrove hanno trovato un’opportunità di lavoro. Una situazione che è conseguenza diretta delle misure di contenimento della spesa pubblica che hanno determinato un innalzamento dell’età media dei medici del Servizio sanitario nazionale e che, negli ultimi tempi, si sta risolvendo in un decremento del loro numero, specialmente nelle Regioni sottoposte a piani di rientro. Le aziende, strette tra i limiti alle assunzioni e la necessità di garantire le prestazioni, sono state costrette a ricorrere a forme di reclutamento atipiche che hanno portato l’aumento del precariato. Se nel 2004 i medici precari erano 3.944, nel 2010 sono arrivati a 7.177 con un incremento del 9 per cento rispetto all’anno precedente. Nel 2010 i medici dipendenti del servizio nazionale sono diminuiti dell’1,3 per cento rispetto al 2009 e nello stesso anno in pensione sono andati, per raggiunti limiti d’età e di contribuzione, in 4.116.
Spiega il ministro: «Il numero dei precari è attualmente superiore a quello fisiologico. È un tema che preoccupa tutti, non solo noi ma anche le Regioni ed è per questo uno degli argomenti centrali dei lavori al tavolo tra Ministero e Regioni per la Programmazione del personale da parte delle aziende «nel medio e nel lungo periodo» facendo i conti con il fatto che attualmente «c’è sicuramente uno squilibrio tra l’offerta e la domanda». Tuttavia, posto che le regole siano state rispettate, «l’apertura dei confini alla professione medica, che ha in sé unavocazione internazionale, non è una sciagura. Anche se il fenomeno cui assistiamo oggi è in
buona parte legato alle difficoltà di reclutamento che incontrano le aziende sanitarie». E che ha conseguenze preoccupanti anche sulla qualità dell’offerta del servizio sanitario. Da una parte può apparire inutile investire su professionalità a cui non si può offrire una situazione stabile, dall’altra gli stessi precari sono condizionati
dal loro status d’incertezza. Non c’è più osmosi tra i più giovani e i più anziani, tra chi sa e chi deve apprendere.
Se questa è la situazione sarà mai possibile fermare questi esodi?
«Ci sono deroghe al blocco del turn over che debbono essere correttamente, ma decisamente utilizzate, per assicurare il necessario ricambio generazione e per offrireun futuro dignitoso ai giovani medici».Ma su questa strada bisognerà ancora lavorare. Anche con nuove norme. Sull’argomento, già approvato dalla Camera,
in discussione al Senato c’è un disegno di legge che affronta il riassetto delle regole per favorire un più stretto legame tra le strutture del servizio sanitario nazionale e i medici in formazione. Quello posto, però, è un problema nel problema dato che la cardiochirurgia è una disciplina di alta specializzazione e rientra, quindi, in un problema storico dovuto a vari fattori il primo dei quali è un’eccessiva offerta formativa, frutto di esigenze più dell’accademia che assistenziali del Paese. «Nell’affrontare la questione dobbiamo tenere conto che facciamo parte dell’Europa e che i nostri medici specialisti devono guardare a questo mercato più ampio, come
d’altra parte ricorda anche il dottor Agresti». Infatti i suoi colleghi, come ha detto all’Unità, sono andati a lavorare in strutture ospedaliere di «Leeds, Norimberga, Edimburgo, Birmingham, Stoccarda…». Questa è una strada che è stata percorsa anche da altre categorie di personale sanitario in un verso e nell’altro: i medici di famiglia italiani che hanno trovato una buona sistemazione in Gran Bretagna, gli infermieri spagnoli che hanno trovato un’occupazione in Italia.
Favorire il rientro delle risorse umane, questa è stata ed è la politica del Ministero. Anche se per il momento la regola è sembrata valere più per la ricerca. «Anche in momenti di particolare difficoltà – ribadisce il ministro – è necessario trovare strumenti per limitare la migrazione a una quota fisiologica e di questo si discute, anche in questi giorni, sempre in sede di rinnovo del Patto per la salute».

L’Unità 18.01.12

"Quel pupillo spinto dalla ´ndrangheta crepa letale nel cerchio di Formigoni", di Alberto Statera

