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"Liste Pd, tre esclusi e due rinunce", di Simone Collini

Sono nomi illustri in Sicilia, difesi sul territorio a spada tratta, e portano in dote consistenti pacchetti di voti, che soprattutto in una regione in bilico come questa sono decisamente preziosi. Ma sono stati esclusi dalle liste elettorali del Pd. Il motivo? La tutela dell’immagine e dell’onorabilità del partito.
Sono stati cancellati dalle liste elettorali del Pd Mirello Crisafulli, Antonio Papania e Nicola Caputo. I primi due avrebbero dovuto correre in Sicilia, il terzo in Campania. I garanti del Pd hanno però emesso dopo una lunga discussione un verdetto di esclusione perché hanno giudicato le loro candidature, giudicate le vicende giudiziarie che li riguardano, inopportune e in contrasto con i principi del codice etico. Il primo è stato rinviato a giudizio per concorso in abuso d’ufficio, il secondo dieci anni fa ha patteggiato due mesi e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio, convertiti in una multa, in un processo su una presunta compravendita di posti di lavoro, il terzo è stato coinvolto in un’inchiesta sui rimborsi ai gruppi consiliari della Campania.
Hanno volontariamente rinunciato al posto in lista Bruna Brembilla (ha compiuto il passo indietro il giorno che la direzione Pd ha dato il via libera alle liste) e Antonio Luongo (era stato inserito nelle liste della Basilicata), mentre non sono invece stati giudicati incompatibili con le liste Pd gli altri due siciliani Angelo Capodicasa e Francantonio Genovese (uno tirato in ballo da un pentito con dichiarazioni che non hanno trovato riscontro, l’altro indagato per abuso d’ufficio), il calabrese Nicodemo Oliverio e la giornalista anti-camorra Rosaria Capacchione (indagata per calunnia).
Spiega il presidente della commissione di garanzia del Pd Luigi Berlinguer che si è voluto mantenere fermi due principi «tra di loro in difficile equilibrio»: «Da un lato quello costitzionale che si fonda sulla presunzione di innocenza del singolo e, dall’altro, quello che impone alla commissione che presiedo la tutela dell’immagine e della stessa onorabilità di quel grande corpo collettivo che è un partito di massa come il Pd. Di fronte a polveroni mediatici e a sommari processi di piazza, magari via web, che creano un irrespirabile clima di intolleranza e di generiche accuse all’intero sistema democratico, la Commissione di garanzia ha scelto sulla base dell’interpretazione severa di codice etico, statuto, leggi dello Stato. Questo ci ha portato a ottenere 2 rinunce volontarie e a deliberare l’esclusione, con motivazioni tra loro diverse, di tre candidati dalle liste del partito».
L’operazione liste pulite non è stata un blitz inaspettato. I garanti hanno ascoltato i diretti interessati, per sentire la loro versione dei fatti, poi si sono riuniti giovedì e riconvocati ieri, per una lunga discussione. Prima di far uscire la nota in cui si comunicavano le esclusioni hanno anche telefonato ai protagonisti della vicenda, per comunicar loro la decisione. Inutile dire che non l’hanno presa bene.
Bersani, prima che si chiudessero in stanza per decidere il verdetto, aveva espresso «piena fiducia» nell’operato dei membri della commissione di garanzia: «Sono sicuro che faranno bene». E anche se non ha commentato pubblicamente la sentenza, è certo che la linea del rigore dimostrata dall’organismo presieduto da Berlinguer lo ha lasciato soddisfatto. Si vede anche da questa decisione la differenza col centrodestra, che candida personaggi come Marcello Dell’Utri.
È proprio il criterio di «opportunità» che ha spinto i garanti ad escludere dalle liste Crisafulli, Papania e Caputo. È vero infatti che il decreto sulle liste pulite recentemente approvato dal Parlamento prevede norme di incandidabilità per chi sia stato definitivamente condannato a pene superiori a due anni di reclusione, ma i garanti hanno voluto far riferimento anche al codice etico e allo Statuto del Pd, che prevedono norme anche più stringenti. Nella delibera in cui si rende noto il verdetto, i garanti richiamano «tra i principi fondativi del Pd, il profilo etico della politica e delle sue concrete attività»: «In questo delicato frangente – sottolineano – la scelta delle candidature non può prescindere da criteri di eticità, da perseguire anche con valutazioni di opportunità, espressamente previste dalle norme interne del Pd e rafforzate dalla novità introdotta nella legislazione nazionale». E quelle di Crisafulli e Papania sono state giudicate, alla luce delle vicende giudiziarie in cui sono coinvolti, candidature «inopportune». Idem per Caputo, che la scorsa settimana è stato indagato nell’ambito di un’inchiesta sui rimborsi gonfiati dei gruppi consiliari della Campania.

