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"Precari: con la spending review rischiano il posto in 15mila. Il 16 luglio manifestazione a Montecitorio", di Alessandro Giuliani

A seguito del reimpiego forzato di soprannumerari, inidonei ed Itp. Rimarranno senza contratto anche gli annuali “storici”: calpestati i diritti acquisiti in anni di sacrifici. La Cgil chiama tutti a raccolta: a settembre sciopero generale. E l’Anief chiede che fine ha fatto il decreto delle assunzioni per l’a.s.. La razionalizzazione delle spese della macchina pubblica sta scontentando molte categorie di lavoratori dipendenti. Ve ne è però solo una che rischierà seriamente di rimanere senza impiego: quella dei precari. Stavolta anche quelli di lungo corso. E nella scuola più che in altri comparti. Il reimpiego forzato dei soprannumerari, degli inidonei e degli ex dipendenti degli enti locali (ancora per poco tempo Itp e presto Ata) comporterà, infatti, la copertura di posti attualmente destinati al personale non di ruolo. Che, per forza di cose, rimarrà a bocca asciutta. Almeno per quanto riguarda le supplenze annuali.
I precari se ne sono subito resi conto. Si sono già visti, hanno parlato. E sono giunti ad una conclusione. Di far sentire la loro voce. Lo faranno lunedì prossimo, il 16 luglio, davanti a Montecitorio. E non solo per opporsi alla spending review.
“La nuova stangata del Governo Monti – scrivono in un comunicato unitario – taglia altri 16.000 posti! La Scuola pubblica e statale agonizza! Eppure, il ministro Profumo annuncia il bando di un ridicolo concorso a cattedre inesistenti, destinato, paradossalmente, anche ai docenti già abilitati, carichi di titoli culturali e di servizio, che stazionano nelle Graduatorie ad Esaurimento da anni, in attesa di stabilizzazione”.
Sostengono che siamo di fronte all’ennesimo “atto illegittimo ed offensivo, che comporta “spreco di denaro pubblico e calpesta i diritti acquisiti in anni di sacrifici”. I precari dicono quindi di essere “stanchi di provocazioni e vessazioni”, e che “pretendono l’immediata immissione in ruolo, dalle Graduatorie di merito e ad esaurimento esistenti, su tutti i posti disponibili, nel rispetto del Piano Triennale di assunzioni, il rifinanziamento della scuola, cui continuano ad essere sottratte risorse, e il rispetto della dignità professionale dei docenti, umiliati da riconversioni frettolose e aberranti, come quella prevista per i docenti in esubero impiegati sul sostegno, con violazione dei diritti dei disabili, o come quella che prevede l’impiego di docenti soprannumerari per l’insegnamento di materie per cui non posseggono titolo abilitante, in spregio alla tanto strombazzata ‘qualità’ e ‘meritocrazia’. La scuola – concludono – non è un’azienda, né un discount”.
Anche la Flc-Cgil ritiene alto il numero di precari “storici” che a settembre non avranno la riconferma: secondo il segretario, Mimmo Pantaleo, “il Governo Monti licenzia con la spending review 15 mila precari della scuola tra docenti ed Ata che hanno alle spalle anche 10 anni di lavoro”. Una disposizione che assieme alle altre decise dall’esecutivo provocherebbe “un insieme di tagli alla spesa sociale con un evidente carattere depressivo che colpirà ancora una volta i ceti più deboli pur di salvaguardare gli interessi della speculazione e dei mercati finanziari”. Il sindacato, quindi, non starà a guardare: “risponderemo da subito con iniziative di lotta e senza cambiamenti radicali alla manovra siamo pronti ad iniziative durissime fin dall’apertura del nuovo anno scolastico”. Da Pantaleo c’è anche la richiesta agli altri sindacati ti incrociare le braccia e scendere in piazza assieme: “ritengo necessario che a settembre venga proclamato uno sciopero generale su una piattaforma rivendicativa alternativa alle politiche devastanti del Governo Monti che fanno aumentare disoccupazione, precarietà e disperazione sociale”.
Intanto, sempre in difesa dei precari, l’Anief è preoccupata per il silenzio sulla seconda tranche di assunzioni in ruolo, da attuare nelle prossime settimane, decisa un anno fadal Parlamento: “non vi è alcuna notizia – scrive il sindacato – del decreto autorizzatorio delle assunzioni per l’a. s. 2012-2013”. Per l’Anief, insomma, c’è il rischio fondato che ildecreto interministeriale del 3 agosto 2011, potrebbe non avere seguito. “Dopo il taglio di 200.000 posti di lavoro avvenuto negli ultimi sei anni e la promessa di 300.000 nuove assunzioni – dice il presidente, Marcello Pacifico – è arrivato il momento di dire basta a chi prende in giro i lavoratori della scuola. Si dovrebbero stabilizzare tutti i precari della scuola; almeno, buon senso vorrebbe che si procedesse all’assunzione immediata di 30.000 unità subito per coprire una parte dei posti vacanti e disponibili già individuati dal Miur”.

