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"Il dovere della verità" di Massimo Giannini

Corvi in Vaticano, talpe a Palazzo Chigi? Il giallo del disegno di legge sulla riforma dell´organismo disciplinare per l´operato dei magistrati è molto più di un incidente di percorso. Forzatura burocratica, manovra politica. Qualunque sia il movente, è un episodio grave e inquietante, che si verifica nel cuore della struttura di governo e si traduce nella sconfessione pubblica di uno dei suoi uomini più rappresentativi: Antonio Catricalà. La smentita della presidenza del Consiglio è netta: quel testo, anticipato ieri da Repubblica, esiste ed è stato all´attenzione del governo. Ma il premier Monti «aveva già da tempo ritenuto tale iniziativa inopportuna e non percorribile». E il guardasigilli Severino l´aveva bocciato, considerando «impossibile una simile riforma attraverso legge ordinaria anziché costituzionale». A questo punto una domanda si impone: chi e perché lo ha promosso e lo ha portato avanti? La portata tecnicamente eversiva di quel disegno di legge è sotto gli occhi di tutti. Come hanno scritto ieri sul nostro giornale Liana Milella e Gianluigi Pellegrino, con quelle norme si sarebbe stravolto, per via legislativa, un principio di autonomia funzionale garantito dalla Costituzione attraverso il Consiglio superiore della magistratura. Attraverso l´istituzione di un nuovo organismo «misto» di valutazione dell´operato delle toghe, il lavoro dei magistrati sarebbe stato di fatto riportato sotto il controllo della politica. Un obiettivo perseguito per anni dal Cavaliere, nella fase più rovente del berlusconismo da combattimento, e per fortuna scongiurato dalla resistenza del Capo dello Stato e delle opposizioni. Ma ora silenziosamente e misteriosamente rilanciato dalla tecnostruttura di Palazzo Chigi. All´insaputa o addirittura contro la volontà del presidente del Consiglio.
Qui sta la straordinaria gravità del fatto. Come dimostrano i documenti che pubblichiamo oggi in esclusiva, a sponsorizzare il provvedimento non è stato un funzionario qualsiasi, ma il sottosegretario di Palazzo Chigi. Monti e la Severino, come recita il comunicato ufficiale, avevano «già da tempo» respinto e archiviato l´iniziativa. Tuttavia, Catricalà in persona ha trasmesso quel testo agli organi istituzionali preposti alla formulazione di un parere giuridico. Catricalà in persona ha firmato di suo pugno la lettera di accompagnamento, inviata il 2 maggio alla Corte dei conti e il 14 maggio al Consiglio di Stato. E appena quattro giorni fa, come dimostra il verbale che riproduciamo a pagina 11, il Consiglio di Stato si è riunito per formulare il suo parere, su un disegno di legge che «già da tempo» il capo del governo aveva considerato politicamente insostenibile e giuridicamente impraticabile.
Come può essere accaduto un simile cortocircuito? Il sottosegretario è stato ispirato da qualcuno, o ha fatto di testa sua? E poi: ha agito autonomamente, senza sapere che il suo presidente del Consiglio e il ministro competente erano contrari all´iniziativa? Oppure sapeva di questa contrarietà, e nonostante questo è andato avanti lo stesso? In tutti e due i casi, si tratta di un serio strappo istituzionale. Nella prima ipotesi, è un atto pericoloso: un sottosegretario non può assumersi una responsabilità così grande, senza informare i suoi “superiori”, su un tema nevralgico per la vita democratica, come la giustizia e i rapporti tra politica e magistratura. Nella seconda ipotesi, è un atto sedizioso: un sottosegretario non può prendere decisioni sottobanco, meno che mai se contrarie alla volontà del presidente del suo Consiglio.
Gli interrogativi sono tanti. I punti oscuri da chiarire sono ancora di più. Il comunicato di Palazzo Chigi risponde a una metà del problema: quello che riguarda l´orientamento di Monti, per fortuna fermo sul principio dell´indipendenza della magistratura. Ma l´altra metà della questione rimane in ombra: e questa tocca a Catricalà portarla alla luce del sole. Il “Gianni Letta” del governo tecnico, come viene spesso definito, non può essere sospettato di ruoli impropri, né può apparire come la “talpa” che scava il terreno sotto i piedi di Monti. È un servitore dello Stato, e deve rispondere di ciò che fa al capo del governo (che lo ha scelto) e ai cittadini (anche se non lo hanno eletto).
L´unica cosa che non può fare, dopo quello che è successo, è tacere. Il suo predecessore sapeva farlo benissimo, e per tanti, troppi anni gli è stato concesso questo “privilegio”. Ma Catricalà, oggi, non se lo può più permettere.

La Repubblica 28.05.12

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“Così è fallito il piano di Catricalà gelo tra sottosegretario e premier”, di Liana Milella

