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"Dimezzato il decreto Profumo", di Mariagrazia Gerina"

Misure urgenti solo per far ripartire i concorsi universitari . Sul merito il governo pensa a un disegno di legge che riapra il confronto dentro e fuori il Parlamento. Indignato: «Non meritiamo il decreto Profumo». O anche, altrimenti propositivo: «Ce lo meritiamo tutti: il diritto allo studio». Gli studenti gli slogan per scendere in piazza li hanno già preparati. L’idea che il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo intenda promuovere «lo studente dell’anno» o la carta «IoMerito» ha subito acceso la loro fantasia. Il punto è se e quando l’oggetto delle loro annunciate contestazioni approderà a Palazzo Chigi. E come. Il Consiglio dei ministri che si sarebbe dovuto tenere oggi è stato anticipato a ieri sera. Ma di misure per promuovere il «merito» nella scuola, nell’università e nella ricerca non si è discusso. Il gran giorno è ancora una volta rinviato. Potrebbe essere venerdì. Forse. Il fatto è che, nel frattempo, quella che da alcuni era già stata battezzata «riforma Profumo» di ora in ora assomiglia sempre più a un rebus di difficile soluzione. La via d’uscita potrebbe essere «spacchettare» quanto era già pronto per essere infiocchettato in un unico decreto. Da una parte, dunque, su un binario più rapido, le misure davvero «urgenti». Quelle che riguardano l’università: ovvero, le norme per far ripartire i concorsi e bandire l’abilitazione nazionale. Misure assai concrete per sbloccare gli ingranaggi ancora fermi a un anno e mezzo dall’approvazione della riforma Gelmini. Dall’altra parte, invece, il cuore «ideologico» del pacchetto preparato a viale Trastevere. Ovvero le misure studiate per promuovere il merito. E dunque, appunto, lo studente dell’anno, le olimpiadi di matematica e di filosofia, la carta di credito «IoMerito», i fondi alle scuole più meritevoli. Ecco, questa parte del provvedimento preparato a viale Trastevere potrebbe essere sospinta su un altro binario. Quello di un disegno di legge, più aperto ad eventuali modifiche e a far nascere un dibattito dentro e fuori il parlamento. Come chiede anche la Flc Cgil che suggerisce al ministro di «aprire una discussione, senza forzature di sorta». Gli estremi del dibattito sono già fissati. Da una parte, il governo dice: merito. Dall’altra la Cgil invoca: non c’è merito senza equità. E respinge «l’idea che la sfida che abbiamo davanti come paese la si vince attraverso una mera competizione individuale». Così scrive il segretario della Flc Cgil Domenico Pantaleo, rispondendo alla lettera che Profumo aveva inviato l’altro ieri ai sindacati. Inclusività e valorizzazione delle capacità individuali devono stare insieme, ribadisce il sindacato della scuola e dell’università. E se il ministro promette premi agli studenti che si impegneranno di più, le organizzazioni studentesche (oltre che i sindacati) rispondono invocando: «Più investimenti sul diritto allo studio ». Il provvedimento che hanno letto sui giornali – chiosano in un comunicato gli studenti della Rete della conoscenza – «è profondamente ideologico e privo di contenuti reali». E chiedono una «netta inversione di tendenza». Il Pd , in realtà, ha già preparato una proposta per aumentare le borse di studio e aggiungere dei prestiti d’onore, a costo zero per le casse dello Stato. Apprezzata ma non ancora raccolta dal ministro. Mentre il dibattito sul merito proseuge, però – questa sembra l’intenzione del governo – le norme tecniche per far partire l’abilitazione nazionale e i concorsi potrebbero da subito essere approvate sotto forma di decreto legge. Forse già venerdì prossimo. Il condizionale è d’obbligo. Perché anche su come far ripartire i concorsi universitari l’accordo è tutt’altro che scontato. Ripristinata l’abilitazione nazionale, che stava particolarmente a cuore all’ex ministro Gelmini e al Pdl, resta da capire come verrà bandita e come verranno gestiti poi i concorsi per i candidati. L’idea che sta prendendo corpo in queste ore a viale Trastevere è far coincidere il più possibile il momento della verifica per l’abilitazione che spetterà alle varie commissioni nazionali divise per ambiti disciplinari e la fase dei concorsi veri e propri, che dovrebbero essere gestiti dalle stesse commissioni. Soluzione che richiama molto da vicino l’idea di ritornare al concorso nazionale. E che troverebbe contrario il Pd. Il confronto, per ora, è ancora aperto. Ma i tempi sono stretti. Tanto più se il governo resterà fermo nel proposito di procedere almeno su questo punto per decreto, già venerdì prossimo.

