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Camera dei Deputati: dichiarazione di voto On Ghizzoni (PD) conversione in legge dl 74 interventi in favore popolazioni terremotate

Signor Presidente, quello che è accaduto il 20 e il 29 maggio ha segnato la nostre esistenze per sempre. Per chi vive nei comuni dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto colpiti dal sisma, questo terremoto è uno spartiacque: ci sarà, d’ora in poi, un prima e un dopo e il dopo non sarà più come il prima.
La prima scossa è arrivata alle 4 del 20 maggio e ci ha colti di notte, quando si è più indifesi. Ha fatto le prime vittime tra i lavoratori, lavoratori italiani e stranieri – lo ricordo al collega Fava – perché le province di Bologna, di Modena, di Reggio Emilia, di Ferrara, di Rovigo e di Mantova sono territori operosi che sull’etica del lavoro hanno costruito il loro diffuso benessere e soprattutto fondano la coesione sociale, lo stesso patto di cittadinanza.
Nove giorni dopo è arrivata la seconda scossa, quella che ci ha tradito davvero, e anche in quel caso le vittime sono state soprattutto nelle imprese (operai, imprenditori e tecnici che stavano facendo i sopralluoghi per riaprire): 27 morti, un tributo di vite umane troppo altro che ci ha messo di fronte alla nostra fragilità e che ora ci impone di rendere il nostro futuro più sicuro, perché è inaccettabile morire per un sisma del sesto grado.
È vero che i terremoti non si possono prevedere, ma ci si può convivere attraverso la prevenzione, il che significa costruire nel rispetto delle norme antisismiche e potenziare la ricerca. Questa è la strada maestra su cui investire per il futuro. Dal dibattito parlamentare è emersa la necessità di approvare una legge quadro, una legge di sistema in grado di definire un modello efficace di intervento per affrontare gli effetti delle calamità naturali e per reperire le risorse.
È giusto, ma non possiamo occuparci sempre del dopo disastro. Per le vittime di questo terremoto e per le vittime – troppe – che il nostro Paese ha avuto, dobbiamo intraprendere ora, senza più deroghe, un programma di prevenzione. Ha ragione il Governatore della Banca d’Italia nel proporre un ampio progetto di manutenzione immobiliare dell’Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e di cura del territorio, una terapia contro il dissesto idrogeologico e aggiunge, inoltre, che i soldi si trovano, che è un concetto che ha espresso anche il Presidente Napolitano in visita sui territori, quando ha detto che è sempre difficile investire mezzi e risorse per prevenire, ma poi arriva il conto delle catastrofi.
E il conto di questa catastrofe è impressionante. Oltre alle vittime, abbiamo oggi 11 mila sfollati e gran parte di loro hanno perso tutto, perché con il terremoto in pochi secondi si perdono tutti i punti di riferimento della vita quotidiana, vanno giù le case, le scuole, le chiese, i centri aggregativi ed i capannoni produttivi, che rappresentano la specificità di questo nostro territorio. Il terremoto ha travolto un’area vasta, intensamente produttiva, ricca di eccellenze del sistema industriale italiano. Le imprese colpite sono più di 5 mila e più di 25 mila i lavoratori coinvolti.
Le sei province producono più del 4 per cento delle esportazioni nazionali. Siamo un pezzo fondamentale del motore produttivo del Paese. Prima potremo riprendere il nostro lavoro e le nostre attività e meglio sarà per il Paese perché la nostra operosità garantisce allo Stato 6 – 7 miliardi di euro di gettito fiscale e 400 milioni di euro di IVA annui (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Ma certo non ce la possiamo fare da soli. Non ce la possono fare gli amministratori locali che non chiedono miracoli, lo hanno detto anche a noi quando siamo andati in missione sui territori a Cavezzo e nel mantovano, e non chiedono nemmeno privilegi. Ma di fronte ad un’emergenza nazionale, com’è questo terremoto, è il Paese che deve fare fronte alle istanze di aiuto che provengono dalle province colpite.
Noi faremo la nostra parte, come sempre abbiamo fatto, senza perderci d’animo. Lo stanno già facendo i sindaci, i parroci, i giovani e quel volontariato diffuso che è un tratto distintivo delle nostre terre, perché certamente siamo scossi, ma non siamo abbattuti. Non abbiamo affatto perso la volontà di ricominciare, grazie anche all’aiuto portato dalla Protezione civile, dai vigili del fuoco, dalle forze dell’ordine e dai tantissimi gesti di altruismo che abbiamo ricevuto da associazioni e da singoli cittadini italiani e stranieri.