Non mesi fa, ma giusto il 14 maggio. Carte dirette verso il Consiglio di Stato e la Corte dei conti per una ufficialissima richiesta di parere. Come Repubblica è in grado di ricostruire. Il nome dell´autore è proprio quello del sottosegretario alla presidenza Antonio Catricalà. Monti piglia le distanze dalla riforma, sottace chi l´ha pensata e sponsorizzata, e la voragine che si apre tra i due appare incolmabile. C´è anche chi, nelle stanze della presidenza, è convinto che Monti attenda una lettera di dimissioni del suo sottosegretario. Per questa via il caso “sezioni disciplinari” delle magistrature si trasforma nel caso Catricalà. Il quale risponde e minimizza. Lui e Monti non si sono parlati, ma chi è stato in contatto con il premier ne descrive l´arrabbiatura verso il sottosegretario: «Ha agito da solo, per conto suo, nonostante gli avessimo detto con chiarezza che quella modifica non poteva assolutamente essere fatta e che il parere del Guardasigilli Severino era contrario».
Due fronti aperti per Catricalà, il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica, visto che su di lui erano già caduti i fulmini del Colle appena giovedì scorso quando sul Messaggero era uscita una sua intervista in cui, a proposito della discarica di Corcolle, difendeva il prefetto Pecoraro e la localizzazione, a suo avviso «lontana», da villa Adriana. Ma lo scontro sulla giustizia disciplinare è assai più grave e rischia di arroventarsi sulle carte. Anche se, come vedremo, l´ex presidente dell´Antitrust ha una sua versione minimalista.
La riforma esiste. Repubblica lo ha scritto. Ed è in grado di provarlo con le stesse missive inviate da Catricalà – la sua firma è ben leggibile in calce – ai presidenti del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Quattro articoli, dal 26 al 29, che dovevano costituire il «capo III, la Giustizia», all´interno del ddl sul merito scolastico. È il 2 maggio quando Catricalà scrive di «un nuovo schema di disegno di legge di iniziativa governativa che contiene norme sul merito, sulla trasparenza, sulla responsabilità». Su di esse chiede «un parere urgente» in modo da ottenerlo «se possibile prima che il consiglio dei ministri approvi lo schema del provvedimento». In allegato ecco un primo schema di nuova giustizia disciplinare per i magistrati amministrativi e contabili in cui sono i laici, numericamente, a far la parte dei leone. Passa qualche giorno e dalle magistrature arriva una richiesta di chiarimenti.
Catricalà, a quel punto, manda un secondo plico. Siamo al 14 maggio, una data che contrasta in modo palmare con quanto sostiene Monti a proposito di un progetto che «già da tempo» aveva bocciato come «non percorribile» anche a seguito dello stop del Guardasigilli Severino. Ma per Catricalà, evidentemente, quella strada è ben aperta. Tant´è che scrive ancora al presidente del Consiglio di Stato: «Le trasmetto gli articoli della bozza del disegno di legge in preparazione che riguardano le magistrature e le libere professioni». A capo. E poi: «Il fine che il ddl vuole perseguire è di assicurare terzietà agli organi disciplinari per evitare la critica, fin troppo estesa nella società civile, di una giustizia domestica e dare trasparenza e certezza di imparzialità all´azione disciplinare». Paiono parole di Berlusconi e Alfano, ma sono di Catricalà. Che allega i quattro articoli su Csm, Consiglio di Stato, Corte dei Conti e giudici tributari. A scartabellare in archivio, le soluzioni sembrano fotocopiate da più di una proposta di legge del Pdl.
Sono ubbidienti le magistrature. Pochi giorni e il parere, anche se negativo, viene recapitato sul tavolo di Catricalà. Per esempio quello del Consiglio di Stato che appena giovedì 24 maggio, nel corso della sua “adunanza generale”, ha trattato il quesito richiesto dal sottosegretario: «Esame della bozza di legge di istituzione della sezione disciplinare presso il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa». Da palazzo Chigi, ufficialmente, non è arrivato alcuno stop.
Dal Csm, invece, raccontano che si sia incollerito il vice presidente Michele Vietti: «Ma come, da palazzo Chigi mandano in giro una possibile riforma del Csm e nessuno ci avverte?». Per certo, a palazzo dei Marescialli non è arrivato nulla. E si può agganciare qui l´autodifesa di Catricalà: «Da sette, otto giorni Monti ci aveva detto che avrebbe approvato solo norme sul merito scolastico». Si noti, non «da tempo» come dice il premier, ma solo da una manciata di giorni. Quanto all´iniziativa, il sottosegretario la racconta così: alla nascita del governo, a palazzo Chigi, si è insediato anche un gruppo di analisti su merito, trasparenza e responsabilità, il quale avrebbe segnalato l´anomalia della «giustizia domestica» dei giudici. Catricalà ammette l´immediato altolà di Severino, che stoppa qualsiasi intervento sul Csm, riformabile solo per via costituzionale, ma va avanti, formula gli articoli di legge, chiede i pareri. Solo a notizia ormai pubblica arriva il definitivo stop di Monti.

La Repubblica 28.05.12

Carpi (MO) – 2 giugno Festa della Repubblica

Piazza Martiri – Davanti al Municipio
Ore 10.15
Deposizione di una corona
alla targa commemorativa per il conferimento della Medaglia d’Argento al Valor Militare al Comune di Carpi

Ore 10.30
Diamo voce alla Costituzione
Introduce: Enrico Campedelli, Sindaco di Carpi
On Manuela Ghizzoni
Letture a cura di amministartori, rappresentanti di associazioni e cittadini

Accompagnamento musicale a cura della Filarmonica “Città di Carpi”
con la partecipazione di musicisti locali

"L'incapacità di ricambio di leader" di Luca Ricolfi

C’è un pensiero, o meglio una domanda, che ultimamente mi perseguita quando penso alla politica italiana. Con tutto quel che è venuto fuori su Bossi, sua moglie, i suoi figli, compresa la laurea falsa del «trota» comprata in Albania, come è possibile che Bossi resti al comando? Come è possibile che anche quanti si ripromettono di ripulire e rifondare la Lega prendano seriamente in considerazione l’ipotesi di un partito con un segretario diverso (Maroni) ma con Bossi presidente della «nuova Lega»? Che cosa deve succedere perché un capo-partito venga non dico cacciato, espulso, punito, ma semplicemente archiviato? Che cosa fa sì che non si possa mai assistere a una battaglia politica che porti alla sostituzione di un vecchio gruppo dirigente con uno nuovo e diverso?

Questo genere di domande me le ero già fatte molte volte a proposito di Berlusconi e del suo partito, ma lì avevo una risposta: Berlusconi ha i cordoni della borsa, e ha sempre fatto attenzione a non dare spazio a persone troppo capaci o indipendenti da lui.

Che il Pdl senza Berlusconi rischiasse di implodere (come ora sta succedendo) è sempre stata per me una risposta soddisfacente alla mia istintiva e un po’ moralistica domanda: visto che ne combina di tutti i colori, perché i suoi non se ne liberano?

Ma con la Lega è diverso. Bossi non ha risorse economiche proprie (tanto è vero che usa quelle della Lega a beneficio dei suoi familiari), e inoltre non è circondato da figure chiaramente minori rispetto a lui stesso. Se volessero, i suoi potrebbero benissimo dirgli: caro Umberto, hai abusato della tua posizione, hai 70 anni suonati, ora fatti da parte che la Lega la prediamo in mano noi.

