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"La posta in gioco", di Claudio Sardo

Quella del Pd non è una sfida interna tra leader o tra correnti. Non è neppure una competizione con i vicini. O una battaglia di principio contro Grillo. La questione riguarda il governo del Paese – anzi la sua ricostruzione economica, civile, politica – nel mezzo della crisi più grave dal dopoguerra ad oggi.
E in gioco non c’è soltanto una breve stagione. L’impressione è che al bivio nel quale ci troviamo possiamo perdere cose che abbiamo a lungo immaginato come acquisizioni definitive: il modello sociale europeo, inteso non solo come standard di welfare ma anche come garante di opportunità diffuse, e al fondo la qualità stessa della democrazia. Sì. La crisi economica e l’incapacità politica dell’Europa stanno rischiando di compromettere il paradigma democratico: a che serve la politica se non è capace di regolare i mercati e di correggerne gli effetti nella società?
Il compito (storico) del Pd è costruire una proposta di governo che sia all’altezza di questa sfida. Il Pd è oggi sulla scena il solo partito nazionale in grado di fornire una risposta plausibile. Ma guai se si sente «condannato» a governare. Il Pd non è la Dc del dopoguerra. Anche se oggi è al centro del ring, anche se oggi tutti fanno i conti con esso, magari per condizionarlo, per indebolirlo, per colonizzarlo, il Pd non ha da solo la forza per completare la necessaria costruzione. Ha la maggioranza relativa, ma in un passaggio così difficile è necessario disporre di un grande consenso. Ha vinto le amministrative, ma le fragilità e i difetti sono evidenti. Sarebbe sbagliato, oltre che presuntuoso, negarli.
Per questo il Pd deve investire il suo consenso e rischiare. La tecnica attendista contiene un alto rischio di sconfitta. Non c’è bisogno di ricordare l’illusione del ’93 – quando le prime elezioni dirette dei sindaci provocarono la sbornia dei Progressisti – per comprendere il pericolo. Peraltro il pericolo oggi è ingigantito da un largo discredito della politica, da un mancato rinnovamento delle classi dirigenti, da una spinta alla frammentazione che somiglia a Weimar, da una sovranità limitata che penalizza il centrosinistra assai più del centrodestra. Rischiare. Mettere in gioco le posizioni acquisite. Sfidare il pregiudizio negativo. Fare un bagno di umiltà. Questo non vuol dire rinunciare alla vocazione maggioritaria, intesa come orizzonte di un partito nazionale capace di sintesi tra interessi e di concepire un programma di governo. Questo non vuol dire rinunciare alla riforma elettorale: anzi l’impegno per eliminare il Porcellum, e con esso il cancro del maggioritario di coalizione, va moltiplicato (qualunque cosa che somigli ad un sistema europeo è meglio del Porcellum). Questo non vuol dire abbandonare l’idea del partito come luogo costituzionale della rappresentanza democratica e della partecipazione popolare.
Ieri Pier Luigi Bersani ha annunciato che, nel percorso di costruzione dell’alternativa di governo, ci saranno «primarie aperte». In cui sarà contendibile il ruolo del leader. Non era un atto necessario in base allo statuto del Pd. Forse, sul piano della logica di sistema, si può persino dubitare della coerenza di questo proposito. Del resto, ancora non sappiamo se ci sarà la riforma elettorale, se la competizione sarà affidata ai partiti (come in Europa) o ancora a coalizione coatte, se l’Idv sarà un alleato del Pd oppure no, se e quante liste civiche si formeranno. In ogni caso appare necessario, in questo momento, un atto di riconciliazione, di disponibilità, persino di rottura rispetto al percorso della legislatura.
Proprio nel momento in cui si rinnova la lealtà al governo Monti (con il quale non mancano significativi dissensi, e a questi si aggiungono i contrasti crescenti nella maggioranza parlamentare), mentre si cerca di stringere con i progressisti europei un patto programmatico per i prossimi anni, mentre si spendono le ultime risorse diplomatiche per cambiare la legge elettorale (accantonando la proposta-trappola sul presidenzialismo), è necessario un segno di apertura. Alla società, al civismo, alle domande di una politica diversa e più efficace, al bisogno di rimettere in circolo forze nuove. Le modalità delle primarie sono discutibili e le esperienze recenti segnalano, purtroppo, rischi multiformi. Tuttavia ora in gioco c’è il futuro del Pd, e non solo quello di una leadership.
Ma ci sono passaggi in cui il rischio è necessario e l’autodifesa appare egoismo, anziché saggezza. Si tratterà poi di vedere, dopo la prova di umiltà, se a guidare l’impresa sarà ancora, come è accaduto negli ultimi vent’anni, l’ideologia demolitrice del nostro impianto costituzionale e dell’autonomia dei corpi intermedi, oppure se potremo finalmente ricostruire una democrazia di stampo europeo. Se, cioè, anche da noi i partiti democratici diventeranno la normalità. Anche questo decideranno le primarie «aperte» di ottobre.

