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"Compito del Cnr è il dialogo fra i saperi", di Luigi Nicolais*

Caro direttore, Tullio Gregory (sul Corriere del 27 giugno) attribuisce all’equilibrio imperfetto del Comitato internazionale di esperti la distrazione del Documento strategico del Cnr sulla cultura umanistica.
Avendo auspicato un dibattito ampio e costruttivo, non è mia intenzione replicare difendendo posizioni e indirizzi, ma portare punti a chiarimento e se possibile provocare ulteriori riflessioni.
L’equilibrio imperfetto non è un felice ossimoro, ma un dato di fatto. È inutile negarlo. È più agevole dialogare per macroambiti culturali piuttosto che per singole specificità. Ed è indubbio che alcune aree scientifiche, per storia, metodo, sensibilità, probabilmente scaltrezza degli stessi ricercatori, tendano con maggiore facilità a proporsi, presentarsi, riconoscersi e farsi riconoscere come masse critiche omogenee e coese, salvo poi frantumarsi in mille e mille rivoli.
La ricca articolazione della cultura umanistica dovuta alla specificità, autorevolezza e spesso anche alla individualità delle ricerche non ha fino a oggi favorito l’agglomerazione, tanto che quella più utilizzata resta sostanzialmente un ibrido concettuale di scarsa capacità attrattiva e rappresentativa. Ma non per questo però si disconosce valore e presenza. Quanto poi questa debba pesare all’interno di un ente che auspica, per la ragione stessa della sua esistenza, la concentrazione di strutture, risorse e competenze, nonché l’individuazione certa di interlocutori è questione aperta che il Documento indirettamente affronta. In esso, poi, Gregory legge e denuncia un’insofferenza diffusa per la ricerca di base. Premesso che, per la complessità espressa dalle attività di ricerca e la forte interazione dei diversi saperi, andrebbe superata la tripartizione della ricerca che la vuole di base, applicata e industriale, per arrivare a una distinzione solo tra ricerca qualitativamente buona e interessante e ricerca d’accatto, il documento tenta, azzarda, probabilmente non riuscendoci, di fare ordine.
L’obiettivo è restituire chiarezza di funzione e finalità a un ente, il Cnr, che ha il compito di far avanzare le frontiere di tutti saperi, sollecitandone a tal fine le interazioni. Ma al tempo stesso ha anche l’obbligo, il dovere civile, di utilizzare, applicare e far capitalizzare a livello sociale i risultati scientifici conseguiti o maturati. Questo comporta una specificità rispetto alle università cui spetta il compito di formare e indirizzare principalmente la creatività e le potenzialità dei giovani. È indubbio poi che le priorità derivino da una visione di un Cnr forte posizionato sul territorio come interfaccia fra il mondo dei saperi, quello della produzione e dell’innovazione. In questo sicuramente ci sarà stata qualche omissione, ma le stesse sono dettate anche dalle caratteristiche endogene del sistema sociale e produttivo italiano.
Infine sui rilievi per le competenze bibliometriche e le capacità manageriali. Il Documento assume solo apparentemente una posizione omologa alla moda imperante e sollecitando la crescita di consapevolezze e competenze su entrambi gli ambiti pone la necessità di stressare la trasparenza, la misurabilità e l’efficacia delle azioni e della conduzione delle strutture pubbliche di ricerca, avendo a riferimento non più solo il proprio contesto, locale o nazionale, ma quello internazionale.
Sono consapevole e certo che nessun documento potrà mai accampare pretese di esaustività e completezza. I testi vanno interpretati e migliorati nell’applicazione, per questo ho sollecitato il dibattito, fidando nell’onesta intellettuale degli interventi — così come intesa dallo stesso Gregory — e sull’opportunità di poter sviluppare insieme una nuova visione per l’intero sistema della ricerca pubblica.
Una visione organica che inevitabilmente porrà dei distinguo e delle differenze, ma che dovrà poggiare almeno su alcune consapevolezze: non possiamo più trincerarci dietro posizioni autocelebrative e autoreferenziali; non possiamo permetterci di progredire in un settore scientifico a scapito di un altro, non possiamo disporre di cattedrali nel deserto.
E se per innescare processi virtuosi di cambiamento è necessario adottare, anche e non solo, metodi e strumenti quantitativi, questi ultimi ben vengano. Perché la meta deve essere quella di ottimizzare, razionalizzare, concentrare gli sforzi; formare, trattenere e tutelare nuove leve di studiosi e ricercatori; far avanzare la frontiera della conoscenza; attrarre risorse private; aumentare il credito sociale di tutti i saperi.

*Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche

Il Corriere della Sera 06.07.12

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“Il Cnr distratto sulla cultura umanista”, di Tullio Gregory

Il Cnr ha pubblicato il «Documento di visione strategica» per il prossimo decennio: documento importante nelle sue scelte e raccomandazioni, redatto da una commissione – nominata dal ministro Profumo – composta di 16 membri, dei quali due stranieri. In larga maggioranza autorevoli esperti delle cosiddette scienze dure, con un solo rappresentante delle scienze filologiche, storiche, filosofiche, Michel Gras, studioso francese di primo piano nel campo della ricerca archeologica: di questo «equilibrio imperfetto» il documento porta le conseguenze, come si vedrà.