Mentre mi chiedevo perché non succede, ha cominciato però a ronzarmi un pensiero più radicale, una sorta di sospetto più generale. Mi sono venute inmente decinee decinedi situazioni,non solo nella politica, ma anche al di fuori di essa in cui succede la stessa cosa. La resistenza dei vecchi capi al cambiamento, e soprattuttola rinuncia dei giovani a dare battaglia, va molto al di là del recinto del centrodestra. Anche nelle imprese, nelle università, nelle fondazionibancarie, l’età mediadei capiè prossima ai 60 anni, ma soprattutto – questo è il fatto interessante – i quarantenni non danno battaglia. Aspettano. Attendono fatalisticamente che venga la loro ora. Una sorta di «sindrome di Carlo d’Inghilterra», che ormai 65enne non sa ancora se mai ascenderà al trono. Con la differenza che una posizione dirigente nella politica, nell’economia, o nella società non si eredita come un trono, ma si dovrebbe conquistarein base ai meriti guadagnatisul campo.

Ecco, i meriti. Forse questo è il punto. Forse la ragione per cui nessuno dà battaglia, anche quando avrebbe tutte le carte in regola per farlo, è che in Italia i capi beneficiano di un sovrappiù – di un anomalo e perversosovrappiù – di deferenza, di rispetto, di gratitudine. Una sorta di intangibilità, che fa apparire tradimento quella che altrove sarebbe giudicata una normale e fisiologica competizione fra gruppi e generazioni. Ma da dove deriva tale sovrappiù? Come siamo arrivati, un po’ tutti, ad esitare di fronte all’eventualitàdi intraprenderecerte battaglie?

La risposta è che in Italia si va avanti per cooptazione.Anchechi va avanti con pieno merito, ingenere può farlo solo perché qualcun altro – il «capo» – a un certo punto ha dato disco verde. Ha chiamato. Ha promosso. Ha coinvolto. Ha incluso. Ha ammesso nel clan, nel gruppo, nella rete, nel «cerchio magico». A quel punto è naturale per il cooptato maturare un senso di riconoscenza, di fedeltà, di lealtà, che gli fa percepire ogni possibile battaglia futura come un tradimento,una manifestazionedi ingratitudine. Questo meccanismo è così diffuso, così endemico, quasi scolpito nel nostro modo di sentire, che finisce per coinvolgere anche chi – in realtà – avrebbe tutti i numeri per dare battaglia, per promuovereil ricambio, per liberarci di personaggiche, con il passare degli anni, diventano un peso, se non altro perché non possono più dare il meglio di sé. Una singolareincapacità di «uccidere il padre», nel senso freudiano di diventare grandi e maturi, inquina e intorbida la vita del nostro Paese. Il padre non viene ucciso semplicemente perché gli dobbiamo troppo, se non tutto; e chi ha grandi debiti non puòessere libero,non soloineconomia.

Più che i padri che non lasciano il comando, colpisce il fenomeno dei figli che nulla fanno per prenderlo. Come se ereditare fosse l’unica modalità di successione che conoscono. E non si pensi che, in politica, il problema riguardi solo la destra. C’è una controprova clamorosa che non è così. Tu apri Radio Radicale e immancabilmente, quotidianamente, incappi in una esternazione di Marco Pannella. Un fiume di parole disordinato e sostanzialmente incomprensibile,almeno per personenormali.

Perché? Perché nessun politico radicale ha mai seriamente conteso la leadership all’ultra-ottantenne Pannella?

Qui non c’entrano i soldi, non credo che Pannella finanzi il suo movimento politico. Non credo che i radicali abbiano fatto particolare attenzione a escludere persone capaci. Non credo che, ad esempio, a Emma Bonino manchino le qualità per assumere la piena leadership dei radicali. Eppure non è mai successo. Non succede. Non succederà. La deferenza verso i capi, la sottomissione all’autorità dei cooptanti, è così profonda, in Italia, da coinvolgere persino i radicali, ovvero il più anti-autoritario, il più libertario, il più laico fra i gruppi politici italiani. Per non parlare del Pd, dove un gruppo di colonnelli 60enni controlla il partito da un quarto di secolo, i futuri premier vengono decisi a tavolino (ricordate le primarie finte per Prodi?), e i rarissimi casi anomali – come quello di Matteo Renzi, che ha sfidato apertamente il partito – sono visti con un misto di irritazione, insofferenza, fastidio. Né, forse, è solo un caso che le uniche novità importanti e relativamente giovani del panorama politico italiano – il movimento Cinque Stelle e Italia Futura – abbiano avuto bisogno, per venire al mondo, di due levatrici non precisamente giovanissime,ovvero il 64enne Beppe Grillo e il 65enne Luca Cordero di Montezemolo.

Che cosa dobbiamoattenderci,dunque? Forse esattamente quel che potrebbe succedere in Inghilterra,dove ormai è più probabile che il trono della vecchissima regina Elisabetta (86 anni) passi al giovanissimo principe William (30) che non al vecchio Carlo (65), «principe del Galles». La generazione dei Fini, Casini, Maroni,Bonino ha atteso troppo a condurre le proprie battaglie. Quando ricambio ci sarà, è più facile che a imporlo sianoi 30-40ennidi oggi. Specie quelli che hanno meriti e capacità proprie, e non debbono ai vecchi le posizioni che occupano.