l’Unità 09.06.12

"L'ora dei tecnici a Viale Mazzini", di Giovanni Valentini

Semmai ha tardato fin troppo. Sono passati più di cinque mesi da quando il presidente del Consiglio annunciò in televisione che l’esecutivo avrebbe risolto “in poche settimane” la questione Rai e nel frattempo la situazione dell’azienda di Stato è andata ulteriormente deteriorandosi.
Uno dei primi impegni del nuovo presidente e del nuovo direttore generale, anzi, dovrà essere quello di verificare l’attendibilità del bilancio, per denunciarne eventuali buchi o carenze. L’anno prossimo i conti bisognerà farli tornare e possibilmente alla luce del sole, senza artifici o maquillage finanziari. Altrimenti, meglio commissariare formalmente l’azienda per salvare il salvabile.
Ma è soprattutto sul piano dell’informazione – dalla tv alla radio – che il nuovo vertice di viale Mazzini è chiamato a garantire quel pluralismo e quella libertà di espressione che sono stati finora soffocati, mortificati o addirittura espulsi, compromettendo così la stessa sopravvivenza del servizio pubblico. Sopravvivenza economica, ma ancor prima istituzionale, civile, sociale. Dai Tg ai Gr, la Rai deve essere sottratta definitivamente all’oppressione della partitocrazia per essere restituita al controllo dei cittadini, telespettatori e abbonati.
In attesa di queste nomine, è mancato da parte del governo uno sforzo concreto per avviare quella riforma organica che dovrebbe assicurare alla radiotelevisione pubblica una “governance” legittima e una piena autonomia, anche sul piano delle risorse economiche. La Rai oggi continua a essere schiava di due padroni: la politica e l’audience, in un intreccio perverso che finisce per favorire solo il concorrente diretto. E cioè, l’azienda che appartiene tuttora all’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Qualsiasi progetto di ristrutturazione o di ridimensionamento andrà letto perciò con la lente d’ingrandimento, per evitare che l’azienda di viale Mazzini venga smantellata o messa in liquidazione.
Un punto fermo e irrinunciabile è la sua natura di servizio pubblico. Qui, come sull’acqua o sugli altri beni comuni, le privatizzazioni non sono accettabili neppure in nome della ragion di Stato. Ed è bene che le forze politiche più sensibili lo dichiarino fin d’ora apertamente.
Nelle nomine del governo Monti, non vorremmo vedere l’impronta di una “normalizzazione” che non corrisponde né alla natura né alla funzione della Rai. Bisogna evitare il rischio di una sorta di pre-commissariamentoche eludailbisogno di rafforzamento e rilancio della tv pubblica. Non stiamo parlando infatti solo di un’azienda, fatta di costi e di ricavi, che deve opportunamente puntare al profitto o almeno al “pareggio di bilancio”, per rassicurare anche la cancelliera Merkel. La Rai è innanzitutto un deposito dell’identità nazionale; un catasto delle idee e delle opinioni; un “caveau” della memoria collettiva. E spetta perciò alla politica, quella più consapevole e responsabile, bilanciare il primato dell’economia nell’interesse generale dei cittadini.
C’è infine un ruolo pedagogico – sì, proprio pedagogico, nel senso più nobile del termine – che la radiotelevisione pubblica è tenuta a svolgere nei confronti della collettività. “Educare, informare, intrattenere”, raccomandava nell’ordine sir John Reith, fondatore della mitica Bbc inglese. Ma oggi la tv e la radio di Stato intrattengono anche troppo, informano poco ed educano ancor meno.

La Repubblica 09.06.12

"Cosa c'è sotto l'Italia", di Mario Tozzi

Sotto la Pianura Padana, il luogo anche simbolicamente più tranquillo e produttivo del paese, non c’è un mostro e nemmeno un killer silenzioso e infido. Però là sotto si annida una realtà geologica che non rassicura e che, anzi, allarma cittadini e istituzioni. Successioni di rocce stratificate che giacciono piegate e spezzate al di sotto dei sedimenti sabbiosi del Po, un frammento avanzato del continente africano che si scontra con quello europeo da milioni di anni. Da questa collisione sono nati Alpi e Appennini, e da questa collisione derivano i fenomeni vulcanici del Sud Italia e, più o meno direttamente, i sismi dell’intero Paese. Conosciamo bene questa grande piega sotterranea allungata per decine di km in direzione Est-Ovest da Modena a Ravenna. È ben rappresentata nelle mappe e nelle sezioni geologiche e sappiamo che si trova attualmente in uno stato di stress attivo che ha già generato almeno tre rotture di rocce in punti diversi: Finale Emilia, Mirandola e Ravenna per semplificare. Purtroppo l’osservazione diretta di queste strutture geologiche non è possibile: non basterebbe un solo pozzo e il più profondo che gli uomini abbiano mai scavato arriva appena a 14 km, contro una fascia sismica terrestre che può toccare i 700 km di profondità.

Per questo è possibile fare una previsione del tempo e non una del terremoto: non riusciamo a guardare in faccia gli elementi che si scontrano in profondità e possiamo solo condurre deduzioni indirette, fondate su pochi dati del sottosuolo e sulla geologia di superficie. Non sappiamo perciò, e non possiamo sapere, quando la struttura accumulerà abbastanza tensione per rompersi ancora, ma sappiamo che lo farà prima o poi, perché quella tensione è in accumulo ed è quell’accumulo che ha generato la struttura stessa.

Sono i dati geologici a dircelo più che quelli sismologici: non si sono riscontrati, per intenderci, fenomeni eclatanti che potrebbero portare a una previsione o a un allarme: non si intorbidano le acque, non si sprigionano gas dal sottosuolo. Un dato che abbiamo (del Cnr) è che, dopo la scossa del 29 maggio, il suolo nell’area si è sollevato di 12 cm, anche se questo non vuol dire che si approssimi un sisma.

Non possiamo prevedere i terremoti, ripetono gli esperti come in un mantra, ed è vero; ma possiamo prestare attenzione al quadro geologico complessivo quando questo si è improvvisamente attivato dopo cinquecento anni, come è accaduto nel Ferrarese. Sappiamo che le scosse di replica si susseguiranno per settimane, che ce ne possono essere di magnitudo comparabile a quella iniziale e non possiamo escludere che un altro segmento di quella struttura sepolta si possa riattivare.

Quello che però meglio sappiamo è che una scossa che dovesse colpire ancora le zone in cui le strutture sono state così indebolite sarebbe estremamente più distruttiva della magnitudo che potrebbe sviluppare. E sappiamo che scosse che dovessero colpire il settore orientale dell’Emilia troverebbero quegli abitanti e quelle case impreparati come i cittadini di Finale o di Mirandola. Molte volte l’energia del sottosuolo si è accumulata per mesi e poi si è liberata asismicamente oppure si è cristallizzata: questa è la speranza.