l’Unità 06.06.12

"Un contratto per le donne", di Massimo Franchi

L’organizzazione con al vertice più donne discute di politiche di genere. La due giorni Cgil “Le donne cambiano…” è partita ieri in un teatro Capranica di Roma gremito e attento e si concluderà oggi con l’intervento di Susanna Camusso. Un appuntamento che torna a tre anni dall’ultima assemblea delle donne e fa i conti con una situazione molto peggiorata. La Cgil, punta avanzata nelle rivendicazioni sulla parità, si interroga e rilancia dopo che la crisi ha fatto arretrare la rappresentanza delle donne nel lavoro. Una crisi che ha colpito forte con le ristrutturazioni che, come ricorda con autocritica Valeria Fedeli, ha visto anche «il sindacato sostenere che era legittimo lasciare a casa prima le donne perché a casa hanno un altro lavoro». In Cgil sono tre le categorie dove il numero di iscritti donne supera quello degli uomini: Flc (scuola), Filcams (commercio) eFp (pubblico). Maschi in minoranza anche tra i pensionati (le donne sono 503mila pari al 52,8%). Insomma protagoniste ai vertici e alla base con i tanti interventi di delegate di ogni settore che raccontano la «quotidiana fatica» di conciliare lavoro, famiglia e attività sindacale. «CAMBIARECONICONTRATTI» Dopo le note de “La ballata di Lea”, il canto su Lea Garofalo, uccisa e sciolta nell’acido dall’ex compagno boss della ‘ndrangheta, ad aprire la due giorni è stata la relazione di Serena Sorrentino, donna più giovane della segreteria dove accanto a Susanna Camusso ne siedono altre due (Vera Lamonica e la new entry Elena Lattuada). Il suo intervento è un lucido spaccato della situazione del lavoro al femminile: «debole, povero e precario ». «La parità oggi è un illusione – attacca Sorrentino – . Ma vogliamo raccogliere la sfida di creare, a partire dei contratti, un cambiamento alle politiche di genere ». Per le aziende infatti il problema può essere affrontato «solo col welfare family friendly con interventi sugli orari e il part-time», mentre dalla Cgil arriva un forte «No al welfare familistico e al quoziente familiare che lascia le donne a casa e premia solo le famiglie ricche». E davanti ad «un ciclo del lavoro che costringe le donne precarie a diventare madri più tardi», Sorrentino propone misure concrete di cambiamento: «Chiediamo che il congedo parentale sia coperto almeno al 30 per cento da uno dei due genitori con il 100 per cento di copertura di stipendio». In più «la contrattazione può, da questo punto di vista, svolgere un ruolo centrale. Facciamo un lavoro importante nella contrattazione difensiva – ha continuato -ma vorremmo provare ad esercitarci anche in aspetti innovativi: intervenendo sull’organizzazione aziendale per debellare realmente la separazione sessuale del lavoro e la segregazione professionale ». Nella controparte principale del sindacato, il governo, è proprio una donna a ricoprire un ruolo decisivo. Ma è «inaccettabile come Fornero rappresenta i lavoratori pubblici: di donne ministro così ne faccio volentieri a meno», attacca Rossana Dettori. Poi il segretario generale Fp ha ricordato, in uno degli interventi più applauditi, come «sia necessario anche all’interno del sindacato un modello che garantisca la compatibilità al femminile». E se Sorrentino ha chiuso il suo intervento dicendo: «Cambiare si può e cambiare si deve», Valeria Fedeli concorda, ma mette una auto-condizione: «Le donne possono cambiare la società se lo fanno insieme, con la frammentazione non possiamo essere un soggetto di cambiamento »