La Stampa 27.05.12

«Grandi sforzi e difficoltà ma gli aiuti funzionano», di Virginia Piccolillo

«Ci stiamo battendo con grande sforzo per mettere a disposizione con generosità tutto quello che ci chiedono. È ovvio che il cittadino viva una sensazione di disagio. Ma qui l’intero sistema di protezione civile sta funzionando: dalle strutture locali, ai sindaci, al presidente della Regione Vasco Errani, tutti stanno facendo quello che deve essere fatto». Così il capo della protezione civile, Franco Gabrielli, risponde alla protesta lanciato ieri sulle colonne del Corriere della Sera da uno sfollato: «E io dormo ancora in macchina». Lo sfogo di un cittadino di Bondeno, nel Ferrarese, che lamentava disparità di trattamento con i terremotati dell’Abruzzo.
«Fare raffronti in situazioni così diverse sarebbe poco serio. Invece io, che le ho vissute entrambe, qui vedo molta serietà. E un grande impegno per far ripartire soprattutto l’attività produttiva, cruciale per questa zona e per l’intero Paese. Il governo si è mostrato disponibile a uno sforzo in più», spiega Gabrielli. Concorda il presidente della Regione, Vasco Errani: «La risposta è stata corale. Migliaia e migliaia di persone sono state aiutate in una situazione complicata, perché continuano le scosse. E abbiamo avuto l’apprezzamento delle forze sociali. Ora abbiamo chiesto al governo scelte chiare e rapide: un decreto per la sospensione dei tributi e uno che sburocratizzi la ricostruzione. È urgente il riconoscimento del danno e un fondo di rotazione di sostegno al credito per aiutare le imprese. Oltre ad ammortizzatori sociali per i lavoratori. Per ora c’è stato uno stanziamento di 50 milioni di euro. Ma per la ricostruzione occorrono altre risorse e credo che questa esperienza aiuti il governo a riflettere sulla legge».
Quella appena approvata e che non c’era ai tempi del terremoto dell’Aquila. Ma Gabrielli respinge ancora il paragone: «La situazione è molto diversa, non solo nella provincia di Ferrara dove vive quel cittadino. Lì, soprattutto a San Carlo di Sant’Agostino, c’è stato questo fenomeno della “liquefazione”: non era terriccio quello venuto in superficie dopo il terremoto, ma probabilmente il paleo-alveo sabbioso del fiume Reno. Un problema che stiamo studiando».
Gli ultimi dati parlano di circa 6.700 persone assistite, o in strutture varie: campi tendati o alberghi o palestre. Ci sono 16 tendopoli intorno a Modena: Finale Emilia, Mirandola, San felice sul Tanaro, e Bomporto. In arrivo altri due campi a San Carlo di Sant’Agostino, 19 strutture in provincia di Modena, 15 in quella di Ferrara, 6 a Bologna e una a Mantova. Al lavoro circa 700 vigili del fuoco, 400 uomini tra forze armate e forze di polizia, 130 volontari della Croce rossa, 1200 volontari tra colonne mobili regionali e organizzazioni nazionali di volontariato.
Ma, ci tiene a precisare Gabrielli: «Finora tutto quello che ci è stato chiesto abbiamo mandato. Le persone all’inizio preferivano stare in macchina, sperando di poter tornare al più presto in casa. Poi, purtroppo, lo sciame sismico è continuato e hanno chiesto di essere alloggiate nelle tende. Cosa che peraltro crea un doppio problema di adattamento: quando ci si entra e quando ci si deve riabituare alla vita esterna. Certo poi quando la necessità è impellente piano piano abbiamo acconsentito. Ma all’inizio abbiamo messo anche a disposizione oltre 10 mila posti letto in strutture alternative o alberghiere».

Il Corriere della Sera 27.05.12

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“La moglie dell’operaio ucciso: l’ora per essere persone migliori”, di Elvira Serra

Due carabinieri in alta uniforme reggono la corona di fiori bianchi e lilla mandata dal presidente della Repubblica. La bara di legno chiaro è adagiata sul tappeto rosso al centro del campo sportivo, ricoperta di rose color arancio. Gloria, la vedova, stringe la mano al suocero per tutta la durata della messa. Canta e ripete le preghiere dei fedeli. Partecipa con tutta la sua energia di mamma all’ultimo saluto al marito, Leonardo Ansaloni, papà di Eleonora e Niccolò, morto a 51 anni dentro il capannone della Ceramiche Sant’Agostino crollato durante il terremoto. È uno dei due funerali delle sei vittime del sisma celebrati ieri. L’altro, dell’operaio Gerardo Cesaro, si è svolto a Marmorta di Molinella, nel Bolognese.
Qui, nel campo di Bondeno, alle tre del pomeriggio ci sono circa 700 persone. Sono colleghi, amici o compaesani. Come Maurizio Giacomelli, che ha messo a lievitare le pizze del suo negozietto prima di venire alla messa: «Non potevo mancare». In prima fila, vestita di nero, c’è la senatrice Maria Teresa Bertuzzi (Pd), che è originaria di Copparo ed è l’unica rappresentante del Parlamento. Prima che la cerimonia cominciasse aveva detto con voce rotta: «Da una settimana la situazione degli sfollati è il mio pensiero esclusivo. Abbiamo il timore che le luci si spengano. Ci tranquillizza un poco solo il fatto che questa sia considerata una emergenza nazionale».
Il lutto è composto. Al termine della cerimonia Gloria raggiunge sull’altare i sei sacerdoti che hanno concelebrato. «È il momento di agire e di diventare persone migliori. Io lo sto già facendo, affinché Leonardo e gli altri che hanno pagato con la vita la dedizione al lavoro riposino in pace». Dopo la benedizione della salma, la signora chiama vicino a sé i due figli, lei adolescente, lui un bambino, e insieme fanno volare decine di palloncini colorati (foto Cavicchi). «Li facciamo andare verso papà».

Il Corriere della Sera 27.05.12

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“Da Pausini a Venditti, l’appello dei cantanti per l’Emilia” di Chiara Maffioletti