La Tecnica della Scuola 12.07.12

"Il bersaglio sbagliato", di Massimo Riva

Che Mario Monti non ami la concertazione fra governo e parti sociali è risaputo da anni. Ma un conto sono i numerosi e argomentati editoriali che ha scritto sulla materia in passato, tutt’altra cosa il duro e perentorio giudizio sulla questione pronunciato ieri nelle vesti di presidente del Consiglio . Sarà anche vero che il metodo delle consultazioni a Palazzo Chigi con sindacati e Confindustria è scaduto sovente in una liturgia di così scadente o nulla efficacia da legittimare critiche anche aspre. Ma il premier si è spinto molto più in là indicando in questa pratica la fonte dei «mali contro cui combattiamo e a causa dei quali i nostri figli e nipoti non trovano facilmente lavoro ». C’è un eccesso di semplificazione e di disinvoltura storica in queste parole che lascia interdetti. Accantoniamo subito il dubbio che questa sortita possa essere letta come un’ulteriore e definitiva replica agli attacchi spregiudicati di chi – come il presidente della Confindustria – ha goffamente accusato il governo di fare della «macelleria sociale» con i tagli della spesa pubblica. Per vita e per cultura Mario Monti non è uomo da cadere in simili scivoloni di stile tanto più se a fronte di personaggi dalla caratura francamente non
proprio di primissimo rango. Ragione di più, quindi, per chiedersi il senso di un’esternazione che rischia di creare al presidente del Consiglio e al suo governo nuove e maggiori difficoltà, esponendoli ai contraccolpi di una polemica della quale davvero non si sentiva la necessità, soprattutto in questi frangenti sempre più critici delle cronache politiche ed economiche.
Ha avuto facile gioco, per esempio, la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, a ricordare al premier che uno dei passaggi più impervi nella storia della Repubblica è stato forzato nei primi anni Novanta proprio perché dapprima il governo Amato (luglio 1992) e poi il governo Ciampi (luglio 1993) seppero usare al meglio lo strumento della concertazione con le parti sociali per fermare la corsa del Paese verso il precipizio della bancarotta finanziaria. Certo, non fu impresa né facile né semplice, ma soprattutto l’accordo negoziato coi sindacati da Carlo Azeglio Ciampi consentì di sterilizzare
un’inflazione galoppante e di porre le premesse per il raggiungimento di un avanzo nel bilancio di parte corrente. Così aprendo la strada che anni dopo consentì allo stesso Ciampi di vincere ogni resistenza
europea all’ingresso dell’Italia nell’euro fin dalla stazione di partenza. Una svolta storica che lo stesso professor Monti non si stanca di celebrare a ogni passo ma della quale, appunto, non può far finta
di ignorare modi e metodi che l’hanno resa possibile.
Ancora pochi giorni fa, accogliendo a Roma Angela Merkel, il presidente del Consiglio ha tenuto a sottolineare che uno dei più solidi punti d’intesa con la cancelliera tedesca consisterebbe nella comune fede in quella che si chiama l’economia sociale di mercato. Ebbene, in terra di Germania nessuno perde il suo tempo in dibattiti ideologici su vantaggi e svantaggi della concertazione, ma è un fatto che non c’è altro Paese d’Europa in cui il dialogo fra governo e parti sociali sia praticato da decenni con la stessa convinta intensità. Al punto da far considerare la concertazione come il perno attorno a cui ruota, appunto, la tanto celebrata “Soziale Marktwirtschaft”.
Può anche darsi che Mario Monti coltivi in cuor suo una versione in parte diversa del modello tedesco. Ma in questo caso dovrebbe tenere presente la specifica e non ordinaria situazione nella quale opera il suo governo, privo
di una maggioranza politica omogenea nell’affrontare una delle crisi più gravi nella storia del Paese. Uno dei primi obiettivi da raggiungere – lo si è detto fin dal principio di questa esperienza – doveva essere quello di raccogliere un consenso politico nella società (e segnatamente tra le forze produttive) al fine di compensare per questa via la mancanza di un solido e compatto appoggio da parte di quella che è stata definita la sua «strana» maggioranza parlamentare. Va bene che da ultimo il premier ha tenuto a ribadire di non voler rimanere al suo posto dopo la fine della legislatura. Ma di qui alla prossima primavera, soprattutto sul terreno economico, una quantità di passaggi decisivi attende l’opera del governo. In questo orizzonte chi crede nell’utilità e nell’importanza che Mario Monti continui il suo lavoro fa fatica a spiegarsi questi comportamenti. Non gli bastano i tanti guai che già gli combinano alcuni fra i più ciarlieri dei suoi ministri?