l’Unità 06.06.12

"Sulla sicurezza non si tratta", di Luigi Mariucci

L’azienda che chiede ai propri dipendenti di firmare una cosiddetta «liberatoria» al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità penale e civile in caso di nuovi sismi compie certamente un atto ignobile. Con una aggravante: quell’atto oltre che indecente è per di più inutile, perché in nessun modo un lavoratore può disporre della sua vita e della sua sicurezza. Sarebbe come se a un dipendente si chiedesse la disponibilità ad utilizzare sostanze palesemente nocive, come l’amianto. La sicurezza del lavoro non è ovviamente disponibile con atti negoziali privati. Pare tuttavia che questo sia accaduto in alcune aziende delle zone colpite dal terremoto in Emilia Romagna. Non c’è ragione di dubitarne, perché la denuncia viene da una persona seria, componente della segreteria regionale della Cgil. C’è da domandarsi come si sia potuti arrivare a un atto così palesemente insensato. Sono le aziende che vogliono imporre ai dipendenti la ripresa a tutti i costi del lavoro, o sono gli stessi lavoratori che sono ansiosi di tornare a lavorare, di riprendere la vita normale? Tornare alla normalità, riprendere il lavoro, ricostruire anzitutto le aziende e le attività produttive sono impulsi giusti, sacrosanti. È evidente infatti che in quel cuore produttivo emiliano ad altissima qualità, investito dal sisma, la priorità assoluta consiste nel fare ripartire il lavoro. È strano come nelle catastrofi si veda meglio ciò che fonda il tessuto connettivo di una società: il lavoro, anzitutto, la capacità di guadagnarsi da vivere lavorando, poiché il lavoro è lo strumento principale della integrazione sociale, del senso di sé come individuo legato ad una collettività. Tuttavia tra questa esigenza primaria (il lavoro) e l’altra (la sicurezza del lavoro) talora si aprono contraddizioni drammatiche. Di questo è carica la storia dell’industrialismo, dai suoi albori ai nostri giorni. Basti pensare a cosa succede a Taranto, attorno all’Ilva: metà popolazione vuole la chiusura dello stabilimento inquinante, l’altra metà lo difende essendo la sua esistenza condizione di vita. Perciò le indecenti quanto inutili «liberatorie » costituiscono certo un grave incidente, da rimuovere subito, che non fa giustizia al sentimento di solidarietà che prevale in quelle situazioni e che sarà la forza vera della rinascita, ma ci raccontano anche qualcosa di più profondo. Ci dicono quanto sia difficile mettere in equilibrio i diritti delle persone che lavorano e le esigenze materiali, del mercato, della competitività, del produttivismo. Fantasticare di scenari alternativi (dalle teorie della decrescita a quelle sui modelli alternativi di sviluppo) è facile. Tutt’altra cosa è agire nel concreto, qui e oggi. Il terremoto dell’Emilia costituisce quindi uno straordinario paradigma della complessiva vicenda dell’Italia di oggi. Si tratta di far fronte alla emergenza, di rassicurare le popolazioni, di assisterle, di favorire la loro voglia di ricostruzione. Ma al tempo stesso di fare intendere che qualcosa, nella struttura del mondo in cui viviamo, non va. Non può essere che siano le dinamiche del mercato a dettare le leggi. Che la politica sia intesa solo come esecutrice di questi leggi oppure come terreno di scorribanda per demagoghi e avventurieri. Il lavoro serio e lungo per la rinascita di quel cuore produttivo dell’Emilia-Romagna distrutto dal terremoto costituirà la prova più vera di cosa significano la buona politica e la buona amministrazione, molto di più di ogni di ogni vano discorso sulla riforma, in astratto, della politica.

l’Unità 06.06.12

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Sisma, le aziende agli operai «Una liberatoria per lavorare», di Michele Concina

Potete tornare a lavorare, ma a vostro rischio e pericolo. Se vi fate male o peggio, voi e le vostre famiglie non potete chiedere nulla all’azienda. Variamente attenuato, è questo il messaggio che alcune aziende della zona terremotata hanno indirizzato ai loro dipendenti, chiedendo una «liberatoria» come condizione per il rientro in fabbrica. Episodi limitati, tuttavia: a bloccare sul nascere ogni eventuale voglia d’imitazione è arrivato l’altolà non solo della Cgil e dei partiti di sinistra, ma dello stesso presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi.
L’unico caso documentato riguarda un’azienda di abbigliamento di Carpi, la Forme Physique di Paola Zerbini. Altre, non meglio precisate, avrebbero rinunciato a imitarla di fronte al fuoco di sbarramento che si è subito scatenato. La Cgil, parlando di «irresponsabilità e indecenza», ha prospettato denunce in Procura. Paolo Ferrero, leader di Rifondazione, ha gridato ai «delinquenti». Italia dei valori ha accusato gli imprenditori di «sciacallaggio»; Cesare Damiano, Pd, ex ministro del Lavoro, di «barbarie». E Squinzi, a chi gli chiedeva se la Confindustria condanna la richiesta di liberatorie, ha risposto: «Certamente. Ho sempre detto che bisogna ripartire, ma in sicurezza».
Senza arrivare alle scorciatoie imboccate da quelli della Forme Physique, molti imprenditori emiliani continuano a polemizzare sull’ordinanza del 2 giugno della Protezione civile riguardante la sicurezza dei capannoni. Secondo Carlo Alberto Roncarati, presidente dell’unione regionale delle camere di commercio, senza modifiche l’ordinanza «non lascerebbe scampo alle attività economiche che, quasi tutte, si svolgono in immobili costruiti prima dell’entrata in vigore delle attuali normative». Vale a dire, in capannoni che sarebbe impossibile, oppure costosissimo e lungo, adeguare alle leggi antisismiche.
Una spinta alla ripresa, in particolare delle aziende del distretto biomedicale di Mirandola, potrebbe venire dall’incasso dei vasti e annosi crediti che vantano nei confronti della clientela, cioè delle Asl. Sono 5-600 milioni, calcola Stefano Rimondi, presidente di Assobiomedica. Qualcosa si sta muovendo, su questo fronte: gli ospedali di Catania e Messina si sono impegnati ad accelerare i pagamenti.
Un’altra tentazione potrebbe essere quella di chiudere bottega, spostare altrove la produzione. Per arginarla, la Regione ha avvertito che «tutti i contributi europei, nazionali, regionali e locali saranno concessi esclusivamente alle imprese che confermeranno la loro permanenza sul territorio». Rimondi, di Assobiomedica, ha promesso: al massimo ci sposteremo di qualche chilometro, conservando gli stessi dipendenti. Da oggi è su Internet un primo elenco di capannoni in provincia di Modena liberi e utilizzabili per questa specie di mini-delocalizzazione.
Fra tanti che aiutano, ci sono i cantanti: il 25 giugno si esibiranno per i terremotati Francesco Guccini, Zucchero, Samuele Bersani, Laura Pausini, Gianni Morandi, Luca Carboni, gli Stadio, Cesare Cremonini. Salta agli occhi un’assenza, quella di Vasco Rossi: «Penso che la beneficenza si debba fare tirando fuori i soldi dal proprio portafoglio, senza troppa pubblicità», ha spiegato.
Ma, mentre l’elenco delle vittime si allunga -ieri sono morte due donne, portandolo il totale a 26- c’è anche chi cerca di approfittare delle disgrazie dell’Emilia. Le due maggiori organizzazioni degli agricoltori, Coldiretti e Cia, denunciano tentativi di comprare a prezzi ignobili il parmigiano dei magazzini crollati. E il Codacons, un’associazione di consumatori, in un esposto alle procure di Bologna, Modena e Ferrara, chiede d’indagare su tutti i fenomeni di speculazione riguardanti il settore agro-alimentare.