Si sono ritrovati ieri, all’Arena di Verona. Ma una serata di musica come i Wind Music Awards (saranno trasmessi su Rai1 il 26 giugno), è diventata l’occasione per alcuni tra i più grandi cantanti italiani di riscoprirsi uniti dal pensiero per le vittime del sisma che ha sconvolto l’Emilia Romagna.
In molti hanno espresso la loro vicinanza. Laura Pausini, che in quelle terre è nata (a Faenza, in provincia di Ravenna), lo ha fatto sul palco ma ha scelto il Corriere per mandare a tutti il suo messaggio: «Sono certa che tutti i miei colleghi, come me, hanno un pensiero forte per la mia terra, l’Emilia Romagna. Quando la terra ha tremato ero in concerto ad Amsterdam ma ho saputo subito dalla mia famiglia, che vive lì, che qualcosa di tragico stava accadendo. La mia famiglia e molti amici stanno vivendo in queste ore la paura che si presenta dopo aver sentito il terremoto. È importante aiutare. Ci sono tantissimi modi per donare, anche poco, ma è necessario. Anche grazie al Corriere della Sera possiamo donare e quindi aiutare concretamente: lo apprezzo moltissimo».
Poi rivela: «Ho parlato proprio oggi (ieri, ndr.) con il presidente della regione Romagna, Vasco Errani, e mi ha detto che la gente sta reagendo con forza e dignità. La storia, la cultura e l’identità della mia regione sono state colpite fortemente e vogliamo ricostruire ciò che si è distrutto. E’ un’emergenza nazionale e ci aspettiamo che il governo intervenga e dia attenzione alla nostra regione come è stato per quelle in questi anni colpite da calamità. Non vogliamo essere dimenticati. Questa cosa mi preme più di qualsiasi altra e ovviamente nel mio privato sono intervenuta subito… è importante non dimenticare gli sfollati: dobbiamo essere solidali. Io lo sono concretamente, quotidianamente e con tutto il mio cuore».
Antonello Venditti ha ribadito l’importanza di continuare a parlare dell’emergenza: «Il terremoto è capitato in un periodo in cui in Italia l’attenzione è concentrata su Brindisi, sull’anniversario della strage di Capaci e sulla crisi. E’ legittima la sensazione dei terremotati emiliani di essere stati poco sostenuti da istituzioni e media, ma io e tutti i miei colleghi siamo vicini a loro, non meno di quanto lo eravamo ai terremotati aquilani». Gino Paoli, invoca direttamente Dio: «Il governo non sta aiutando le popolazioni emiliane perché, vista la situazione dell’Italia, non riesce ad aiutare nessuno. Ci vorrebbe che il Padre Eterno non ci regalasse tutti questi eventi tragici uno in fila all’altro».
Emma, nel ricordare che «all’Aquila ancora tanta gente vive nei container», auspica che in molti facciano qualcosa «in concreto. Io lo faccio, in silenzio». Stesso pensiero arrivato anche da Alessandro Siani e dai Modà che, al cordoglio, hanno aggiunto «un appello affinché tutti diano il proprio contributo».

Il Corriere della Sera 27.05.12

"Il tesoro nascosto al Fisco vale quasi il 20% del Pil", di Roberto Giovannini

L’Istat ha quantificato il sommerso del 2008 in una cifra tra i 255 e i 275 miliardi. E nel 2009 gli italiani hanno dichiarato 780 miliardi di reddito e ne hanno spesi 918. Chissà se Mario Monti riuscirà a convincere gli italiani che l’evasione fiscale è – in fondo – il loro nemico principale. Perché ammazza la concorrenza, perché spiazza le imprese generando inefficienza, perché crea ineguaglianza tra le persone anche per quanto riguarda il godimento di certi servizi sociali. Perché l’evasione fiscale impoverisce molti arricchendo pochi. E tecnicamente deruba ogni giorno che passa tutti i contribuenti (forzatamente, o volontariamente) onesti. Sarà dalla metà degli anni ’80 che in tanti ci hanno provato a spiegare questi semplici concetti, a far capire che quello che funziona – pagare le tasse correttamente – in mezzo mondo e in quasi tutta Europa potrebbe e dovrebbe funzionare anche in Italia. Altrettanti protagonista della politica – basti ricordare le celebri battute di Silvio Berlusconi, o le teorizzazioni di Giulio Tremonti, prima che si scoprisse antimercatista e rigorista in finanza pubblica hanno preferito cavalcare certe pulsioni profonde di un popolo come il nostro, che considera lo Stato un nemico e le tasse un’estorsione.
Il problema è che forse, stavolta, la tragica situazione in cui versano i conti pubblici potrebbe aiutare a sconfiggere certe resistenze e certe timidezze. Tra la necessità di finanziare il mostruoso debito pubblico e i vincoli imposti dall’Europa che stanno schiantando l’economia italiana, ormai spazi per aumentare le tasse su chi le paga puntualmente non ce ne sono davvero più. Ma si può e si deve prendere riducendo la «torta» dell’evasione fiscale.
Una torta davvero gigantesca. Secondo i dati dell’Istat – il «Rapporto del gruppo di lavoro sull’economia non osservata» – nel 2008 la parte fiscalmente sommersa dell’economia, lavoro nero compreso, valeva addirittura 255-275 miliardi. Parliamo di un ammontare che sta tra il 16,3 e il 17,5% del Prodotto interno lordo. Le cose non vanno allo stesso modo in tutti i settori: l’incidenza è «solo» del 12% nell’industria, del 21% nei servizi e nella finanza, del 30% in agricoltura, del 50 per cento addirittura nel turismo. Un flusso di ricchezza su cui non viene pagato un euro di tasse o contributi. Se, ipoteticamente, si riuscisse a percepire il 10% di imposte su questo reddito, ogni anno entrerebbero nelle casse dello Stato 27 miliardi di euro. Una supermanovra extra annuale; oppure, una riduzione del prelievo di ammontare analogo per i cittadini.
Risorse, spiegano gli esperti, che naturalmente non si possono ricercare se non «mungendo» la mucca dell’evasione in modo graduale e opportuno. A meno di voler mettere in ginocchio la miriade di operatori economici e di settori che prosperano evadendo le tasse. Ma la strada è obbligata, se non si vuole accettare una realtà – rivelata da un’inchiesta del «Sole24Ore» – secondo cui nel 2009 gli italiani hanno dichiarato al fisco redditi per 783,2 miliardi, ma hanno effettuato acquisti per 918,6 miliardi. In pratica, ogni 100 euro registrati nel modello Unico e nel 730, ne sono stati spesi 117, con punte vicine a 140 in Calabria e Sicilia. Regioni, quelle meridionali, dove secondo alcuni studi il livello di propensione all’evasione è decisamente più elevato rispetto al centro-nord del paese. Studi che però non tengono conto dell’evasione «legale» effettuata dalle società grandi o piccole, ovviamente molto più diffuse nelle aree più ricche e produttive del paese.
Quale sia il messaggio «positivo», e non solo «repressivo», da veicolare lo mostrano i conti del Centro Studi di Confindustria. La pressione fiscale «ufficiale» – la percentuale di ricchezza che finisce in tasse e contributi in rapporto al prodotto interno lordo – è del 43,2%. E tiene conto anche parzialmente del sommerso. La pressione fiscale effettiva sui contribuenti che pagano integralmente le imposte è invece pari al 51,4% del Pil. Si può continuare così?