La Stampa 09.06.12

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Errani con le maniche rimboccate. Straordinario quel commissario”, di Andrea CHiarini

Dal primo giorno il governatore si sta spendendo senza sosta sul fronte del terremoto. Messaggi chiari a tutti e la solidarietà sbandierata come ragione sociale dell’Emilia. Nelle ore più dure dell’angoscia e del dolore ha preso per mano la sua terra che continua a tremare, si è tolto la giacca rimboccandosi le maniche e ha cercato, sta cercando, ogni giorno, di rispondere alle richieste di aiuto della sua gente.
Vasco Errani, governatore dell’Emilia Romagna, di fatto era già commissario straordinario per la ricostruzione ben prima che gli arrivasse la nomina del consiglio dei ministri.

LA LETTERA “Questa terra rinascerà”

E’ stato sui luoghi del terremoto, prima con il premier Monti, poi con il responsabile della protezione civile Gabrielli, e ieri con il capo dello Stato Napolitano. S’è tolto la giacca e infilato la cerata, provando a tenere insieme tutto quello che, insieme agli umori vacillanti della gente, gli si sfrangiava intorno, dall’economia martoriata del biomedicale ai prodotti doc di questa sponda della Food Valley, il parmigiano reggiano rotolato giù dalle scansie e l’aceto balsamico uscito dalle crepe delle botticelle. E poi il lavoro di tessitura, necessario, a Roma, per ottenere le linee di credito e di fiducia per riavviarsi nel dopo-terremoto.

E ha già mandato segnali netti, Errani. Le cose da fare e quelle da non fare. “No alle new town”, ha subito avvertito chi, magari, nel business della ricostruzione già pensava a un bis dell’Aquila. Ha richiamato
i principi della legalità, assicurando “lo Stato è qui”, e in fondo dicendo che lo Stato siamo noi, tutti noi e adesso è il tempo per dimostrarlo. Una regione dove la solidarietà non è solo quella di questi giorni, è la ragione sociale di un modello, quello emiliano, che nonostante mostri segni di affaticamento resta un esempio per tutti.

Errani, al suo terzo mandato, stava mostrando un calo fisiologico. “Ormai è più a Roma che a Bologna”, dicevano alcuni. L’inchiesta che l’ha coinvolto, il caso Terremerse in Regione in cui è indagato il fratello cooperatore, al di là dell’esito giudiziario tuttora aperto, l’ha amareggiato, incupito. Stanchezza e decisioni difficili, i tagli necessari sulla via del rigore, le polemiche sui costi della politica regionale… Non sono stati certo mesi facili, ma nell’emergenza terremoto la macchina di viale Aldo Moro non ha avuto bisogno di rodaggio, si è messa subito in moto. Ed ecco, in rapida sequenza, il rapido censimento delle scuole, coi 50mila studenti sfollati, le riunioni con le categorie economiche per frenare la fuga delle aziende, l’esenzione del ticket sanitario e l’iniezione di 150 milioni di euro per pagare i fornitori/creditori delle Asl, una misura che aiuterà anche il biomedicale oggi in ginocchio. E poi l’attenzione al turismo balneare, che potrebbe subire contraccolpi mortali, perché se è vero che un pezzo di regione è ferito, l’altro continua a produrre, e questo va detto per non innescare pericolosi effetti domino, tali da produrre altri danni oltre a quelli già così evidenti.

Psicologicamente, dice Errani, i terremoti sono stati tre, le due grandi scosse del modenese e quella di mercoledì al largo di Ravenna. Ci sarà molto da lavorare. Ma se c’è una figura in grado di gestire i fondi che arriveranno, si parla di 2,4 miliardi, garantendo trasparenza, quello è Errani. Se c’è un amministratore credibile, poco televisivo e forse per ciò così efficace, quello è il governatore dell’Emilia Romagna, forse l’unico che il Pd possa oggi portare ad esempio, visto anche cosa sta succedendo, tra l’altro, in Lombardia con gli sviluppi dell’inchiesta su Penati. In queste settimane Errani è stato poco in tv e molto in giro, battendo i centri terremotati tra Modena, Reggio e Ferrara. E facendo quel che gli riesce meglio, il punto di riferimento per tutti – sindaci, sindacati, categorie economiche, istituzioni – , il punto decisionale in grado di mettere in campo azioni concrete ed efficaci.

Dopo, si dovrà aprire una riflessione sulle morti di lavoro di questo terremoto, perché come ha detto il ministro Fornero non possono crollare capannoni costruiti meno di dieci anni fa. Bisognerà adeguare con stime più prudenti le mappe dei rischi da sisma e soprattutto vigilare perché si costruisca in sicurezza e si metta in sicurezza l’esistente. Anche su questo aspetto non potrà essere che la Regione il motore dell’iniziativa, e sarà davvero l’ultima sfida del governatore nella fase conclusiva del suo terzo mandato.

La Repubblica/Bologna 09.06.12

Bersani: Patto progressisti e democratici per l'Italia. Primarie aperte entro l'anno, mi candiderò

Sintesi della relazione alla Direzione nazionale del segretario Pier Luigi Bersani
Se in un sommovimento così profondo, se in acque cosi mosse, qualcuno pensa che il compito nostro sia quello di giostrare sugli accorgimenti tattici o sui rapporti politici o perfino sui temi programmatici, si sbaglia. Sono cose che ci vogliono ma che da sole non arrivano a grande parte della popolazione. Il sommovimento è molto, molto profondo. “Tocca a noi” vuol di re tocca a noi giocarcela e investire il consenso che abbiamo sul punto principale della questione, il punto che sta fra politica e popolo, che sta nella faglia che si è aperta fra grande parte dei cittadini e il sistema e che nel profondo, secondo me, è un bisogno di sentirsi comunità e l’impossibilità di esserla: perché la grande traduttrice, colei che traduce l’individuo nella comunità, e cioè la politica, ha ormai un suono che tantissima gente non sente. Quindi noi non staremo fermi. Ci muoveremo. Non lasceremo erodere il consenso che abbiamo, lo investiremo rischiando qualcosa, come succede sempre per un investimento.