L’Unità 19.01.13

"Maroni-Berlusconi, l’accordo disperato", di Franco Mirabelli

In questi ultimi anni sono accadute molte cose che hanno cambiato profondamente il nostro paese. Di fatto, la vita concreta delle persone è peggiorata: i consumi sono crollati, insieme ai posti di lavoro, una parte del nostro sistema produttivo si è fortemente ridimensionata e sta esplodendo una vera e propria questione sociale.
Tutto ciò sta cambiando nel profondo la nostra società, gli stili di vita e il modo di guardare al futuro.
In questo scenario che si è formato e di fronte ai rischi generati dalla crisi, una parte importante della politica ha fatto prevalere l’interesse generale del paese, riportando al centro del dibattito le questioni che maggiormente toccano i cittadini. Si è così formato il governo Monti, chiamato ad evitare che l’Italia sprofondasse nel baratro in cui era stata trascinata dal fallimento del centrodestra e, finalmente, abbiamo avuto un governo non segnato dalle posizioni antieuropee – che hanno contraddistinto, invece, quello della Lega e del PdL – ma che, anzi, ha aiutato il rilancio dell’Unione europea. Inoltre, il Partito democratico ha organizzato le primarie, con cui si è dimostrato che la politica può recuperare credibilità se si apre alla partecipazione dei cittadini.
Intanto in Lombardia – la culla del centrodestra e della Lega – la legislatura regionale si è interrotta travolta dagli scandali che hanno investito la giunta e tanti consiglieri di maggioranza.
Una fase, dunque, sembrerebbe essersi chiusa. II centrodestra ha fallito e il modello populista dei partiti personali ha prodotto grandi danni al paese. La stagione dei patti siglati nelle “segrete stanze” è bene che venga archiviata per lasciare il posto alla partecipazione. L’Italia, inoltre, non può più permettersi coalizioni che stanno insieme solo per vincere le elezioni o per impedire ad altri di vincere ma servono responsabilità, proposte e coerenza nei programmi e serve guardare all’interesse pubblico.
La rivolta morale che si è innescata negli ultimi mesi, di fronte ai pesanti scandali che sono emersi e che hanno avuto come epicentro la regione Lombardia, dovrebbe imporre maggiore rigore, attenzione alla legalità, trasparenza e credibilità dei candidati in campo.
Invece, in questi giorni, ci siamo ritrovati improvvisamente come se fossimo tornati indietro di anni, come se nulla fosse successo: Lega e Pdl, dopo mesi di litigi, hanno siglato un nuovo patto nel nome di Berlusconi, alla una e mezzo di notte, nella villa del Cavaliere, lontani da occhi indiscreti. L’ennesimo patto fondato sullo scambio di poltrone in cui “io do una cosa a te (l’alleanza nazionale) e tu dai una cosa a me (il sostegno di Maroni in Lombardia)”. Un accordo disperato che, come nel passato, non ha alcuna coerenza programmatica e che finge di tenere insieme le proposte della Lega per il Nord con i sostenitori dell’assistenzialismo al Sud impersonati da Micciché e le scope di Maroni con le candidature di Dell’Utri e Cosentino. Ancora una volta, dunque, contando sulle capacità del populista Berlusconi, provano a garantire ognuno i propri interessi a danno del paese. Cercano di riportare l’orologio indietro, di rimettere al centro della campagna elettorale Berlusconi e non gli italiani e la loro vita.
Ma anche Monti, in queste settimane, appare con la testa più rivolta all’indietro che non in avanti: ripropone un nuovo partito personale, nomina i suoi parlamentari personalmente e tenta anch’egli la strada della propaganda, promettendo miracolosi interventi sulle tasse dopo che aveva, invece, giustamente sostenuto la necessità di dire agli italiani la verità. La disponibilità a contribuire comunque ad una stagione di riforme appare frenata da riti e atteggiamenti che appartengono a Fini e Casini più che a un innovatore.
Mi pare, quindi, evidente che ciò di cui il paese ha bisogno – responsabilità, verità e partecipazione ma, soprattutto, di una rottura netta con gli anni del populismo e del governo negli interessi di pochi – è altrove. Insomma, da queste ultime settimane, sono emerse in modo ancora più evidente le ragioni per sostenere il Pd e il centrosinistra: per non tornare indietro e aprire una stagione nuova per l’Italia e gli italiani. Questa è la sfida che si gioca il 24 e il 25 febbraio tra chi vuole tornare indietro e chi ha già dimostrato il coraggio di innovare, di cambiare la politica, di volersi assumere la responsabilità di affrontare i terribili problemi che vive questo paese.