Il Messaggero 06.06.12

"La preside che cerca i registri fra le macerie. Per gli scrutini", di Giusi Fasano

I miei bambini uscivano ciascuno con la mano sulla spalla del compagno davanti, come avevano imparato nelle esercitazioni… beh, mi sono emozionata. Ci sono giornate da incorniciare nonostante il terremoto, Rossella Garuti l’ha imparato dopo la scossa del 29 maggio. Cinquantotto anni, preside dell’Istituto Comprensivo Renzo Gasparini di Novi di Modena, lei dirige sei scuole fra infanzia, elementari e medie. Il primo giorno in cornice è per quello che ha visto settimana scorsa mentre la terra tremava: «I miei bambini uscivano ciascuno con la mano sulla spalla del compagno davanti, come avevano imparato nelle esercitazioni… beh, mi sono emozionata». Le altre sono per ogni giorno speso nella sua «missione»: recuperare registri, pagelle, verbali dei consigli di classe. Tutto indispensabile per gli scrutini dei suoi alunni (1.103, fra i bimbi dell’infanzia, le elementari e le medie).
Due giorni fa, mentre il cielo rovesciava secchiate d’acqua sulle vite sospese dei terremotati, gli occhi della preside planavano su banchi rovesciati e armadietti abbattuti, su macerie e crepe nei muri di uno dei suoi Istituti. Ieri i vigili del fuoco l’hanno fermata davanti a un’altra scuola (troppo lesionata per lasciarla entrare) e sono andati loro a recuperare gli ultimi documenti che la dirigente scolastica desiderava tanto riavere. «Ecco, adesso c’è tutto il necessario», ha tirato un sospiro di sollievo caricando in macchina l’anno scolastico di centinaia di ragazzini. «Vabbé che siamo terremotati ma siamo in piedi e non saranno le macerie a fermarci». Missione riuscita. E che soddisfazione impilare le cartellette piene di pagelle nelle vecchie cassette per la frutta: cartelle verdi per l’elementare di Novi, gialle per le elementari di Rovereto sulla Secchia (la frazione più distrutta del paese), rosse per le medie di Novi e blu per le medie di Rovereto.
Davanti alla sua amica Elena Ugolini, sottosegretaria all’Istruzione venuta a fotografare la situazione delle scuole terremotate, la preside si scioglie in un lungo abbraccio: «Devo pensare anche alla mia casa inagibile, alla mia sistemazione e a mia madre sfollata» le dice, «adesso gli scrutini sono salvi…». Poi si vedrà dove tenerli e quando.
Nell’asilo di Novi, diventato centro operativo per l’assistenza ai terremotati, Rossella Garuti gira assieme ad alcune delle sue professoresse e alla sua vicaria, Gabriella Burgio. Qualcuna di loro è andata con lei a recuperare registri e pagelle. L’insegnante di lettere Maria Lucia Preti, per esempio, che dopo aver visto le sue classi devastate dice «sembrano tipo day-after, fanno impressione». Le cartelle erano nei cassetti delle cattedre, in presidenza, in sala professori, adesso sono al sicuro nei bauli delle auto di diverse prof. «Ma quello che più conta, va da sé, è che con la scossa del 29 maggio nessun bambino delle nostre scuole si sia ferito nemmeno con un graffio» raccontano orgogliose le insegnanti. «Vero?» chiedono in coro a una ragazza molto giovane che saluta tutte e fila dritta verso la preside a darle un bacio. Si chiama Marina Rossi, ha 22 anni, studentessa di Scienze politiche a Bologna, e neo-assessore all’Istruzione del Comune di Novi di Modena. È stata nominata il 19 maggio, «di pomeriggio, per la precisione». Nemmeno un giorno intero ed ecco il primo enorme problema: il terremoto della notte fra il 19 e il 20 maggio, la prima forte scossa, i primi morti e le scuole da controllare e mettere in sicurezza. «Non so nemmeno più spiegare quanto sono sfinita» dice lei con l’aria di una che non dorme da giorni. «Ma ce la faremo, agli studenti non faremo mancare niente». A cominciare dagli scrutini.