Poiché il presidente Nicolais, presentando il Documento, ha auspicato che si apra un dibattito, cerchiamo qui di avviarlo.

Tra le proposte molto positive e innovative mi sembra da segnalare l’istituzione di Scuole internazionali di dottorato presso i Dipartimenti e le aree di ricerca Cnr: si avrebbero finalmente scuole con corsi regolari, di alta specializzazione, con laboratori e biblioteche, cosa che avviene raramente nelle università dove i dottorandi sono per lo più abbandonati a se stessi, al massimo affidati a un tutor, senza corsi regolari.

Molto spazio è giustamente dato alle tecnologie informatiche e al trasferimento tecnologico. Ma quando si passa alla definizione delle aree tematiche (differentemente presentate nel Documento e nella I appendice) ci si trova innanzi a un elenco piuttosto disordinato di buone intenzioni, di saggi consigli, che prescindono del tutto dal bilancio del Cnr (la spesa per le iniziative proposte non è mai quantificata) e soprattutto sembrano ignorare le ricerche in corso presso i vari Istituti. Siamo di fronte a programmi che potrebbero trovare forse spazio in una rinata Casa di Salomone, di baconiana memoria.

Già qualche perplessità desta la serpeggiante insofferenza per la ricerca di base, riconosciuta come caratteristica del Cnr, insistendo piuttosto sul rapporto con il mondo dell’impresa, che è come dire vincolare la ricerca a commesse esterne per un immediato utile economico, mettendo in crisi quelle attività che garantiscono il progresso del sapere, come già era posto in evidenza dal panel generale di valutazione.

In questa prospettiva non stupisce l’emarginazione delle discipline umanistiche: in tutto il Documento di 63 pagine, i cenni a queste discipline (accorpate nell’ambigua dizione «scienze sociali e umane e patrimonio culturale») se fossero raccolti tutti insieme non occuperebbero più di una pagina; delle stesse discipline si torna a parlare nella I appendice, occupando due pagine su quindici complessive. Si aggiunga che in tutto il Documento sono ignorate le ricerche storiche, filologiche, filosofiche, la cui presenza nel Cnr e il cui valore sul piano internazionale era stato messo in evidenza dal panel di valutazione dell’ente collocando al vertice, su 107 istituti, proprio i due istituti che svolgono ricerche in questo campo. Dato del tutto ignorato nel Documento che pur utilizza, per altri settori, le valutazioni del panel.

Peraltro, quando definisce le aree tematiche, il Documento propone per le scienze economiche, sociali e umane e il patrimonio culturale (inserite nell’area intestata alla «sicurezza e inclusione sociale») temi di una genericità significativa: «innovazioni sociali creative», «lotta contro il crimine e il terrorismo», «libertà di accesso a Internet», «sensori per stati di crisi», «coesione sociale», «pace», «legalità e sicurezza», «la rappresentazione dei beni», «l’eredità storica», «le strategie territoriali». Il tutto servito con affermazioni di assoluta ovvietà: «il patrimonio culturale va valorizzato», «il patrimonio culturale immateriale va incrementato».

Né maggiore chiarezza troviamo nella I appendice, dedicata alle aree tematiche, ove – ancora una volta ignorando settori di ricerca nei quali l’ente ha posizioni di prestigio – si indicano alcune priorità: per il patrimonio culturale, «conoscenza approfondita dei litorali», «turismo planetario, «miglioramento della rappresentazione e dell’immagine dei beni culturali, in relazione soprattutto alla persona umana e alla natura». Per le scienze sociali e umane le priorità sono: «cambiamenti demografici», «coesione sociale e culturale, legalità e sicurezza», «competitività del sistema economico», «pace», «pensare il futuro della città». Affermazioni tutte che si commentano da sole per la loro banalità.

Come spiegare questa disattenzione del Documento per le discipline umanistiche senza riaprire un inutile dibattito – del tutto privo di senso – sulle cosiddette due culture? Semplicemente ricordando l’endemica indifferenza, a volte diffidenza, di larghi settori del Cnr verso le discipline umanistiche (ammesse nell’ente cinquanta anni orsono) che, come ho avuto altra volta occasione di ricordare, sono state recentemente «compresse» dal nuovo CdA del Cnr in un unico Dipartimento, così da mettere insieme l’archeologia micenea con il diritto privato europeo, la psicologia con il restauro, la filologia classica con la sociologia industriale. Va anche riconosciuto che la prospettiva del Documento non differisce dalla politica del Miur e del Cipe (come si rileva anche dal Piano nazionale della ricerca 2011-2013), espressione del più miope aziendalismo, tutto volto al prodotto (tanto caro all’Anvur) vendibile sul mercato e valutabile con criteri «quantitativi» (oggi ampiamente criticati da tutte le grandi istituzioni scientifiche europee); di qui l’emarginazione della ricerca di base, scientifica e umanistica, e più ancora di una cultura che crei valori, non commerciabili ma essenziali per la crescita della società civile. Dimenticavo: il Documento auspica l’avvento di apostoli specialisti di «analisi bibliometriche» per «posizionare la ricerca del Cnr nell’ambito europeo ed internazionale»; per i direttori scientifici di dipartimenti e istituti richiede «esperienze gestionali e manageriali», come vuole l’Anvur per i professori universitari, con i noti risultati.

Il Corriere della Sera 06.07.12