La Stampa 27.05.12

"Niente (anzi poca) matematica, siamo inglesi", di Flavia Giannoli

Un’indagine dell’ufficio inglese per gli standard educativi, l’OFSTED, rivela una notevole carenza del sistema educativo inglese per quanto riguarda la matematica. Abbiamo chiesto a Flavia Giannoli, esperta nei processi formativi per la didattica della matematica, di commentare questa notizia proponendoci il suo punto di vista, anche in vista della situazione italiana. Nel mondo Occidentale si assiste a una crisi diffusa dei sistemi scolastici per quanto riguarda l’efficacia dell’insegnamento, e ad una conseguente azione di ripensamento delle strategie organizzative e delle tecniche educative, in special modo nel campo delle scienze e della matematica. Il sistema scolastico inglese non fa eccezione, come riportato dal giornalista Graeme Paton nel suo recente articolo apparso su “The Telegraph”: Ofsted: bright children failed by poor maths lessons (Ofsted: gli studenti brillanti non riescono a causa di lezioni di matematica di livello troppo basso). Il sistema scolastico inglese è differente da quello Italiano sotto molti aspetti. I ragazzi inglesi a 16 anni devono sostenere il GSCE, General Certificate of Secondary Education, per poter passare ai gradi scolastici superiori o entrare nella formazione professionale. Il numero e la scelta delle materie dipendono dalle capacità dello studente. Ciascuna materia è oggetto di un esame a sé, che può essere superato o no, a prescindere dall’esito degli altri esami. Dall’esito dipende la futura collocazione del ragazzo nella società. Le scuole private sono spesso quelle con risultati migliori in uscita e costituiscono centri di eccellenza. L’OFSTED (Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills) è un’agenzia del governo che ispeziona e classifica le scuole ed i corsi di formazione degli insegnanti. Non ispeziona le scuole private, se non su loro richiesta (che tuttavia moltissime fanno). È stato definito in un recente discorso del chairman delle scuole private come “the government Rottweiler” .

Graeme Paton nel suo articolo sottolinea l’interpretazione dei risultati dell’OSFED dal punto di vista di un approccio conservatore all’apprendimento, quindi non sorprende che molto di ciò che espone riporti al “ritorno alle cose di base”, già ripetuto dal primo ministro John Major fin dal 1992. A complemento è interessante citare anche l’articolo ”Ofsted warns over early entry to maths GCSE” di Hannah Richardson (per la BBC), che riporta come in Inghilterra la matematica sia considerata “ingombrante” e difficile da apprendere: prima si affronta e si supera l’esame e meglio è! inoltre si tende sempre un po’ al ribasso nelle richieste per far risultare buoni o anche ottimi i risultati in matematica in più di metà delle scuole. Questo provoca un impoverimento della presenza di competenze matematiche elevate fra gli alunni inglesi (ed il conseguente recente declassamento nelle classifiche internazionali) nonché l’effetto che pochi cittadini risultano matematicamente competenti. In Inghilterra è socialmente accettabile ammettere che non si sia mai capita la matematica.

Una cosa molto importante da osservare è che gli studenti inglesi, anche se proseguono gli studi fino alla laurea, possono interrompere lo studio della matematica già a 16 anni. Anche gli insegnanti inglesi sono spesso poco qualificati in matematica: nelle scuole primarie la qualificazione GSCE minima che un maestro deve avere per insegnare è “C“ e per accedere al tirocinio formativo per le scuole superiori il candidato deve avere una laurea “con una parte considerevole di matematica” (cosa che viene interpretata in modo molto vario a seconda dei casi), ma ben pochi sono i laureati in matematica.

Entrambi gli articoli evidenziano come sia necessario ed urgente migliorare l’apprendimento della matematica. Per migliorare in fretta il livello dell’insegnamento le proposte sono:

1. Migliorare la formazione degli insegnanti ed Incoraggiare chi vuole diventate professore di matematica, anche con borse di studio

2. Incoraggiare gli studenti più capaci con programmi appositi: i “gifted and talented schemes”

3. Non permettere che si possa abbandonare lo studio della matematica a 16 anni.

Commenta una docente universitaria che lavora in Inghilterra sulla didattica della Matematica: “Si fanno raccomandazioni, il governo commissiona e pubblicizza report e consigli, ma pochi ascoltano, ed è di fatto consentito l’abbandono dello studio della matematica a 16 anni . Il problema non è veramente attaccato dalla radice.”

Da parte loro gli insegnanti inglesi lamentano l’eccessiva pressione delle valutazioni OFSTED, spesso imprevedibili e frustranti (da noi, più modestamente, si chiamano INVALSI), e osservano come il processo di apprendimento della matematica necessiti di tempi lunghi e soffra dell’urgenza di aumentare i livelli con troppa fretta. Eppure l’urgenza c’è, e non solo in Gran Bretagna. I livelli di competenze richiesti sono sempre più semplificati e ridotti anche in Italia, dove si cerca così di riparare ad un sistema di istruzione che soffre di mali strutturali accumulatisi in decenni di decisioni ministeriali dettate più dall’opportunità e convenienza del momento, che da che da un vero e sistematico impegno che ponga al primo posto il miglioramento del processo di insegnamento- apprendimento.

Un punto a favore del sistema di istruzione inglese è che in Gran Bretagna l’eccellenza è curata, ma solo se la famiglia ha le adeguate risorse finanziarie, e le Università inglesi riescono a produrre ancora persone di livello eccellente. Tuttavia la maggioranza dei cittadini risulta poco formata e la loro cultura risulta spesso frammentaria a causa della possibilità, da parte dello studente, di scegliere le materie di studio: oltre a interrompere lo studio di Matematica, molti lasciano la Storia o altre discipline profondamente formative.

In Italia avviene l’opposto: la scuola pubblica pensa molto al recupero, ma pochissimo all’eccellenza. Da noi la validità della formazione ricevuta è spesso anche questione di fortuna e di buona volontà degli insegnanti che si sono incontrati, dalle elementari all’Università. Di contro il livello d’istruzione medio è più uniforme e complessivo. Sta di fatto comunque che in tutti i Paesi occidentali, anche oltreoceano, c’è una tendenza diffusa al rifiuto delle cose impegnative, che vengono spesso accantonate a favore di ciò che risulta più semplice e immediato da ottenere. Si ritrova un po’ ovunque un sentimento generale di rifiuto della matematica, che passa anche dalle famiglie, neanche ci fosse un misterioso gene che ne impedisca l’apprendimento!

