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“Scuola, fuga dei diplomati, solo 1 su 3 all’università”, di Alessia Camplone

Quasi uno su due se potesse tornare indietro farebbe un’altra scelta. Gli studenti italiani sull’efficacia della scuola non hanno molto da ridire, anzi, si dimostrano abbastanza soddisfatti. Ma al momento della maturità il 44% di loro guarda indietro e pensa:«Sarebbe stato meglio prendere un altro indirizzo di studi».
A 14 anni scelgono soprattutto i genitori. E nelle scelte, più che all’attenzione delle vocazioni, incidono i condizionamenti familiari determinati da cultura, condizioni sociali e situazione economica.
LA FAMIGLIA
Il dato non emerge da un semplice sondaggio ma da una ricerca di ampio respiro che coinvolge oltre 48mila studenti diplomati che sono stati intervistati a maturità appena conclusa. A condurla Almadiploma, l’associazione di scuole superiori che intende fare da ponte con il mondo del lavoro. La ricerca è stata condotta in 347 scuole di cinque regioni (Lazio, Puglia, Emilia Romagna, Lombardia e Liguria).
Solo tre diplomati su 10 proseguono con l’università. E anche sulla rinuncia all’università incide la famiglia. Perché più è alto il livello di studi dei genitori e più i ragazzi proseguono avanti fino alla laurea. Molti degli studenti che hanno scelto di continuare poi, in realtà, rinunciano già durante il primo anno di corso (17 studenti su 100). «Un Paese avanzato non può permettersi questo spreco di risorse umane», sostiene Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea (il consorzio interuniversitario a cui si collega AlmaDiploma), «Una situazione che mette in luce l’urgenza di cambiare il modo di fare orientamento: così come viene fatto non funziona», aggiunge.
I ragazzi sembrano avere idee più decise sul loro futuro. Sognano un posto di lavoro stabile, possibilità di guadagno e di carriera. E chi si iscrive all’università lo fa nella speranza di poter poi fare il lavoro che più piace, per approfondire i propri interessi e per avere un futuro ben retribuito, sempre secondo l’indagine AlmaDiploma.
IL LAVORO
Al mondo del lavoro si guarda già durante le superiori. Quasi la metà dei 19enni ha infatti svolto uno stage prima di arrivare al diploma. Una esperienza valutata da quasi tutti i ragazzi positiva e importante. Non solo stage. Ma anche esperienze di lavoro (stagionale o saltuario per il 61%). Gli studenti non trascurano nemmeno l’esperienza all’estero. Il 31% dei diplomati dichiara di aver fatto almeno un periodo di studio fuori dai confini nazionali. Regno Unito, Francia, Spagna e Irlanda le mete più richieste. I giovani sembrano avere consapevolezza anche delle lingue. Uno su due dichiara infatti di avere una conoscenza “almeno buona” dell’inglese scritto. Percentuale che scende notevolmente con le altre lingue come il francese, lo spagnolo e il tedesco. Altrettanto “buone” anche le competenze informatiche per 87 diplomati su 100.
LA SODDISFAZIONE
E l’esperienza nella propria scuola? Ben 31 ragazzi su 100 si dicono “decisamente soddisfatti” e oltre uno su due “moderatamente” soddisfatto. Un ritratto in positivo che sfata molti luoghi comuni. Ora si tratta di capire come permettere ai tredicenni, al momento della loro prima importante scelta della loro vita di seguire la loro vocazione.
Alessia Camplone

“E’ cominciata un’altra epoca”, di Pietro Spataro

E’ una vittoria straordinaria, netta e senza ombre. Renzi diventa segretario sull’onda di una partecipazione democratica eccezionale che va oltre ogni previsione e che è il più bel patrimonio della sinistra. Queste primarie diventano in questo modo un vero spartiacque: per il Pd si chiude un’epoca. Ne comincia un’altra che sarà radicalmente diversa, e non solo per il leader che ha incarnato con ostinazione e con maggiore freschezza degli altri il bisogno del cambio di scena, ma soprattutto per gli effetti che questa novità potrà avere sull’Italia. Non c’è dubbio che la sfida controcorrente di Cuperlo per un Pd fortemente di sinistra esca ridimensionata dal giudizio del popolo delle primarie: non è riuscita a intercettare la forte spinta a cambiare tutto che gli errori del passato hanno gonfiato. E anche la battaglia di Civati per un partito più radicale e molto critico con il governo delle larghe intese strappa sì qualche percentuale, ma resta al di sotto delle aspettative.

L’investitura ricevuta dal sindaco di Firenze, insomma, è pesante. Come pesante sarà la responsabilità che ora è sulle sue spalle di vincitore. È oggi, dopo le feste per la bella vittoria, che cominciano infatti le prove più delicate, dal cui esito dipendono sia il futuro del Pd che quello del governo Letta e dello stesso sistema politico terremotato dalla sentenza della Corte Costituzionale. La prima vera scelta strategica, infatti, riguarda proprio la sopravvivenza del sistema repubblicano perché da essa dipende l’evoluzione del nostro Paese verso una democrazia matura, non più prigioniera di qualche nuovo porcellum di passaggio. Il bivio è qui: immaginare un piccolo accordo che aggiusti quel che la Corte Costituzionale ha smontato per andare al voto rapidamente, oppure pensare a una riforma della politica che non solo ci dia subito una buona legge elettorale di tipo maggioritario, ma anche un disegno istituzionale che preveda una sola Camera e una riduzione del numero di parlamentari. Senza farla troppo lunga: riuscire ad aprire una nuova fase della democrazia e della Repubblica, finendola con gli inganni e i pastrocchi del passato, oppure accontentarsi di qualche correzione.