Ecco dunque il percorso che vi propongo e che è organizzato su tre punti.

Primo punto. Per intervenire su quella faglia, su quella frattura bisogna cominciare dalla legge elettorale. Adesso basta. Districhiamo il nodo che si è avviluppato fra riforma elettorale e costituzionale. Il Semipresidenzialismo non è la nostra opzione. Noi siamo per un sistema parlamentare riformato, semplificato e rafforzato, per un ruolo forte del Governo e per una preziosa funzione di equilibrio del Presidente della Repubblica. Naturalmente il semipresidenzialismo è una posizione legittima, ma non è comunque percorribile in questo scorcio di legislatura. Lo stesso PDL nei suoi emendamenti riconosce l’esigenza di leggi di attuazione non banali (a cominciare ad esempio dal conflitto d’interesse) e che non potrebbero essere lasciate fra le varie ed eventuali. E per favore, non si mostri di voler proseguire l’iter o far finta di proseguirlo con qualche voto a maggioranza. In una situazione come quella in cui siamo sarebbe ridicolo. Abbiamo detto più volte e lo ripetiamo che per noi la prossima sarà una legislatura costituente. Siamo pronti a prenderci impegni su questo anche trovando assieme le vie ed eventualmente gli strumenti per formalizzare questo impegno. La legge elettorale sia quindi liberata da ogni condizionamento. Lo ripetiamo per noi (e non solo per noi!) il doppio turno di collegio ha una sua rinnovata attualità, dal punto di vista della percezione dei cittadini, della chiarezza politica, del contributo che può dare in termini di composizione e quindi di governabilità (questione che sta emergendo acutamente). Il doppio turno non è come è ovvio necessariamente connesso agli assetti costituzionali. Questa è la nostra proposta, che ribadiamo, sperando che si comprenda che non è per noi (noi avremmo più sicuri vantaggi da altre soluzioni) ma è per l’Italia. Detto questo, noi non aggiungiamo: o è così o ci teniamo il porcellum. Se qualcuno di noi lo pensasse (e non lo credo) dovrebbe avere la bontà di dichiararlo. Non possiamo permetterci che ad ogni passo di mediazione parta l’accusa di volerci vendere l’anima. Io ribadisco il no al porcellum che considero una causa principe del distacco dei cittadini e che non ha consentito la governabilità. Considero peraltro che i tempi ormai sono molto molto stretti.

Alfano ha detto: tre settimane! Gli rispondo: bene, tre settimane e si decide se c’è l’accordo o no e lo si decide all’aperto. I nostri paletti concettuali sono chiari:
1) basta liste bloccate. Per noi la strada maestra sono i collegi.
2) massima attenzione alla governabilità e quindi alla possibilità dei cittadini di pronunciarsi utilmente sull’indirizzo di governo. Ai primi di luglio dobbiamo sapere con ragionevole certezza la soluzione. Chiedo quindi mandato alla Direzione per metterci al lavoro da domani con le altre forze politiche.

Il Secondo punto del percorso su cui ugualmente lavorare da domani è un UN PATTO DEI DEMOCRATICI E DEI PROGRESSISTI PER L’ITALIA.
E’ una proposta che propongo di avanzare non solo ai Partiti di un centrosinistra di Governo ma ad Associazioni, Movimenti, Liste Civiche, Sindaci e Amministratori, Singole personalità che si riconoscono nel campo democratico e progressista. Un Patto, e cioè una Carta di intenti PER LA RICOSTRUZIONE E IL CAMBIAMENTO che delinei una idea di Paese alternativa alle pulsioni regressive e populiste a cui l’Italia e l’Europa sono esposte. Una carta di intenti in cui possano riconoscersi le chiavi essenziali del nostro progetto (la legislatura costituente e la riforma delle istituzioni e della politica; il lavoro e la conoscenza, la loro centralità; l’equità, il civismo, la legalità).
Una carta di intenti che significhi per tutti una forte assunzione di responsabilità verso il Paese, verso la sua salvezza e le sue esigenze di cambiamento e di riforma e verso le speranze della nuova generazione. Quindi un passaggio non formale ma sostanziale che seguiremo assieme già dai prossimi giorni.

Terzo punto. Io credo che sia giusto ed utile che sulla scorta di questo fondamentale Patto si proceda entro l’anno a primarie aperte per la scelta del candidato dei Progressisti e dei Democratici italiani alla guida del Paese. Io mi candiderò, ma mi candiderò dentro a quel percorso e in una giornata di grande partecipazione costruita non per allestire generiche carovane o determinare questa o quella rendita di posizione ma per ricavare governabilità dalla partecipazione, per riconnettere politica e società, per mettere in movimento la forza dei progressisti e non lasciarla spettatrice di acrobazie altrui, spesso senza capo né coda; perché alla fine la democrazia è guardare la gente negli occhi e farla scegliere liberamente. Si dimostrerà che questo lo facciamo solo noi. O vogliamo forse disperdere un punto di forza, un punto distintivo così grande e così vero?

So di chiedere al mio Partito un atto di generosità e il coraggio di una sfida. Conosco bene le contraddizioni, i problemi che dovremo affrontare. Ma io ho sempre pensato che metterci al servizio di un processo più grande di noi non riduce né il ruolo né la forza del nostro Partito. Le accresce, semmai. Facciamo questo percorso con fiducia e sicurezza. La strada che abbiamo compiuto assieme dal Lingotto ad oggi ha avuto inciampi, problemi, difficoltà. Ma ci siamo. Siamo il principale Partito del Paese; siamo un Partito centrale, ma non nella geometria politica; siamo centrali nel rapporto fra politica e Paese. E’ questa la responsabilità da prenderci per essere davvero utili all’Italia.