Il boss disse: “Vado da Ponzoni e mi faccio fare lo svincolo”. Dietro all´ascesa dell´ex assessore i capi calabresi di Desio, Natale e Saverio Moscato. Era già emerso che la criminalità puntava su Ponzoni e sui suoi rapporti col Governatore. Qui Desio, piccola capitale lombarda della ´ndrangheta, fiera della sua basilica dei Santissimi Siro e Materno, con la cupola miracolosamente costruita senza il sostegno di colonne portanti, e orgogliosa del suo concerto di campane. La basilica è ben solida in piedi anche senza colonne e lo sarà ancora per secoli.
Ma il concerto di campane che risuona a Milano annuncia che è proprio qui che invece sta per venire giù rovinosamente la cupola che da un ventennio il celeste Roberto Formigoni ha edificato su Milano e sulla Lombardia. Con un cemento marcio, fatto di devozione al braccio affaristico di Comunione e Liberazione e di sottomissione a quello criminale della ´ndrangheta calabrese.
Fatto di assessori regionali corrotti, di faccendieri, di tangenti, di appalti truccati, di disastri ambientali, di finanziamenti illeciti, nell´orgia di una nuova classe di politici lombardi senza scrupoli. Alcuni dei quali all´inseguimento soltanto di beni terreni, denaro, yacht, ville, viaggi, Porsche Cayenne nere e cocaina a fiumi. La specialità è di Massimo Ponzoni, membro dell´ufficio di presidenza del Consiglio regionale, ex assessore e pupillo del governatore, arrestato ieri.
Padre fattorino, il geometra Ponzoni a diciott´anni fonda uno dei primi club di Forza Italia e assurge al Consiglio comunale di Desio per approdare dopo pochi anni alla Regione, spinto dal braccio destro di Formigoni, Giancarlo Abelli, e da Mariastella Gelmini, indimenticabile ministro della Pubblica istruzione nell´ultimo (si spera) governo Berlusconi. Ma soprattutto spinto dai boss calabresi di Desio, Natale e Saverio Moscato, nipote di Natale Iamonte, boss della ´ndrina di Melito Porto San Salvo.
Ai pubblici ministeri occorrono oggi poche parole per inquadrare la personalità del pupillo di Formigoni, anche perché le sue gesta sono note da anni. Ma non sono bastate al governatore per scaricare l´uomo da ventimila preferenze in Consiglio regionale. A Desio, per dirne una, c´è una cava trasformata in discarica dove è stato versato di tutto. Una bomba ecologica. Ne parla al telefono Domenico Cannarrozzo, capo di una «famiglia», col latitante Fortunato Stellitano, il quale spiega: «Martedì vado a trovare Massimo e mi faccio fare lo svincolo, che è l´assessore all´Ambiente. Poi se vogliono che bonifichiamo anche sotto, ancora meglio». Massimo, naturalmente, è il pupillo di Formigoni, allora assessore all´Ambiente.
La Lombardia in quanto a rapporti mafiosi è come una provincia di Reggio Calabria, sostengono Gianni Barbacetto e Davide Milosa, che nel libro Le mani sulla città riportano un´intercettazione proprio del boss di Desio, Moscato: «A questo punto a Ponzoni – comunica il boss – dobbiamo dargli rilievo, lui è cazzo e culo con Formigoni e via dicendo, ci sono soldi anche per Ponzoni e pago. Quanto vuole, il 10 per cento? To´». E il mafioso interlocutore, previdente: «E ora che iniziano i lavori per l´Expo?» Il boss di Desio detta anche l´epitaffio – così almeno si spera – della politica lombarda degli ultimi lustri e dell´era Formigoni: «Ma che cazzo vuoi che capiscano destra o sinistra e via dicendo, basta che togli i soldi e, mannaggia la Madonna, fai il cazzo che vuoi».
Ponzoni è stato tradito da una mera questione di liquidità, il crac di alcune società, tra cui «Il Pellicano», in cui era socio dell´ex assessore regionale Giorgio Pozzi, di Rosanna Gariboldi, moglie di Giancarlo Abelli, già coinvolto nello scandalo Montecity e Massimo Buscemi, attuale assessore regionale alla Cultura.
Ironia della sorte, è proprio il ras brianzolo Ponzoni a prefigurare per sé e forse per Formigoni un destino simile a quello della Costa Concordia, affondata in un bicchier d´acqua di fronte al Giglio per la follia del suo comandante: «Caro Massimo – scrive in una metaforica mail al presidente di un gruppo immobiliare bergamasco che sta facendo una speculazione a Seregno – ti scrivo dopo aver fatto serie considerazioni a proposito di tre navi che stanno per affondare portandosi con sé 4/5 marinai di pregio. Potrebbe essere interessante per te salvare quel gruppo di marinai? ». Compreso il comandante Formigoni, che non ha tardato a smentire le utilità goduriose che avrebbe ricevuto tramite il suo pupillo oggi misconosciuto, ma che ormai è assediato dagli scandali della sua amministrazione.
È un po´ difficile nascondere le crepe della cupola lombarda persino per uno che per vent´anni è riuscito ad ammantare la più clientelare e scandalosa delle politiche con gli usurpati panni dello statista, in attesa di chiamata in riserva della Repubblica come delfino di Berlusconi e per il bene nazionale. Le firme false alle ultime elezioni, l´asilo alla maitresse pettoruta del Bunga Bunga onorata nel suo listino, la sanità e i finanziamenti a don Verzè e al sistema del San Raffaele, che ha prodotto un buco di almeno un miliardo e mezzo in corruzione, gli orrori della clinica Santa Rita, la teoria infinita di scandali e di tangenti, ultimo dei quali quello di Franco Nicoli Cristiani, arrestato pochi giorni fa per una vicenda corruttiva di rifiuti ordinatamente sistemati sotto l´autostrada Brebemi. Ora i palesi accordi ´ndranghetisti e le gesta del pupillo che viene da Desio.
Tanto che persino nella Curia milanese e in Vaticano la pratica lombarda è ormai quotidianamente all´attenzione.
La maledizione del Pirellone ha falcidiato l´ufficio di presidenza della Regione formigoniana: prima Filippo Penati, la pecora nera del Partito Democratico, poi Nicoli Cristiani, per finire – ma chissà? – con Ponzoni, che Formigoni aveva imposto nonostante quasi tutto fosse noto sulla scalata senza freni etici di un piccolo politico di provincia sponsorizzato, con la forza delle sue debolezze, dalla ‘ndrangheta.
E adesso che comincia il censimento delle nefandezze speculative della banda lombarda non solo a Monza e in Brianza, ma in tutta la Lombardia, quanto potrà reggere senza più colonne, come la cupola con le campane di Desio, la cupola regionale del malaffare? Poco? Nessuno all´opposizione sembra avere il coraggio di dirlo con forza, forse per il timore degli sviluppi del caso Penati. Come se lo scandalo di Sesto San Giovanni, che ha impiombato il Partito democratico, avesse paralizzato l´opposizione. Un po´ timidamente, Luca Gaffuri e Maurizio Martina invocano una nuova legge elettorale regionale senza più listini bloccati pieni di Minetti e mascalzoni vari, e di andare al voto il più presto possibile. E la Lega? Annaspa tra le beghe familiste del Cerchio magico.
Difficile. Ma chissà che stavolta, per salvare la cupola della Basilica dei santissimi Siro e Materno, non sia la Chiesa milanese ad annunciare che la festa celeste della cupola affaristica formigoniana è finalmente finita.

