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"Asili nido e assistenza, via al piano per la famiglia", di Alessandra Arachi

Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il piano nazionale per la famiglia. Non era mai successo, prima. È la prima volta che il nostro Paese si dota di un piano organico che punta specificatamente sulla famiglia come soggetto di investimenti. Andrea Riccardi, il ministro che in questo governo ha appunto la delega per la Famiglia, era molto soddisfatto. Anche se di soldi concreti per gli investimenti, in realtà, non ce ne sono poi granché, fino ad ora. Ci sono 81 milioni che arrivano proprio dal ministero di Riccardi e serviranno per gli asili nido e per l’assistenza domiciliare agli anziani. E poi ci sono altri 730 milioni, sempre destinati ai nidi e all’assistenza degli anziani, ma questi soldi sono riservati soltanto a quattro regioni del Sud Italia (Puglia, Sicilia, Calabria, Campania) perché sono i fondi europei riallocati grazie al piano di azione di Fabrizio Barca, ministro per la Coesione.
Sono tre le priorità fissate in questo piano approvato ieri: le famiglie con minori (in particolare quelle numerose); le famiglie con disabili o anziani non autosufficienti; le famiglie con disagi conclamati sia nella coppia, sia nelle relazioni genitori-figli. Ed è su queste linee guida che le quattro regioni coinvolte dal piano del ministro Barca si sono mosse: hanno distratto fondi europei da progetti rimasti soltanto sulla carta e li hanno spostati sugli asili nido (400 milioni in tutto) e sull’assistenza domiciliare agli anziani (330 milioni).
Questo è il concetto base del piano famiglia: le amministrazioni pubbliche (locali o centrali che siano) devono orientarsi sui criteri proposti nelle linee guida. Che spaziano dall’equità economica (fiscalità generale, tributi locali, revisione dell’Isee) alle politiche abitative, al lavoro di cura familiare, al privato sociale e reti associative familiari, ai sostegni alle famiglie immigrate, ai servizi consultoriali e di informazione, alle pari opportunità e conciliazione tra famiglia e lavoro.
«Questo piano è un traguardo importante perché ribadisce la centralità e l’importanza dell’istituto familiare», ha detto il ministro Riccardi. E ha aggiunto: «Il piano contiene le linee di indirizzo omogenee in materia di politiche familiari attraverso una strategia che supera la logica degli interventi disorganici e frammentari avuti sino ad oggi». La qualità degli interventi, va da sé, dipenderà dalla quantità di finanziamenti che si riuscirà a portare concretamente dentro questo piano, un plico di oltre trecento pagine che per molto tempo girava nelle stanze di Palazzo Chigi.
Ci avevano già provato il ministro del governo Prodi Rosi Bindi e, soprattutto, quello del governo Berlusconi Carlo Giovanardi. Ma la bozza del piano famiglia non era mai riuscita a superare lo scoglio della conferenza unificata Stato-Regioni. Ieri , invece, il via libera di Palazzo Chigi.
Adesso, però, bisognerà vedere se supererà lo scoglio dei sindacati. Severo e immediato è arrivato il giudizio della Cgil, per bocca del segretario confederale Vera Lamonica: «Questo piano è un manifesto ideologico e in più senza soldi. Per sussidiarietà familiare si intende che tutto il peso della cura andrebbe a carico della famiglia e cioè delle donne e si realizzerebbe un altro pesante arretramento nella responsabilità pubblica».
Ben più conciliante il giudizio dell’Ugl. «Il piano approvato oggi è uno strumento importante», ha detto Loretta Civili, responsabile per il Dipartimento della Famiglia. Ma poi ha aggiunto. «Aspettiamo comunque che il governo convochi i sindacati per l’attuazione concreta del piano».