Il Corriere della Sera 06.06.12

Nuove spine per il vertice con la Merkel", di Marcello Sorgi

Troppe tasse, impulsi recessivi, corruzione ancora presente specie nel settore della Sanità, rischio di avvitamento dei conti dello Stato, se non si porrà un deciso rimedio al più presto. Dopo quello del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, è arrivato anche il monito a due voci del presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino e dell’alto magistrato, Luigi Mazzillo, che ha coordinato le sezioni riunite, incaricate di stilare il rapporto sulla finanza pubblica. Il quadro che ne è uscito, pur riconoscendo che le misure di contenimento adottate fin qui dal governo funzionano, è impietoso e allarmato. E non avrà certo rallegrato Monti, intento in una serie ininterrotta di contatti con i leaders europei, in vista dell’incontro del 22 giugno con Merkel e Hollande a Roma e del vertice di fine mese, da cui dovrebbe uscire una risposta definitiva sulla volontà e la capacità dell’Unione di convincere la Merkel ad abbandonare le sue resistenze e a collaborare per affrontare la crisi dell’eurozona che rischia di sfuggire al controllo.

I dati forniti dalla Corte dei conti sono drammatici: il sistema italiano sconta ancora un’evasione di oltre 46 miliardi di Iva e avrebbe bisogno di sgravi fiscali quasi pari per uscire dalla recessione. Il “rischio di avvitamento”, segnalato senza mezzi termini, nasce dal fatto che l’aumento delle tasse deciso dal governo, per cercare di mantenere gli impegni assunti con l’Europa, non ha finora portato, com’era auspicabile, un aumento del gettito. E ha invece determinato un calo del pil che rende ancora più squilibrati i conti italiani. Giampaolino e Mazzillo consigliano di ricorrere in tempi brevi a ulteriori vendite di patrimonio pubblico (che il governo fin qui ha preferito evitare, nella convinzione che con i mercati in difficoltà si tratterebbe piuttosto di svendite) e una forte riduzione della spesa pubblica, cosa che, malgrado la nomina del supercommissario ad hoc, Enrico Bondi, al momento ha obiettivi abbastanza limitati. Duro anche il richiamo sulla Sanità: senza una riorganizzazione e un’effettiva trasparenza, la corruzione non sarà mai sconfitta.

Dall’opposizione Lega e Idv brindano alla nuova denuncia dell’eccesso di carico fiscale, mentre Pd e Pdl sono più prudenti. E dal governo l’unico commento è quello del ministro responsabile della spending review, Piero Giarda, che ricorda come al momento all’ordine del giorno ci sia un ulteriore rialzo dell’Iva da ottobre. Il tono di Giarda lascia capire che sarebbe un miracolo, per come stanno andando le cose, riuscire ad evitarlo, lasciando dunque intatta la pressione fiscale senza doverla ulteriormente inasprire.