da Europa quotidiano 19.01.13

“Un altro anno di recessione la ripresa sarà lenta e difficile e disoccupati al 12% nel 2014”, di Elena Polidori

Nessuna illusione: anche il 2013 sarà un anno «difficile », con l’economia che ristagna e la disoccupazione che avanza. Lo preannuncia il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, parlando all’università di Firenze tra le contestazioni degli studenti. Lo confermano con dati e previsioni i suoi esperti nel tradizionale «Bollettino economico».
Perciò, poiché il contesto globale è quello, le stime vengono riviste al ribasso. Ora indicano un Pil 2012 a quota meno 2,1% e per il 2013 è previsto ancora un rosso, a meno 1% , ben più giù di quel che sperava la Banca d’Italia oltre un anno fa (+1,3%). Nel secondo semestre si comincerà a vedere qualche segno di miglioramento, ma non sufficiente a invertire la rotta. La ripresa sarà «lenta e difficile », secondo l’analisi di Visco.
E infatti il segno più davanti al Prodotto interno lordo arriverà solo nel 2014 quando è previsto un rimbalzo positivo dello 0,7%. In quell’anno, però, la disoccupazione avrà raggiunto il 12%, falcidiando soprattutto i giovani. Perciò, c’è poco da stare allegri: la recessione continuerà a mordere.
In questi giorni l’Italia è alle prese con le elezioni e presto avrà un nuovo governo. Così Visco guarda avanti, a quel che si dovrà fare per uscire dal tunnel: ci vuole un «piano organico di riforme»
per riguadagnare competitività e tenere a bada lo spread. Ne riassume i «punti fondanti»: maggiori liberalizzazioni, più qualità nei servizi pubblici, meno burocrazia, lotta dura all’evasione, giustizia civile più efficiente… Gli studenti lo interrompono, volano insulti e spintoni, risuonano slogan: «Contro la crisi e l’austerità/ fuori Bankitalia dall’università ».
Proprio l’austerity è uno dei temi- chiave del Bollettino. In una apposita tabellina sono elencate le cause che hanno buttato giù il Pil 2012, soffocando l’economia. Tra queste ci sono il balzo accusato dallo spread nel luglio 2011, dunque durante il governo Berlusconi e le manovre di correzione seguite per evitarne «un incontrollato peggioramento». In termini quantitativi il risultato fa riflettere: il caro-spread e il successivo aumento del costo del credito si sono «mangiati» un punto di Pil. Un altro punto lo hanno eroso proprio le manovre, destinate a pesare anche quest’anno.
Gli esperti calcolano i riflessi di tutto questo in termini di conti pubblici. Si scopre così che lo scorso anno il deficit-pil si è collocato «in prossimità» del 3% (da 3,9 nel 2011), che migliora l’avanzo primario (al netto degli interessi), che il rapporto debito-pil sarebbe aumentato di sei punti, fin verso il 127%. «Nonostante la debolezza congiunturale – si legge nel testo – le manovre approvate nel secondo semestre del 2011 consentiranno di migliorare ulteriormente i saldi di finanza pubblica nel biennio 2013-2014».
Come sempre, il Bollettino è una miniera di informazioni. Così, per esempio, viene fuori che è ripreso l’afflusso di capitali esteri, seguito a un deflusso durato fino ad aprile. E ancora: dopo l’estate è tornato a salire il costo del credito per le imprese e a novembre il divario con le aziende tedesche era pari a 1,4 punti. Le prospettive dell’occupazione sono destinate a restare negative anche nei prossimi mesi. Quest’anno i consumi delle famiglie continueranno a contrarsi di quasi 2 punti percentuali. Scende l’inflazione.
In compenso, si allentano le tensioni sui mercati finanziari, sono scesi i rendimenti dei titoli di stato. In Italia e Spagna, tuttavia, il costo medio di finanziamento di famiglie, imprese e intermediari finanziari a ottobre era ancora superiore di circa 110 punti a quello osservato nei paesi di Eurolandia meno colpiti dalla crisi. Per il domani è «essenziale» consolidare i progressi compiuti, anche in termini di recupero di fiducia, un volano-chiave per riavviare gli investimenti e dunque la crescita.