Il Corriere della Sera 08.06.12

Terremoto, individuati fondi per 210 milioni: “Destinarli all'Emilia-Romagna”

I deputati del PD dell’Emilia-Romagna chiedono che queste risorse, ripartite tra Camera e Senato, siano destinate ai territori della nostra regione colpiti da sisma e calamità naturali. Ammontano a 210 milioni di euro, ripartiti tra Camera e Senato, le risorse che i deputati emiliano-romagnoli del Partito Democratico hanno individuato su due diversi fondi.
I parlamentari PD hanno già avanzato richiesta alle commissioni competenti affinché questa cifra sia immediatamente destinata ai territori emiliano-romagnoli colpiti dal sisma e da calamità naturali.
Una parte delle risorse è stata individuata nel “Fondo per interventi urgenti finalizzati al riequilibrio socio-economico compresi interventi di messa in sicurezza del territorio” (la cosiddetta Legge Mancia). Da questo Fondo si possono recuperare 100 milioni di euro da destinare agli interventi di ricostruzione o di messa in sicurezza degli edifici danneggiati.
Altri 50 milioni di euro sono recuperabili dal “Fondo per la tutela dell’ambiente e per la promozione del territorio”. A questa somma si aggiungono 60 milioni di arretrati sullo stesso capitolo di spesa. In questo modo si giunge ad un ammontare complessivo di 210 milioni di risorse che i deputati dell’Emilia-Romagna chiedono di mettere a disposizione con effetto immediato per i primi necessari interventi nei territori drammaticamente colpiti dal sisma e dalle calamità naturali. “Il nostro impegno – affermano i deputati PD – sarà massimo affinché la nostra richiesta vada a buon fine. Saremo nelle commissioni competenti a fare il nostro dovere per rispondere alle esigenze e ai bisogni della nostra gente, delle nostre aziende e – concludono – a sostenere i sindaci e gli amministratori nel loro difficile compito”.

Sisma, Napolitano: «Lo Stato è qui darò la sveglia a chi vi dimentica»

«L’Italia della solidarietà, del volontariato è l’italia migliore», afferma il Capo dello Stato incontrando nella tendopoli di Mirandola i volontari della protezione civile e gli sfollati del terremoto della scorsa settimana. Napolitano già in mattinata, incontrando a Bologna gli amministratori delle tre regioni colpite dal sisma (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) aveva sottolineato con forza: «Lo Stato è qui, ed è all’opera per fare la sua parte».

NELLA TENDOPOLI DI MIRANDOLA
A Mirandola Napolitano ricorda di esser stato la settimana scorsa in Friuli Venezia Giulia, nelle zone colpite dal terremoto nel 1976. In quella occasione, racconta Napolitano, «ho visto in tv cosa era Gemona dopo il sisma e ho visto cosa è adesso. Questo – dice con la voce rotta dalla commozione – deve essere un grande incoraggiamento per voi. Si è rialzato in piedi il Friuli Venezia Giulia, si rialzerà l’Emilia-Romagna a cominciare da Mirandola. Non ho dubbi – aggiunge Napolitano -. Siete gente forte».

Il Capo dello Stato torna poi sul decreto a favore delle zone terermotate firmato ieri sera. Con la voce ancora una volta commossa il presidente della Repubblica racconta che lo ha firmato ieri sera perchè «non potevo venire se non avevo il decreto in mano. E in questo decreto – aggiunge – c’è molto lo zampino del presidente Errani. E’ un decreto – spiega ancora – scritto con la massima attenzione per esigenze vere e il governo si è mostrato molto pronto e sensibile, nonostante le ristrettezze finanziarie». Insomma, prosegue nel suo ragionamento, «si cercherà di fare l’indispensabile per superare questa fase critica».

«VI RIALZERETE CON LE VOSTRE FABBRICHE»
Napolitano torna ancora indietro con i ricordi. «Erano passate poche ore dal terremoto in Umbria ed io ero allora ministro degli Interni con la delega alla Protezione civile», racconta il presidente della Repubblica ricordando come «sembrasse la fine della basilica di San Francesco d’Assisi. Sono riusciti a rialzare quella basilica. Anche nel duomo di Gemona ho visto colonne che si sono rialzate. Voi – dice ancora una volta commosso – vi rialzerete con le vostre fabbriche, con le vostre case».

