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"Le incognite dell'operazione rivincita", di Michele Brambilla

L’uscita di scena di Berlusconi dal mondo della politica pare dunque avviata a concludersi nel modo più scontato: con il ritorno di Berlusconi. C’è da stupirsi dello stupore generato ieri dalla notizia della ricandidatura, pubblicata dal Corriere della Sera. Che un uomo del genere si potesse accontentare di fare il «padre nobile» del partito, per giunta accettando l’idea che qualcun altro avrebbe potuto fare meglio di lui, non era credibile. Prima ancora che per calcolo politico, il Cavaliere è incompatibile per carattere alle seconde file.

La notizia dunque non dovrebbe sorprendere, esattamente come nella Prima Repubblica non sorprendevano i ritorni di Andreotti o quelli di Fanfani, che infatti fu ribattezzato «Rieccolo». E per quanto possa apparire paradossale, la decisione di ricandidarsi ha anche una sua logica. Berlusconi dice che i sondaggi danno un Pdl senza di lui intorno al dieci per cento, e un Pdl con lui intorno al trenta. Può anche darsi che siano cifre esagerate, ma non c’è dubbio che la sostanza sia quella. Berlusconi per il Pdl – o per Forza Italia, se il partito tornerà a chiamarsi così, come pare – è più di un fondatore: è tutto.

Intanto perché ci ha messo l’idea, i soldi, la faccia e il carisma; e poi perché più o meno scientemente ha allevato la sua creatura guardandosi bene dal preparare una successione, ligio come molti uomini del suo stampo al principio dell’«après moi le déluge».

È insomma più che verosimile che un partito con il suo nome nel simbolo possa prendere molti più voti di uno guidato, ad esempio, da un Alfano, incoronato come numero uno solo pochi mesi fa, e ora reintegrato fra le comparse. Da quando Berlusconi se n’è andato per lasciare spazio al governo tecnico, c’è nel centrodestra tutto un mondo di vedove e di orfani inconsolabili che non aspettano altro che l’occasione per una rivincita.

Ma proprio questo della rivincita è il tema cruciale. Il Pdl, con Berlusconi candidato, prenderà sicuramente più voti. Ma saranno voti sufficienti per vincere? Ne dubitiamo. Per tanti motivi.

Intanto, l’uomo è sembrato sinceramente stanco, negli ultimi mesi. È vero che ha dimostrato di avere più di sette vite, ma gli anni passano anche per lui e molte prove hanno lasciato il segno. E poi: che cosa potrebbe ancora promettere, in campagna elettorale, dopo vent’anni di promesse disattese? Come potrebbe far credere di non avere almeno qualche responsabilità nella disastrosa situazione lasciata in eredità al governo Monti?

Certo Berlusconi ripeterebbe che, durante i suoi tre mandati, non l’hanno lasciato governare. Non ha neppure tutti i torti, quando dice che in Italia c’è un diabolico sistema di veti e contro veti che rende difficili le riforme. Ma sarà difficile convincere ancora la maggioranza di chi vota centrodestra che è stata tutta colpa di un complotto ordito da giornali, magistratura e poteri forti.

È improbabile, per non dire impossibile, che Berlusconi non sappia tutto questo; e che non capisca che una stagione è finita per sempre. E allora cresce il sospetto che la sua ricandidatura non punti a palazzo Chigi, ma a una robusta presenza a Montecitorio che gli garantisca o di far parte di un governo di larghe intese, o quantomeno di essere una minoranza forte e rispettabile. Berlusconi non mirerebbe a vincere, dunque, ma a conquistare una condizione di maggior garanzia per le proprie aziende e per se stesso.

Ecco perché l’annuncio della sua sesta candidatura alla guida del Paese è forse una buona notizia per lui e per il Pdl, il quale, almeno per un po’, riprenderebbe ossigeno. Ma difficilmente è una buona notizia per il Paese, che rischia di risprofondare in uno psicodramma. E difficilmente è una buona notizia per lo stesso centrodestra, che perderebbe l’occasione di riorganizzarsi e di pensare a un futuro non più legato a un nome che appartiene al passato.

A pensarci bene, forse la notizia di ieri è buona soprattutto per il centrosinistra, che potrebbe riagitare il vecchio e sempre efficace spauracchio in campagna elettorale; e più in generale è buona per tutto quel fronte di antiberlusconiani un po’ a corto di argomenti da quando il Nemico si era ritirato, o aveva fatto finta di ritirarsi, a vita privata.

La Stampa 12.07.12