La Repubblica 18.01.12

"Profumo: nessuna riduzione del percorso liceale. Per il momento", da Tuttoscuola

È durata meno di una settimana l’ipotesi di abbreviare di un anno il percorso dei licei. L’aveva lanciata sul suo blog il sottosegretario Marco Rossi Doria, l’ha mandata in archivio, per il momento, proprio lo stesso ministro Profumo. Prima di imbarcarsi per Cracovia per il Viaggio della Memoria con 130 studenti ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, Profumo ha spiegato infatti che “è un tema di cui si discute da molto tempo ma credo che questo governo non abbia la possibilità di fare riforme strutturali, ma solo di semplificare il sistema in particolare sulla burocrazia”.

Per il ministro Profumo, dunque, non è in programma un accorciamento del percorso degli studi scolastici. “Ci occupiamo della situazione contingente e possiamo solo iniziare a disegnare la scuola del futuro – ha spiegato – ma solo come visione. Ma il governo, dopo essersi occupato delle urgenze, lavorerà alla scuola del futuro. Credo che questo non abbia la possibilità di fare riforme strutturali.

Prima bisogna far funzionare al meglio e semplificare le norme che ci sono”.

“Non c’è nessun provvedimento pronto. Ci dobbiamo occupare del contingente – ha ribadito il ministro – ma poi dovremo anche occuparci di disegnare la scuola futuro”.

Profumo ha così smentito il suo sottosegretario, anche se corre voce che l’idea fosse proprio sua e che Rossi Doria si sia limitato a lanciarla sul suo blog in modo non ufficiale.

Così come corre voce che il progetto, nero su bianco, fosse già pronto sul tavolo di Profumo.

Voci, illazioni che il diretto interessato ha messo definitivamente a tacere, con buona pace dei tanti opinionisti che in questi giorni si erano dati da fare dibattendo con calore sul tema.

da Tuttoscuola 18.01.12

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Troppi dissensi sull’addio al quinto superiore, Profumo “congela” il progetto

Elevati i rischi di incorrere in un giudizi negativi da parte di opinione pubblica, politici e sindacati. Rimane in piedi l’idea dell’organico funzionale, ma serve l’ok del Mef. Col decreto liberalizzazioni arrivano graduatorie pluriscuole di candidati a svolgere recuperi e attività extra-curricolari. Non è bastato il consenso del suo staff e di alcuni esponenti politici. Per evitare l’impopolarità già a poche settimane dalla sua nomina, il ministro Profumo dell’Istruzione, Francesco Profumo, sembra aver messo in “cantina” il progetto di legge sulla riduzione di un anno dei cicli scolastici. Il numero uno del dicastero di viale Trastevere si è reso evidentemente conto che troppo alti sarebbero stati i rischi di incorrere in un giudizio negativo da parte dell’opinione pubblica, visto che gli 8 milioni di famiglie e un milione di dipendenti non avrebbero di certo bene accolto una notizia a cui nessuno risulta essere adeguatamente preparato.

Ma non solo. Dopo le critiche espresse dall’ex sottosegretario Mariangela Bastico, appartenente al Pd, decisamente alte sarebbero state anche le possibilità di creare imbarazzi in seno alla maggioranza che sostiene il Governo Monti. Per non parlare dei rapporti coi sindacati, tutti dichiaratisi contro la maturità a 17 anni, che lo stesso Profumo sta invece faticosamente cercando di rimbastire dopo le tensioni che hanno governato l’era Gelmini.

Meglio spostare l’attenzione, quindi, su altri questioni irrisolte. Come quella dell’organico funzionale: si tratta di un provvedimento che, al contrario della cancellazione del quinto superiore, addetti ai lavori e sindacati accoglierebbero a braccia aperte. Ad iniziare dai migliaia di soprannumerari. Che in questo modo si ritroverebbero per almeno tre anni una “ciambella di salvataggio” insperata. Ottenere la conferma dell’organico per un triennio, però, non sarà facile: serve l’ok del ministero dell’Economia. E visto il periodo di profonda recessione finanziaria, anche questo progetto rischia di fare la fine del primo.

Molte più possibilità di essere portati a termine, già attraverso il decreto legge sulle liberalizzazioni, che tanto sta facendo arrabbiare in questi giorni professionisti ed ordini professionali, sono invece alcuni provvedimenti pro-autonomia scolastica: ad iniziare dalla possibilità che ogni istituto avrà di utilizzare, al fine di attivare attività di recupero, corsi pomeridiani ed attività a sostegno della didattica curricolare, da affidare tramite organici di aspiranti allargati a più scuole. Confermata l’attenzione per l’edilizia scolastica, che per essere avviata su larga scala comporterà due novità: da una parte l’apertura ai privati, dall’altra si pensa ad abbandonare le strutture vecchie (costruite prima degli anni Settanta) e più a rischio (soprattutto in caso di sisma), con lo spostamento di studenti, docenti e personale in istituti dismessi, in passato destinati ad altri usi, che offrono molte più garanzie strutturali.

da La Tecnica della Scuola 18.01.12

"Pensioni, via le penalità nel 2012. E sull´articolo 18 pressing degli industriali. I sindacati: non trattiamo", di Roberto Petrini