No, non è un’impresa facile, ma è il cuore della sfida della sinistra. Proprio per questo Renzi deve affrontare subito, sin dalla verifica di questi giorni, il tema del governo. In queste settimane il sindaco ha dato più volte l’impressione di voler segare la seggiola di Letta, come la chiama lui. Questo gli è servito per raccogliere i consensi di chi (e non sono pochi) mal sopporta la convivenza forzata anche con un centrodestra depurato da Berlusconi. Bene, ma ora bisogna che sia chiaro quel che si vuole. Non c’è dubbio che il governo abbia bisogno di un tagliando e che il Pd deve far sentire la sua voce. Serve una svolta, lo sappiamo: crescita, lavoro, equità e coraggio in Europa per modificare quei parametri che hanno piegato l’economia. Questa sfida va condotta con nettezza, senza escludere un rafforzamento della squadra di governo. Giusto, il Pd deve dettare l’agenda. Avendo però a cuore che Letta porti a compimento la sua missione nel miglior modo possibile per la vita degli italiani e consentendo al Parlamento di approvare le grandi riforme che servono. Se andasse così sarebbe una doppia vittoria per il Pd e il Paese potrebbe vedere un po’ di luce in fondo al tunnel. Renzi e Letta, a dispetto delle convenienze immediate, hanno i destini incrociati: affinché la svolta sia profonda l’uno oggi ha bisogno dell’altro.
Il Pd che Renzi prende in mano è, nonostante tutto, un partito ancora fragile che si porta addosso le ferite di una brutta sconfitta elettorale. È un partito che ha bisogno di essere ricostruito. La partecipazione alle primarie è sicuramente un buon energetico, ma da solo non basta. Nel Pd convivono, come si è visto, diverse anime e molte forti passioni. Il difficile compito del nuovo segretario è riunire questi mondi vitali, farli diventare una comunità. Il bello di questa storia è che il Pd oggi, qui in Italia, è un serbatoio immenso di energie al quale attingere per cambiare radicalmente il Paese. È una speranza per donne e uomini, una forza viva tra il partito padronale di Berlusconi e quello eversivo di Grillo.
Chi alle primarie ha compiuto un’altra scelta, deve continuare a sentirsi a casa propria in questo nuovo Pd che oggi nasce. Deve sentirsi parte di una missione, deve sapere che le sue idee non saranno archiviate dopo che sono stati smontati i gazebo. Ha detto bene Prodi: ora vincitori e vinti facciano squadra. E in una squadra c’è chi segna i gol, ma ci sono anche quelli che danno la palla e di ognuno c’è bisogno per vincere la partita. Questo Renzi lo sa bene, nonostante molti dei suoi abbiano vagheggiato la «libertà assoluta del vincitore». Il Pd è ancora una creatura giovane che, come ha detto ieri Epifani sull’Unità, ha bisogno di cura. Ma oggi ha una nuova classe dirigente. Sì, la sinistra è diversa dalla destra anche in questo, e il Pd si chiama democratico non per caso: non c’è uno che dà gli ordini e gli altri che eseguono in silenzio. Il segretario di un partito ha un potere enorme e deve saperlo amministrare con chiarezza, ma anche con equilibrio e lungimiranza. Perché, come cantava Dalla, il pensiero è come l’oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare. E di pensieri di sinistra, in questo deserto italiano, ne servono tanti e molto lunghi per poter ricominciare a sognare un’altra storia.

L’Unità 09.12.13

Veltroni: “Ora serve unità, io fui vittima delle correnti”, di Corrado Castiglione

A sentire l`ex leader pd Walter Veltroni la vittoria ottenuta con largo margine dal «suo» candidato sembra infondergli sincera soddisfazione e nuovo entusiasmo. Sarà per via di quella promessa annunciata da Renzi di fare piazza pulita delle correnti: una promessa che consente a Veltroni di continuare a sognare un partito senza più quelle divisioni che lo costrinsero a lasciare la guida del Pd dopo poco più di un anno (febbraio 2009). Ma anche perché nell`exploit del sindaco di Firenze – reso ancora più evidente dalla folta partecipazione ai gazebo – in fondo Veltroni rivive la propria esperienza di segretario critico durante il governo Prodi: non a caso oggi Veltroni limita l`azione del governo Letta alla necessaria riforma della legge elettorale, ma poi non intravede all`orizzonte altro che una sfida in cui il naturale candidato premier del Pd sia proprio il suo segretario.

Affluenza, forse non è stato un successo come le primarie del 2007 dei 3 milioni e mezzo di elettori, quando fu lei ad essere scelto come segretario, però poco ci è mancato: un dato di rilievo, come se lo spiega?

«È un risultato davvero confortante, che va anche oltre le aspettative della vigilia. D’altronde è la conferma della bontà d`uno strumento, che più volte è stato messo in discussione ma che io ho sempre difeso: la gente evidentemente ha voglia di partecipare e di discutere».

Secondo lei, quanto ha contribuito il ripensamento di Prodi?

«Non saprei dire, ma nemmeno me lo pongo il problema. Perché è importante ritrovare la conferma di un popolo del centrosinistra che intende vivere la politica con partecipazione e con passione. Dalle primarie pd giunge un messaggio da non sottovalutare: la gente del Pd vuole confrontarsi e far giungere la propria voce in questo momento così difficile e caotico».

A questo successo hanno evidentemente contribuito in larga parte i tre candidati: c`è la percezione che il Pd abbia voltato pagina e compreso che gli avversari siano fuori del partito e non dentro. Durerà?

«Francamente non ricordo primarie particolarmente laceranti. Ho sempre assistito ad un grande dibattito interno, ma mai con toni sbagliati, secondo una logica di profondo equilibrio. Non è un caso che poi non ci siano mai state scissioni o separazioni».

Renzi vince e con un margine anche più largo di quanto non si potesse immaginare alla vigilia: quale Pd ora immagina?

«Penso ad un partito aperto e unito, che sappia valorizzare le proprie fonti d`ispirazione. E che sappia trarre profitto anche dal confronto che c`è stato in queste settimane. Ribadisco: le primarie sono uno strumento prezioso. Tanto più all`interno di un sistema bipolare e a vocazione maggioritaria. Non è un caso se il segretario sia di fatto il candidato alla guida del governo. Ed è questo il partito democratico che, come espressione di una maggioranza popolare e riformista, dev`essere pronto a sostenere l`azione del governo verso il cambiamento».

Eppure il tormentone non s`è mai fermato: la sinistra ha paura di Renzi. Secondo lei, perché?

«A me non sembra. Guardo il dato che si profila dalle urne: si parla del 70%. Non posso immaginare che la sinistra nel Pd conti appena il 30%. Dunque, non esiste nessun timore. Piuttosto, all`interno del Pd e del centrosinistra c`è un confronto realizzato con passione, c`è una discussione che a volte può essere anche vivace: mi ricordo che è stato così anche quando fu scelto Prodi alla leadership e poi quando sono stato eletto segretario».

Ecco, a proposito della sua esperienza critica con Prodi. Adesso qualcuno dirà che Renzi farà il Pierino con Letta fino a nuove elezioni. Lei che ne pensa?

«Prima di andare a nuove elezioni serve una legge elettorale. Dunque per ora la priorità a mio avviso è mettere mano alla riforma elettorale: non si può mandare il Paese alle urne con il proporzionale e bisognerà fare di tutto per cambiare la legge. Ecco dunque che sarà fondamentale la stabilità per il governo delle larghe intese: compito non proprio facile visto che da quanto affermano sia Forza Italia, sia il Movimento Cinque Stelle il clima in Parlamento è destinato ad essere molto teso».

Quanto ritiene possibile la saldatura tra Fi e M5S?