Grazie, inoltre, per l’impegno a non lasciarci soli venuto dal Presidente Napolitano, da Papa Benedetto XVI e dal Dalai Lama, che sono venuti in visita nelle zone terremotate. Un impegno, quello di non lasciarci soli, assunto dal Presidente del Consiglio e tradotto nelle norme del decreto-legge che ci accingiamo a convertire in legge. Un decreto-legge che ha rappresentato un primo importante passo per superare l’emergenza; grazie alla condivisione del suo impianto, con i presidenti delle regioni colpite, a partire dal presidente Errani, che dal 20 maggio ha profuso impegno ed energia a sostegno delle popolazioni più colpite dal sisma (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Ai presidenti è affidata la funzione dei commissari e ai sindaci quella di subcommissari. Si tratta di una scelta di governance della crisi che il Partito Democratico approva perché dispone una catena di comando che permette rapidità decisionale e coinvolgimento diretto dei livelli istituzionali più vicini ai cittadini. In secondo luogo, il decreto-legge ha previsto lo stanziamento di 2,5 miliardi di euro veri, soldi veri, una cifra importante e non scontata nel contesto dell’attuale finanza pubblica, che siamo però tutti, tutti noi, qui parlamentari, chiamati ad incrementare soprattutto perché abbiamo la responsabilità di dare, entro poche settimane, una sistemazione dignitosa ai nostri sfollati. Non possono più stare, infatti, in tende con 40 gradi all’ombra e dobbiamo garantire loro anche un congruo indennizzo per la casa che hanno perduto.
Il secondo passo importante lo ha compiuto il Parlamento e oggi ne stiamo dando una dimostrazione. È un passo che le forze politiche hanno compiuto insieme, mettendo da parte gli interessi elettorali a favore di quelli dei cittadini. Certo, nessuno nega che ci siano delle ombre nel provvedimento. Tra queste c’è, ad esempio, il mancato allentamento del Patto di stabilità che, insieme alle difficoltà di cassa, legano le mani ai sindaci nel rispondere alle istanze dei cittadini. Tra le ombre c’è anche la sospensione troppo breve degli adempimenti fiscali, tributari e contributivi e già dal prossimo provvedimento dovremo intervenire per dare risposta a queste due questioni. Ma nel testo che ci accingiamo ad approvare ci sono molte misure positive. Si tratta di misure che portano ad esprimere un voto favorevole del Partito Democratico perché sono misure concrete a vantaggio dei terremotati. C’è, ad esempio, il fondo a vantaggio delle imprese, le misure a sostegno della ricerca, affinché le aziende non delocalizzino, ci sono i contributi per il risarcimento danni a vantaggio dei produttori di parmigiano reggiano e di grana padano e anche per i consorzi di bonifica.
Infatti, dopo il terremoto non potremmo sopportare una crisi per siccità o, peggio, un’alluvione. C’è la detassazione dei rimborsi alle imprese per i danni subiti. C’è l’istituzione delle zone a «burocrazia zero». Ci sono condizioni favorevoli per gli incentivi agli impianti a energia rinnovabile e norme di semplificazione amministrativa che consentiranno di riprendere l’attività senza derogare dalla sicurezza.
C’è poi un segno distintivo rispetto a quanto accaduto in altre occasioni che sta nelle norme per impedire che la mafia – già presente e infiltrata nei nostri territori – metta le mani sulla ricostruzione. Poi ci sono 120 milioni in più veri per l’edilizia scolastica. Si tratta di risultato non scontato che consentirà ad oltre ventimila studenti di affrontare con fiducia il prossimo anno scolastico e permetterà a tutte le comunità di ritornare alla normalità, perché la normalità non passa soltanto attraverso il lavoro, ma soprattutto attraverso l’istruzione che è la base del nostro successo economico e della nostra coesione sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Un altro risultato raggiunto sono le risorse per i beni culturali mobili e immobili. Tra questi cinque milioni aggiuntivi ai finanziamenti per l’emergenza da utilizzare per la messa in sicurezza del patrimonio storico-artistico civile e religioso, simbolo della nostra identità. Sono ancora pochi per il tanto da fare, per riaprire tutte le zone rosse dei centri storici che abbiamo ereditato dalle piccole corti padane espressione di una altissima civiltà e forse proprio per scongiurare il crollo di chiese e campanili.