La Repubblica 19.01.13

Campogalliano (MO) – Museo della Bilancia – Inaugurazione Mostra: La Coda di Namazu. Il terremoto tra miti, dicerie e scienza

Campogalliano – Museo della Bilancia

LA CODA DI NAMAZU. IL TERREMOTO TRA
MITI, DICERIE E SCIENZA
Dopo gli eventi sismici del maggio scorso al Museo della Bilancia di
Campogalliano dal 27 gennaio all’8 dicembre 2013 una mostra per fare chiarezza sulle terminologie lette sui quotidiani, per analizzare le leggende metropolitane e per misurare il terremoto.
Uno dei paesi più sismici al mondo, il Giappone, ha trovato nel mito di Namazu la spiegazione ai terremoti che così di frequente scuotono la terra del Sol Levante. Namazu è un enorme pesce gatto che vive nel fango sotto l’arcipelago giapponese, il dio Kashima ha il compito di sorvegliarlo e di tenerlo fermo schiacciandogli la testa con un sasso magico. Quando il dio abbassa la guardia Namazu si agita, dà un colpo di coda e provoca un terremoto.
Questi miti, registrati anche presso altre culture, mostrano come l’uomo abbia, fin dai tempi più remoti, cercato di dare spiegazione al terremoto, evento sconosciuto, imprevedibile e luttuoso.
Oggi che sappiamo come è fatta la Terra, che ne conosciamo la genesi, che ne seguiamo i movimenti, siamo in grado di approcciarci scientificamente all’evento sismico, ma nonostante tutto voci per sentito dire, chiacchiere da bar e vere e proprie bufale organizzate sono dure a morire e l’opinione pubblica ne viene tuttora influenzata.
La mostra “La coda di Namazu. Il terremoto tra miti, dicerie e scienza” nata dalla collaborazione con Museo Universitario Gemma 1786, INGV, Edurisk e Protezione Civile affronterà anche questo argomento, insieme alla spiegazione delle celle convettive come generatrici del terremoto, allo studio delle onde, alla ricerca del punto di rottura in un corpo, alla misurazione dell’intensità di un terremoto e alla localizzazione dell’epicentro partendo dai tracciati sismografici, alla liquefazione dei terreni, al boato del terremoto che è una vera e propria voce e come tale può essere analizzata.
In linea con l’offerta didattica che caratterizza il Museo della Bilancia la visita alla mostra sarà contrassegnata da numerose postazioni interattive dove provare semplici esperimenti a dimostrazione e approfondimento di quanto spiegato nella pannellistica di mostra; il più delle volte si tratta di esperimenti home made, di fattura semplice ma sicuro risultato che contribuiscono a vivacizzare il percorso e a trasmettere conoscenza mediante il fare più che mediante l’assistere. Lungo la mostra saranno esposti anche alcuni strumenti di misura del terremoto, originali o in replica, dagli ottocenteschi sismoscopi a mercurio, ai tromometri, ai sismografi a rullo tuttora in uso.
Otto sezioni di mostra per affrontare l’argomento da tanti punti vista, non ultimo l’importanza della “previsione” dei terremoti e le conseguenti e obbligate scelte costruttive che contribuiscono a dare maggiore sicurezza nel corso di un evento che ti toglie – letteralmente – la terra da sotto i piedi. Un percorso adatto tanto al per un pubblico adulto quanto alle scuole di ogni ordine e grado.
Per informazioni: Museo della Bilancia
Via Garibaldi 34 a – 41011 Campogalliano (MO) Tel. 059.527133 oppure 059 899422
E-mail: infomuseo@museodellabilancia.it
Sito web: www.museodellabilancia.it