La Stampa 06.06.12

"La strada del coraggio", di Massimo Riva

La recessione presenta il conto e illumina di una luce obliqua il circolo vizioso nel quale si dibatte la politica economica del paese, stretta fra la necessità del rigore e l´esigenza di ritrovare la strada della crescita. A prima vista, i dati sulle entrate fiscali del primo quadrimestre dell´anno potrebbero anche essere letti in positivo dato che segnalano un incremento, seppur piccolo, dell´1,3 per cento. Ma ciò, purtroppo, non significa affatto che consumi e attività produttive riescono comunque a tenere un buon passo. Il punto è che quel minimo aumento del gettito è dovuto essenzialmente agli effetti delle manovre dell´ultimo scorcio dello scorso anno con le quali lo Stato ha pesantemente gravato con maggiori prelievi la vita degli italiani, segnatamente con le accise su benzina e combustibili vari.
Una manovra resa indispensabile per fermare la corsa dell´Italia verso il baratro ma che – ecco l´aspetto più allarmante dei nuovi dati – si sta rivelando insufficiente a raggiungere gli obiettivi di risanamento programmati. Quantunque in aumento, il volume complessivo delle entrate risulta, infatti, inferiore di 3.500 milioni alle aspettative del governo come indicate nell´ultimo Documento di economia e finanza. Insomma, a dispetto dell´aumento della pressione fiscale, i conti ancora non tornano e ciò potrebbe far immaginare che l´Erario dovrà ulteriormente appesantire la sua mano nei restanti mesi dell´anno. In concreto: il temuto aumento dell´Iva dal 21 al 23 per cento, almeno in base a questi primi dati, si sta materializzando su un orizzonte sempre più ravvicinato.
Prospettiva che assume contorni drammatici alla luce di un dettaglio specifico del rendiconto fiscale sui primi quattro mesi dell´anno. Dal quale emerge che una delle voci più negative per le entrate pubbliche riguarda proprio gli incassi dell´Iva sugli scambi interni diminuiti del 2,2 per cento nonostante il già effettuato aumento dal 20 al 21 per cento dello scaglione principale. Cifre che dicono una verità tutt´altro che sorprendente: quando l´Iva cresce in tempi di crisi il suo effetto, come s´usa dire in economia, è prociclico. Vale a dire che deprime consumi e affari fino al punto di neutralizzare ogni speranza di maggiori incassi da parte dell´Erario.
Ciò significa che la politica economica del paese è sempre più prossima a un punto di rottura oltre il quale la strategia del rigore, anziché aiutare il risanamento dei conti pubblici, minaccia di renderlo impossibile. L´unica strada percorribile per uscire da questa strettoia travalica e di parecchio i confini nazionali. Soltanto in una dimensione europea, infatti, possono essere affrontati e allentati quei prepotenti vincoli esterni che stanno mettendo alla corda i paesi con le finanze più instabili.
C´è un surplus di durezza nell´offensiva che i mercati finanziari stanno conducendo contro i paesi più vulnerabili di Eurolandia – dalla Grecia alla Spagna e forse presto anche all´Italia – dovuto all´incapacità delle istituzioni continentali di offrire risposte adeguate alla portata della sfida. Incapacità – questo ormai è sotto gli occhi di tutti – che ha le sue radici nel palese rifiuto del governo del paese più ricco di assumersi la responsabilità storica di far fare al più presto passi avanti decisivi sul terreno dell´integrazione europea vuoi dando alla Bce poteri e compiti da vera banca centrale vuoi accettando di condividere attraverso l´emissione di obbligazioni comuni (gli ormai famosi Eurobond) un percorso di mutualità almeno analogo a quello che gli atri soci europei seppero fare per aiutare la riunificazione delle due Germanie con il ben discutibile cambio alla pari fra marchi dell´Est e dell´Ovest.
Ecco un nodo risolutivo sul quale oggi dovrebbe essere concentrato in via esclusiva il dibattito del mondo politico italiano.
Soprattutto dopo che le elezioni francesi hanno aperto un´insperata finestra sulla possibilità di praticare una svolta nella conduzione della politica europea. Con sconcerto crescente, viceversa, si è costretti ad assistere a un teatrino politico domestico nel quale anziché avanzare proposte e progetti per aiutare il governo Monti ad alzare la sua voce in Europa, si discute in toni goliardici di elezioni anticipate come se il paese stesse attraversando una crisi interna come tante superate in passato. Agli italiani tartassati, che anche giustamente si scandalizzano per gli eccessivi costi della politica, è il caso di segnalare che il vero ed esorbitante costo della politica domestica consiste oggi nella manifesta inadeguatezza dei suoi esponenti a fronteggiare le micidiali sfide che stanno dinanzi al paese.

La Repubblica 06.06.12

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“I FATTORI DELLA CRISI”, di MOISÉS NAÌM