«In sincerità mi auguro che questa saldatura non avvenga. Certo, viviamo un momento particolare in cui si assiste a tante stranezze. Quindi potrebbe accadere anche questo genere di convergenza, del tutto contraddittoria. Mi consola il fatto di pensare che però i due movimenti finirebbero per pagare un prezzo molto alto».

Qual è il primo gesto che ora si attende da Matteo?

«Non saprei dire. Eppure mi aspetto dei segni inequivocabili, per un partito davvero unito e capace di fare innovazione. Mi immagino che Matteo sappia valorizzare le tante energie finora rimaste inoperose in attesa di essere finalmente protagoniste del cammino di trasformazione, nel segno del rispetto del pluralismo».

Davvero se la vede lei la fine delle correnti?

«Lo chiede proprio a me? A suo tempo io rimasi vittima delle correnti. Spero che Renzi davvero ce la faccia: il compito non è facile».

Legge elettorale e poi?

«Poi non so se si farà in tempo a fare altro: in ogni caso la riforma elettorale è essenziale. Se si va al voto con il vecchio proporzionale l`Italia non la ripigliamo più».

Perché?

«Perché sarebbe la vittoria della frantumazione. E al giorno d`oggi non esistono più grandi partiti come la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Sarebbe la fine».

Il Pd di Renzi: con quali alleanze?

«Prima bisognerà fare la riforma elettorale, poi ci penseremo».

Poco Sud nell`agenda del Pd: perché? È anche un campanello d`allarme nei confronti della classe dirigente meridionale?

«Di sicuro la battaglia congressuale si è giocata su altri temi. Ma nel Pd è chiaro a tutti che la ripresa economica del Paese non può prescindere dal Sud: anzi, che proprio il Mezzogiorno può essere la leva decisiva. E per fare questo serve proseguire l`azione del governo nella direzione dello sviluppo, nel contrasto alla criminalità organizzata. Con la consapevolezza che il futuro si costruisce rinnovando la classe dirigente e snellendo le istituzioni».

Il Mattino 09.12.13

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Sandra Zampa «Ho scelto Civati perché con lui non c’è neanche un pezzo di nomenclatura In Cuperlo non c’era Ulivo Renzi perfetto su le legge elettorale e bipolarismo»

di Osvaldo Sabato

«Quello di Pippo Civati è un buon risultato, ricordo che Rosy Bindi prese l’11% ed Enrico Letta il 9%. Lui è uno che si è sudato tutto centimetro per centimetro, senza media, senza soldi e senza nomenclatura», commenta a caldo Sandra Zampa, parlamentare bolognese e portavoce di Romano Prodi. «Di Pippo mi è piaciuta la sua capacità di trasmettere entusiasmo ai giovani», aggiunge Zampa, spinta anche dai suoi nipoti a sostenere Civati. «Zia, devi stare con lui perché è bravo davvero» è stato l’input di famiglia. Oltre due milioni di persone si sono presentate ieri ai circoli e gazebo del Pd, che ha mantenuto in basso al suo simbolo un ramoscello d’Ulivo. Numeri inattesi di questi tempi. Forse ogni oltre previsione. Ora con Renzi segretario cosa cambia per il Pd? «Mi sembra tutto, mi sembra che da questa fotografia esca un Pd completamente nuovo e migliore, perché prevale la scelta del nuovo».
Prodi prima ha detto che non avrebbe votato e poi ha cambiato idea. È rimasta sorpresa?
«Sì. Perché è forse la prima volta che lo vedo ripensare una decisione annunciata pubblicamente, normalmente lui è sempre molto tenace nelle sue scelte. Ma gli ha fatto cambiare idea quanto è successo in questi giorni: il timore di una presunta bassa partecipazione, la sentenza della Consulta sul Porcellum e la conseguente violenta delegittimazione delle istituzioni e della democrazia. Fatti che lo hanno veramente molto preoccupato».
Ora il Professore raccomanda a tutti nel Pd di fare squadra.
«Una squadra, che vinca e che sia unita. Perché questo partito resta pur sempre l’unica speranza di questo Paese». Lei ha appoggiato Civati, perché non Renzi o Cuperlo?
«Le ragioni sono diverse. Una è che Civati lavora in una zona di confine, che è la più difficile e scomoda, ed è quella fra i delusi e fra quelli che hanno anche deciso di cambiare partito, votando, per esempio, il movimento di Grillo alle ultime elezioni. Credo che questa sia la più grande delle colpe che noi ci dobbiamo rimproverare e chi lavora per riconquistare questa gente meriterebbe un premio, perché se noi non riconquistiamo questi elettori le prossime elezioni non le vinciamo più. Poi mi piace la sua idea di partito partecipato e leale, l’ho scelto perché è coraggioso e non si è nascosto dietro ai capibastone e ho scelto Pippo perché con lui non c’è neanche un pezzettino della nomenclatura. Bisogna rimettersi a disposizione del partito, queste cose le ho viste fare da Prodi e l’ho visto vincere perché è un uomo generoso».
Civati iniziò a fare politica con l’esperienza dell’Ulivo. In Renzi e Cuperlo quanto Ulivo c’è?
«In Cuperlo non ci ho visto nulla di Ulivo. In Renzi, mi sembra che ci sia un pezzo di storia che coincide, in lui c’è l’idea del bipolarismo e dell’alternanza secca, che per noi sono discriminanti, per noi non può andare bene una legge elettorale qualunque, non può andare bene che rinunciamo alla democrazia competitiva perché si può fare in un altro modo, mi pare che Renzi queste cose le abbia chiare. Quando ha parlato di bipolarismo e di legge elettorale, riconosco che obiettivamente corrisponde esattamente all’idea originaria dell’Ulivo».
Sul governo lei la pensa come Civati? Più volte ha detto che bisogna tornare presto alle urne.
«Io ho sempre pensato che noi avremmo dovuto scegliere un governo di scopo e se avessimo fatto così Letta avrebbe avuto una vita più facile. E aggiungo che sia bene che la democrazia torni presto alla sua normalità, perché è molto tempo che gli italiani non sono governati da un governo che hanno scelto. Quindi si faccia velocemente la legge elettorale, poi andare presto a votare dovrebbe essere un obiettivo di tutti».