"Il Sahel, bomba da disinnescare nella polveriera araba", di Lapo Pistelli

L’Italia contribuirà con una quota di addestratori alle operazioni antiterrorisrno iniziate su impulso francese in Mali. La decisione è stata annunciata in Parlamento dal Ministro Terzi e confermata nel Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, dove la necessità di un’operazione militare decisa, capace di arrestare e respingere la penetrazione di Al Qaeda nello Stato africano, ha trovato un largo consenso. Ci si chiede oggi se l’iniziativa sia sufficiente, stanti le caratteristiche di quell’area, se sia addirittura tardiva, vista l’ampia mole di analisi già disponibili nei mesi scorsi su cosa stava accadendo, se ci si trovi davanti a un rischio di Afghanistan africano. Dopo la morte di Osama Bin Laden, Al Qaeda ha subito un processo di riorganizzazione molto problematico: il troncone af-pakistano ha continuato le sue attività contro i soldati stranieri impegnati a cercare di stabilizzare l’Afghanistan; quello iracheno non ha giurato fedeltà al successore di Osama e conduce in franchising una propria azione tutta centrata sul conflitto interno anti-sciita, senza più attenzione verso gli «occidentali»; quello yemenita tenta invece di installare dei piccoli califfati autonomi (nonostante il nome più impegnativo di Al Qaeda per la Penisola Arabica) nel sud del Paese, aspramente combattuto dal governo di Sanaa e dai droni americani.

Ma è il Sahel la vera area di rischio della polveriera araba. La «riva del deserto» – questo il significato del nome – è un’area troppo grande (due milioni e mezzo di km quadrati) e priva di confini naturali per essere effettivamente controllata. Come l’onda di un maremoto, il Sahel ha subito il contraccolpo delle rivoluzioni arabe nel Maghreb ed è oggi attraversato da gruppi assai eterogenei – alcuni legati a un’idea di jihad globale come Al Qaeda, altri sempre di natura islamista ma di orizzonte regionale, gli irredentisti tuareg e molte bande di criminali comuni – che da qualche anno collaborano «tecnicamente» scambiando armi, droga, ostaggi, esperienze di addestramento.