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Segui lo storify dei lavori della Direzione

La Direzione del PD si è aperta questa mattina con un ricordo del terremoto in Emilia e una promessa di aiuto alle popolazioni.

“Voglio esprimere cordoglio per le vittime, consapevolezza per la gravita? dei danni anche all’identità di quei luoghi magnifici”, ha detto Bersani aprendo i lavori. “Esprimiamo anche la nostra ammirazione e il ringraziamento per tutti coloro che aiutano le popolazioni”, ha aggiunto il segretario, “noi ci sasremo sempre anche quando verranno meno i riflettori”.

Introducendo il suo intervento alla Direzione, il Segretario ha annunciato che la sua relazione “secondo una buona consuetudine” sarà messa ai voti della platea ed ha volto uno sguardo al panorama politico internazionale ed in particolare alla Siria.

“L’Italia deve fare di più per la crisi siriana. L’autocrate siriano sta massacrando la sua gente, l’opposizione è sempre più divisa, non si vede una via d’uscita: bisogna togliere le protezioni internazionali ad Assad, a cominciare da Russia e Cina. Se abbiamo voce in capitolo – ha detto il leader democratico – con quei paesi facciamola sentire con più forza”.

Per quanto riguarda la situazione interna al nostro Paese, Bersani ha espresso delle richieste chiare al governo Monti: “Su fiducia e equità bisogna che l’azione di governo si caratterizzi meglio. La situazione è difficile ma c’è bisogno di risposte immediate e di qualche segnale concreto, come pagamenti più veloci dalla P.A. alle imprese, la risoluzione della questione degli esodati e qualche margine per gli investimenti. Bisogna guardarsi dalla politica degli annunci. Non è più tempo di parole facili. C’è bisogno di risposte meditate e concrete”.

Il Segretario ha comunque ribadito lealtà al governo tecnico, ringraziando Monti e Napolitano per quanto stanno facendo, pur imputando a Monti un approccio un po’ ‘ragioneristico’ nella tenuta dei conti pubblici. Citando il Presidente della Repubblica la platea della Direzione del PD ha applaudito calorosamente.

“Per noi la legislatura si chiude nel 2013. Sappiamo che non è tutto nelle nostre mani e vediamo segnali di instabilità che però non vengono da noi. Se è vero che i conti devono tornare è anche vero che questo è possibile anche senza approcci ragionieristici che vedo troppo spesso”.

E sulla crisi europea, dalla quale non possiamo prescindere, Bersani ha lanciato una chiara richiesta: “Non c’è più tempo, bisogna che la Germania si muova e ci siano alcune decisioni. Al Consiglio Europeo di giugno si deve arrivare a qualche decisione. L’uscita della Grecia dall’euro non è pensabile, è un pensiero da apprendisti stregoni”.

Bersani ha poi analizzato la situazione contingente della politica italiana e il ruolo che il PD è chiamato a svolgere. “Tocca a noi prendere la guida della proposta politica per i prossimi anni, che vuol dire investire il consenso che abbiamo su un punto principale della questione, che è la faglia che si è aperta tra i cittadini e il sistema. Noi non staremo fermi, ci muoveremo, non lasceremo erodere il consenso che abbiamo, lo investiremo rischiando qualcosa come succede sempre per un investimento”.
E parlando della Lega ha fatto una battuta: “La Lega è al guinzaglio, come si è visto nelle ultime votazioni in Parlamento. Una volta almeno abbaiavano”.

Il Segretario ha quindi proposto “un centrosinistra di governo aperto ad un patto di legislatura con forze democratiche e civiche moderate. Un patto tra progressisti e moderati per ricostruire il Paese che non equivale certo a una ‘ammucchiata’. Noi non abbiamo nessuna guerra da fare ma a questo partito è consentito chiedere chi è e cosa vuole fare, che significa non limitarsi alle proposte sulla raccolta differenziata ma dire qualcosa di più preciso”, ha detto, riferendosi al Movimento 5 stelle di Beppe Grillo.
E a Di Pietro, il Segretario del PD ha detto: “Decida se vuole insultarci e attaccarci ogni giorno o fare l’accordo. Decida se vuole mancare di rispetto alle Istituzioni della Repubblica o fare l’accordo. Quelle cose assieme non possono stare. O l’una o l’altra”.

Primarie aperte entro l’anno per la scelta del candidato premier dei progressisti e dei democratici italiani. E’ l’altra proposta avanzata da Bersani che ha annunciato la sua candidatura ed un significativo rinnovamento della classe dirigente democratica.
“Abbiamo nuove forze da mettere in campo. Abbiamo forze per un rinnovamento vero. Questo mi fa dire che siamo nelle condizioni di mandare avanti persone nuove e sperimentate, e di mettere sulle loro spalle le responsabilità. Questo avverrà. Lo considero parte del mio compito. Non avverrà senza il presidio di esperienza maturate negli anni, ma detto questo, il rinnovamento avverra”, ha assicurato il leader democratico.

www.partitodemocratico.it

Stefano Bonaccini: «I gazebo? Prima si decida che Italia che vogliamo», di A.C.