PRESIDENTE. Onorevole Ghizzoni, la prego di concludere.

MANUELA GHIZZONI. Ma è un risultato importante che vogliamo e portiamo a casa per i terremotati ed è quello che ci insegna, signor Presidente, la cosa che ci andiamo ripetendo dal 20 maggio: «A ten bota». Vuol dire «teniamo botta», che non è soltanto un invito a resistere, ma è qualcosa di più. È uno sforzo collettivo per fare argine alle avversità, perché solo insieme possiamo farcela (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Congratulazioni).

Sisma, Ghizzoni “Le ragioni del sì del Pd alla conversione del Dl”

La deputata è intervenuta in Aula alla Camera in maglietta con la scritta “Teniamo botta”. Indossando l’ormai famosa maglietta con la scritta“Teniamo botta”, la parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni è intervenuta oggi in Aula alla Camera dove si stava convertendo in legge il decreto pro-terremoto per annunciare il voto favorevole del Pd. Molte le cose fatte, anche se risorse e misure non sono ancora sufficienti per dare tutte le risposte necessarie a territori che lei stessa ha definito “scossi, ma non abbattuti”. “Solo insieme possiamo farcela”: con queste parole che facevano diretto riferimento alla maglietta che, in quel momento, stava indossando (con la famosa scritta “Teniamo botta”) la parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura e Istruzione, è intervenuta oggi in Aula alla Camera dei deputati dove era in corso la conversione in legge del Dl 74/2012 che prevede interventi a sostegno delle popolazioni colpite dal sisma. “Questo terremoto è uno spartiacque – ha detto Manuela Ghizzoni – ci sarà, d’ora in poi, un prima e un dopo. E il dopo, non sarà mai più come il prima. Pochi secondi sono bastati per mandare giù le nostre certezze quotidiane. Però, è vero, siamo scossi, ma non abbattuti”. Il decreto, per il quale il Pd esprime un voto favorevole, contiene molte misure positive, ma anche alcune ombre. Tra le misure positive elencate dall’on. Ghizzoni ci sono: il fondo a vantaggio delle imprese e le misure a sostegno della ricerca, i contributi per risarcimento danni a vantaggio delle aziende che producono parmigiano-reggiano e grana padano e anche per i consorzi di bonifica, la detassazione dei rimborsi alle imprese per i danni subiti, l’istituzione delle zone a burocrazia zero, le norme di semplificazione amministrativa che consentono di riprendere l’attività senza derogare dalla sicurezza. “C’è, inoltre, un segno distintivo – ha sottolineato l’on. Ghizzoni – rispetto a quanto accaduto in altre occasioni simili, che sta nelle norme per impedire che la mafia, già infiltrata in questi territori, metta le mani sulla ricostruzione”. Tra le ombre, invece, vengono segnalati “il mancato allentamento del patto di stabilità che, insieme alle difficoltà di cassa, lega le mani ai sindaci nel rispondere alle istanze dei cittadini e la sospensione, troppo breve, degli adempimenti fiscali, tributari e contributivi”. “Già dal prossimo provvedimento dovremo intervenire per dare risposta a queste due questioni – ha aggiunto Manuela Ghizzoni – Così come dovremo farlo per mettere in campo ulteriori forme di fiscalità di vantaggio”. In conclusione, l’on. Ghizzoni ha ricordato i 120 milioni di euro in più stanziati per l’edilizia scolastica che consentiranno a oltre 20mila studenti di affrontare con fiducia il prossimo anno scolastico e le risorse stanziate per i beni culturali: “5 milioni – ha concluso la Ghizzoni – per mettere in sicurezza il patrimonio storico artistico, culturale e religioso, simbolo inequivocabile della nostra identità, anche se ancora insufficienti per le centinaia di interventi da realizzare. Ma è un altro risultato importante portato a casa per i terremotati”.

Terremoto: Ghizzoni, ulteriore passo per emergenza nazionale

“Il decreto del Governo ha rappresentato il primo passo per superare lemergenza, il secondo passo è quello compiuto dal Parlamento, un passo nella giusta direzione. – lo ha dichiarato Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera, intervenendo in aula durante la dichiarazione di voto, a nome del gruppo del Pd, della conversione in legge del decreto terremoto – Il testo ha ancora ombre, ma molte misure positive: dal fondo a vantaggio delle imprese e le misure a sostegno della ricerca ai contributi per risarcimento danni a vantaggio delle aziende casearie; dalla detassazione dei rimborsi alle imprese agli incentivi per gli impianti a energia rinnovabile. C’è il segno distintivo nelle norme per impedire che la mafia, già infiltrata in quei territori, metta le mani sulla ricostruzione.

Risultati non scontati per scuola e beni culturali. – ha sottolineato Ghizzoni – Per l’edilizia scolastica abbiamo recuperato 120 milioni in più, in modo da consentire a oltre 20.000 studenti di affrontare il prossimo anno scolastico e di tornare alla normalità. Per i beni culturali sono stati aggiunti 5 milioni per mettere in sicurezza il patrimonio storico artistico, culturale e religioso, simbolo inequivocabile della nostra identità. Pochi per le centinaia di interventi da fare, per riaprire tutte le zone rosse dei centri storici, per evitare il crollo di chiese e campanili. Ma è un altro risultato importante portato a casa per i terremotati.

