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"Cosa c'è sotto l'Italia", di Mario Tozzi

Sotto la Pianura Padana, il luogo anche simbolicamente più tranquillo e produttivo del paese, non c’è un mostro e nemmeno un killer silenzioso e infido. Però là sotto si annida una realtà geologica che non rassicura e che, anzi, allarma cittadini e istituzioni. Successioni di rocce stratificate che giacciono piegate e spezzate al di sotto dei sedimenti sabbiosi del Po, un frammento avanzato del continente africano che si scontra con quello europeo da milioni di anni. Da questa collisione sono nati Alpi e Appennini, e da questa collisione derivano i fenomeni vulcanici del Sud Italia e, più o meno direttamente, i sismi dell’intero Paese. Conosciamo bene questa grande piega sotterranea allungata per decine di km in direzione Est-Ovest da Modena a Ravenna. È ben rappresentata nelle mappe e nelle sezioni geologiche e sappiamo che si trova attualmente in uno stato di stress attivo che ha già generato almeno tre rotture di rocce in punti diversi: Finale Emilia, Mirandola e Ravenna per semplificare. Purtroppo l’osservazione diretta di queste strutture geologiche non è possibile: non basterebbe un solo pozzo e il più profondo che gli uomini abbiano mai scavato arriva appena a 14 km, contro una fascia sismica terrestre che può toccare i 700 km di profondità.

Per questo è possibile fare una previsione del tempo e non una del terremoto: non riusciamo a guardare in faccia gli elementi che si scontrano in profondità e possiamo solo condurre deduzioni indirette, fondate su pochi dati del sottosuolo e sulla geologia di superficie. Non sappiamo perciò, e non possiamo sapere, quando la struttura accumulerà abbastanza tensione per rompersi ancora, ma sappiamo che lo farà prima o poi, perché quella tensione è in accumulo ed è quell’accumulo che ha generato la struttura stessa.

Sono i dati geologici a dircelo più che quelli sismologici: non si sono riscontrati, per intenderci, fenomeni eclatanti che potrebbero portare a una previsione o a un allarme: non si intorbidano le acque, non si sprigionano gas dal sottosuolo. Un dato che abbiamo (del Cnr) è che, dopo la scossa del 29 maggio, il suolo nell’area si è sollevato di 12 cm, anche se questo non vuol dire che si approssimi un sisma.

Non possiamo prevedere i terremoti, ripetono gli esperti come in un mantra, ed è vero; ma possiamo prestare attenzione al quadro geologico complessivo quando questo si è improvvisamente attivato dopo cinquecento anni, come è accaduto nel Ferrarese. Sappiamo che le scosse di replica si susseguiranno per settimane, che ce ne possono essere di magnitudo comparabile a quella iniziale e non possiamo escludere che un altro segmento di quella struttura sepolta si possa riattivare.

Quello che però meglio sappiamo è che una scossa che dovesse colpire ancora le zone in cui le strutture sono state così indebolite sarebbe estremamente più distruttiva della magnitudo che potrebbe sviluppare. E sappiamo che scosse che dovessero colpire il settore orientale dell’Emilia troverebbero quegli abitanti e quelle case impreparati come i cittadini di Finale o di Mirandola. Molte volte l’energia del sottosuolo si è accumulata per mesi e poi si è liberata asismicamente oppure si è cristallizzata: questa è la speranza.

La Stampa 09.06.12

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Errani con le maniche rimboccate. Straordinario quel commissario”, di Andrea CHiarini

Dal primo giorno il governatore si sta spendendo senza sosta sul fronte del terremoto. Messaggi chiari a tutti e la solidarietà sbandierata come ragione sociale dell’Emilia. Nelle ore più dure dell’angoscia e del dolore ha preso per mano la sua terra che continua a tremare, si è tolto la giacca rimboccandosi le maniche e ha cercato, sta cercando, ogni giorno, di rispondere alle richieste di aiuto della sua gente.
Vasco Errani, governatore dell’Emilia Romagna, di fatto era già commissario straordinario per la ricostruzione ben prima che gli arrivasse la nomina del consiglio dei ministri.