Il segretario del Pd emiliano: «Sì al tetto dei tre mandati, bisogna rinnovare. Se resta il Porcellum noi faremo primarie per gli onorevoli». «Primarie per i parlamentari se resta il Porcellum, tetto di tre mandati per deputati e senatori, con pochissime eccezioni, no alle liste civiche». Stefano Bonaccini, segretario del Pd dell’Emilia Romagna, modenese, in queste ore è impegnato con l’emergenza terremoto e la visita del presidente Napolitano. «Da questi territori, dai nostri sindaci, arriva un esempio di dedizione, una spinta morale ed etica, un contributo di fiducia di cui tutta l’Italia ha bisogno», spiega. Oggi sarà alla direzione del Pd di Roma.
Dunque sceglierete le primarie…
«Prima di tutto mi interessa capire quale proposta Bersani farà rispetto all’idea di Paese che vogliamo mettere in campo. In questi anni abbiamo parlato troppo spesso di nomi e cognomi e troppo poco di cose e di idee. Nella confusione dei nomi, abbiamo rischiato di non rendere chiara la nostra proposta. Mi aspetto che Bersani parli di una nuova Italia, che ridia speranza alle troppe famiglie e imprese che non ce la fanno più, in una nuova Europa, unita anche nelle politiche fiscali e concentrata sulla crescita».
Dalla sua terra arrivano sostegni alla proposta di Fassina sulle elezioni anticipate. «Ho moltissima stima di Stefano, ma non avrei usato quelle parole. Abbiamo sostenuto Monti dicendo “prima di tutto l’Italia”, ora non dobbiamo dare l’impressione di voler mandare a casa il governo. Piuttosto, lavoriamo pancia a terra per costruire proposte utili al Paese, come la nuova legge elettorale e le riforme istituzionali. Il Pd deve avere su questi temi la stessa forza che abbiamo avuto sull’articolo 18: imporre l’agenda e pretendere che, a un certo punto, gli italiani capiscano chiaramentechièafavoreechino».
Quale legge elettorale?
«Il doppio turno alla francese sarebbe lo strumento migliore, ma temo che con questo Pdl non otterremo grandi risultati. Qui in Emilia-Romagna la direzione ha approvato la proposta di primarie per i parlamentari: oggi, per rispondere alla crisi della politica, è necessario mettere la scelta nelle mani di migliaia di nostri elettori».
Primarie di partito o di coalizione per il candidato premier?
«Ripeto: da Bersani mi aspetto che indichi quale Italia vuole e un appello alle forze migliori della società. A quel punto si possono anche fare per le primarie. Di coalizione? Benissimo, ma prima va chiarito il nostro progetto per il Paese, attorno a cui individuare gli alleati possibili. In questa fase non mi interessano le foto, di Vasto o meno, ma il progetto del Pd».
Ritiene utile la nascita di liste civiche alleate col Pd?
«È il Pd che, in nome del rinnovamento, deve aprire porte e finestre alla società, alle forze intellettuali, al mondo del lavoro. La lista del Pd deve diventare il perno di un nuovo centrosinistra, aperto a tutti coloro, partiti e movimenti, che vogliono prendersi l’impegno di ricostruire l’Italia lontano da ogni populismo».
È giusto rispettare rigorosamente il tetto dei tre mandati per i parlamentari? In Emilia intendete farlo?
«Lo statuto prevede tre mandati. Oggi c’è bisogno di un profondo rinnovamento delle classi dirigenti, e non è una questione solo anagrafica. Per questo credo che rispettare quel limite sia cosa buona e giusta. Poi qualche singola deroga si può accettare, ma solo se non diventa la norma».

l’Unità 08.06.12

"Bersani: alle urne nel 2013 col patto dei riformisti", di Simone Collini

La proposta di un patto dei riformisti per la ricostruzione del Paese, un appello a forze moderate, movimenti, associazioni, personalità del mondo della cultura e dell’impresa a scrivere insieme l’agenda con cui andare alle elezioni del 2013. Ma questo, nell’intervento con cui oggi Pier Luigi Bersani aprirà la Direzione del Pd, arriverà dopo un ragionamento suI ruolo dell’Europa nella gestione della crisi, dopo aver ribadito la lealtà nei confronti del governo Monti, che deve però approvare subito le misure necessarie a far ripartire l’economia italiana, dopo aver risposto ad Angelino Alfano sulla possibilità di approvare entro i prossimi venti giorni una nuova legge elettorale.

E in coda a tutto questo, e dopo aver anche ricordato che il Pd è «il perno» di ogni possibile alleanza di governo, arriverà la candidatura alla premiership, compresa l’apertura all’ipotesi di primarie aperte nel caso (auspicato) ci siano altri contendenti.

LEGGE ELETTORALE, SFIDA AL PDL
L’appuntamento di oggi, racconta chi ha letto l’intervento con cui il segretario aprirà il confronto col resto del gruppo dirigente del Pd, segnerà un importante punto di svolta. Perché Bersani lancerà un appello «largo» a forze progressiste ma anche moderate, a partiti ma anche associazioni, affinché stringano con i Democratici un «patto per la ricostruzione» che avrà come data di inizio la primavera 2013 e che dovrà poi essere mantenuto per l’intera prossima legislatura («che dovrà essere costituente»).

Ma anche perché – al di là dei ragionamenti sull’emergenza economica e su ciò che l’Europa e il nostro governo dovrebbero fare per superarla – Bersani chiederà ai vertici del suo partito un mandato forte a verificare la possibilità di approvare entro le prossime tre settimane una nuova legge elettorale.

Il leader dei Democratici vuole rispondere ad Alfano, che ha proposto «un accordo» per superare il Porcellum «entro il terzo venerdì dalla Direzione del Pd». Bersani sottolineerà che ogni confronto dovrà avvenire in Parlamento, che il Pd è per il doppio turno di collegio ma è disponibile a discutere altri modelli di voto, purché siano fissati precisi paletti: che sia assicurata agli elettori la facoltà di scegliere i parlamentari e che sia garantita la governabilità.

Ma la sfida al Pdl sarà duplice, perché da troppo tempo vanno in scena veti, tatticismi, diversivi: è il caso della proposta di approvare una riforma istituzionale che introduca il semipresidenzialismo, a cui far seguire poi una riforma elettorale che porti al doppio turno. Per Bersani non si può però cambiare forma di governo attraverso un emendamento, non ci sono le condizioni per modificare una ventina di articoli della Costituzione in pochi mesi.

Se nei giorni scorsi un gruppetto di senatori Pd (Marco Follini, Giorgio Tonini, Enrico Morando, Umberto Ranieri) aveva proposto di confrontarsi con la proposta di Berlusconi, Bersani oggi chiederà ai vertici del partito un pronunciamento che ponga fine a una simile discussione prima ancora che il dibattito in Aula entri nel vivo.