Pensioni, si cambia. Ha superato il vaglio di ammissibilità, e dunque da oggi sarà al voto della Commissione Bilancio della Camera, l´emendamento bipartisan al decreto “Milleproroghe”, che mira a moderare l´impatto del taglio del 2 per cento dell´assegno per coloro che, pur avendo compiuto di 42 anni di contributi (41 le donne), non hanno totalizzato l´età anagrafica di 62 anni. Secondo il decreto Salva-Italia, questi lavoratori dal primo gennaio di quest´anno sono sottoposti ad una penalizzazione del 2 per cento per ogni anno di anticipo rispetto al sessantaduesimo. L´emendamento, firmato da Pierpaolo Baretta (Pd) e da Giuseppe Marinello (Pdl), oltre che da tutti i componenti della Commissione Lavoro, proroga di un anno, dunque compatibilmente con la natura del decreto “Milleproroghe”, l´entrata in vigore della penalizzazione per salvaguardare i lavoratori che hanno cominciato l´attività in giovane età. Nel 2012, dunque, se il governo darà il semaforo verde, si andrà in pensione senza penalizzazioni.
Interventi in vista – anche di questi si era parlato dopo la fulminea approvazione del decreto Monti alla fine dello scorso anno – anche per coloro che si troveranno nella drammatica situazione di non avere i requisiti per la pensione dopo aver perso il posto di lavoro nel 2012: un emendamento per garantire i contributi figurativi è stato presentato da Pd e Pdl.
Salvi questi due emendamenti, chiesti anche dal documento unitario siglato ieri dai tre leader sindacali Camusso, Bonanni e Angeletti, per il resto la scrematura è stata pesante. Su 837 emendamenti, ben 490 hanno subito lo stop, ne restano dunque 347. Tra le altre proposte, superano il vaglio anche quelle che riguardano Radio Radicale, l´Agenzia delle autostrade e la proroga a favore dell´ippica. Proroga in vista anche, con un emendamento del Pd Vannucci, per le agevolazioni fiscali ai lavoratori dipendenti che prestano la propria opera a San Marino e nel Principato di Monaco e che, vista la scadenza del norme volte ad evitare la doppia imposizione, si trovano a pagare il doppio delle tasse contrariamente a quelli che vanno a lavorare in Svizzera e al Vaticano dove esiste un trattato.
Intanto dopo tre anni di divisioni ieri è tornata a riunirsi la segreteria unitaria di Cgil, Cisl e Uil. Il documento, firmato dai tre leader, guarda alla imminente trattativa con il governo su mercato del lavoro e ammortizzatori sociali. La piattaforma prevede la riduzione del numero delle tipologie contrattuali puntando sull´apprendistato per i giovani e il contratto d´inserimento per gli over 50, oltre ad ammortizzatori sociali uguali per tutti e pagati da tutte le imprese. Sì alle liberalizzazioni purché non si trasformino in privatizzazioni.
Il convitato di pietra continua ad essere tuttavia l´articolo 18. La presidente della Confindustria Marcegaglia ha mandato a dire ai sindacati che bisogna sedersi al tavolo «senza ideologie». Pronta la replica, all´unisono, di Cgil-Cisl-Uil: «Ideologia al contrario». Infatti, spiegano i sindacati, «se il governo introdurrà il tema dell´articolo 18 vorrà dire che non vuole il confronto con i sindacati. E´ una ideologia al contrario, un giochino per non affrontare i veri problemi».

La Repubblica 18.02.12

"I sindacati uniti: l’articolo 18 non si tocca", di Roberto Giovannini

Erano tre anni che i vertici di Cgil, Cisl e Uil non riuscivano a mettersi d’accordo praticamente su niente. E dunque l’intesa di ieri sul documento per il negoziato con il governo sulla riforma del mercato del lavoro (con un rilancio sulla necessità di strategie per far ripartire l’occupazione e la crescita) se non altro è una notizia. Due sono i messaggi contenuti nella piattaforma per la trattativa con l’Esecutivo: primo, la richiesta di un «cambiamento nella politica economica del governo», visto che la gravità della crisi accentuata dalla manovra inevitabilmente recessiva di dicembre non può non essere contrastata da «politiche che favoriscano la crescita, il lavoro, l’equità sociale e fiscale». Secondo, che il tema dell’articolo 18 non esiste, non è sul tavolo e su questa materia non ci sarà alcuna trattativa.

«Abbiamo già detto che se il governo vuole introdurre questo argomento vuol dire che non vuole il confronto con i sindacati. Per noi il confronto si apre sulle proposte che facciamo», dice la leader della Cgil Susanna Camusso: «Il tema dell’articolo 18 non c’e, non lo consideriamo risolutivo per i problemi che presentiamo». E se dal fronte delle imprese la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia sottolinea che gli industriali andranno al tavolo «senza ideologie e senza dire dei no prima di sedersi», e che si aspetta che i sindacati facciano la stessa cosa, Cgil-Cisl-Uil rispondono seccamente «no». «È fuorviante insistere su questo tema, è imbarazzante», afferma il numero uno della Cisl Raffaele Bonanni, che parla di «aree di ideologismo che fanno male al Paese», e sottolinea il diverso spirito con cui i sindacati hanno cercato una piattaforma comune: «Le nostre sono proposte che evitano di far litigare il sociale e la politica. Abbiamo cercato tutti gli strumenti che siano efficaci ma che non creano problemi a nessuno». «È una rappresentazione falsa», aggiunge Luigi Angeletti, dire «che i sindacati vogliono mettere pregiudiziali e Confindustria no. Nessuno pensi che non avere pregiudiziali significhi dover dare ragione agli altri. Noi abbiamo delle idee, e abbiamo spiegato centinaia di volte che intervenire sull’articolo 18 non sarebbe d’aiuto».