Altri dovranno arrivare, per le vittime di questo terremoto e per tutte le vittime che il nostro Paese ha avuto, a partire, senza più deroghe, da un programma di prevenzione, e – ha concluso la presidente Ghizzoni – saremo tanto più efficaci se si guarderà agli interessi dei cittadini e delle cittadine e non a quelli di parte.”

"Mercato del lavoro e diseguaglianze", di Chiara Saraceno

C’è un dato relativamente nuovo nel Rapporto Ocse sulle prospettive dell’occupazione, per quanto riguarda l’Italia: l’aumento della disoccupazione di lunga durata. Contrariamente ad ogni mitologia sugli effetti benefici, per il dinamismo del mercato del lavoro, della flessibilità in uscita, emerge che chi perde il lavoro difficilmente ne trova un altro entro uno, e persino due anni. Nel migliore dei casi, la flessibilità in uscita si trasforma in turn-over, in sostituzione di un lavoratore con un altro. Nel peggiore, e più frequente, si trasforma semplicemente in perdita sia di lavoro per chi lo aveva, sia di occupazione complessiva. L’anno
scorso il 51,9% dei disoccupati lo era da più di 12 mesi contro il 48,5% nel 2010.
Oltre alla mancanza di reddito, questo dato nasconde enormi rischi di perdita di capitale umano e professionale e di fiducia nel futuro. Contribuisce anche ad alimentare il fenomeno dei lavoratori scoraggiati, ovvero di coloro che non cercano più un’occupazione ed escono, almeno ufficialmente, dalle file degli attivi. Lo aveva già segnalato una nota dell’Istat l’aprile scorso, allorché aveva evidenziato come nel 2011 la percentuale degli inattivi sia aumentata. All’11,6% delle persone in età di lavoro, è di oltre tre volte superiore alla media europea. Ciò in parte è dovuto all’alta incidenza
dell’inattività tra le donne. Questa a sua volta rimanda non tanto a scelte libere, quanto a difficoltà sia a trovare lavoro, specie nel Mezzogiorno, sia a conciliarlo con le responsabilità familiari in un contesto di servizi scarsi e in via di ulteriore riduzione. Ma l’inattività è in aumento anche tra gli uomini.
Nella stessa nota, l’Istat indicava come tra gli “inattivi” quasi la metà fosse composta da persone scoraggiate dal persistente insuccesso nella ricerca di un lavoro. Se si aggiungessero anche loro ai disoccupati “ufficiali” i dati sulla disoccupazione apparirebbero ancora più drammatici di quanto non siano. Le cifre peggiorerebbero ulteriormente se
si tenesse conto della sotto-occupazione, ovvero di chi lavora part time (poche ore al giorno, o pochi giorni alla settimana), non per scelta, ma perché non trova altro. Anche loro sono aumentati nel 2011 e costituiscono il 90% di tutti gli occupati part time.
È vero che la crisi occupazionale ha colpito in modo sproporzionato quella minoranza di giovani tra i 15 e i 24 anni che non sono più a scuola e che non sempre possono accedere all’apprendistato. Ma il rapporto Ocse segnala che disoccupazione di lunga durata, scoraggiamento, part time involontario sono fenomeni in crescita anche tra gli adulti. In particolare, l’aumento della disoccupazione di lunga durata
riguarda anche gli uomini tra i 24 e i 54 anni. Mentre nel discorso pubblico sul mercato del lavoro continuano a essere additati come i privilegiati iperprotetti a danno dei più giovani (che per altro i più vecchi tra loro spesso devono mantenere), anche i maschi nelle età centrali stanno sperimentando l’erosione delle proprie sicurezze, con effetti a cascata sulla sicurezza economica delle famiglie, come evidenziano i dati più recenti sulla riduzione sia dei consumi sia del risparmio.
A fronte di questa situazione il rapporto Ocse valuta con favore la riforma del mercato del lavoro di recente approvata, specie nella parte che riduce la precarietà all’ingresso e allarga
le tutele per chi ha perso il lavoro. Sappiamo tuttavia che entrambi questi elementi sono molto più ridotti di quanto non fosse auspicabile, lasciando fuori ancora molti lavoratori e lavoratrici. Non solo, gli emendamenti che i partiti stanno cercando di fare approvare, invece di rafforzare questi due elementi in una direzione maggiormente universalistica, sembrano andare in direzione di un loro depotenziamento (nel caso della flessibilità in entrata) e di un loro rimando (nel caso dell’Aspi). Temo che ciò non servirà a creare maggiore occupazione, mentre cristallizzerà ulteriormente le disuguaglianze nel mercato del lavoro.