La Repubblica 12.07.12

Spending review, Puglisi: "La scuola ha già dato"

La scuola ha già dato anche troppo per il risanamento del Paese. Oggi ha bisogno di nuovi investimenti nonostante la crisi, come dice il Governatore della Banca d’Italia Visco, se non vogliamo pregiudicare il futuro del Paese. E l’Italia ha bisogno di una scuola pubblica di qualità per tornare a crescere .
Per questo il Partito Democratico chiede con forza al Governo di correggere le misure sulla scuola che prevedono di immettere nelle classi, a prescindere dalla materia e dall’ordine di scuola per cui sono abilitati ad insegnare, 10.000 docenti in esubero , tagliando fuori altrettanti contratti annuali di docenti specializzati.
Quelle risorse professionali in esubero possono essere utilizzate per rendere realtà l’organico funzionale delle scuole, previsto dal decreto semplificazioni.

Chi è colpito da malattia deve poter continuare a dare il proprio apporto per tenere vive le biblioteche scolastiche o poter andare in pensione con i criteri pre-Fornero o con l’istituto della dispensa , a meno che non si creda che sia indifferente la competenza e professionalità per l’efficiente funzionamento delle segreterie scolastiche.

Mentre per i docenti delle scuole italiane all’estero, vogliamo ricordare che il totale degli insegnanti di ruolo e del personale ATA in servizio all’estero ammonta a 1.053 unità. Su questo totale è già prevista per il prossimo anno scolastico una riduzione di 59 unità. La Francia invia all’estero 6.500 insegnanti di ruolo, la Germania 1992. Questi numeri, da soli, dovrebbero far riflettere sull’importanza di mantenere una presenza qualificata nella promozione della lingua e della cultura all’estero.