Al governo i sindacati chiedono di aprire un confronto che vada oltre la riforma del lavoro su cui hanno informalmente già incontrato il ministro Elsa Fornero: chiedono di inquadrarla nel contesto più ampio delle misure per sostenere la crescita l’occupazione, di discutere anche del dossier liberalizzazioni, e di equità, a partire dalle pensioni sul fronte sociale e da una riforma fiscale che alleggerisca lavoratori, pensionati e famiglie andando a toccare i patrimoni. In particolare, i sindacati chiedono «un piano organico per dare sostegno all’occupazione, in particolare con strumenti rivolti ai giovani, alle donne, agli over 50 e al reimpiego dei lavoratori in cassa integrazione e ai disoccupati», e chiedono di ridurre e semplificare le forme di assunzione precarie e ultraflessibili.

Susanna Camusso sottolinea che «non c’e una soluzione al tema della crescita senza occupazione, e non si possono affrontare i nodi dell’occupazione solo con gli strumenti della riforma del lavoro». E sul fisco Raffaele Bonanni avverte: «Vogliamo un confronto serrato. Vedrete cosa succederà per le strade dell’Italia tra qualche mese, quando ognuno potrà fare i conti di cosa ci perde» dopo l’ultima manovra. Piena sintonia tra Cgil, Cisl e Uil – sottolineano i tre leader anche sul percorso per portare avanti l’intesa del 28 giugno. Ora la convocazione del governo a un tavolo è attesa a breve. Ma «non abbiamo idea di quando saremo convocati», chiarisce Angeletti. «Ci hanno detto che un incontro è imminente, aspettiamo», conclude Bonanni.

La Stampa 18.01.12

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“Cgil, Cisl e Uil:finisca la precarietà per i giovani”, di Massimo Franchi

La prima segreteria unitaria dal 7 maggio 2008 vara la piattaforma comune di Cgil, Cisl eUil per il confronto con il governo. Si intitola “Per il lavoro, per la crescita, per l’equità sociale e fiscale”: nove pagine fitte di proposte secche e precise che i sindacati confederali mettono sul tavolo del ministro Fornero in attesa della «imminente» convocazione ad inizio della prossima settimana con le altre parti sociali. Cgil, Cisl e Uil ribadiscono che il «confronto » deve avere «l’obiettivo di far ripartire la crescita» partendo da «un piano per il lavoro» e «realizzando in tempi brevi un intervento di riduzione del carico fiscale a beneficio di lavoratori, pensionati», «la detassazione del salario di produttività tramite la contrattazione aziendale e territoriale » e «una riorganizzazione della spesa pubblica». Per Susanna Camusso infatti «non c’è una soluzione al tema della crescita che non guardi all’occupazione e non c’è una risposta all’occupazione che guardi solo al mercato del lavoro ». Secondo il leader della Cgil «bisogna dare una prospettiva di crescita al paese che rende il mercato del lavoro un mercato in cui la forma normale è il tempo indeterminato, in un quadro di emergenza bisogna incentivare l’ingresso dei giovani e di chi è stato espulso dal mercato del lavoro: questo è il cuore politico della nostra proposta». Per Raffaele Bonanni la piattaforma unitaria offre strumenti al governo «per rendere le soluzioni più fluide, con meno ingiustizie o soluzioni pasticciate. Noi -ha continuato il segretario generale della Cisl – vogliamo potenziare l’apprendistato e rendere più appetibile la formazione. Vediamo se il governo ha davvero intenzione di dare uno strumento per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Aspettiamo ora il governo a un confronto e a una vera trattativa, una discussione e un negoziato più larghi». Il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, ha sottolineato che i sindacati «hanno voluto dare l’esempio che la concertazione con le parti non è una perdita di tempo e non richiede molto tempo. Basta la volontà di affrontare i nodi e anche un po’ la capacità di trovare le soluzioni ». Anche secondo Angeletti «la priorità numero uno è il lavoro e una delle cose da fare subito è la riduzione delle tasse sul lavoro».
DA 46 A 5 SOLI CONTRATTI Come anticipato da l’Unità il due capitoli più corposi riguardano mercato del lavoro e ammortizzatori sociali. Il primo chiede al governo di ridurre le tipologie contrattuali dalle attuali 46 a 5: tempo indeterminato (ribadita come «forma comune »), contratto di apprendistato («professionalizzante come canale di ingresso al lavoro per i giovani »), il contratto di inserimento («per il reimpiego dei lavoratori in disoccupazione, over 50» e «per l’occupazione femminile», «favorendo il part time per governare le crisi»), il contratto a tempo determinato («stagionale») e soprattutto il lavoro somministrato come tipologia per «semplificare (la giungla del) lavoro flessibile». Passando agli ammortizzatori sociali si propone un «riordino» basato sull’unificazione Di due soli «strumenti»: la cassa integrazione e mobilità-disoccupazione «fondato su uno schema assicurativo Con un contributo da parte di tutte le imprese puntando all’estensione a tutte le tipologie di lavoro ed a tutte le dimensioni d’azienda». Sulla «partita ancora aperta» della previdenza Cgil, Cisl e Uil parlano di «vera e propria emergenza per cui è necessario, da subito, prevedere deroghe ed esenzioni per sostenere chi espulso dai sistemi produttivi rimane senza lavoro e senza reddito», gli oltre 65mila fra esodati e a fine mobilità, «eliminando qualsiasi forma di penalizzazione per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 anni». L’ultimo paragrafo è dedicato alle liberalizzazioni (che «non significa automaticamente privatizzare»). Tra i punti fermi perché le liberalizzazioni diventino «sostegno alla crescita» i sindacati chiedono «il mantenimento della proprietà pubblica degli asset strategici» (no al passaggio di Rfi al Tesoro), «il rispetto dei contratti e la tutela del lavoro».