Chiara Saraceno

"I pokeristi del Cavaliere al lavoro per favorire Mediaset", di Vittorio Emiliani

Sulla Rai si profila una partita a poker dai tempi lunghi, voluta da Berlusconi e dai suoi. Mentre l’azienda di Viale Mazzini ha bisogno di tempi brevi per ridarsi un assetto imprenditoriale, editoriale, produttivo, tecnologico in grado di farla risalire dal buco nero nel quale è finita, con conti pesanti, canone in caduta libera, pubblicità in crisi profonda (più di Mediaset che fa ascolti inferiori), pluralismo ingessato, conduttori e autori in fuga verso altre tv, ecc.

Il nuovo cda, è vero, ha avallato la designazione di Anna Maria Tarantola alla presidenza, con la sola astensione del berlusconiano Verro, ma il dibattito è stato acceso fra i consiglieri di centrodestra e quelli indicati dalle associazioni e votati dal Pd. La posta in gioco? Naturalmente gli accresciuti poteri del presidente in materia di tetti alla spesa e di nomine. Assente per ragioni «di garbo» la presidente designata, il duro confronto è stato arbitrato dal consigliere anziano Guglielmo Rositani (ex An, più volte deputato, già sindaco, dall’86 al ’92, della Rai stessa, poi suo consigliere, espertissimo in navigazioni clientelari). La partita ora si sposta in commissione parlamentare di Vigilanza, dove a maggioranza qualificata di due terzi (27 voti su 40) dovrà venire convalidata la nomina del presidente Tarantola. Si chiede che tale convalida avvenga giovedì prossimo, ma non è detto che sia così e che anche i tempi di questa votazione non si dilatino. Già il consigliere Antonio Pilati, da sempre uomo di stretta fiducia del Cavaliere, ha presentato una mozione per discutere dei trasferimenti di deleghe – da lui definiti «contra legem» – dal cda al presidente e al direttore generale (pure da eleggere) voluti dal premier per restituire efficienza e speditezza alla Rai appesantita dai lacci ad essa imposti dalla legge Gasparri, fatta apposta per vincolare l’azienda ai partiti, alla maggioranza di governo. Un segnale aggressivo.
Ma perché Silvio Berlusconi ha tanto interesse a rallentare i tempi di insediamento del vertice voluto da Monti a Viale Mazzini? I suoi uomini più fidati, ad esempio l’ex ministro Maurizio Gasparri o il capogruppo in Vigilanza Alessio Butti, sostengono di esercitare soltanto le prerogative di legge assegnate al Parlamento e si stupiscono se qualcuno pensa male di loro. In realtà ribadiscono, in modo solare, il potere dei partiti sull’emittente radiotelevisiva di Stato e lo fanno con una spregiudicatezza da pokeristi collaudati.

Berlusconi alza ostacoli per perdere tempo e poter così trattare alcune faccende (tutt’altro che “ideali”) che gli stanno, dal punto di vista aziendale e famigliare, molto a cuore (specialmente ora che Mediaset versa in grave crisi, di ascolti e di conti). Intanto c’è ancora in ballo la questione delle nuove frequenze che il governo vuol fargli pagare. Già, ma quanto? Traccheggiando, la vecchia volpe conta di portare a casa accordi meno sfavorevoli. Analogamente per le concessioni, cioè per quello che volgarmente si chiama affitto dell’etere. Esse sono ampiamente scadute e vanno rinnovate. Ma come? Trattando sui canoni delle medesime dalle posizioni di forza su cui l’ex premier nonché padrone di Mediaset pensa di attestarsi meglio, rallentando il processo di riassetto della concorrente Rai.
Poi ci sono le nomine “politiche”. Ad esempio, quelle dei nuovi direttori del Tg (urgenti per Tg1 e Tg2) e di altri dirigenti in posti-chiave. O quella che concerne la fiction, settore strategico per il quale competono più direttamente Rai e Mediaset ora che si è indebolita la capacità di fare ascolti dei film (per i quali Berlusconi è stato sempre su posizioni di forza). Rallentando rallentando, egli sa che finirà per aprirsi, su ognuna di queste materie che aziendalmente e politicamente tanto gli premono, una trattativa. Dalla quale ha tutto da guadagnare. Come sempre.

Si è detto che l’ostruzionismo di fondo in cda miri a sfiancare un presidente assai poco abituato in Banca d’Italia a queste sorde guerre di posizione e quindi a creare le condizioni per un commissariamento dell’azienda pubblica. Per il quale sarebbe già pronto il consigliere anziano di lungo corso Guglielmo Rositani. Come può essere messa in crisi questa defatigante tattica pokeristica? In un solo modo: andando a vedere le carte, cioè il bluff. Berlusconi non può permettersi il lusso – coi sondaggi e col partito che ha in mano – di rischiare una crisi del governo Monti per non voler mollare la presa sulla Rai. Se però Monti non “va a vedere”, è possibile che la Rai – che nessun organismo ad essa sovraordinato mette in sicurezza (a differenza di Bbc, di France Télévision o delle pur potenti Ard e Zdf tedesche) – rimanga in questa micidiale palude. Gira e rigira, torniamo sempre lì.