LA LETTERA “Questa terra rinascerà”

E’ stato sui luoghi del terremoto, prima con il premier Monti, poi con il responsabile della protezione civile Gabrielli, e ieri con il capo dello Stato Napolitano. S’è tolto la giacca e infilato la cerata, provando a tenere insieme tutto quello che, insieme agli umori vacillanti della gente, gli si sfrangiava intorno, dall’economia martoriata del biomedicale ai prodotti doc di questa sponda della Food Valley, il parmigiano reggiano rotolato giù dalle scansie e l’aceto balsamico uscito dalle crepe delle botticelle. E poi il lavoro di tessitura, necessario, a Roma, per ottenere le linee di credito e di fiducia per riavviarsi nel dopo-terremoto.

E ha già mandato segnali netti, Errani. Le cose da fare e quelle da non fare. “No alle new town”, ha subito avvertito chi, magari, nel business della ricostruzione già pensava a un bis dell’Aquila. Ha richiamato
i principi della legalità, assicurando “lo Stato è qui”, e in fondo dicendo che lo Stato siamo noi, tutti noi e adesso è il tempo per dimostrarlo. Una regione dove la solidarietà non è solo quella di questi giorni, è la ragione sociale di un modello, quello emiliano, che nonostante mostri segni di affaticamento resta un esempio per tutti.

Errani, al suo terzo mandato, stava mostrando un calo fisiologico. “Ormai è più a Roma che a Bologna”, dicevano alcuni. L’inchiesta che l’ha coinvolto, il caso Terremerse in Regione in cui è indagato il fratello cooperatore, al di là dell’esito giudiziario tuttora aperto, l’ha amareggiato, incupito. Stanchezza e decisioni difficili, i tagli necessari sulla via del rigore, le polemiche sui costi della politica regionale… Non sono stati certo mesi facili, ma nell’emergenza terremoto la macchina di viale Aldo Moro non ha avuto bisogno di rodaggio, si è messa subito in moto. Ed ecco, in rapida sequenza, il rapido censimento delle scuole, coi 50mila studenti sfollati, le riunioni con le categorie economiche per frenare la fuga delle aziende, l’esenzione del ticket sanitario e l’iniezione di 150 milioni di euro per pagare i fornitori/creditori delle Asl, una misura che aiuterà anche il biomedicale oggi in ginocchio. E poi l’attenzione al turismo balneare, che potrebbe subire contraccolpi mortali, perché se è vero che un pezzo di regione è ferito, l’altro continua a produrre, e questo va detto per non innescare pericolosi effetti domino, tali da produrre altri danni oltre a quelli già così evidenti.

Psicologicamente, dice Errani, i terremoti sono stati tre, le due grandi scosse del modenese e quella di mercoledì al largo di Ravenna. Ci sarà molto da lavorare. Ma se c’è una figura in grado di gestire i fondi che arriveranno, si parla di 2,4 miliardi, garantendo trasparenza, quello è Errani. Se c’è un amministratore credibile, poco televisivo e forse per ciò così efficace, quello è il governatore dell’Emilia Romagna, forse l’unico che il Pd possa oggi portare ad esempio, visto anche cosa sta succedendo, tra l’altro, in Lombardia con gli sviluppi dell’inchiesta su Penati. In queste settimane Errani è stato poco in tv e molto in giro, battendo i centri terremotati tra Modena, Reggio e Ferrara. E facendo quel che gli riesce meglio, il punto di riferimento per tutti – sindaci, sindacati, categorie economiche, istituzioni – , il punto decisionale in grado di mettere in campo azioni concrete ed efficaci.

Dopo, si dovrà aprire una riflessione sulle morti di lavoro di questo terremoto, perché come ha detto il ministro Fornero non possono crollare capannoni costruiti meno di dieci anni fa. Bisognerà adeguare con stime più prudenti le mappe dei rischi da sisma e soprattutto vigilare perché si costruisca in sicurezza e si metta in sicurezza l’esistente. Anche su questo aspetto non potrà essere che la Regione il motore dell’iniziativa, e sarà davvero l’ultima sfida del governatore nella fase conclusiva del suo terzo mandato.

La Repubblica/Bologna 09.06.12