www.partitodemocratico.it

"Spending review, scontro con le Regioni", di Roberto Petrini

Errani: sacrifici insostenibili per sanità e trasporti. Polverini: non licenzio 2.500 persone. Muro contro muro tra le Regioni e il governo sulla spending review, e oggi si replica: un nuovo incontro è previsto al ministero del Tesoro alla presenza anche di Mr. Forbici, Enrico Bondi. «Clima teso», ha mandato a dire tramite Twitter il governatore della Lombardia Roberto Formigoni, quando il vertice di Palazzo Chigi era ancora in corso. «Non me la sento di licenziare 2.500 persone e abbandonarle a loro destino», si è lamentata Renata Polverini, presidente del Lazio a proposito delle norme introdotte dal decreto sulle società in house. Il giudizio di sintesi è stato espresso al termine dell’incontro dal presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani che ha puntato l’indice
soprattutto sul rischio di una riduzione dei servizi ai cittadini: «La spending review è insostenibile per sanità e trasporto pubblico locale perché si somma agli effetti delle manovre già previste sul 2013-2014. Vogliamo fare la verifica effettiva della garanzia, come recita il decreto, che vengano salvaguardati i servizi».
Monti e il neo ministro del Tesoro
Vittorio Grilli hanno tenuto duro: «Gli obiettivi del decreto non cambino», recita una nota emessa da Palazzo Chigi al termine della riunione. Nel corso del vertice Monti aveva osservato che «la sfida che il governo impone è una sfida che impone la realtà». «Ci unisce lo stesso spirito », aveva sottolineato il presidente del Consiglio che – secondo
alcune indiscrezioni emerse dalla riunione – avrebbe anche mostrato una certa sorpresa quando le Regioni hanno sollevato il tema del trasporto pubblico locale: pensavo che i problemi avrebbero riguardato più la salute ma, avrebbe aggiunto, «va bene così…».
Entrando più direttamente nel merito Vittorio Grilli ha
espressamente detto «no» ad una riduzione dei tagli: «I saldi che abbiamo non cadono dal cielo, l’impegno del governo è di non cambiare i saldi». In altre parole l’esecutivo non sarebbe disposto a mitigare l’impatto della manovra ma solo, eventualmente, a intervenire compensando tra una voce e l’altra. «Si possono fare risparmi in altri
settori», ha osservato il ministro del Tesoro.
Unica apertura che le Regioni sono riuscite a strappare è quella di un nuovo round dell’incontro, che si svolgerà oggi a Via Venti Settembre, alla presenza anche del commissario per la spending review, Enrico Bondi, per verificare i numeri in questione. «Daremo vita a un altro approfondimento – ha detto Errani – per ricercare un nuovo possibile accordo. Serve un azzeramento di tutti gli sprechi per un obiettivo che noi giudichiamo sacrosanto, ma – ha ribadito – bisogna garantire i servizi ai cittadini italiani». La risposta finale di Monti, affidata ad una nota, è stata secca: «Darò alle Regioni tutti i chiarimenti necessari».
I tagli imposti dalla spending review alle Regioni impattano
sostanzialmente sulla sanità e sul trasporto pubblico locale. La sforbiciata decisa dal decreto è pari a 900 milioni per il 2012 (quindi a esercizio in corso), 1,8 miliardi nel 2013 e 2 miliardi nel 2014. La riduzione per il trasporto pubblico locale è pari a 700 milioni di euro per il 2012 e 1 miliardo di euro per il 2013.

La Repubblica 12.07.12

"Le incognite dell'operazione rivincita", di Michele Brambilla

L’uscita di scena di Berlusconi dal mondo della politica pare dunque avviata a concludersi nel modo più scontato: con il ritorno di Berlusconi. C’è da stupirsi dello stupore generato ieri dalla notizia della ricandidatura, pubblicata dal Corriere della Sera. Che un uomo del genere si potesse accontentare di fare il «padre nobile» del partito, per giunta accettando l’idea che qualcun altro avrebbe potuto fare meglio di lui, non era credibile. Prima ancora che per calcolo politico, il Cavaliere è incompatibile per carattere alle seconde file.

La notizia dunque non dovrebbe sorprendere, esattamente come nella Prima Repubblica non sorprendevano i ritorni di Andreotti o quelli di Fanfani, che infatti fu ribattezzato «Rieccolo». E per quanto possa apparire paradossale, la decisione di ricandidarsi ha anche una sua logica. Berlusconi dice che i sondaggi danno un Pdl senza di lui intorno al dieci per cento, e un Pdl con lui intorno al trenta. Può anche darsi che siano cifre esagerate, ma non c’è dubbio che la sostanza sia quella. Berlusconi per il Pdl – o per Forza Italia, se il partito tornerà a chiamarsi così, come pare – è più di un fondatore: è tutto.