L’Unità 18.01.12

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Sindacati all’unisono: “Per tutelare i salari tassare i patrimoni”, di Enrico Marro

Cgil, Cisl e Uil unite chiedono al governo Monti «un forte intervento a sostegno di salari, stipendi e pensioni» attraverso una «riduzione del carico fiscale» da finanziare con «una imposizione sui patrimoni mobiliari e immobiliari» e con la lotta l’evasione e all’elusione fiscale. Il taglio delle tasse, sostengono i sindacati, oltre che rispondere a esigenze di equità, rilancerebbe la domanda interna, «indispensabile per far tornare a crescere la nostra economia».
Questa la ricetta che le confederazioni hanno scritto in un documento di 9 pagine approvato ieri dalle tre segreterie, che si sono riunite insieme per la prima volta dal 7 maggio 2008, quindi dopo quasi quattro anni di rottura. Oltre alla patrimoniale e a meno tasse sui lavoratori, i sindacati chiedono una netta modifica della riforma Fornero; la riduzione dei contratti precari e, implicitamente, la garanzia che l’articolo 18 sui licenziamenti non venga toccato; il potenziamento degli ammortizzatori sociali; che le liberalizzazioni non mettano in discussione i servizi universali delle poste e delle ferrovie.
Con questo documento i sindacati andranno al tavolo, insieme con le associazioni imprenditoriali, che il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, convocherà per la fine della settimana o gli inizi della prossima. Un tavolo per discutere della riforma del mercato del lavoro, ma sul quale già si intravedono due questioni molto delicate. La prima, posta appunto dal documento di Cgil, Cisl e Uil, che chiede in sostanza una riscrittura della riforma delle pensioni. La seconda è quella dell’articolo 18 che aleggia fin dall’inizio sulla trattativa e che è stata rilanciata ieri dal presidente della Confindustria. «Ci siederemo al tavolo con senso di responsabilità, senza ideologie, senza dei no prima di sederci. Ci aspettiamo che i sindacati facciano la stessa cosa», ha detto Emma Marcegaglia. Aggiungendo che ci sono tre temi da affrontare: «La flessibilità in entrata, gli ammortizzatori sociali che siamo d’accordo si possano rafforzare e la flessibilità in uscita», che fuori dal gergo significa appunto l’articolo 18. Una questione che non può essere elusa, ha concluso Marcegaglia, perché «in linea con la Bce e con la Commissione europea dobbiamo modernizzare il nostro mercato anche su questo».
Immediata la replica della leader della Cgil: Susanna Camusso: «Il tema dell’articolo 18 non c’è». E un no secco è arrivato anche dal segretario della Cisl Raffaele Bonanni («bisogna sgombrare il campo da queste ideologie») e da quello della Uil, Luigi Angeletti. Ma sia Fornero sia lo stesso presidente del Consiglio, Mario Monti, hanno più volte detto che nella discussione non può esserci il tabù dell’articolo 18. I sindacati sanno però di poter contare sull’appoggio del Pd. Lo stesso appoggio che hanno anche sulle pensioni, su questo pure da parte del Pdl.
Oggi la commissione Lavoro della Camera, dove ieri Cesare Damiano (Pd) ha svolto la relazione di maggioranza, consegnerà il parere sul decreto milleproroghe alla commissione Bilancio, raccomandando due modifiche della riforma delle pensioni: la prima per estendere ai lavoratori in esubero ricompresi negli accordi fino al 31 dicembre scorso (e non più al 4 dicembre) e a chi è rimasto senza pensione e senza stipendio la possibilità di andare in pensione con le vecchie regole e la seconda per togliere le penalizzazioni per chi lascia il lavoro prima dei 62 anni di età.
I sindacati chiedono anche di più, sostenendo che la riforma, al solo scopo di «fare cassa», ha un impatto «insostenibile e iniquo sulla struttura dei diritti previdenziali di milioni di persone senza nessuna gradualità». Ma il governo è disponibile solo a qualche modifica a favore di chi si è licenziato incentivato dall’azienda, in vista di andare in pensione, ed è rimasto «fregato» dall’improvviso aumento dei requisiti.

Il Corriere della Sera 18.01.12

"Scuola pubblica, ma pagano anche le famiglie fino all´80% delle spese a carico dei genitori", di Salvo Intravaia