L’Unità 11.07.12

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Il fiato corto del Pdl”, di Fabrizia Bagozzi

Il cda dà il via libera a Tarantola. La vera partita è domani in Vigilanza. Con sette voti a favore, un astenuto – Antonio Verro, Pdl – e un’autorevole assente, Anna Maria Tarantola, il nuovo consiglio di amministrazione della Rai ha eletto il suo presidente nella persona di Tarantola medesima. La partita decisiva si giocherà domani in Vigilanza – la commissione è convocata non già per audirla, come chiedevano il radicale Beltrandi e il Pdl, ma per esprimere il parere vincolante affinché diventi a tutti gli effetti presidente.
Ma già così si capisce che, se pure alla fine il Pdl dovesse suo malgrado adeguarsi all’incremento dei poteri di presidente e direttore generale, venderà cara la pelle. Perché se anche ha scritto al cda convocato di non essere presente «per garbo istituzionale» e per lasciare ai consiglieri la libertà di votarla alla guida della tv pubblica, quella di Tarantola è un assenza irrituale: in genere i presidenti in pectore non votano ma sono presenti.
Un modo per far capire che il punto è la Vigilanza e il via libera al potenziamento delle deleghe. Che per Tarantola sono evidentemente centrali nell’assunzione del ruolo. E del resto la prima riunione del neoconsiglio è stata animata. Due votazioni, telefonate e conciliaboli paralleli (soprattutto fra i consiglieri di area berlusconiana, capitanati da un incontenibile Pilati), la conferenza stampa finale voluta dal consigliere anziano Rositani per presentare i neoeletti annullata. Al centro della discussione, proprio il nodo delle deleghe che non va giù al Pdl. Con Antonio Pilati a ribadire che una cosa di questo genere si può fare solo per legge, che c’è una sentenza della Consulta che specifica la centralità del parlamento. E a proporre un ordine del giorno – per ragioni di regolamento si potrà discutere solo nel prossimo incontro – che chiede al cda di pronunciarsi.
Alla fine, ma solo nel secondo tempo, e con la mediazione del consigliere in quota Udc De Laurentiis, il voto. Il (riconfermato) berlusconiano d’acciaio Verro si astiene. Fra battuta e verità, il sulfureo commento di Paolo Gentiloni: «Pare che per indurre i colleghi Pdl a designare la Tarantola Pilati abbia dovuto spiegargli la legge Gasparri». Ora la palla passa alla commissione di Vigilanza ed è tutto da vedere come Pdl e Lega decideranno di muoversi. Ieri anche il Carroccio chiedeva esplicitamente l’audizione di Tarantola. Per il vecchio centrodestra la strada è stretta: far mancare il numero legale, non votare o tirarla ancora in lungo avrebbe conseguenze importanti sul governo che pure il partito del Cavaliere sostiene. Con un’incombente possibilità di commissariamento che potrebbe vanificare tutti gli sforzi fatti finora perché proprio sulle deleghe andrebbe a incidere.
Nelle more, una ulteriore paralisi operativa della Rai. Tutto questo mentre il Pdl – o almeno una sua parte – coccola l’idea di portare a casa almeno un nucleo di poltrone utili in tempi difficili, in particolare dalle parti delle vicedirezioni e della fiction Rai. Ieri, all’ora di cena, gran conclave a palazzo Grazioli, dove Berlusconi ha riunito i vertici del partito. A quanto pare, però, si è parlato soprattutto di legge elettorale. Come è noto, al Cavaliere il tema Rai è caro, ma rendere burrascosi i rapporti con il governo (e metterlo in discussione) in questa fase non gli conviene. Tanto più che, a proposito di televisioni, ci sono anche altro un paio di cosette che gli stanno molto a cuore: la partita delle frequenze e la ricontrattazione delle concessioni.

da Europa Quotidiano 11.07.12

"La solidarietà che può servire all'Italia", Franco Bruni

Fra le numerose decisioni dell’Eurogruppo di ieri c’è stata anche quella di confermare il semaforo verde al cosiddetto «fondo antispread», per il quale Monti si è adoperato. Dopodiché, secondo alcuni analisti, i mercati hanno reagito con una perplessità che ha frenato il miglioramento dello spread, quando Monti ha ammesso che sarebbe «arduo» escludere che l’Italia abbia bisogno dell’intervento del fondo. Finora aveva detto non solo che l’Italia non ne chiedeva l’intervento ma che questo non sarebbe servito, visto che la stessa esistenza del fondo avrebbe calmierato lo spread sui titoli italiani. C’è un equivoco?