Intanto perché ci ha messo l’idea, i soldi, la faccia e il carisma; e poi perché più o meno scientemente ha allevato la sua creatura guardandosi bene dal preparare una successione, ligio come molti uomini del suo stampo al principio dell’«après moi le déluge».

È insomma più che verosimile che un partito con il suo nome nel simbolo possa prendere molti più voti di uno guidato, ad esempio, da un Alfano, incoronato come numero uno solo pochi mesi fa, e ora reintegrato fra le comparse. Da quando Berlusconi se n’è andato per lasciare spazio al governo tecnico, c’è nel centrodestra tutto un mondo di vedove e di orfani inconsolabili che non aspettano altro che l’occasione per una rivincita.

Ma proprio questo della rivincita è il tema cruciale. Il Pdl, con Berlusconi candidato, prenderà sicuramente più voti. Ma saranno voti sufficienti per vincere? Ne dubitiamo. Per tanti motivi.

Intanto, l’uomo è sembrato sinceramente stanco, negli ultimi mesi. È vero che ha dimostrato di avere più di sette vite, ma gli anni passano anche per lui e molte prove hanno lasciato il segno. E poi: che cosa potrebbe ancora promettere, in campagna elettorale, dopo vent’anni di promesse disattese? Come potrebbe far credere di non avere almeno qualche responsabilità nella disastrosa situazione lasciata in eredità al governo Monti?

Certo Berlusconi ripeterebbe che, durante i suoi tre mandati, non l’hanno lasciato governare. Non ha neppure tutti i torti, quando dice che in Italia c’è un diabolico sistema di veti e contro veti che rende difficili le riforme. Ma sarà difficile convincere ancora la maggioranza di chi vota centrodestra che è stata tutta colpa di un complotto ordito da giornali, magistratura e poteri forti.

È improbabile, per non dire impossibile, che Berlusconi non sappia tutto questo; e che non capisca che una stagione è finita per sempre. E allora cresce il sospetto che la sua ricandidatura non punti a palazzo Chigi, ma a una robusta presenza a Montecitorio che gli garantisca o di far parte di un governo di larghe intese, o quantomeno di essere una minoranza forte e rispettabile. Berlusconi non mirerebbe a vincere, dunque, ma a conquistare una condizione di maggior garanzia per le proprie aziende e per se stesso.

Ecco perché l’annuncio della sua sesta candidatura alla guida del Paese è forse una buona notizia per lui e per il Pdl, il quale, almeno per un po’, riprenderebbe ossigeno. Ma difficilmente è una buona notizia per il Paese, che rischia di risprofondare in uno psicodramma. E difficilmente è una buona notizia per lo stesso centrodestra, che perderebbe l’occasione di riorganizzarsi e di pensare a un futuro non più legato a un nome che appartiene al passato.

A pensarci bene, forse la notizia di ieri è buona soprattutto per il centrosinistra, che potrebbe riagitare il vecchio e sempre efficace spauracchio in campagna elettorale; e più in generale è buona per tutto quel fronte di antiberlusconiani un po’ a corto di argomenti da quando il Nemico si era ritirato, o aveva fatto finta di ritirarsi, a vita privata.