Forse il punto è però un altro. La società sta cambiando rapidamente ed è diventata una società frenetica, del “tutto” e “subito”, del “qui” ed “ora” e cambiano quindi anche le modalità di apprendimento. Non è detto che ciò sia per forza un male, chi ha tempo non aspetti tempo, ma bisognerebbe saperlo interpretare. La scuola dovrebbe quindi essere capace di adeguarsi alle nuove necessità educative, integrarsi con le nuove forme di comunicazione del sapere e trasmissione dell’informazione. Gli studenti del 2012 ragionano infatti su di un’altra lunghezza d’onda. Sono da privilegiare il “learning by doing” (imparare facendo), la didattica laboratoriale e l’apprendimento collaborativo: mai come oggi è stato importante l’aspetto relazionale e sociale dell’apprendimento. Inoltre le forme di apprendimento sono diverse e si dilatano nello spazio e nel tempo grazie alla possibilità offerte dalla Rete di collegarsi alle fonti di informazione e comunicare con le persone. L’apprendere “a tempo”, fra una campanella e l’altra, può interrompere in maniera brutale il flusso delle attività di apprendimento e l’essere chiusi dentro le quattro mura di un’aula, con il solo ausilio di testi cartacei predefiniti non facilita il potenziamento delle proprie modalità operative, né tantomeno l’allargamento degli orizzonti personali.

Occorre tener presente che i messaggi si trasmettono oggi in modalità molto diverse e che nel sistema educativo non si tengono nel dovuto conto i seguenti punti di attenzione (NMC – Horizon Report 2012):

* Le nuove forme di pubblicazione e ricerca in rete non sono ancora ben acquisite e considerate da chi prende le decisioni per il sistema educativo

* L’alfabetizzazione informatica non è adottata come norma nel sistema educativo,

* Le sperimentazioni con le tecnologie innovative sono spesso estranee all’attività di ricerca ufficiale.

Non si può pensare che il concetto matematico si possa formare nella mente dei cosiddetti “nativi digitali” come si è formato nella mente di chi è nato diversi decenni fa. L’immagine, il movimento e la tecnologia fanno parte del modo solito di interfacciarsi con la realtà, la velocità e l’immediatezza di accesso alle fonti di informazione rendono l’apprendimento più simile a “flash” di conoscenza destrutturata ed atomizzata, che occorre saper organizzare e ricostruire in maniera mirata.

Apprendere la matematica a scuola può diventare un’avventura interessante e piena di scoperte: l’utilizzo di applet e software interattivi possono favorire l’approfondimento dei concetti e le le ricerche su web possono rendere più divertente la ricerca delle informazioni, sostituendo le pagine cartacee di studio sequenziale. Gli strumenti interattivi per il lavoro collaborativo (documenti condivisi, mappe mentali, wiki … ) permettono di condividere l’apprendimento e renderlo anche un fatto sociale e condiviso. Certo, con queste modalità, il processo di apprendimento è a rischio di dispersione e mancanza di sistematicità. La figura dell’insegnante non può più quindi fermarsi a quella di esperto disciplinare (quando anche questa competenza sia conseguita, cosa non sempre vera neanche in Italia), ma deve anche essere esperto dei mezzi tecnologici necessari , nonché capace di gestire comunità di apprendimento (la “classe” sta cambiando). Una bella sfida, non certo alla portata di tutti. Il mestiere di insegnante non si improvvisa: anche in Italia dovrebbe essere richiesta una formazione più strutturata e mirata. Insegnare matematica in modo coinvolgente e significativo deve iniziare dal vissuto moderno dei ragazzi e dar loro fiducia e responsabilità. Basta con le lezioni esclusivamente frontali, nelle quali il solo fatto di esporre concetti dovrebbe renderli comprensibili. La matematica non si “racconta”, si fa.