Gite, corsi, cancelleria e detersivi: ecco per cosa chiedono contributi i licei. Corsi pomeridiani e attività sportive, giornalini d´istituto e recite teatrali, gite e viaggi d´istruzione, corsi di lingua straniera e per conseguire la patente informatica, rivolti a prof e studenti, corsi per ottenere il patentino per i ciclomotori, assicurazione: nei licei classici e scientifici italiani, quasi sempre, pagano mamma e papà. E non solo. L´obolo offerto dalle famiglie alle scuole contribuisce a pagare anche carta igienica, materiale di cancelleria, toner e carta per le fotocopie e perfino i detersivi per mantenere puliti gli ambienti scolastici. Senza quei soldi i licei italiani entrerebbero in crisi.
E´ una delle prime informazioni che emergono dal link “scuola in chiaro”: il portale che renderà più trasparente la scuola italiana, consentendo ai genitori in procinto di iscrivere (entro il prossimo 20 febbraio) i figli all´anno scolastico 2012/2013 una scelta più consapevole. Una iniziativa lanciata lo scorso 12 gennaio dal ministro dell´Istruzione, Francesco Profumo. Nella maggior parte dei licei classici e scientifici del Belpaese il contributo complessivo, spesso “volontario”, versato ad inizio anno dalle famiglie supera abbondantemente quanto le stesse scuole ricevono dallo Stato e dagli enti pubblici e locali. Arrivando, in alcuni casi, a superare anche l´80 per cento dell´intero budget necessario per ampliare l´offerta formativa. Un panorama che non varia molto se si estende l´analisi a tutti gli altri licei: artistici, delle scienze umane, linguistici e musicali/coreutici. Ma che fino ad alcuni anni fa era impensabile.
L´inchiesta condotta da Repubblica abbraccia tutti i licei di 10 grandi città italiane (Torino, Milano, Genova, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari): in tutto, i 223 licei che hanno messo in linea i dati sull´origine dei loro finanziamenti, esclusi gli stipendi di insegnanti e Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) che vengono pagati direttamente dallo Stato. Alcuni esempi serviranno a chiarire i termini della questione. In cima alla classifica dei 223 licei presi in considerazione troviamo lo scientifico Cannizzaro di Roma che riceve l´82,3 per cento delle proprie entrate “da privati”: per la quasi totalità i genitori stessi. Seguono il liceo capitolino i classici Beccaria e Manzoni di Milano, che devono ringraziare la generosità dei genitori, rispettivamente, per l´80,3 e l´80,1 per cento delle proprie risorse. A Torino il liceo pubblico più sostenuto dalle famiglie è lo scientifico Volta, in cui tre quarti del budget annuale proviene “da privati”.
Scendendo per lo Stivale, la quota di finanziamenti pubblici aumenta e cala il sostegno delle famiglie. A Cagliari i finanziamenti non pubblici che entrano nelle casse dei licei raggiunge mediamente il 26 per cento, con record (69,4 per cento) al classico Dettori. A Napoli, le famiglie finanziano i licei per il 28 per cento del totale. In coda alla classifica c´è Palermo, col 18 per cento di finanziamenti privati nelle casse dei licei pubblici, e Bari: 19 per cento. La città più costosa è Milano, dove 60 euro su cento presenti nelle casse dei licei provengono direttamente dalle tasche delle famiglie. La classifica per indirizzi vede stabilmente in testa i classici. A generare questa singolare situazione, probabilmente, è stato anche il taglio ai finanziamenti destinati all´autonomia scolastica, particolarmente pesante nell´era Gelmini. Nel 2001, per finanziare la legge 440/97 furono stanziati 269 milioni di euro, che dieci anni dopo (nel 2011) si sono assottigliati a 79: meno 71 per cento. Le scuole, per ovviare alla scure gelminiana, si sono rivolte alle famiglie chiedendo loro “contributi” da poche decine a 200 euro.

La Repubblica 18.01.12

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“Perché la scuola pubblica è pagata dalle famiglie?”, di Mariapia Veladiano

Il contributo che arriva dai genitori vale la metà delle entrate e molti istituti senza questo supporto non potrebbero fare nulla ma si moltiplicano le iniquità.
Gentile ministro Francesco Profumo, si può far finta di niente. E lo stiamo facendo. C´è talmente tanto a cui pensare. Le parole di una crisi tremenda come questa si affollano in una gara cupa di drammaticità: disoccupazione, fallimento, crollo della Borsa, della capacità di lottare, della fiducia. Fine. La scuola qui non c´è. Orizzonte lontano dalla politica. Numeri di bilancio da tagliare.
E infatti la scuola pubblica la pagano ormai in grandissima parte le famiglie. Soprattutto, ma non solo, quella dell´istruzione obbligatoria, elementari e medie, le cui risorse sono state strangolate senza pudore a partire dalla legge 133 del 2008, Legge Brunetta, che, inconsapevole capolavoro di burocratese borbonico e antifrastico, suonava così: “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica, la perequazione tributaria”. L´articolo 64 dettava le cifre dei tagli, in tre anni. Il ministro Gelmini li ha chiamati “riforma” e le famiglie hanno pagato. Stanno pagando.

Il “contributo delle famiglie” è una voce di bilancio senza la quale non si farebbe quasi nulla a scuola: vale almeno la metà delle entrate, spesso di più. Permette il funzionamento puro e obbligatorio. Ma non può continuare così, perché la crisi c´è anche per le famiglie. Il governo deve sapere che la scuola esiste. È un mondo: quasi nove milioni di ragazzi che nello studio cercano di sciogliere quel groviglio di desideri e paure che segnano la loro vita in costruzione e che provano a diventare quel che desiderano. È un mondo che ha ancora, lo dice l´ultimo rapporto Istat, miracolosamente, la fiducia delle persone. E questo vuol dire che le famiglie sono più sagge dei governi. Sanno che in tempo di crisi i soldi meglio spesi sono quelli per l´istruzione. Vuol dire che le famiglie credono nel futuro ancora. E che hanno visto e fatta propria la civilissima resistenza vissuta dalla scuola in questi anni di assalti. Fino ad oggi i governi hanno dissipato in modo irresponsabile questo patrimonio di fiducia. Ma c´è un´attesa, una bella attesa sulla scuola.
E ci vuole un atto di coraggio. Qualcosa, a livello statale, che somigli a quello che in Trentino si chiama Fondo qualità e che nemmeno la crisi economica ha messo in discussione. È un investimento che va all´incremento dello studio delle lingua, all´integrazione degli stranieri, ai ragazzi con bisogni educativi speciali, agli interventi che migliorano la qualità, appunto. Proprio ora si investe sull´equità e sulla cultura. E in Trentino i libri sono del tutto gratuiti fino alle medie, e alle superiori possono essere dati in comodato d´uso.
La crisi la si deve intaccare da molti lati. Quello della scuola non può essere lasciato alle famiglie. Una scuola che moltiplica l´iniquità non è solo indegna, è anche pericolosa, perché prepara l´esplosione della società. Coltivare la scuola vuol dire coltivare qualcosa che ci serve ora e sempre: la speranza che la via d´uscita dal presente buio sia ancora nelle nostre mani. Che il futuro ci appartenga ancora.