L’Unità 09.12.13

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«Sfida controcorrente Le nostre idee restano» di Rachele Gonnelli

Ha iniziato la giornata con una corsa sul- la spiaggia di Anzio e poi a Roma a votare, per Gianni Cuperlo naturalmente. E col passare delle ore Stefano Fassina, vice ministro all’Economia, è rimasto piacevolmente colpito dalla grandissima partecipazione del popolo del Pd, meno dai risultati che premiano Renzi, il candidato che, ammette, «ha una piattaforma culturale e politica molto diversa dalla nostra». Che tempo farà a sinistra ora?
«L’aurora è molto promettente. Questa straordinaria affluenza conferma la connessione profonda del Pd con un pezzo largo del Paese e dà energia per conti- nuare a dare il nostro contributo in un passaggio di fase che è difficile. Innazitutto auguri a Matteo, poi grazie a elettori e volontari, ai candidati, e quindi a Gianni Cuperlo per essersi preso sulle spalle una sfida controcorrente». Quale fase, la fine del berlusconismo? «La ricostruzione di un sistema politico e istituzionale credibile e funzionale ad affrontare le sfide che l’Italia ha di fronte, avviando le riforme costituzionali che consentano di eliminare il Senato e trasformarlo in una assemblea delle autonomie, modificando la legge elettorale e sferrando una offensiva per una svolta europea, l’Eurozona è sulla rotta del Titanic». Mi pare non ci siano più i numeri per la modifica dell’art. 138. Tempi lunghi? «Dobbiamo mettere le forze politiche di fronte alle loro responsabilità. E non da- re sponda a chi si mette di traverso sulle riforme, come Berlusconi e Grillo, blocando l’Italia in una palude nefasta».
Contro però ci sono anche altri, penso alla grande manifestazione di ottobre. «Abbiamo guardato a quella manifestazione con attenzione, ha espresso preoccupazioni condivisibili ma l’impossibilità di modificare l’assetto bicamerale mette in pericolo la Costituzione stessa».
Si dice che già da oggi Renzi vedrà Letta: faranno un patto per il 2014?
«Il congresso del Pd è giustamente interpretato come un passaggio democratico i grande rilievo e ritengo che debba ave- re conseguenze sul governo. Positive e costruttive. L’affermazione di una leadership nuova nella principale forza politica della coalizione implica un’intesa tra presidente del Consiglio e la nuova leadership, per costruire una sintonia che ci ponga in grado di affrontare le emergenze dell’Italia».
Ci sarà un rimpasto di governo?
«Fondamentale è l’agenda del prossimo anno, poi sarà Letta a valutare la composizione della compagine. Ma il punto è politico. Certo, bisogna favorire l’evoluzione europea del nostro centrodestra, serve un’agenda per le riforme e non dar spazio a colpi di coda di Berlusconi». Temete una marginalizzazione nel partito guidato da Renzi?
«Spero di no, sarebbe un grave errore. Noi con lealtà e spirito costruttivo intendiamo contribuire a definire le scelte sulla base della nostra pattaforma. Sono sicuro che sia nell’interesse di tutti riavviare una vita democratica negli organismi nazionali a partire dalla direzione. Ho sentito ovunque nei circoli una domanda di protagonismo degli iscritti, da consultare non una volta ogni tanto ma sistematicamente, e penso al modello dell’Spd in Germania». L’Spd mette a referendum la Grossekoalition tra una settimana. Civati vorrebbe farlo anche nel Pd, è d’accordo?
«Sì, consultazioni referendarie o in forme da vedere, sulle grandi scelte, ma tra gli iscritti. Noi da subito siamo pronti con le nostre idee a dare un contributo con lealtà e grande determinazione».
Il modello primarie aperte che contestavate sembra confermato, non le pare? «Le primarie rimangono fondamentali per selezionare le candidature a cariche elettive. Oggi si è chiusa questa fase congressuale e bisogna ridare protagonismo agli iscritti. Del resto il risultato ci consegna non un partito padronale ma plurale con una leadership che si è affermata nettamente e diverse anime, che dovremo far valere anche entrando nel Pse».

L’Unità 09.12.13

Prodi: “Ora Matteo sia responsabile o vittoria inutile”, di Carlo Fusi

Romano Prodi segna i confini entro cui, a suo avviso, deve muoversi Matteo Renzi dopo il trionfo nelle primarie. «Visto il numero di coloro che sono andati a votare, non c`è dubbio che l`investitura c`è, ed è forte. Adesso l`obiettivo più importante concerne la necessità di trovare l`unità del partito attorno al nuovo leader. E che comporta anche l`intelligenza del vincitore di, capire che il cambiamento che vuole lo può attuare solo se ha un partito forte e stabile attorno a lui». Dunque dopo averlo annunciato, è stato di parola. Rientrato dalla Russia, il fondatore dell`Ulivo è andato a votare alle primarie del Pd. Poi un`oretta di jogging prima di tornare a casa, dove ad attenderlo c`è Arturo Parisi, l`amico di tante battaglie. «Penso fosse doveroso votare alle primarie – riflette – perché in questo stato di fibrillazione così forte ritengo che il Pd sia l`unico punto di riferimento». Le primarie, aggiunge, sono «il momento dello scontro democratico, ma dopo lo scontro, un partito deve mettersi insieme. Quello che io raccomando, se posso fare una raccomandazione, è che sia il vincitore sia quelli che perderanno abbiano l`obiettivo di fare una squadra, ovviamente diretta da chi ha vinto, ma con gli equilibri e le mediazioni che rendono forte un partito politico».

Ma reale valore politico di questo appuntamento, che alla vigilia si era gonfiato degli umori cupi di molti che temevano che gli elettori di centrosinistra disertassero, in definitiva qual è? Che cosa rappresenta tanta partecipazione in un momento in cui la politica non è, diciamo così, molto popolare?

«Cosa rappresenta, mi chiede? Penso un gesto di estrema fiducia; e certo, uno può dire anche di fiducia disperata. Però è un fatto che tanti cittadini, in un panorama di così grande preoccupazione, vedono un partito – che ha i suoi limiti ed i suoi problemi – che ha saputo discutere, confrontarsi in modo democratico, mettendo in campo tesi assai diverse in modo anche molto forte. La gente pensa che è necessario avete un punto di riferimento e molti l`hanno trovato, pensano che il Pd sia Il più forte ed importante punto di riferimento della politica italiana».

Lo strumento delle primarie esce ulteriormente rafforzato. Eppure è stat criticato a morte, da avversari ma anche da amici…

«Beh, è stata una intuizione che abbiamo proposto quando abbiamo visto che era diventato chiarissimo che i partiti non erano più un punto di riferimento. Le primarie dunque non sono nient`altro che lo strumento più democratico, funzionale ed efficiente nella situazione in cui ci troviamo».

Presidente, a suo avviso le primarie dovrebbero diventare obbligatorie o comunque essere regolate per legge?