Se superare il Porcellum è d’obbligo, sarebbe però per Bersani un errore impegnare il Parlamento in un dibattito che non approderebbe a niente (mentre una riforma in chiave semipresidenzialista potrebbe essere affrontata con profitto nella prossima legislatura) e che distoglierebbe l’attenzione dai problemi reali. L’Italia è tutt’altro che uscita dalla crisi, e sarà soprattutto su questo che il leader del Pd insisterà nell’intervento con cui oggi aprirà i lavori della Direzione.

IL RUOLO DELL’EUROPA E MONTI
Il ragionamento partirà dal ruolo che può e deve avere l’Europa nella gestione della crisi e si concentrerà sulle proposte avanzate dai progressisti europei (dagli Eurobond alla tassazione sulle transazioni finanziarie), sulla necessità di prendere decisioni vincolanti al vertice di Bruxelles di fine mese e su ciò che il nostro governo può fare per lavorare insieme agli altri partner e convincere chi, come la Germania, ancora mostra resistenze a correggere la rotta.

Allo stesso Monti oggi Bersani chiederà di accelerare sulle misure necessarie a far ripartire l’economia italiana (politiche industriali ma anche deroghe al patto di stabilità interna con i Comuni) e di fare bene attenzione a non prendere decisioni che rischierebbero di favorire anziché contrastare la recessione (l’ipotesi di un aumento dell’Iva non viene affatto visto di buon occhio dal leader del Pd, che teme un ulteriore calo dei consumi se in autunno dovesse essere adottata una simile misura).

Al governo guidato da Monti, però, Bersani ribadirà l’assoluta lealtà del Pd. Perché con Monti ha siglato un «patto» a cui non intende venir meno. Ma anche perché nei prossimi mesi, con i rischi che corre l’Euro e quel che sta attraversando l’Unione, in primis con i casi della Grecia e della Spagna, l’Italia ha bisogno di «stabilità» e sarebbe un grave errore «accendere altri fuochi».

l’Unità 08.06.12

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Primarie, i dubbi e i sì «Ridiamo slancio al Pd», di Maria Zegarelli

«Ormai lo conosciamo bene, è fatto così. Ascolta tutti ma alla fine le decisioni le prende in solitaria», racconta un deputato mentre è in corso una riunione dei capigruppo sulla spinosissima questione del ddl anticorruzione. Pier Luigi Bersani, come anticipato da l’Unità, annuncerà le primarie di coalizione durante la direzione di oggi. Una decisione di cui ha parlato con tutti i dirigenti del Pd, l’ultimo incontro proprio ieri mattina con Rosy Bindi, il vice-segretario Enrico Letta e i capigruppo di Camera e Senato Dario Franceschini e Anna Finocchiaro. Tutti gli hanno sconsigliato le primarie di partito, compreso Massimo D’Alema, perché è stato il ragionamento comune a molti questo significherebbe aprire un congresso e un dibattito tutto interno «che verrebbe vissuto come un’astrazione dalla realtà», come ha raccontato un parlamentare di Areadem. Senza considerare il rischio di lotte interne che porterebbero alle politiche un partito lacerato. In pista, infatti, non è detto che scenderebbe soltanto Matteo Renzi, nessuno potrebbe escludere, in quel caso, «il tana libera tutti».
LA STRADA OBBLIGATA
«A questo punto le primarie di coalizione sono una strada obbligata ma anche un’opportunità vera per coinvolgere movimenti, società civile e nuove energie attorno a quella che si presenta come l’unica alternativa di governo», spiega un bersaniano doc. E questa è anche stata la valutazione del segretario: aprire il partito per la formazione del programma, con l’appello alle forze civiche, agli intellettuali, ai movimenti, ma anche con una consultazione vera per la premiership, «mettendoci la faccia», non nascondendosi dietro una norma statutaria e puntando ad una piena legittimazione.
Arturo Parisi, non si sbilancia, chiede se questo voglia dire aver rinunciato alla riforma della legge elettorale: «Voglio ascoltare con attenzione cosa dirà in direzione perché voglio capire quale è il percorso che immagina ma è chiaro che se sono di coalizione sono contento». Accanto a lui Nichi Vendola si informa: «Parlerà di primarie di coalizione? Bene, benissimo». Anche perché Sel in caso contrario le avrebbe comunque lanciate a prescindere dal Pd, fanno sapere i suoi.
Per D’Alema se ci sono primarie di coalizione il Pd il suo candidato lo ha già ed è Bersani, ma l’unica dichiarazione che concede è per smentire un suo colloquio con un giornalista di un quotidiano secondo il quale era contrario alla chiamata ai gazebo.
Il tema è bollente tra i democrat in Transatlantico. «Facciamo le primarie? Ok, facciamole, vince Bersani, ma se Renzi prende il 30% poi quando si fanno le liste come ci regoliamo?», ragiona un onorevole al telefono senza rendersi conto dei taccuini aperti dei cronisti dando corpo al fantasma che aleggia nei pensieri di quanti vivono come un incubo l’eventualità anche soltanto di una buona affermazione di Renzi. Che cosa farà il sindaco fiorentino, come si piazzerà, quanto bisogna temerlo, soprattutto dopo l’assist di Confindustria? Bersani il problema sembra non porselo, ma di sicuro questa accelerazione nasce anche dal fatto che non aveva alcuna intenzione di dover rincorrere il rottamatore sulle primarie. E se lo Statuto prevede che il segretario Pd sia il candidato alla premiership nelle consultazioni di coalizione Bersani intende non appellarsi alla norma statutaria, «saranno comunque aperte a chiunque intende candidarsi», ha ripetuto durante gli incontri riservati di questi giorni.
«Le anticipazioni di Bersani sono molto coraggiose», commenta Ettore Rosato. «Con Bersani ne ho parlato più volte racconta Fioroni gli ho detto che devono essere primarie di area progressista, anche perché adesso non possiamo definirle in altro modo dal momento che la coalizione ancora non c’è». Ma Fioroni si aspetta di sentire soprattutto altro oggi: «Spero che cisipongaladomanda-ecisiadiala risposta su cosa deve fare il governo da qui ad aprile perché ci sono delle scelte politiche che vanno fatte. Ma non possiamo neanche giocare sul semipresidenzialismo: il rischio è che alla fine al Pd resta in mano il cerino della legge elettorale. È importante anche su questo avere una posizione e decidere, ad esempio, che se il Pdl bloccherà la riforma del Porcellum, ci si batterà per reintrodurre almeno le preferenze».
IL PROFILO RIFORMISTA
Walter Verini si sofferma poco sulle primarie, «sono sempre positive e se le facciamo devono essere aperte, molto aperte», ma quello che gli sta a cuore è il progetto politico e il profilo riformista del suo partito. «Intanto dobbiamo discutere di come rafforzare l’azione del governo Monti e di come condurre in porto la legislatura dice, ma spero che si parli molto di Italia, che si lanci un appello a tutti i riformisti del Paese affinché con il Pd si possa costruire un programma di governo candidando proprio il nostro partito a guidare il cambiamento del Paese, compresa la radicale riforma della politica».
«Non ho mai nutrito particolare passione per le primarie ma le ritengono strumento utile. Però se le dobbiamo fare le facciamo una volta, dice l’ex ministro Cesare Damiano quando si capisce quale sarà la legge elettorale e si delineerà il quadro le alleanze. Ma ogni partito deve indicare non più di un candidato». Secondo Damiano sarebbe come sparare con un’arma spuntata se il Pd arriva alle primarie di coalizione con più candidati.
Circola già una data, il 14 ottobre, la fibrillazione è altissima, non tutti hanno gradito la notizia, c’è chi dice che adesso inizia «il suicidio assistito perché da qui ad allora non si parlerà d’altro che di Renzi, Vendola e primarie, mentre il Paese sta andando a fondo».