l’Unità 27.05.12

"Altre scosse Ieri il saluto a due operai", di Giulia Gentile

Il fotogramma di un funerale ai tempi del sisma è quello di un campo sportivo, il campo di Bondeno nel Ferrarese, pieno di oltre ottocento persone che hanno superato l’angoscia per le scosse continue, e le concrete difficoltà, semplicemente per esserci. Per salutare uno dei quattro operai morti, sabato scorso, sul luogo di lavoro sotto le macerie di capannoni crollati come mattoncini “Lego”. Rimaste, nel migliore dei casi, senza facciata o senza tetto quasi tutte le chiese del Ferrarese, dichiarati inagibili molti cimiteri in tutte e tre le province colpite una settimana fa dal terremoto di magnitudo 6 della scala Richter, le esequie di Leonardo Ansaloni, operaio di 41 anni alle ceramiche di Sant’Agostino (Fe), ieri pomeriggio si sono svolte sul prato dello stadio di Bondeno, cittadina dove la moglie Gloria gestisce una cartolibreria. La bara è stata portata a spalla al centro del campo, dov’era attesa dai genitori Aires e Rossana, dalla moglie e dai proprietari delle ceramiche Sant’Agostino, Ennio e Mauro Manuzzi. Per il lavoratore, la cui salma vegliata da due carabinieri in alta uniforme era sistemata su un piccolo palco, anche i fiori inviati dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: rose bianche, margherite rosse e tuberose. Al termine della messa funebre, Gloria ha letto un ricordo del marito, fornaio alle ceramiche Sant’Agostino che, proprio per il ruolo svolto in fabbrica, alle 4.05 della notte fra sabato 19 e domenica 20 si trovava al lavoro. «Erano in tre quella notte – ricorda un collega, Davide Accorsi – e due di loro sono morti. Leonardo, e Nicola Cavicchi. Entrambi lavoravano ai forni, per questo erano lì», nella parte di fabbrica costruita negli anni Ottanta e venuta giù come polistirolo. «Nicola è morto subito – racconta commosso il collega -, Leonardo invece all’arrivo dei soccorsi si lamentava ma era ancora vivo. Poi è morto anche lui. Non oso pensare come si senta il collega sopravvissuto: è un miracolato, si è trovato nel posto giusto al momento sbagliato. Né cosa sarebbe successo se la scossa di 6 gradi della scala Richter si fosse verificata in un normale giorno lavorativo, con oltre 150 operai per turno negli stabilimenti».
LA SOLIDARIETÀ DELL’ABRUZZO
La cerimonia si è conclusa con il lancio di palloncini colorati da parte della moglie di Ansaloni, e dei suoi due figli, Nicolò di otto ed Eleonora di 18 anni. A una manciata di chilometri di distanza, nella chiesa di Marmorta di Molinella, sempre nel Ferrarese, si è svolto invece l’ultimo saluto per Gerardo Cesaro,
operaio 57enne di origini napoletane morto alla Tecopress, fonderia a ciclo continuo di Dosso (Fe) dove l’uomo era stato da poco assunto a tempo indeterminato. E sempre ieri è rientrata in Marocco la salma di Tarik Naouch, 29 anni, giovane operaio alla Ursa di Zerbinate di Bondeno (Fe). Mentre le esequie per l’ultimo lavoratore morto nel sisma, Cavicchi, si svolgeranno domani pomeriggio alla Sacra Famiglia di S.Martino (Fe), alle 15.30. Trentacinquenne, rappresentante sindacale in azienda, Cavicchi era sopravvissuto, all’età di 12 anni, ad una grave malattia del fegato. Quella notte non avrebbe dovuto essere al lavoro, aveva sostituito un collega in malattia. Per ricordare i quattro operai, e gli altri tre morti nella scossa di sabato scorso – tre donne, fra cui un’ultracentenaria, decedute per malori – ieri Cgil, Cisl e Uil dell’Aquilano hanno lanciato un ponte ideale fra terre martoriate dalle scosse, nel 2009 così come oggi, proponendo fermate simboliche in tutti i posti di lavoro, e un minuto di silenzio in occasione dei funerali delle vittime del terremoto in Emilia-Romagna. Ma la vita deve pur continuare, dice chi – oggi – conterà già una settimana da quei momenti di terrore e distruzione. Anche a fronte delle continue scosse d’assestamento, e mentre la Procura di Ferrara iscrive i primi nomi (una ventina) nell’inchiesta per omicidio colposo sulla morte dei quattro operai. Per l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), da dopo la mezzanotte di venerdì alle 16 di ieri ci sono state una sessantina di nuove scosse, alcune delle quali sentite anche nel Mantovano, la maggiore di magnitudo 3.4 alle 7.51 del mattino. Nella sola Finale Emilia (Mo) sono ancora duemila le persone che dormono in tenda, in camper o in auto vicino alla propria abitazione, terrorizzate all’idea di rientrare in casa anche se gli ingeneri hanno dato loro il “via”. E nelle tre province colpite, Bologna, n Ferrara e Modena, gli sfollati hanno
raggiunto quota settemila. Un numero che ancora non si riduce. Anzi: venerdì sono state evacuate centinaia di persone nella sola San Carlo di Sant’Agostino (Fe), per il cedimento del terreno su cui poggiano le loro case.

l’Unità 27.05.12

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Sisma in Emilia, l’allarme dei geologi per la liquefazione delle sabbie

Il fenomeno ha provocato crepe in cantine e giardini di molte case e preoccupa in caso di nuovo terremoto Task force di geologi per mappare il territorio tra Modena e Ferrara dopo la scoperta di un fenomeno nuovo per la zona, chiamato liquefazione delle sabbie, che ha provocato numerose crepe alle case costruite su dossi che si trovano nei vecchi alvei di fiumi, il più delle volte abitazioni vecchie in mattoni. «La sabbia liquefatta è fuoriuscita dalle crepe di cantine e giardini di molte case; ora la sabbia è più compatta di prima ma c’è massima attenzione da parte dei geologi perché nel caso in cui dovesse verificarsi un nuovo sisma di quella intensità il fenomeno potrebbe riacutizzarsi», spiega Paride Antolini, geologo Consigliere Nazionale dei Geologi che sta seguendo tutte le fasi dei sopralluoghi in atto in Emilia Romagna. In sostanza il fenomeno è noto agli esperti ma è stato osservato e studiato nei terremoti giapponesi di 7-8 gradi della scala Richter. Di qui l’interesse della comunità scientifica a cartografare le zone con indici di pericolosità.

LA MAPPATURA – Da martedi proseguono, su richiesta della Protezione Civile Regionale e delle due province di Ferrara e Modena, i sopralluoghi dei geologi volontari, segnala il Consiglio dei geologi. Si sono individuati e mappati punto per punto, casa per casa tali fenomeni; si sono raccolti campioni di terreno e si sono eseguite analisi multi-parametriche sui fluidi presenti nei pozzi. Si sono raccolte testimonianze molto significative e per ultimo, ma non ultimo come importanza, si è cercato di confortare gli abitanti. Si sono anche raccolte numerose immagini, «alcune delle quali sono state messe a disposizione dagli stessi cittadini», come ha dichiarato Antolini. «Già in questa fase di rilievi immediatamente successivi alla primissima emergenza si è cercato di capire perlomeno qualitativamente se i fenomeni di liquefazione fossero aderenti a quanto riportato alla bibliografia tecnica di riferimento – ha affermato Raffaele Brunaldi consigliere dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia Romagna – ed alle previsioni urbanistiche locali; in una seconda fase l’Oger (Ordine dei Geologi della Regione Emilia- Romagna) cerca di trarre conclusioni quantitative relative al descrivere nella maniera più aderente possibile a quanto verificatosi localmente».
ROVIGO – Squadre di geologi volontari stanno rilevando gli effetti derivanti dai fenomeni sismici che hanno interessato la provincia di Rovigo. Anche se il territorio veneto – ha affermato Roberto Cavazzana, vice presidente Ordine Geologi del Veneto – è stato colpito in modo meno grave rispetto a quelli limitrofi delle Province di Ferrara e Modena è molto importante verificare gli effetti dello scuotimento sismico registrato anche nei Comuni dell’Alto e Medio Polesine, considerati a basso rischio sismico prima del terremoto del 20 maggio scorso. Particolare attenzione sarà data all’individuazione di effetti locali particolarmente pericolosi, quali la liquefazione di strati sabbiosi saturi ed espulsione di acqua dal sottosuolo, dissesti a rilevati arginali e stradali, rilievo di cedimenti e rifluimenti del terreno che hanno interessato gli apparati fondali di edifici e capannoni. (fonte: Adnkronos)

da corriere.it