«Si può anche immaginare una regolamentazione, ma il punto è: come fare a rendere obbligatorie le primarie per partiti che non le vogliono fare? Non è che si può disciplinare la vita interna dei partiti con una legislazione. Tuttavia è legittimo ritenere che tutte le forze politiche, dopo questo ulteriore esempio di ieri, siano sempre più spinte a valutare la necessità di allestire le primarie. Oppure a ritenerle inutili se avessero una organizzazione forte, robusta, con regole precise: in questo caso potrebbero anche far senza. Ma mi pare difficile. Del resto guardiamo la storia: le primarie sono nate in America quando i partiti come strutture stabili si sono indeboliti e sono diventati sempre più una macchina per indicare quelli che avrebbero dovuto ricoprire incarichi politici. Insomma un elemento di democratizzazione del sistema politico. Se vuole, anche per cause di forza maggiore».

Lei in un primo momento aveva annunciato che avrebbe disertato l`appuntamento. Poi ha cambiato opinione, ha detto, dopo la sentenza della Consulta ed il rischio che il bipolarismo andasse in fumo. Ma perché, dove è presente questo rischio nella sentenza?

«Guardi, c`è una sentenza che io non intendo assolutamente discutere sotto gli aspetti giuridici. Però è indiscutibile che si tratta di una decisione che smonta l`attuale meccanismo ma non introduce di per sé stessa e immediatamente un sistema elettorale alternativo ed efficiente. La sentenza ha creato una fortissima incertezza ed angoscia nella gente. Dunque ho cambiato parere perché sono cambiate le circostanze. Ho avvertito il dovere di riflette e poi di andare a votare, dando un contributo».

Secondo lei, la vittoria di Renzi quale profilo darà al Pd? Che novità introduce?

«Guardi, con i dati dell`affluenza che abbiamo, una vittoria è già stata colta. C`è una massiccia spinta in una nuova direzione, nel fatto che nuove persone sono scelte per assumere responsabilità politiche. E` il segno di una fortissima investitura di fiducia ma, appunto, anche di responsabilità. Non voglio entrare nella discussione di come il vincitore userà questa investitura. Però è un fatto che c`è, forte. Il che comporta la necessità di trovare l`unità del partito attorno al nuovo leader. E che comporta anche l`intelligenza del vincitore di capire che il cambiamento che vuole lo può attuare solo se ha un partito forte e stabile attorno a lui».

Il Messaggero 09.12.13

In fila con il popolo del Pd “Siamo qui nonostante tutto al partito serve una scossa”, di Sebastiano Messina

Fa freddo, al gazebo di piazza Mazzini, e ogni tanto piove pure. Fa freddo, ma dev’essere un’energia pulita, quella di un’inaspettata passione civile su cui nessuno avrebbe scommesso, a scaldare i volti delle cento persone che alle sette di sera sono in fila per imbucare la scheda nell’urna di cartone, gente paziente e decisa che guarda le luci delle bancarelle di Natale che illuminano la piazza eppure se ne sta qui, in silenzio, aspettando che arrivi il suo turno per votare Renzi. O Cuperlo. O Civati. Sono così tanti che alle sei di sera dal gazebo hanno lanciato l’Sos: «Mandateci subito altre schede, o dovremo chiudere il seggio».
Le file in realtà sono due. La prima è per gli iscritti e per chi si è prenotato online: si fa presto, solo sono in otto. Ma è la seconda quella lunga, così lunga che comincia già da via Oslavia e poi gira ad angolo retto. Sono 96, ci metteranno almeno un’ora ad arrivare all’urna di cartone al centro del gazebo bianco. Un mendicante la percorre al contrario, senza troppa convinzione e con ancor meno fortuna, un mattacchione con il cappello calato sulla fronte la costeggia mormorando «Votate Berlusconi, ha salvato l’Italia…», una troupe televisiva sta aspettando Massimo D’Alema che abita proprio da queste parti. I giovani, a dire la verità, non sono tanti: l’età media è sui cinquanta. E per ogni iscritto vengono a votare dieci non iscritti. «Ma la regola è questa» sospira Susanna Mazzà, la segretaria del circolo Mazzini. Anche a lei però luccicano gli occhi guardando una fila che non si è mai fermata, dalle otto del mattino. Anche se in mezzo a quella imprevista fiumana di votanti ci sono anche degli imbucati. «Sì, sono venuti anche gli elettori di destra. Ne ho contati una cinquantina, su mille. Uno su venti. Te ne accorgi quando gli chiedi di firmare il modulo con cui si dichiara di essere elettori del Pd. Borbottano, mormorano, e poi firmano solo per votare. Alcuni me l’hanno detto chiaro e tondo: io voto Berlusconi, sono qui per votare contro Renzi».
La fila avanza lentamente, molto lentamente. Ma cosa si aspetta, chi sta un’ora al freddo solo per imbucare la sua scheda, da queste primarie dell’Immacolata? Andiamolo a chiedere alla fila più lunga, quella dei non iscritti. «Eh, bisogna smuovere le cose» risponde Rita, che fa il medico e non sempre ha votato a sinistra. «Li ho votati tutti, sa?». Anche Berlusconi? «Beh, proprio tutti no» sorride. zMa ho votato Dc, ho votato i radicali, ho votato i liberali.
Ma adesso basta, mi aspetto energia nuova. Da Renzi, si capisce ». «Spero che vedano quanti siamo e si mettano una mano sulla coscienza» dice Elda, che ha i capelli bianchi e si appoggia a un bastone. «Già – le fa eco dietro di lei Elio, pensionato dello Stato – speriamo che chi governa mangi un po’ di meno». Un coro di consensi sottolinea queste parole, e lui rivela la sua speranza: «Ci vorrebbe un accordo tra Renzi e Civati per combattere l’apparato, che ormai è vecchio come me ».
L’altra volta qui Bersani stravinse, ma oggi tira un buon vento per Renzi. Vota per lui Stefano, sessantenne ingegnere informatico:
«E’ l’unico che può vincere». Vota per lui Laura, ex dipendente comunale: «Speriamo che stavolta c’indoviniamo, perché i nostri figli sono tutti disoccupati». E per lui votano anche le due ragazze alte e brune – Flavia e Vittoria, ventitreenni studentesse di giurisprudenza – che da quando sono arrivate hanno attirato gli sguardi furtivi di tutti gli uomini in fila. «Siamo qui – spiegano – perché speriamo che il Pd riesca ad avere i numeri per governare da solo, e Renzi ha la grinta per riuscirci».
La fila è lunga, e l’attesa incoraggia il dibattito last minute. «Io voterò per Renzi, ma spero che non vinca con troppo vantaggio altrimenti si monta la testa» dice Cristina, consulente di spettacolo. «Allora vota Cuperlo!» ribatte al volo Laura, insegnante. «Eh no, perché dobbiamo scegliere chi ha più chances di vincere».
In fondo alla fila, silenzioso, c’è Danilo, 56 anni, funzionario statale. È taciturno, quasi triste. Perché? «Oggi mi sono messo la giacca di mio padre, che è stato iscritto al Pci dal 1944 fino a quando è morto” racconta, quasi sottovoce. “E sono venuto con l’Unità in tasca, come si faceva una volta. Non le dico per chi voto, le dico che c’è un candidato che sarebbe la morte del Pd come partito di sinistra, se vincesse». E se vince lui? «Allora ci cercheremo un altro partito, alle prossime elezioni. Un partito di sinistra».
Ognuno ha una sua personalissima motivazione, spesso a prescindere dal candidato che voterà, tutti sono in fila senza forse rendersi conto di quanto sorprendente risulterà la somma dei loro gesti per chi prevedeva un calo dei votanti, dopo il flop di Bersani e la fine delle larghe intese. «Io sono venuto – dichiara Maurizio, settantenne con la barbetta e il berrettino da sciatore – per dare forza alle persone che hanno fatto questo partito. E mi aspetto un cambiamento. Ma a sinistra: perciò voto Cuperlo». «La svolta a sinistra può darla meglio Civati» gli ribatte Laura, giovane avvocato con gli occhiali da sole. E se invece vince Renzi? Lei ci pensa un attimo, poi risponde: «Sarei delusa. Però pazienza, se vince Renzi tutti con Renzi. Altrimenti non ne usciamo più».

