"Il Paese che non ha imparato a prendersi cura della scuola" di Gian Arturo Ferrari
Consiglia, un amico psicoanalista, di guardare le cose «da un ramo più alto». Non dal più alto, dalla vetta, ma insomma provare un po’ a salire. Parla, ovviamente, del suo mestiere e si riferisce dunque ai travagli interiori. Ma il metodo (meno semplice di quel che sembri) si presta a interessanti applicazioni. Per esempio alla scuola, alla politica scolastica, all’istruzione, pubblica e no, alla formazione, a tutto quel malinconico viluppo di problemi che ogni settembre torna di attualità insieme con il rituale allarme sul peso dei libri che ingobbisce i bambini. Ora, arrampicandosi un po’ su questo tronco e mettendo la testa fuori dal fogliame si vede, nudo e crudo, il nodo fondamentale e insieme il bandolo dell’intera matassa. E cioè che istruzione e formazione non sono mai stati e continuano a non essere la priorità della politica nazionale. O, per meglio dire, della politica nazionale nell’Italia repubblicana. All’indomani dell’Unità infatti, con un Paese di ventidue milioni di abitanti, più di tre quarti dei quali analfabeti, l’istruzione fu la priorità o una delle priorità. Per …