In mattinata Napolitano aveva sottolineato, fra l’altro, «il ruolo speciale costituito dai sindaci dei comuni terremotati. Sindaci che sostituiscono i pilastri dell’edificio costituzionale e che possono dare il contributo essenziale al momento drammatico che state vivendo».

QUALCHE FISCHIO ISOLATO
Piccola contestazione all’uscita del presidente della Repubblica dalla tendopoli di Mirandola con dieci-quindici esponenti di gruppi dei centri sociali che hanno fischiato le personalità alla loro uscita dall’incontro con i volontari della Protezione civile. I fischi e alcuni cartelli inneggianti a proteste contro il sistema bancario sembravano comunque essere rivolti più nei confronti del sindaco di Mirandola Maino Benatti che al Capo dello Stato

unita.it

"Terremoto, altre scosse nella notte. Oggi Napolitano in Emilia Romagna", di Deborah Dirani

Nella notte che precede l’arrivo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in Emilia la terra ha tremato ancora 8 volte. La scossa più forte, 3.2 gradi della scala Richter per 8.5 chilometri di profondità e con epicentro tra Rolo, Novi, San Possidonio, Concordia sulla Secchia e Moglia è stata registrata alle 3.47. Nessun danno a cose o persone, se non l’aggravarsi, almeno dal punto di vista psicologico dell’angoscia di chi dal 20 o dal 29 maggio ha perso tutto e vive uno stato di continua allerta. A tentare di rincuorare, o almeno a manifestare la propria vicinanza agli sfollati, sarà il presidente Napolitano che dopo un incontro alle 12 con i presidenti delle Regioni interessate dal sisma, Vasco Errani per l’Emilia, Roberto Formigoni per la Lombardia e Luca Zaia per il Veneto, incontrerà nel pomeriggio i terremotati.

Alle 16 il capo dello Stato dovrebbe essere a Mirandola dove, prima, verrà accompagnato nella Zona Rossa, quindi alla tendopoli che si trova davanti alla biblioteca (ora sede del municipio). Il giro per l’area colpita proseguirà poi con le tappe a Cento e Sant’Agostino, nel ferrarese. Alle 19 infine Napolitano si riunirà a Crevalcore con sindacati e associazioni di categoria per parlare di danni al tessuto imprenditoriale, ma anche di futuro e di ricostruzione. Un futuro che, oggettivamente, per chi vive qui e continua a sentirsi ballare la terra sotto i piedi sembra lontanissimo e, per molti aspetti, insondabile. E questo nonostante qualche segnale, seppure piccolo, di ripresa della quotidianità sembra arrivare. La Ceramica Sant’Agostino, azienda in cui durante il sisma della notte del 20 maggio persero la vita due operai turnisti, ieri ha fatto sapere di avere ripreso la consegna degli ordinativi, che continuano ad arrivare.