La Stampa 12.07.12

"L'intolleranza morbida", di Adriano Prosperi

“L’Italia ha iniziato un percorso di guerra durissimo – ha detto ieri il presidente Mario Monti – una guerra contro i pregiudizi diffusi”. Si riferiva a quelli sugli italiani e sull’affidabilità finanziaria del paese. Chissà se qualcuno degli ascoltatori, nella sala del convegno dell’Associazione bancaria italiana, ha pensato per un attimo ai pregiudizi e alle discriminazioni degli italiani verso gli “altri”. Il mondo del pregiudizio diffuso e della discriminazione legalizzata dovrebbe richiedere qualche attenzione da parte di un governo degno di questo nome. La minaccia latente dei conflitti identitari del mondo attuale può essere tollerabile in condizioni normali, ma diventa devastante quando la violenza dello sfruttamento e il vilipendio dei diritti umani sono lasciati liberi di scatenarsi.
Secondo i più aggiornati rapporti periodici dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) il fenomeno della discriminazione razziale è in forte crescita in Italia. Lo documenta una fitta serie di rilevazioni che riguardano l’accesso ostacolato o negato ai diritti primari di lavoro, casa, sanità, istruzione. Nei primi mesi del 2012 gli episodi accertati hanno superato il totale dell’anno precedente. Sono storie che nella statistica generale appaiono ripetitive, quasi incolori. Ma basta entrare in una vicenda, incontrare un volto, un nome nella cronaca dei quotidiani, per rivelare ai più distratti in quale contesto siamo immersi, quale sia l’aria che respiriamo. Si pensi al caso recentissimo della piccola Blessed, promossa a Castel Volturno in prima elementare con tutti dieci, che non vedrà la pagella perché i genitori, privi del permesso di soggiorno, hanno paura a presentarsi in scuola per ritirarla.
Sono tante le vicende come questa: storie di studenti figli di immigrati ma nati e cresciuti qui che si sentono dire dagli insegnanti: “Sei più bravo degli italiani”: e imparano così sulla loro pelle che da noi vige una legge razzista della cittadinanza come privilegio del sangue. Una legge che nemmeno gli appelli del presidente della Repubblica Napolitano hanno convinto le forze politiche e il governo a modificare. Di fatto i percorsi sociali deputati all’integrazione sociale e alla educazione ai diritti di cittadinanza, svolgono spesso il loro compito alla rovescia, lasciando ferite quotidiane nell’esperienza e nella mentalità di quei milioni di italiani di fatto che la legge e la mentalità corrente continua a definire non italiani.
Questa è sempre più la realtà quotidiana di un’Italia dove una intolleranza morbida, quasi inconsapevole, frutto di ignoranza e di pregiudizio, esplode solo eccezionalmente in forme di razzismo conclamato e violento: un’Italia dove però vige un sistema che garantisce una discriminazione deliberata, utilizzabile a piacere a scopo di sfruttamento, di lavoro o sessuale che sia. Da noi, ricordiamolo, c’è un’antica vetta emergente di razzismo duro, banalmente quotidiano ma all’occorrenza spietato: è quello che riguarda gli zingari. E qui ci sono i delitti della gente per bene, come quelle famiglie che a Napoli non volevano bimbi zingari nelle scuole dei propri figli e per questo nel dicembre 2010 ricorsero alla camorra e fecero dar fuoco al campo rom (sono di martedì gli arresti dei 18 responsabili).
Accanto a questo picco razzista, c’è tutt’intorno quella pratica diffusa della discriminazione di cui parla il rapporto Unar, alimentata e incoraggiata già dal governo Berlusconi, che ci ha valso la condanna nel febbraio 2012 della Corte europea dei diritti umani per la prassi dei respingimenti in mare. Il governo Monti si è pubblicamente impegnato a dare attuazione alla sentenza. Ma poi il 3 aprile 2012 se n’è dimenticato quando ha firmato il nuovo accordo Italia- Libia sul controllo dell’immigrazione. Padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, ha chiesto inutilmente una “comunicazione trasparente” su quegli accordi e qualche garanzia sui diritti umani di chi attraversa la Libia fuggendo da guerre e persecuzioni. A quanto si sa, l’Italia si è limitata a rinnovare alla Libia la richiesta di fermare le partenze dei migranti prestandole per questo uomini e mezzi. E intanto quel mare che la retorica nazionalista definì “nostro” e che è per noi quello delle vacanze estive, è sempre di più per “loro” l’immenso cimitero dove annegano ogni giorno tanti disperati. Proprio dalla Libia proveniva ieri il barcone con 54 eritrei: 53 di loro “si sono spenti uno ad uno, uccisi dalla sete», ha riferito l’unico sopravvissuto. E intanto l’Alto commissariato Onu per i rifugiati informa che ce ne sono altri 50 in arrivo. Un fenomeno che secondo ogni previsione è destinato a crescere.
Tutte queste cose il governo guidato da Mario Monti le sa. Ma non sembra intenzionato a occuparsene. In questa situazione gli sforzi generosi di singoli e di associazioni volontarie, laiche come Amnesty e religiose come i gesuiti della Fondazione Astalli, non ce la possono fare a invertire la tendenza. Non basta gettare in mare una corona d’alloro, come ha fatto una persona sicuramente di buona volontà come il ministro Riccardi. Questo governo si è dato un’auto-limitazione che danneggia il Paese perché lascia in essere cattive norme e cattive abitudini. Un governo, un Paese non vivono solo di economia.