Non si tratterebbe probabilmente di numeri importanti in sé. Tutte le organizzazioni assieme dispongono di qualche migliaio di operativi e, fra questi, solo qualche centinaio di terroristi «professionisti». Purtroppo però hanno una grande capacità di movimento sul territorio, un’abitudine alla mimetizzazione fra la popolazione civile e una grande capacità di condurre azioni destabilizzanti in Libia, nel sud del Marocco e della Tunisia, in un’Algeria che ha già pagato un prezzo spaventoso negli anni ‘90 e che torna oggi in prima linea come campo di battaglia e come Paese leader locale nelle azioni di contrasto. Il salto di qualità della minaccia è avvenuto da qualche mese a questa parte con una diversa aggressività nel Mali, individuato come possibile entità statuale nella quale radicarsi e dalla quale ripartire con ambizioni più grandi.

Con la nomina di Romano Prodi, le Nazioni Unite avevano mostrato di prendere molto sul serio la sfida del Sahel e di avere privilegiato, fin quando possibile, la costruzione di una rete diplomatica di relazioni fra gli attori coinvolti e di una strategia di sviluppo regionale capace di contrastare il richiamo della sirena jihadista offrendo un’alternativa credibile a una delle aree più povere dell’intero pianeta.

La rottura di un confine e l’azione militare condotta, inaspettatamente, non a nord ma a sud contro Bamako hanno però suggerito a Parigi di cambiare registro. La comunità internazionale, gli Stati Uniti, l’Europa, ma anche i nuovi Paesi arabi del Maghreb e quelli africani della fascia sub sahariana non possono tollerare che cresca e si radichi, come un tumore, una minaccia di quelle dimensioni.

Occorre sì proseguire il rilancio di una strategia economica alternativa per il sottosviluppo dell’area, occorre cercare di separare – con l’aiuto dell’intelligence – le bande meramente criminali dalla ragnatela dello jihadismo islamista, ma serve fin da subito cercare di disarticolare l’organizzazione terrorista e innestare un livello superiore di coordinamento della sicurezza fra gli Stati coinvolti.

È un’esigenza condivisa, anche dall’Italia. Sconfiggere sul campo la minaccia armata è anche un modo per aiutare direttamente le difficili transizioni in Libia e Tunisia, altrimenti distratte dal crescere dell’insicurezza sui propri confini meridionali.

Lo sapevamo: la lotta al terrorismo è in sé un processo senza fine e le rivoluzioni arabe non sarebbero state un pranzo di gala. Oggi, fra Mali e Algeria, ne abbiamo la dolorosa conferma e per questo ci assumiamo la nostra piccola parte di responsabilità.

www.partitodemocratico.it

"Il testimonial eccellente", di Nadia Urbinati

«Che cosa è la discriminazione? È la condizione per la quale i “diversi” in qualche cosa sono discriminati dagli eguali che, in relazione a quella cosa, sono maggioranza. L’essere discriminati è una condizione di ingiustizia e di sofferenza.» Nella società del pubblico chi gode di fama può svolgere un ruolo rappresentativo di milioni di persone. Senza essere stati scelti o votati, è proprio l’essere sotto i riflettori del mondo che rende quel che le celebrità sono e dicono rappresentativo. Questa funzione di rappresentanza simbolica è stata perfettamente svolta da Jodie Foster che ha usato il palcoscenico più globale e popolare – la cerimonia di assegnazione del Golden Globe – per fare un’opera di testimonianza che ha un valore immenso per la vita ordinaria di molti uomini e donne, in tutti i paesi del mondo. Premiata per il film Modern Family,di cui è attrice, regista e produttrice, Jodie Foster ha pronunciato un discorso di ringraziamento personale che ha lasciato senza parole (e commossi) tutti i presenti. Per la prima volta ha parlato esplicitamente della sua vita privata, dei figli e della compagna di vent’anni (“gli amori della mia vita”), e infine della sua decisione di vivere come single. Ringraziandola ha definito la compagna «la mia eroica co-genitrice, la mia ex partner in amore e sorella dell’anima per la vita». Jodie Foster ha fatto questa sua testimonianza poche ore dopo che le agenzie hanno fatto circolare le immagini della manifestazione parigina contro il riconoscimento delle coppie omosessuali e lesbiche, proposta dal governo Hollande.