La Repubblica 09.12.13

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Renzi, un ciclone da tre milioni “Adesso sono il vostro Capitano e il tempo degli inciuci è finito”, di CURZIO MALTESE

LA STORIA non accade mai come s’immagina. Avrebbe potuto essere una bella vittoria annunciata, quella di Matteo Renzi, con qualche se e ma.
E INVECE nella notte fiorentina prende l’aria di quei cicloni dal nome femminile che spazzano intere regioni. Man mano che arrivano i dati sull’affluenza e le percentuali nei quartier generale di Renzi, in via Martelli accanto al Duomo, e poi nel teatro tenda dell’Obihall, si sparge un clima misto di euforia e terrore. «Ma è proprio vero? » si chiedono i venti fedelissimi l’un l’altro, increduli. La Mattea, la Leopolda, come la vogliamo chiamare, ha spazzato via in un giorno la classe dirigente di sinistra di vent’anni e l’intera seconda repubblica.
Da oggi comincia l’era di Matteo Renzi, che può durare pochi mesi o i prossimi vent’anni. Diciamo che in pochi mesi si capirà se potrà durare un ventennio. Già così, è qualcosa di mai visto, un’autentica rivoluzione. Renzi è più giovane di Tony Blair o di Bettino Craxi, per abbassare il tiro, quando presero in mano il Labour e i socialisti italiani, più piccolo di Felipe Gonzales premier spagnolo, ha la metà degli anni del suo rivale di domani, Berlusconi. Uno di 38 anni che diventa il personaggio centrale della vita politica di una grande democrazia, in qualsiasi epoca, è un evento storico. Nell’Italia delle eterne gerontocrazie è un miracolo.
L’incredulità degli stessi pretoriani di Renzi, amici, collaboratori, qualche assessore, i deputati Boschi, Bonifazi, Nardella, è reale. Tanto più che per buona parte della giornata erano arrivate notizie inquietanti, segnalazioni imbufalite di sostenitori allontanati o depistati dai seggi. Il caso più clamoroso è quello di Dario Franceschini, ex segretario del partito e ministro in carica, non riconosciuto al seggio di casa, a Ferrara, ma se ne possono raccontare a centinaia di piccole o grandi porcate dell’apparato. Per ore e ore lo staff raccoglie i casi, in vista di possibili ricorsi, poi arriva il risultato reale e i fogli volano per aria come coriandoli festosi. Lui, il vincitore, è stato l’unico a non perdere mai la testa. Con una calma tanto olimpica quanto esibita, Matteo non sposta di una virgola gli impegni di una domenica da italiano normale. Alle 10 va a votare al seggio, con un piccolo show, subito dopo corre al campo di calcio dove si esibisce il figlio di 11 anni, Francesco, alle 12,30 si blinda in salotto per seguire Roma-Fiorentina, con tanto di sciarpa viola al collo. Nel pomeriggio lima il discorso della vittoria e telefona ai parenti, a cominciare da papà Tiziano, giustamente in pensiero. In tre ore arrivano una decina di chiamate dalla stampa di mezzo mondo, Washington Poste Le Monde, Financial Timese Frankfurter, e a tutti risponde di no. Alle 18 è puntuale al rito dell’accensione dell’albero di Natale in piazza del Duomo, poi passa dal comitato di via Martelli, a tranquillizzare la truppa che è sull’orlo di una crisi di nervi.
Con Renzi non si capisce mai se sei davanti a un genio o a un pazzo. Uno che a meno di quarant’anni ha tanta fretta di diventare segretario del Pd e subito dopo presidente del consiglio italiano, due missioni impossibili, presenta ai comuni mortali un tratto marziano. Almeno la prima carica, quella per cui è stato eletto oggi, la ricoprirà poco e nulla. Governare il Pd, come direbbe quel tale, non è difficile: è inutile. Chi vi ha provato in questi anni non si è mai più ripreso. L’opinione generale, per quanto non ufficiale, della corte renziana è che il capo andrà a Roma un lunedì a settimana, a cominciare da questo. Per il resto viaggerà fra Firenze e il resto d’Italia per preparare la campagna elettorale di primavera. Se vi erano dubbi, da oggi non ne è rimasto uno. Il plebiscito a Renzi è soprattutto un voto contro. Contro la nomenklatura del centrosinistra,
che dopo vent’anni di errori e complicità col berlusconismo, non è stata soltanto liquidata, ma umiliata. Il 18 per cento a Gianni Cuperlo, aldilà della qualità personale del personaggio, significa che per l’uomo di D’Alema, Fioroni e compagnia non ha votato nemmeno l’apparato. L’80 e rotti per cento del popolo di sinistra, fra Renzi e Civati, non vede l’ora di rottamare senza incentivi il vecchio gruppo dirigente. Cosa che il sindaco di Firenze mette subito in chiaro: «Oggi non è la fine della sinistra,
è la fine di un gruppo dirigente della sinistra ».
Per esteso, la sfiducia si trasmette anche al governo delle larghe o piccole intese, che della nomenklatura è il regalo finale. Se pure Renzi avesse avuto un piano B, più morbido nei confronti del governo, e non sembra davvero averlo mai avuto, non potrebbe in ogni caso metterlo in pratica. Il mandato ricevuto dagli elettori del Pd è chiaro e inequivocabile. Deve andare al più presto alla partita finale e chiudere la stagione della seconda repubblica, oppure perire, tertium non datur. Lo sa anche lui: «Non ci sono più alibi. Non possiamo aspettare che arrivi qualcun’altro a lamentarsi di noi».
Non deve neppure farlo cadere Renzi, il governo, basta lasciar fare alla strana alleanza Grillo-Berlusconi. E lui pensando a questa partita promette: «Mi avete dato la fascia di capitano, io non farò passare giorno senza lottare su ogni pallone. E i teorici dell’inciucio non brindino: vi è andata male».
Riuscirà nell’impresa il nostro eroe? Anni fa abbiamo conosciuto un ragazzo appena trentenne, presidente della provincia di Firenze, un ente inutile che lui stesso oggi vuole abolire. Avrebbe dovuto essere un incontro di pochi minuti, ma Renzi riuscì ad affascinare il cronista per tre ore illustrando le meraviglie del recupero della Galleria delle Carrozze, un ex garage trasformato in spazio espositivo. Non avevo mai visto un venditore tanto bravo dai tempi del primo Berlusconi. E neppure un politico tanto fortunato. Qualche tempo più tardi diventò sindaco di Firenze vincendo le primarie della sinistra per 400 voti, l’equivalente di un caseggiato, grazie alla demenziale trovata del partito di candidare un dalemiano e un veltroniano. Ed eccolo, ora è sul palco dell’Obihall, a ringraziare la moglie Agnese («e lei sa il perché») e a tenere il suo discorso obamiano davanti alle telecamere del pianeta, alla grande stampa internazionale che l’ha definito la giovane speranza della vecchia Europa, in un clima da convention americana. «Debbo anzitutto dire grazie a molte persone…». Uno così può arrivare davvero ovunque. E come dice lui per chiudere, «il bello deve ancora venire».

