Sale la tensione sul fronte sindacale dopo la lunga notte della spending review ma il governo tira dritto e rilancia. L’intervento di complessivi 26 miliardi di risparmi in tre anni (4,5 nel 2012, 10,5 nel 2013 e 11 nel 2014) non esaurisce l’azione di Mario Monti sul fronte dei tagli: durante la conferenza stampa che ha seguito il consiglio dei ministri il «numero due» del Tesoro Vittorio Grilli ha annunciato che l’esecutivo è alla ricerca di altri 6 miliardi: «Lo stop all’Iva aiuta il Pil: siamo riusciti a sterilizzare l’aumento, l’obiettivo è di farlo sparire», ha detto. Dunque già si lavora per evitare l’incremento di 2 punti dal luglio del prossimo anno.
Nelle prossime settimane mentre la spending review affronterà il cammino parlamentare con l’obiettivo di essere approvata prima della pausa estiva – sono attesi nuovi provvedimenti di riorganizzazione della spesa: si interverrà sulle agevolazioni fiscali e sui contributi pubblici alle imprese. I prossimi interventi potrebbero arrivare dai «dossier» affidati poco più di un mese fa a Francesco Giavazzi, al quale erano state chieste analisi e raccomandazioni sui contributi pubblici alle imprese, e a Giuliano Amato, che invece aveva il compito di studiare i finanziamenti pubblici a partiti e sindacati.
Se il governo già guarda alle prossime mosse, le parole d’ordine del sindacato vanno invece nella direzione opposta e sprigionano preoccupazione: mobilitazione subito e sciopero generale a settembre se Monti e Grilli non cambieranno il decreto sulla spending review. «Siamo di fronte ad un’altra manovra a carattere recessivo, che taglia molto più lavoro di quello che non dichiari: prepariamo una mobilitazione generale», ha detto il segretario della Cgil, Susanna Camusso. Il fronte sindacale tuttavia non sembra parlare lo stesso linguaggio: Cgil e Uil puntano a alzare i toni annunciando un autunno caldo con tanto di possibile sciopero generale mentre la Cisl di Raffaele Bonanni dice sì «alla mobilitazione» ma in favore di una «riorganizzazione» della macchina amministrativa. Sul piede di guerra le sigle del pubblico impiego: «manovra di emergenza e priva di progettualità », hanno detto in una nota congiunta Mimmo Pantaleo (Cgil-Flc) e Giovanni Torluccio (Uil-Flp).
Il governo per ora affida la replica a Filippo Patroni Griffi. «Ai sindacati dico che comprendo la loro preoccupazione e credo che non appena potremo avviare il processo intavoleremo un incontro sul tema della mobilità», ha osservato il ministro per la Funzione pubblica. Lo stesso Monti in nottata, nel corso della conferenza stampa, era intervenuto sulle proteste dei sindacati: «Non c’è stata né concertazione, né consultazione approfondita c’è stata la fornitura di informazioni generali sull’orientamento del provvedimento: troverei normale che ci fossero perplessità e opposizioni, spero di superarle». Alza il tono anche il Pd, che da giorni esprime preoccupazione. «Se saranno confermati questi tagli interverremo in Parlamento perché non è un taglio agli sprechi ma un taglio a servizi fondamentali — ha detto il responsabile per l’economia del Pd Stefano Fassina — possono mettere in discussione altri capitoli di
spesa meno prioritari, come tutto il settore della difesa. Il confronto avverrà in parlamento, valuteremo il provvedimento e proporremo misure correttive ove necessarie».
Positiva, infine la reazione della Confindustria: «La spending review è necessaria. Lo giudico
come un primo passo nella direzione giusta. Quindi mi sta bene come primo passo, però, bisogna andare avanti con maggiore decisione con più determinazione e fare seguire i passi successivi », ha detto il presidente degli industriali Giorgio Squinzi.
La repubblica 07.07.12
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A rischio 61 amministrazioni meno funzioni per le superstiti nascono 10 città metropolitane”, di VALENTINA CONTE
I CRITERI si conosceranno solo alla fine del mese. E saranno ispirati alla «dimensione territoriale» e alla «popolazione residente». Ma l’obiettivo del governo è chiaro: dimezzare il numero delle Province italiane entro la fine dell’anno, tramite «soppressione» o «accorpamento».
Queste le parole chiave inserite nella notte, a sorpresa, nel decreto sulla spending review, che così passa da 17 a 23 articoli nella sua versione finale. «È stata ridisegnata l’architettura istituzionale dello Stato sul territorio, la prima volta nella storia repubblicana », esulta il ministro Filippo Patroni Griffi che auspica in «circa 50» il numero delle Province residue dopo la “cura”, dalle 107 esistenti. «Una vera e propria svolta. Basta con i microfeudi». Le prime simulazioni del governo individuano in 75 le amministrazioni da eliminare o fondere. Tutte quelle al di sotto dei 350 mila abitanti o meno estese di 3 mila chilometri quadrati. Due parametri più volte circolati nei giorni scorsi (assieme a un terzo, il numero dei comuni nel territorio provinciale, poi saltato), ritenuti ragionevoli, ma tuttavia non definitivi. Il Consiglio dei ministri ha dieci giorni di tempo, dall’entrata in vigore del decreto, per deliberare i criteri definitivi e trasmetterli al Consiglio delle autonomie locali delle singoli Regioni che poi, entro 40 giorni, dovranno definire il piano di «riduzioni e accorpamenti».
La cifra di 75 “tagli” rischia tuttavia di essere fuorviante. In realtà il decreto avrà efficacia stringente solo nei confronti delle Regioni a statuto ordinario (86 Province totali). Per quelle speciali, lo Stato centrale nulla può, tranne un “atto di indirizzo”. Ecco allora che le Province nel mirino scendono a 61. Le salvate appena 25 che diventeranno 15 il primo gennaio 2014 quando nasceranno le dieci Città metropolitane (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria). Un taglio netto di 61 amministrazioni lascerebbe alla Toscana la sola provincia di Firenze. Alla Lombardia, solo Milano e Brescia. Al Piemonte, Torino, Cuneo, Alessandria. All’Emilia Romagna, Bologna e Parma. Alle Marche, Ancona. Per citare le Regioni dove è più probabile che si proceda per accorpamenti e dove i malumori salgono. Norma ad hoc per La Spezia, salva nonostante i requisiti, perché nei fatti non può accorparsi (Genova sarà Città metropolitana e confina con altre due Regioni).
Il problema resta aperto per le Regioni a Statuto speciale. La Sardegna è nel caos: ha cancellato 4 Province con il referendum abrogativo di maggio, ma il “parlamento” sardo con una leggina le ha prorogate fino al 28 febbraio 2013. In Sicilia, Lombardo è pronto alle dimissioni e forse si voterà in ottobre. Fuori tempo massimo per “asciugare” entro dicembre 5 Province su 9. Poi c’è la questione delle funzioni. Il decreto sulla
spending review lascia alle Province “salve” solo pianificazione territoriale, ambiente, trasporto, viabilità. Togliendo scuola e centri per l’impiego. «Non sta in piedi. Lo correggeremo in Parlamento », avverte Giuseppe Castiglione, presidente Upi (Unione province).
La Repubblica 07.07.12