dal Sole 24 Ore 07.06.12

"Ci giochiamo la credibilità", di Giorgio Merlo

Diciamocelo sottovoce ma con franchezza. I sondaggi danno il Pd in crescita – malgrado le difficoltà e le contraddizioni del momento – e, paradossalmente, all’interno del partito, non manca chi lavora per offuscarne l’immagine. Prima c’è chi invoca, di nuovo e per l’ennesima volta, la necessità di andare subito al voto e cacciare al più presto Monti. Non si sa se per arrivare prima al parlamento – ovviamente da parte del proponente – o per una reale esigenza del paese. Poi c’è chi sottolinea, altrettanto stupidamente, che il Pd è un partito “aperto”, e quindi “contendibile” e quindi “scalabile”.
Tradotto per i non addetti ai lavori: un partito che si può distruggere da subito. Anzi quasi si auspica questa soluzione. Infine ci sono coloro che, attraverso la famosa e ormai indecifrabile parola “modernizzazione”, attaccano a giorni alterni il gruppo dirigente, in particolare il segretario, reo di non parlare solo di primarie, democrazia partecipata ecc. ecc.
Insomma, un modo come un altro per indebolire indirettamente il Pd ed esporlo quotidianamente al linciaggio mediatico da parte dei professionisti del nuovismo. Ormai in costante crescita e sempre propensi, come accade puntualmente in Italia, ad andare in soccorso del potenziale vincitore. Ieri Berlusconi, oggi Grillo.
Ma, per fermarsi al Pd, forse è giunto il momento di richiamare alcuni paletti che sono e restano fondamentali se si vuole percorrere la strada di un partito che punta a governare il paese dopo l’archiviazione di una lunga ed anomala stagione politica, quella dominata dal berlusconismo appunto. Innanzitutto, senza una profonda unità del partito – di questo partito – ogni altra ipotesi per ridare credibilità alla politica, dignità ai partiti e rilevanza a chi governa è nuovamente destinata a cadere nel vuoto creando ulteriore disillusione e distacco con la cosiddetta opinione pubblica. Del resto, l’unità del partito non è la riproposizione di un rinnovato centralismo democratico né la scimmiottatura dei partiti a sfondo padronale e piegati ai voleri e ai desideri del guru, del comico e o del capo indiscusso di turno. Che si tatti di Berlusconi, o di Grillo, o di Vendola o di Di Pietro poco importa.
Il profilo è sempre quello e le concrete modalità di comportamento sono sempre le stesse. Cioè, chi dissente pubblicamente viene emarginato se non cacciato e chi mette in discussione la leadership è invitato a farsi da parte. No, l’unità del partito è, molto più semplicemente, la capacità di ricondurre a sintesi il confronto aperto che avviene nel partito e senza esporlo quotidianamente ad uno stillicidio di dichiarazioni e di prese di posizione l’una in contrasto con l’altra e sempre tese, purtroppo, a indebolire la credibilità e l’autorevolezza del gruppo dirigente.
In secondo luogo è persino patetico il tentativo di inseguire, e di cavalcare, tutte le parole d’ordine demagogiche e populiste che serpeggiano nella società. Come se, per apparire più moderni e più nuovi degli altri, ci sia l’eterno bisogno di contestare e di “processare” tutto ciò che appartiene al passato. Anche se recente. Dimenticando il detto del vecchio Nenni che «c’è sempre un puro più puro che ti epura ». E, oltretutto, che un partito di governo che si piega supinamente al vento della demagogia e della irresponsabilità è destinato, prima o poi, a manifestare la sua radicale inadeguatezza a svolgere proprio quel ruolo di governo del paese che pubblicamente rivendica.
In ultimo luogo, è bene ricordare che la “pluralità” del Partito democratico non può trasformarsi in quello che comunemente viene definito come un “casino”. La “pluralità” era e resta una specificità di questo progetto politico e va conservata come una ricchezza culturale che ha contribuito a dar vita ad un partito superando vecchi steccati e ormai vecchie ed antiquate contrapposizioni. Ma se questa si trasforma in una permanente e costante radicalizzazione di posizioni, oltre ad offrire una immagine confusa e perdente si consolida la convinzione che quel partito, cioè il Pd, è di fatto incapace a reggere l’urto del governo e della sintesi progettuale.
Ecco perché in questi mesi, proprio in questi mesi, si gioca la capacità di questo grande partito popolare, democratico e interclassista di confermarsi anche come un autentico partito di governo. Non in balia degli eventi ma capace, semmai, di leggere gli eventi e di saperli governare. Senza demagogia e senza avventurismi.

da Europa Quotidiano 07.06.12