La Repubblica 09.12.13

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“Da Berlinguer a Matteo la sinistra sdogana il leader post-ideologico”, di FILIPPO CECCARELLI
QUANDO si dice che Matteo Renzi è il primo leader compiutamente post-ideologico della storia politica italiana si intende qualcosa che trascende il puro dato anagrafico.
Certo, il vincitore è venuto al mondo nel gennaio del 1975: Berlinguer stava per trionfare alle amministrative, di lì a poco che Zaccagnini avrebbe sostituito Fanfani; e se Craxi era ben lungi dal prenotare la guida del Psi, il dottor Berlusconi costruiva palazzine in Brianza.
Questo per dire che post-ideologico non è una parolaccia, ma una circostanza che colloca Renzi ben oltre gli schemi formatisi nel vivo delle culture politiche del secolo scorso, in una dimensione del tutto inedita e specialmente evoluta, nel senso che dentro di lui ci sono e agiscono molti più indizi, simboli, stili, linguaggi, miti, tecniche, ibridazioni e contagi di quanti se ne possano forse oggi ammettere e comunque riconoscere.
Per cui dopo la vittoria rischia di suonare eccentrico, o addirittura malizioso, ma il trentottenne che ieri ha conquistato il Pd all’insegna del cambio generazionale reca senz’altro in sé l’eredità di La Pira e si presenta avendo alle spalle il ritratto di Mandela, dietro di lui senti gli U2 e i comitati per Prodi, Sanremo, Miss Italia, la Nazionale e le stragi di mafia, la globalizzazione, Bartali e Jovanotti («la Grande Chiesa che parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa»), ma quale esemplare di una nuova razza di leader, ha introiettato anche la lezione dei suoi stessi avversari. Che sono Berlusconi e Grillo.
Sui complessi rapporti che legano la vicenda del primo al renzismo esiste una ormai vasta letteratura, per lo più polemologica, rinverdita – l’accusa di «continuità con il ventennio berlusconiano » – pure nell’ultimo scorcio delle primarie. Non esiste d’altra parte ufficiale conferma sulla frase con cui il Cavaliere, all’apice del potere, congedò il Sindaco dopo il celebre pranzo di Arcore: «Ti apprezzo perché mi assomigli ».
Ma tale apprezzamento risulta a tal punto acclarato nel nucleo di cristallo della cerchia berlusconiana (oltre a Marina e Barbara, Dell’Utri e Signorini, Briatore e la Santanché) che dinanzi all’ennesimo entusiasmo Renzi si è sentito in dovere di raffreddarlo: «Bene, adesso aspettiamo l’endorsementdi Jack lo Squartatore ». La battuta era divertente, ma
valeva solo per quel momento. Nell’interessante cronologia che apre la recentissima biografia di Renzi, «Il Seduttore» (Barbera, euro 15,90), Simona Poli e Massimo Vanni annotano che nel 1994 il futuro leader del centrosinistra esordì partecipando a cinque puntate de «La ruota della fortuna » di Mike Bongiorno, dove vinse 48 milioni in gettoni d’oro. La tv, vedi le ospitate da Maria De Filippi, ma anche e più in generale il mondo delle rappresentazioni, vedi le foto in veste e posa di Fonzie su Chi e il servizio glamour di Marc Hom su Vanity fair, così morbido nel suo bianco e nero da evocare una carica di turbo-seduzione, appunto, a 360 gradi, cioè rivolta sia a maschi che a femmine.
Là dove un tempo c’erano appartenenze e progetti, in gran parte domina oggi il marketing, la ricerca del successo come consenso. Di questo fanno testimonianza il linguaggio calcistico, il culto della «vittoria», così come il «miliardo» di tagli alla politica o il «contratto» con gli italiani. Caratteristica della post-politica è che tutto questo armamentario di inconfessate «acquisizioni» e pretesi «cedimenti» al berlusconismo, tanto più detestati dalla sinistra tradizionalista, consente in realtà a Renzi – che non è mai stato del Pci, propugna una leadership energica e ha sempre evitato di associare la sua figura a simboli e bandiere del Pd – di promuoversi come un prodotto concorrenziale nel campo del centrodestra. Ma non solo.
Il giorno dopo le elezioni, quindi in tempi non sospetti, dinanzi allo sfascio del centrosinistra, un politico acuto e solitamente sorvegliato come Enrico Letta disse: «Di sicuro Renzi sarà la carta del futuro. E su forme di democrazia diretta e partecipazione bisogna riconoscere che Matteo è moderno e decisamente competitivo con Grillo».
Chissà se Letta lo ripeterebbe oggi. E tuttavia non pare un caso che il Renzi competitivo con Berlusconi lo sia anche, se non di più, nei confronti di Beppe Grillo, che lo chiamava «l’ebetino», po «Cipollino Renzie» e poi «il prendinculo degli italiani». Ebbene, lui, sebbene permaloso, non si è mai offeso; né pare che mai abbia invocato le categorie del fascismo e dello squadrismo.
Nel Pd non mancano quelli su tutti Franco Marini – che hanno accusato il futuro leader del Pd di essere «come Grillo». Più sofisticato, e senza escludere contaminazioni berlusconiane, D’Alema ha sostenuto che «Renzi e Grillo vendono la stessa merce ». Ma proprio tale osservazione, cui fa da contrappunto quanto detto da Antonio Ricci («Renzi è un venditore straordinario, a livello di Berlusconi giovane») a suo modo conferma le caratteristiche di leader post-ideologico. Che è appunto quella di puntare al segmento elettorale del M5S, senza alcun pregiudizio, impossessandosi dei suoi temi: costi della politica, piattaforme digitali, primato dei social.
Fatti propri questi argomenti, secondo le previsioni, il leader cinquestelle «si sgonfierà come palloncino». Al che Grillo, forse impensierito da quell’invasione di campo, ha risposto che l’odierno leader del Pd soffriva di «invidia penis». Quest’ultima considerazione porterebbe lontano, perciò ci si limita qui a ricordare che dopo la selvaggia psico-diagnosi Grillo si riservò di arruolarlo lui, Renzi: «Se si comporta bene, valuterò la sua iscrizione al M5S come attivista». Certo il tono suonava padronale. Ma nella post- politica l’arroganza premia.