Perché la crisi in Europa continua ad aggravarsi e a estendersi? Ignoranza? Troppo potere concentrato in poche mani? O forse invece tutto il contrario, e cioè che chi deve prendere le decisioni non ha il potere per farlo? A mio parere si tratta di una nefasta combinazione di tutti e tre questi fattori.
– Ignoranza. È evidente che non c´è accordo sulle misure da prendere, né tra i Governi né tra gli esperti. Il dibattito fra i difensori dell´austerità e quelli che vorrebbero spendere di più per stimolare la crescita dell´economia domina i titoli dei giornali, e mentre la tormenta infuria la discussione si trasforma in un torneo di frasi fatte e affermazioni superficiali. D´altronde, l´austerità, di regola, non è un´opzione fra le tante. Un povero non vive in ristrettezze perché prima se la passava bene e a un certo punto ha deciso che preferiva la frugalità allo sperpero. Allo stesso modo l´austerità per molti Paesi – e famiglie – è una feroce e ineludibile realtà. D´altro lato, anche imporre ancora più austerità a chi già non riesce a vivere con il poco che ha non è un´opzione valida. In ogni caso il dibattito va avanti e la sicurezza con la quale i nomi più noti della scienza economica offrono le loro raccomandazioni contrasta con l´attendibilità dei loro pronostici e interpretazioni prima e durante la crisi. Andrew Lo, un economista del Mit, ha appena pubblicato sulla prestigiosa rivista di settore Journal of Economic Literature una rassegna dei 21 libri che hanno avuto maggior risonanza nel dibattito sulla crisi. Questa la sua conclusione: «Da questo vasto e contraddittorio insieme di interpretazioni non emerge una narrazione unica: la grande varietà di conclusioni a cui giungono i diversi studiosi […] mostra con chiarezza la disperata necessità che gli economisti di professione si accordino su una base di dati comuni da cui partire per costruire deduzioni e narrazioni più accurate». In altre parole: se gli economisti più importanti non riescono nemmeno a mettersi d´accordo su quali siano i fatti e i dati rilevanti per spiegare la crisi, non c´è da sorprendersi che abbiano opinioni diverse su quello che bisogna fare per uscirne. Eppure non sembrano darsene per inteso. Questa crisi ha rivelato che uno dei rischi professionali di chi pratica l´economia come mestiere è l´arroganza intellettuale.
– Molto potere in poche mani. D´altro lato, è evidente anche che la crisi non è solo economica e che le contraddizioni e discordie fra gli esperti non bastano a spiegare quello che sta succedendo. La politica ha molto a che vedere con quello che sta succedendo e parlare di politica è parlare di potere. Ci sono protagonisti di questo dramma che non hanno il potere per dare soluzione alla crisi, ma hanno il potere di mettere il veto alle iniziative altrui che non gli vanno a genio, interrompendo il gioco. Un esempio in tal senso è la Cancelliera tedesca Angela Merkel. La Germania potrebbe stimolare maggiormente la sua economia e sostenere altre misure in grado di aiutare il resto dell´Europa a uscire dalla crisi. Mettere in vendita sui mercati mondiali un´obbligazione unica emessa dall´insieme dell´Eurozona è un buon esempio di iniziative valide che finora sono state frenate da Berlino. Questi «eurobond» avrebbero a garanzia tutta l´economia continentale e servirebbero a ridurre il premio di rischio e gli interessi che devono sborsare i Paesi maggiormente colpiti dalla crisi (e che più dipendono dal credito estero). Ma di questi tempi il potere non si concentra solo in alcuni Paesi o alcuni leader. Anche i finanzieri in grado di spostare grandi volumi di capitali da un Paese all´altro sono protagonisti importanti del dramma europeo. Non possono imporre politiche, ma possono mettere il veto alle decisioni o limitare le opzioni a disposizione dei Governi.
– Poco potere in molte mani. Per altro verso, un aspetto paradossale e contraddittorio del potere di questi tempi è la scarsità, precarietà e contraddittorietà del medesimo. Perfino i personaggi più potenti devono fare i conti con ostacoli smisurati per esercitare il potere. E lo perdono con frequenza inusitata, rimpiazzati da rivali, colleghi oppure concorrenti a sorpresa che compaiono in scena all´improvviso. Angela Merkel non è in grado di fare tutto quello che le piacerebbe e le opzioni a sua disposizione sono limitate da una miriade di micropoteri che pur non avendo la forza di imporre la loro volontà hanno la forza di limitare i più potenti. Nemmeno i padroni della finanza oggi possono dormire tranquilli nella certezza che le loro cariche e le loro organizzazioni siano al riparo dalle turbolenze in cui viviamo. Nel mondo di oggi il potere è estremamente frammentato e la crisi europea è la prova più lampante di questa tendenza. Perfino le persone che hanno più potere sono in grado di influire sulla sua evoluzione solo in modo tenue e indiretto. La crisi continua perché in Europa non c´è nessuno che abbia il potere per mettervi argine. Per il momento.
#moisesnaim
(Traduzione di Fabio Galimberti)

06.06.12

Pioggia, fango e nervi a pezzi "Stiamo andando fuori di testa", di Michele Smargiassi