Proviamo a chiarire. La sostanza della richiesta italiana è stata che il fondo possa intervenire per contenere i tassi sui titoli di Stato di Paesi in regola coi programmi di riforme e di aggiustamento del deficit concordati con la Commissione. Per questi Paesi, fra i quali è l’Italia, occorrono difese speciali per frenare attacchi speculativi che non sono giustificati dalla loro indisciplina o dai loro squilibri ma sono il riflesso di disordini finanziari che investono l’eurozona come sistema.

Per il contagio di problemi radicati altrove, dalle banche spagnole ai guai di Atene, ma anche, un domani, di Parigi o del dollaro. Il debito pubblico italiano, anche se noi rimarremo virtuosi nel fermare il deficit, sarà elevato ancora per diversi anni, durante i quali, nei momenti di tensione e di maggior avversione al rischio dei mercati, i titoli italiani saranno sfavoriti. Nella misura in cui sapremo rimanere «virtuosi» con le nostre politiche economiche, è interesse di tutta l’eurozona che la solidarietà europea faccia sì che i rischi sistemici non si moltiplichino contagiando i titoli italiani. Anche perché, oltre a diminuire per noi l’incentivo alla virtù, il contagio rimbalzerebbe dappertutto complicando la vita di tutti.

Questo tipo di aiuto è diverso da quello richiesto da un Paese che ha bisogno di prestiti e di tempo per ridurre il proprio deficit o avviare le riforme, cioè da un Paese che non può ancora rispettare gli indirizzi di disciplina comunitari. E’ un aiuto che, essendo nell’interesse dell’eurozona e volendo rimediare a conseguenze di problemi altrui, dovrebbe avere due caratteristiche: non essere nemmeno richiesto dal Paese, bensì deciso autonomamente dal fondo responsabile della stabilità sistemica dell’eurozona, e non essere condizionato all’adozione di programmi speciali di aggiustamento, visto che si tratta di Paesi che rispettano i piani di stabilità convenuti con la Commissione.

Purtroppo il Trattato che costituisce il fondo europeo di stabilità non gli consente di fare operazioni non richieste esplicitamente dal Paese del quale vengono acquistati i titoli, come se l’aiuto fosse giustificato da guai suoi; né consente aiuti non specificamente condizionati all’adozione di discipline speciali. Credo che lo sforzo di Monti sia stato quello di convincere i colleghi europei a interpretare il Trattato nel modo più prossimo possibile a quel che occorrerebbe per questo genere di «aiuto ai virtuosi». E penso che lo sforzo abbia avuto successo: la richiesta di intervento, che pur ci deve essere, sarà limitata alla semplice e rapida sottoscrizione di un documento predisposto in modo da servire al caso; e, soprattutto, non sarà richiesta altra misura speciale di aggiustamento per il Paese «aiutato» se non il proseguimento del rispetto dei programmi concordati con la Commissione, cioè il tipo di programmi che esistono sempre per tutti i Paesi dell’eurozona.

E’ quindi ora di smettere di domandarsi se l’Italia chiederà o no l’intervento del fondo antispread. Dipenderà da come vanno le cose attorno al nostro Paese, dai pericoli di contagio, dagli atteggiamenti più o meno lungimiranti degli speculatori. E se lo chiederà sarà solo perché, per ora, ogni intervento va formalmente richiesto: ma la richiesta sarà nell’interesse di tutta l’eurozona e nel quadro della gestione di problemi «sistemici» che non sono causati dai nostri specifici squilibri. Per godere dell’«aiuto», inoltre, basterà continuare a rimanere nelle regole comunitarie. Questo è importante anche perché rivaluta la disciplina comunitaria che altrimenti sarebbe sminuita da speciali superdiscipline dettate da istituti intergovernativi quali il fondo europeo di stabilità dove, fra l’altro, rischia di prevalere la logica del Paese più forte o di quello che, per fare il furbo, scambia favori o commina punizioni agli altri in cambio o in vista di altre decisioni su terreni diversi.

L’insistenza del nostro governo sembra avere ottenuto un risultato importante: concordando annualmente con Bruxelles, come tutti i Paesi membri, un programma di politica economica adeguato a farci crescere in modo equilibrato ed efficiente e a contribuire alla convergenza e alla stabilità dell’Ue e attenendoci a tali programmi, avremo diritto anche a una speciale forma di solidarietà comunitaria, quella «del secondo tipo», come ha detto Monti nella conferenza stampa, quella garantita non a chi ha un aggravamento di problemi suoi ma a chi soffre temporaneamente di problemi del sistema dell’eurozona nel suo complesso. Fra gli altri Paesi che potrebbero approfittare presto di questo tipo di aiuto c’è la Francia che rischierebbe di entrare nel mirino speculativo proprio quando riconoscesse con più trasparenza i suoi squilibri e diventasse più evidentemente virtuosa nell’affrontarli.