La Repubblica 18.01.12

"Così la giustizia può aiutare l'economia", di Vladimiro Zagrebelsky

Ascoltando la relazione che il ministro della Giustizia Severino ha svolto in Parlamento sull’amministrazione della giustizia nell’anno decorso, si aveva la rassicurante sensazione che ella parlava di ciò che conosce. Di ciò di cui conosce in dati reali e la loro importanza, ma anche la difficoltà di affrontarne i problemi. Nessuna semplificazione o facile promessa di soluzione, quindi, ma descrizione della grave situazione e illustrazione delle sue implicazioni generali, unite all’indicazione di specifiche misure prese, da questo e dal precedente governo. Si tratta di interventi legislativi e amministrativi tutti in chiave di efficienza (o rimozione di cause dell’inefficienza). E proprio questi si richiedono al ministro della Giustizia, sia perché il principale problema della giustizia in Italia è la sua grave inefficienza (di cui la durata e onerosità dei procedimenti civili e penali è l’aspetto più vistoso), sia perché proprio questa è la responsabilità che la Costituzione assegna al ministro della Giustizia, cui spettano l’organizzazione e i servizi relativi alla giustizia.

Il ministro ha impostato il suo discorso, di cui non si possono qui seguire tutti i numerosi capitoli, secondo linee di cultura istituzionale lungamente rimaste in ombra sia a livello politico, sia nell’ambito della magistratura e dell’avvocatura: le due categorie professionali che il ministro ha giustamente più di una volta accomunato, richiamandole alle loro responsabilità di attori del servizio giustizia. Innanzitutto il ministro ha nettamente inserito l’amministrazione della giustizia tra i servizi pubblici i cui risultati devono essere valutati nel quadro generale dell’interesse pubblico. Anche quindi, specie di questi tempi, per gli effetti che essa produce nell’economia del Paese. Troppo spesso le riflessioni dei magistrati sul proprio ruolo e le prese di posizione dell’avvocatura non alzano lo sguardo al quadro generale degli effetti che, non questa o quella decisione giudiziaria determina, ma la gestione generale dei flussi di domanda di giustizia. In passato la resistenza a discorsi e iniziative tesi a promuovere l’efficienza del servizio sono stati contrastati, sia in un’ottica corporativa di difesa del modo di lavorare di ciascun magistrato, sia in chiave politica rifiutando l’efficienza di una giustizia di cui si chiedeva prima la riforma. A lungo le due posizioni si son date reciproco sostegno. E il rilievo dell’organizzazione degli uffici giudiziari e dell’interazione con il lavoro degli avvocati non sono ancor oggi pienamente apprezzati. Certo il ministro ha fatto riferimento alle buone pratiche messe in opera qua e là, ma occorre far opera di selezione e generalizzazione. Se occorre rimuovere abitudini sedimentate e risvegliare il senso istituzionale di magistrati e avvocati, il ministro non dovrebbe aver timore delle reazioni corporative che cercherebbero di nascondersi sotto i grandi principi dell’indipendenza dei magistrati e degli avvocati. E’ ora necessario distinguere ciò che tali principi comportano e che è intoccabile da ciò che invece rappresenta inammissibili e talora comodi individualismi refrattari alle esigenze del servizio.

Nello stesso ordine di idee il ministro ha fatto riferimento alla specializzazione dei magistrati, anche di recente oggetto di dibattito. La specializzazione dei magistrati è stata legata dal ministro alla produttività degli uffici e alla qualità delle decisioni, alla loro prevedibilità e costanza. Quantità e qualità della produzione giudiziaria considerate insieme, come è giusto. E’ noto l’imbarazzo manifestato da avvocati specializzati nella materia in discussione in certe cause complesse, nel dover difendere in piccoli Tribunali davanti a magistrati non preparati, magari umanamente e professionalmente ricchi, ma senza specifica esperienza. Il ministro ne ha parlato anche riferendo sui lavori in corso per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, che porterà alla eliminazione dei piccoli uffici. In essi nessuna specializzazione è possibile. In proposito, sarebbe da prevedere che la competenza dei Tribunali per materie che richiedono specializzazione sia attribuita dalla legge solo alle grandi sedi distrettuali. E’ possibile che la riforma delle circoscrizioni, con l’identificazione delle dimensioni ottimali degli uffici e del numero minimo di magistrati, sia l’occasione di una riflessione profonda sulla natura del servizio, che richiede che l’organizzazione degli uffici e la formazione dei magistrati assicuri nel giudicante l’equilibrio tra vastità di esperienza e specializzazione.

I tempi di questo governo non sono lunghi, tanto quanto la soluzione dei problemi della giustizia italiana richiederebbe. Ma non è poco ciò che è in cantiere e il ministro sa che proprio le difficoltà che il Paese attraversa potrebbero facilitare l’introduzione di riforme necessarie, ma che fino ad ora si sono dimostrate impossibili.

La Stampa 18.01.12