l’Unità 08.06.12

"L’Anpi: no al presidenzialismo, difendiamo la Carta", di Alessandro Rubenni

«La chiamiamo festa, ma è una iniziativa politica. E per farla abbiamo scelto un luogo che parla da sé, con un concentrato simbolico fortissimo», annuncia il presidente nazionale dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, Carlo Smuraglia. E di incontri e forum di carattere politico è ricco il programma della terza festa nazionale dell’Anpi, che quest’anno si svolgerà a Marzabotto dal 14 al 17 giugno. In quella terra di memoria dove in una settimana, nel ‘44, furono uccisi più di 700 civili, e dove da giovedì prossimo si attendono migliaia di persone, soprattutto tanti giovani, chiamati a raccolta intorno ai valori dell’antifascismo, della Costituzione e della democrazia.
«La memoria batte nel cuore del futuro» è infatti il titolo scelto come manifesto della festa, e non solo di questa. «Rafforzare la memoria insististe Carlo Smuraglia, che ieri a Roma ha presentato l’appuntamento insieme al sindaco di Marzabotto è un processo di grande attualità. La storia ci ha dimostrato come nelle fasi di crisi il distacco dalla politica possa sfociare nell’autoritarismo. Nei primi del Novecento fu la crisi economica e sociale a portare alle grandi dittature. E quello che sta succedendo oggi in Slovacchia, così come i rigurgiti neonazisti in Grecia, sono un campanello d’allarme».
Un tema, questo, che sarà al centro dell’appuntamento di Marzabotto con le iniziative organizzate per lanciare quella che l’Anpi vuole che diventi una grande campagna politica e culturale di contrasto ai rigurgiti di fascismo che si stanno manifestando anche nel nostro Paese. Questo insieme a una nuova riflessione su legalità e lotta alla mafia, affiancata alla richiesta di verità e giustizia per le vittime delle stragi nazifasciste in Italia. Con gli occhi puntati sull’udienza preliminare che si terrà il prossimo 15 giugno presso il tribunale militare di Roma per la strage di Cefalonia. Ben oltre 60 anni dopo.
«Migliaia di vittime ripete il presidente dell’Anpi non hanno ancora ottenuto giustizia, i procedimenti giudiziari sono stati bloccati dall’occultamento di documenti. Naturalmente è difficile pensare ormai che i risarcimenti possano essere individuali, ma noi continuiamo a chiediere giustizia e vorremmo che fossero utilizzati per progetti utili alla comunità, per corsi di formazione».
Ma la prossima quattro giorni (il programma è consultabile su www. festa.anpi.it) sarà anche l’occasione per parlare dei temi più attuali di politica interna. «Ultimamente in Parlamento c’è chi vuole il presidenzialismo e lo vuole far passare senza che nel Paese se ne parli o ci sia una vera discussione. A parte il fatto che in questo modo si sconvolgerebbe il nostro sistema, senza sapere bene come modificare i contrappesi costituzionali, ho l’impressione che più che altro questo sia un modo per non occuparsi della riforma elettorale. Noi non sentiamo l’esigenza del presidenzialismo, difendiamo l’architettura costruita attraverso la nostra Costituzione. Piuttosto occorre lavorare per cambiare il Porcellum», rilancia Smuraglia, che poi torna sulla data del 2 giugno e le polemiche annesse: «Parlamentari del Pdl propongono di accorpare la festività a quella del 25 aprile, ma è dimostrato come sia un luogo comune, usato in modo strumentale, dire che questo sarebbe utile all’economia. Mentre si tratta di festività sempre più sentite dalla gente».
Il sindaco di Marzabotto Romano Franchi, intanto, si prepara ad accogliere, dentro la festa, anche un incontro con diversi sindaci dei centri terremotati dell’Emilia.

l’Unità 08.06.12