Ieri è arrivata anche la diagnosi del Fmi: l’Italia è sul cammino virtuoso degli aggiustamenti e delle riforme: basta che il suo scenario politico interno sia in grado di mantenerla nella virtù anche dopo il governo «strano». Per come stiamo camminando, i rischi per noi provengono dal possibile contagio di un’eurozona che è lungi dall’avere tutto in ordine e manifesta ancora qualche incertezza su come affrontare il disordine. Un’incertezza che però gli ultimi vertici europei paiono veramente intenzionati a rimuovere.

La Stampa 11.07.12

«Ai terremotati 2,5 miliardi» Il miracolo degli aiuti bipartisan, di Alessandro Trocino

Il dibattito alla Camera e la passione dei deputati della zona. Due miliardi e mezzo di euro in un triennio, allentamento del patto di stabilità interno e dilazione dei termini di pagamento sulla fiscalità. È quanto prevede il decreto legge sul terremoto del 20 e 29 maggio che ha colpito tre regioni, sei province e decine di comuni.
Un testo per l’emergenza, che è stato definito da molti «un primo passo», sul quale il governo ha deciso di mettere la fiducia. Dopo la devoluzione della tranche di luglio dei rimborsi elettorali alla ricostruzione, ieri c’è stato un altro passo dei partiti: per iniziativabipartisan, un gruppo di deputati delle zone colpite dal sisma ha chiesto che il taglio di spesa di 150 milioni effettuato dalla Camera per il prossimo triennio sia destinato a favore delle popolazioni colpite dal terremoto. Iniziativa subito accolta dal presidente di Montecitorio Gianfranco Fini, che si farà promotore della richiesta con il governo.
I voti favorevoli alla fiducia sono stati 466, i contrari 66 e gli astenuti sei. Il voto finale sul provvedimento è previsto per oggi, poi il decreto passerà all’esame del Senato. La fiducia non è stata votata dalla Lega e dall’Italia dei Valori. Silvana Mura (Idv) ha espresso «il rammarico per il ricorso ingiustificato alla fiducia per un provvedimento che avrebbe potuto assumere un carattere trasversale». Ancora più duro Angelo Alessandri (Lega), che contesta la scarsità di fondi messi a disposizione, «una vergogna», e chiede «autonomia piena» per l’Emilia. Ma il Parlamento è stato sostanzialmente unito e il dibattito di lunedì — appassionato, intenso, molto meno svogliato e deserto del solito — ha colpito molti. Tra loro il deputato pd Ricardo Franco Levi: «È stata una bella pagina di politica, che ha fatto vedere la competenza e la passione civile di molti deputati e ha messo in luce anche l’azione degli amministratori locali».
Tema ribadito da molti, come il pd Pierluigi Castagnetti: «Chi visita quelle zone tutti i giorni e parla con i sindaci si rende conto che siamo di fronte a delle testimonianze di vero e proprio eroismo civile. Pensiamoci quando tagliamo freddamente le risorse agli enti locali, perché involontariamente tagliamo le radici dello Stato».
Appassionato anche l’intervento di Manuela Ghizzoni (Pd), di Carpi, che ha citato il motto dei suoi concittadini: «A tiam bota», teniamo botta. Si tratta, ha spiegato, di intervenire anche sul patrimonio storico artistico: «In ogni comune del Modenese c’è un teatro realizzato alla fine dell’800 con il concorso di tutta la cittadinanza, teatri sociali che sono il senso della nostra comunità».
Ma le critiche e le difficoltà non mancano. Il terremoto ha colpito una zona che produce il 2,5 per cento del Pil nazionale, interessando 5 mila imprese e 25 mila lavoratori. Ci sono stati 27 morti e gli sfollati sono 11 mila, con 18 mila studenti senza aule scolastiche. I 2 miliardi e mezzo di euro in un triennio (due in arrivo dai tagli della spesa pubblica e mezzo dall’aumento della benzina) sono soltanto la metà di quanto necessario. C’è stata la proroga dello stato di emergenza al 31 maggio 2012. Ma molto altro servirebbe e viene chiesto da più parti: la possibilità di escludere dal patto di stabilità le spese degli interventi, la detrazione dall’Ires delle spese di ricostruzione, il differimento dei termini fiscali oltre i limiti dell’attuale esercizio finanziario.
Tra i critici c’è la Confindustria dell’Emilia Romagna: «Le imprese fanno fatica a comprendere la decisione del governo di non inserire nel decreto legge sul sisma né il rinvio dei termini tributari, fiscali, contributivi a giugno 2013, né la detrazione del 50% delle spese di ricostruzione». Parole che seguono a quelle del presidente Giorgio Squinzi, secondo il quale la strada scelta dal governo «rischia di frenare la volontà di ripartenza delle aziende messe in ginocchio».

Il Corriere della Sera 11.07.12