A Novi i medici, anche loro sfollati, firmano una ricetta dopo l´altra: “Non andiamo a dormire, crolliamo per collasso psicofisico”. Si alza la tensione, scoppiano liti di fronte alle cucine da campo. E si cercano i nemici: i giornalisti curiosi, i geologi, e gli stranieri che “si fanno mantenere da noi”. Non si dice più «come va?» quando ci si incontra, a Novi. Ormai è una domanda retorica. Lo vedono tutti come va: va male, va peggio. Con l´ultima spallata paurosa di domenica sera il terremoto maledetto s´è portato via anche quel povero dente cariato che una volta era il nobile torrione del municipio; e per giunta la mattina dopo piove, a rovesci furiosi, piove sugli accampati e sugli scampati, sulle tendone della protezione civile e sulle tendine delle famiglie, piove e il morale affonda, affoga.
Da domenica sera ci si saluta in un vecchio modo contadino: «tieni botta», in dialetto, «tìn bòta Nello», «tìn bòta Luisa», vuol dire tira avanti, resisti, coraggio. È il fabbro che «tiene la botta», cioè afferra il ferro con una tenaglia mentre lo batte, per assorbire il contraccolpo. Ma è sempre più dura tenere botta a Novi, ultimo bersaglio del terremoto infinito. E adesso, piove. «Dalla terra e anche dal cielo… Che cosa abbiamo fatto per meritarcelo?», la tenda blu a igloo nel parchetto di fianco a casa sembra un canotto in piscina, dentro ci sono due ragazzini, la mamma corre al campo dell´Anpas per chiedere se li ospitano. La pioggia scioglie anche l´orgoglio del faccio-da-me.
Davanti al Comune, rifugiato nell´asilo nido, la fila sotto gli ombrelli è lunga, c´è più gente che chiede ospitalità negli alberghi dell´Appennino, vuol dire che le speranze cominciano a sgretolarsi, che la voglia di ripartire vacilla per la prima volta da due settimane. «Io ci resto anche tutta l´estate in tenda, ma devo lavorare», questa è Cristina che gestisce cinque Conad, uno solo funzionante, «ma ogni volta che viene una scossa è tutto daccapo, un´altalena che non si ferma mai». Il terremoto è un feroce gioco dell´oca, quando credi di aver fatto un passo in avanti, ecco che caschi nella casella «ripartire dal via». Ma quante volte si può ripartire con la stessa forza? L´imprenditore sfollato: «Ho il magazzino pieno di scale da spedire in Nigeria, ma come li convinco i miei ragazzi a venire a lavorare?».
Tenere botta: con la volontà si può, ma ai nervi non si comanda. Davanti al container della farmacia sfollata c´è una fila di sette ombrelli: cinque sono lì per ansiolitici e sonniferi. I medici di base anche loro rifugiati al campo sportivo non risparmiano ricette. «Giriamo tutta la sera a piedi per sfinirci di stanchezza», confessa Paola, accampata in giardino con l´acqua che bolle nella cucina al piano terra, ma la spia da una finestra, «noi non andiamo a dormire: crolliamo per collasso psicofisico». Nella vicina Concordia l´unico negozio aperto è la farmacia della signora Cestari: si rifornisce cinque volte al giorno di Lexotan, Tavor e Alcyon. «È un sollievo, un aiuto d´emergenza», approva Nora Marzi, responsabile del servizio di assistenza psicologica sul campo organizzato dall´Ausl di Carpi: «Queste persone hanno bisogno di sostegno, ma devono anche poter riposare. Lo stress è troppo anche per persone solide, l´ultima scossa è stata tremenda, è vero che non è morto nessuno, ma rischiano di morire i progetti di vita».
Al loro posto cresce un terremoto di rabbia e di impotenza. «Scriva quel che vede e non quel che sente», raccomanda Gabriele, il barista del circolo I Campetti, «qui tutti stanno andando un po´ fuori di testa». Ce l´hanno con tutti e con tutto. Con quelli che scavano i pozzi per il petrolio. Coi giornalisti guardoni. Con gli extracomunitari, va da sé, che affollano le tendopoli e «pretendono tutto, non fanno niente e li manteniamo noi». Con i geologi che «Abbassano l´entità delle scosse sotto il 6 per non farci rimborsare come da legge». Ah, ovviamente con i politici, «guai se gestiranno un solo euro di aiuti, li lascino direttamente a noi». Se la prendono anche uno con l´altro, «mia figlia mi dice delle cose terribili», confessa Anna, infermiera, con le lacrime agli occhi, «si sfoga con chi sa che la perdonerà».
È gente forte questa, ma il sangue contadino ha una sola certezza, che la terra non tradisce, e questa certezza è andata. «Nessuno è di marmo», dice don Ivano, parroco rimasto senza chiesa, «la Chiesa siamo noi, non sono i mattoni», ma anche questa Chiesa di carne ed ossa traballa di fronte al colpo-su-colpo. La terra trema e il cielo s´oscura, sembra la scena del Golgota, padre… «Ma dopo tre giorni c´è la Resurrezione». Qualcuno lassù lo ascolta, la pioggia nel pomeriggio smette, almeno quella. La tensione resta. Scoppiano litigi nella fila per la distribuzione dei pasti precotti, con la scossa e la pioggia le richieste sono improvvisamente raddoppiate, è il popolo delle tendopoli autogestite che non può più o non vuole più cucinare sui fornellini da campo, si esauriscono i vassoi e una donna alza la voce, i volontari le rispondono esasperati, «anche noi dormiamo in tenda signora, cosa crede». Per questo, la task force di psicologi si occuperà anche di loro, «se crolla il morale dei volontari crolla tutto», insiste la dottoressa Marzi. È gente generosa questa di pianura, come Giorgio Cesari, tecnico in cassa integrazione, casa lesionata, dorme in auto, «sotto questa divisa gialla ho sempre gli stessi pantaloni», come coordinatore della protezione civile locale è al lavoro dalla notte del 20, «un bacio alla moglie e via in piazza, la mia gente…», e non finisce la frase, anche i generosi piangono.
Il capo tendopoli, Gian Carlo Arduino, ha studiato una regola nuova: «Chi si allontana dal paese per un paio di giorni non perde il diritto al posto in tenda. Hanno bisogno di un po´ di tregua. Il campo funziona bene, il vero pericolo è lo stress». Il sindaco Luisa Turci tiene botta con orgoglio civico: «È crollato il torrione, il nostro simbolo, ma noi stiamo in piedi, le nostre torri siamo noi e noi faremo di nuovo il futuro di questo comune».
Ma le torri umane rimpiangono quella di mattoni. Quando torna il sole, tanti passano davanti alla piazza Primo Maggio transennata, guardano il vuoto nel cielo dove prima c´era il torrione settecentesco. La campana ancora più antica, dono di Alberto Pio, morde la polvere su un tetto. Sfilano in silenzio, come in una camera ardente. Il pensionato Ettore si commuove di nostalgia, «adesso è un paese come un altro». Il torrione batteva le ore anche quand´era agonizzante. Ma domenica notte non ha più tenuto botta.

La Repubblica 05.06.12