Di qua dell’Oceano, e a dispetto della diagnosi dei sociologi che parlano di quella europea come di una società secolarizzata, la vita per chi non è “regolare” è e resta durissima. Non soltanto perché chi non è eterosessuale non gode degli stessi diritti di chi lo è (come poter ereditare, poter far visita al proprio partner in ospedale, poter avere figli riconosciuti), ma anche perché deve in aggiunta subire la gogna della discriminazione nella vita sociale ordinaria da parte di quei tanti concittadini che sono convinti di essere dalla parte giusta (e quindi maggioranza), spessissimo offensivi e violenti nel linguaggio e troppo spesso anche nei comportamenti con coloro che hanno solo una colpa: quella di fare scelte secondo la propria autonomia di giudizio. Un diritto che le consuetudini e soprattutto le religioni, dalla musulmana alla cattolica, non riconoscono e anzi stigmatizzano come causa di disgregazione della famiglia.
Che cosa è la discriminazione? È la condizione per la quale i “diversi” in qualche cosa sono discriminati dagli eguali che, in relazione a quella cosa, sono maggioranza. L’essere discriminati è una condizione di ingiustizia e di sofferenza. Perpetrata sia dal potere che dall’opinione. Da chi gestisce i poteri dello Stato, soprattutto dal potere politico quando si oppone a leggi che possono rendere giustizia a tutti egualmente; e dai cittadini ordinari con il loro comportamento sociale discriminatorio per ragioni di mentalità. La denuncia della discriminazione presume sempre una rivendicazione di eguaglianza di dignità e di considerazione (la premessa morale di eguale valore di tutte le persone) ed è una denuncia degli effetti perversi che può avere un rapporto non equilibrato di potere, per cui chi è fatto oggetto di discriminazione è generalmente la parte debole o perché meno numerosa e con basso potere di contrattazione. Se la discriminazione è perpetrata dagli organi di uno Stato democratico costituzionale, la vittima ha per legge il diritto di appellarsi contro decisioni giudicate discriminanti e di usare gli strumenti giuridici per poter difendere le proprie ragioni e nel caso di vittoria di essere risarciti per l’offesa subita – ma si tratta di un diritto che si scontra spesso con l’opinione della maggioranza che alligna anche nella mente dei giudici. A questa condizione formale fa spesso seguito una situazione concreta densa di cultura che rende il diritto all’eguale trattamento da parte della legge, cioè il non essere discriminati, meno certo di quanto sia desiderabile. Questo è il caso della legislazione sul riconoscimento delle coppie omosessuali e lesbiche.

Inoltre, la discriminazione può anche manifestarsi in forma di ingiustizia morale attraverso comportamenti offensivi verso ciò che una persona è, il modo in cui vive (se omosessuale, membro di una comunità nazionale, razziale, linguistica, o di una classe sociale). Essere discriminati nelle relazioni quotidiane e di vita sociale può voler dire avere difficoltà a trovare un lavoro, ad affittare una casa, a svolgere bene le proprie funzioni lavorative o professionali, avere accesso alla formazione educativa, e infine avere poca voce nella rappresentanza politica.

Per chi la subisce, la discriminazione è una ragione di sofferenza poiché seguita dalla solitudine di chi non ha sufficiente potere. Per questo la rappresentanza simbolica è molto importante. Perché tra le altre cose dà a chi è rappresentato il senso di non essere solo, di non essere un’esigua minoranza, di avere testimonial che possono spendersi per loro.

La Repubblica 18.03.12