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Riflessioni sulla ricerca italiana. Lettera a Giorgio Parisi

 

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Caro Giorgio,

intanto desidero ringraziarti per l’iniziativa di oggi e per l’impegno che ti sei preso nel promuovere la petizione online, che tanto successo sta raccogliendo, con la quale si chiedono adeguati finanziamenti per la ricerca scientifica italiana destinata, altrimenti, ad una lenta asfissia.
Sono entrambe iniziative importanti, che consentono al Governo di ascoltare le ragioni di una comunità e di comprendere – fino in fondo – la portata di una questione su cui si definiscono i valori per la società di domani e la stessa qualità della nostra democrazia.
Ma sono due iniziative meritevoli anche perché accendono un faro di attenzione su questo tema presso l’opinione pubblica: è la comunità scientifica che si rivolge al Paese in un rapporto di reciproca conoscenza. Mi pare un fatto importante. Credo, infatti, che la difficoltà di far emergere questi argomenti riguardi non solo le scelte fatte dalla politica (che pure ha tanta, tanta responsabilità) ma anche la percezione, o forse la mancata percezione del Paese rispetto all’urgenza di investire in questi ambiti chiave se si vuole davvero tornare a crescere, socialmente ed economicamente. Invece, sembra sempre che vi sia qualcosa di più importante.

Per queste ragioni, sai bene quanto sia difficile occuparsi di un tema come questo in un Paese dove vi sono sempre altre priorità, tanto nell’agenda politica quanto in quella sociale: la crisi economica, la mancanza di lavoro, una pubblica amministrazione non al servizio del cittadino o della stessa scuola, solo per citare alcuni esempi. Priorità e legittime preoccupazioni che non tengono conto del fatto che nessun paese cresce senza massicci investimenti in ricerca e in formazione avanzata del capitale umano.

Posso dirlo da una posizione “particolare”, poiché conosci il mio impegno ormai decennale; e in questi lunghi anni è emersa in modo prepotente la difficoltà oggettiva di riuscire a produrre interventi finanziari e normativi che “sfondino il muro” (lasciami usare una espressione evocativa e non politica) per definire un nuovo orizzonte di prospettive. Spesso ci siamo dovuti accontentare di aggiustare le cose, procedendo con la politica dei piccoli passi. Questo perché, tutti noi non siamo riusciti fino in fondo a raccontare l’urgenza di arrivare a certe scelte, la necessità di fare della ricerca l’ambito di investimento prioritario di un Paese che vuole uscire dalla stagnazione. E questa mancanza di prospettiva si riflette nella mancanza di fondi pubblici (così come nella nella renitenza delle imprese private ad investire in innovazione).

Io, naturalmente, continuo a garantire il mio impegno totale e incondizionato che, nonostante le evidenti difficoltà di questi anni, resta forte e saldo. L’obiettivo del mio impegno resta quello di dare al sistema della conoscenza la priorità che merita, nel segnalare con forza la necessità di approdare finalmente alla definizione di scelte strategiche di lungo periodo, che siano all’insegna degli investimenti, della semplificazione ma, soprattutto, della continuità. Penso a tre parole d’ordine: finanziamenti, progettualità e obiettivi.
Nel frattempo, continuo a credere che perseguendo questo obiettivo si debba continuare a lavorare su due livelli: quello in cui si realizza e si costruisce insieme un orizzonte di prospettive di lungo periodo e, sempre insieme, si lotta per dare vita un orizzonte di piccoli interventi, che mettano ordine e ridiano fiato: giuste risorse, giusta dignità retributiva, modalità di lavoro che lo rendano agevole e non ostaggio della burocrazia che impedisce di volare alto, con la mente libera rivolta esclusivamente alla ricerca e alla didattica.
Intanto, alcuni interventi più immediati potrebbero essere la revisione del programma Montalcini, la costituzione di un’Agenzia unica per la ricerca, il ri-finanziamento dei progetti FIRB-IDEAS a vantaggio dei giovani che presentano buoni progetti ERC ma che non sono finanziati dall’Europa per insufficienza di risorse (e facciamo in modo, questa volta, di non creare un percorso ad ostacoli per i ricercatori!)

Nel contesto attuale di crisi economica duratura e di profondi e rapidi mutamenti sociali, il potenziale dato dalla ricerca e dall’insegnamento universitario deve giocare un ruolo chiave nell’aumento di competitività della nostra economia. Dobbiamo intervenire sulla fragilità del sistema perché nel lungo periodo questa debolezza endemica avrà conseguenze gravi sulla produzione di conoscenza del nostro Paese e sulla sua capacità di competere nelle sfide internazionali.

Caro Giorgio, di nuovo grazie per questa opportunità di riflessione a favore della ricerca. Io ci sono.

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