La Repubblica 09.12.13

Il discorso del neosegretario: finisce un gruppo dirigente, non la sinistra

Matteo Renzi tiene il suo discorso dal teatro Obihall, presso la riva dell’Arno di Firenze. – «L’avete presa bene direi, eh?». Esordisce dal palco accolto dalla folla e da un lungo applauso. Conclude il discorso promettendo “che il meglio deve ancora venire”.

DA DOMANI TAGLIO DA UN MILIARDO A COSTI POLITICA
«Il Pd da domani mattina metterà tutto il proprio onore nel corretto gioco fra destra e sinistra, nel tagliare in miliardo di euro ai costi della politica, così lo spieghiamo a quelli del ‘vaffa day’», promette il nuovo segretario.

GRILLO, CON TUA LOGICA FUORI ANCHE I TUOI PARLAMENTARI
Quanto al leader dei 5 Stelle che vuole buttar fuori 148 parlamentari Renzi dice: «Qualcuno spieghi a Beppe Grillo che con la sua logica bisognerebbe tenere fuori anche i suoi dal Parlamento».

AI TEORICI DELL’INCIUCIO: ‘VI È ANDATA MALE’
«Ai teorici dell’inciucio oggi diciamo ‘Con le primarie vi è andata male’».

FINISCE UN GRUPPO DIRIGENTE, NON LA SINISTRA
«Ora non finisce la sinistra, finisce un gruppo dirigente della sinistra», esclama il neo leader tra gli applausi. «Questa non è la fine della sinistra, è la fine del gruppo dirigente della sinistra. Stiamo cambiando giocatori che adesso hanno bisogno di essere sostituiti. Non voglio essere ingeneroso nei confronti di quelli che ci hanno preceduti, ma ora tocca a noi».

OGGI IL BIPOLARISMO E’ SALVO
Renzi garantisce: «Il bipolarismo oggi è salvo. Due milioni e mezzo di italiani vi hanno detto ‘no graziè». Così Renzi, ricordando la recente sentenza della Consulta sul Porcellum e dopo le reazioni di chi sperava nel ritorno al proporzionale.

VOGLIAMO CAMBIARE L’ITALIA, NON UN MINISTRO
«Abbiamo l’ambizione di cambiare l’Italia, non uno o due ministri», esclama il neosegretario.

ITALIANI MIGLIORI DELLA CLASSE DIRIGENTE
«Gli italiani hanno dimostrato ancora una volta di essere migliori della classe dirigente. Fidarsi per un uomo e per una donna è davvero molto difficile. Oggi fidarsi della politica è davvero una cosa da pazzi».

CRESCIUTI IN MONDO ORFANO POLITICA
«Tocca a una nuova generazione amici. Noi non escluderemo coloro che hanno più esperienza, ma tocca a noi che siamo cresciuti in un mondo in cui le istituzioni internazionali non ci sono. Siamo cresciuti in un mondo orfano di politica. Eppure ci siamo resi conto che tocca a noi perché abbiamo conosciuto l’euro e non l’Europa».

TOCCA ALLA NUOVA GENERAZIONE
“Da oggi non c’è più alibi per cambiamento. Tocca alla nuova generazione guidare macchina” è un passaggio del discorso di Renzi.

GRAZIE A CIVATI E CUPERLO
«Un grazie a Pippo Civati, chi lo avrebbe mai detto tre anni fa che la Leopolda avrebbe avuto la maggioranza nel Pd?». Così il neo segretario nel suo intervento a Firenze. «Grazie a Gianni Pittella, che ha combattuto una bella battaglia. Un grazie speciale – aggiunge – a Gianni Cuperlo, a cui vorrei che dedicassimo non soltanto un applauso, se c’è una persona nel Pd con cui vorrei dialogare e discutere quella è Gianni Cuperlo».

GRAZIE A FAMIGLIA, STAFF ED ELETTORI
«Grazie alla mia famiglia e a chi mi è stato accanto. Grazie al mio staff: siete un bel manipolo di pazzi, sono molto fortunato ad avervi accanto. Partendo da zero abbiamo raggiunto risultati straordinari. Ma grazie soprattutto agli elettori».

www.unita.it

Minacce, Lucia Bursi “La nostra solidarietà a Cinzia Franchini”

Il segretario provinciale del Pd si schiera al fianco della presidente nazionale Fita-Cna
Solidarietà e vicinanza a Cinzia Franchini, la modenese presidente nazionale di Fita-Cna per l’ennesima volta bersaglio di minacce, viene espressa dal segretario provinciale del Pd Lucia Bursi, a nome proprio e di tutto il partito. Ecco la sua dichiarazione:

“Ancora una volta Cinzia Franchini è oggetto di gravi minacce. Voglio, innanzitutto, esprimerle la vicinanza mia personale e del partito che rappresento. E’ vero che la crisi preoccupa ed esaspera gli animi, ma non è possibile che ogni qual volta qualcuno assume una decisione presa all’insegna della ragionevolezza, venga bersagliato da pochi, ma pericolosi estremisti. Quanto sta succedendo nel mondo dell’autotrasporto, ha ragione Cinzia Franchini, deve preoccupare, ma non può essere che alcuni gruppi davvero scarsamente rappresentativi tengano in scacco un intero settore. Il pericolo, poi, che nella protesta possano infiltrarsi frange di estrema destra deve preoccupare tutti. Le forze vive e democratiche della nostra comunità e le nostre istituzioni, sono certa, sono al fianco di Cinzia Franchini e delle sue battaglie”.