La Repubblica 12.07.12

"Ma non è una cosa seria. Tutti i buchi disponibili passano agli esuberi", di Pasquale Almirante

Un rullo compressore che macina e macina e appiattendo, frantuma perfino la contrattazione sindacale. Non è richiesta più l’abilitazione specifica, quella che i concorsi e i Tfa pretendono, per collocare i sovra numerari: basta avere anche un corso di studio nella propria laurea e si tolgono speranze a tanti precari che su quel posto magari hanno fondato il proprio futuro.
E così i docenti in esubero, già maltrattati dall’esubero stesso venuto fuori da un riordino cosiddetto “epocale”, in mancanza di una sede, ricercata ma non trovata tra i trasferimenti e le assegnazioni provvisorie, andranno a occupare i posti liberi all’interno della provincia e anche con sede provvisoria e anche per supplenze brevi.
Per 10mila docenti il futuro che si profila è questo, ma è pure quello che si profila per i ragazzi che avranno un insegnante con un titolo di studio e una preparazione non ben certificata, visto che, se non si trovano posti coerenti con la propria abilitazione, allora il sovranumerario potrà occupare un posto per affinità coerente ma anche incoerente purchè venga piazzato.
Ma si potrà ricollocare anche su spezzoni e anche se l’anno scolastico è già iniziato e anche a disposizione di una scuola per tappare i buchi, perfino saltuari e bizzosi, che nel corso dell’anno se si dovessero aprire per malattia o maternità o altro.
Un rullo compressore che non tiene conto della specificità né della persona, né dell’insegnamento, né degli alunni.
Né considera l’umiliazione che il docente-pacco dovrà subire magari dopo anni di onorato e ineccepibile servizio. Ma macina pure le speranze che su quei posti avevano piantato tanti supplenti forniti di regolare e sofferta abilitazione.
E come se non bastasse viene pure travolta la contrattazione sindacale che prima disciplinava tutta la materia. “Adesso la disciplina della mobilità d’ufficio dei docenti in esubero sarà sottratta alla contrattazione collettiva. Il tutto in continuità con l’orientamento assunto dal governo precedente che, con l’avvento della legge 15/2009, ha dato prima un colpo di spugna alla facoltà di derogare le norme di legge da parte della contrattazione collettiva. E poi, con il decreto Brunetta, ha riscritto una serie di regole con le quali ha decontrattualizzato materie importanti del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. Come per esempio, le sanzioni disciplinari e le assenze per malattia.”
Quando l’individualità passa a numero, allora tutto è possibile e in questo caso più che alla persona si è guardato alla cifra complessiva e tutto si è trasformato in sottrazioni e divisioni, cosicchè il famoso merito, la decantata professionalità, la qualità dell’istruzione si sono tutti trasformati in ben altro e forse pure stanno mostrando il loro vero volto che non è quello di migliorare i livelli dell’istruzione, ma di togliere elevare per chi sa quale altro e misterioso progetto culturale migliore.

La Tecnica della Scuola 12.07.12