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"Addio Parmigiano altro tesoro distrutto", di Carlo Petrini

Il dato “grosso” è che almeno 300 mila forme di Parmigiano Reggiano sono “a terra”: circa il 10% del totale. Anche il Grana Padano è stato colpito duramente, ma non si sa ancora dire con precisione quanto. Immaginate cosa vuol dire per i produttori vedere il frutto di alcuni anni di lavoro crollare giù da quei grandi ripiani, ammassarsi sul pavimento, e dover benedire almeno il fatto che la terra abbia tremato di notte, che quindi non c´era nessuno al lavoro. Ora non si sa ancora quante di quelle forme dovranno essere buttate, se potranno essere grattugiate per salvare il salvabile o, si spera, messe ugualmente in commercio senza rimetterci troppo: è comunque presto per fare un bilancio di quanto il terremoto abbia distrutto del sistema agricolo emiliano. Bisogna ancora andare nelle campagne, soprattutto nelle fattorie più isolate, e far la triste conta. Ci vorrà del tempo. Quel che è certo è che la ferita c´è e fa male, e di tempo ce n´è poco. La produzione infatti deve andare avanti, perché non si possono fermare gli animali, non si possono non raccogliere i frutti già maturi.
Il Parmigiano Reggiano e il Grano Padano purtroppo non navigavano in buone acque: la crisi del settore è da un po´ di tempo che si faceva sentire in maniera importante e non si riusciva a trovare una risposta adeguata. Questo sisma non fa che infierire su un comparto che però ha sempre dato il suo contributo nel tenere in piedi il ricco e variegato sistema produttivo delle aree colpite: un´agricoltura antica, generosa, indissolubilmente legata all´umanità che popola i territori e alla sua cultura. Un´agricoltura che si rispecchia nei prodotti caseari ma anche nei famosi insaccati e prosciutti, il tutto alimentato da un allevamento che di molto aveva bisogno tranne che crollassero delle stalle, morissero degli animali o si spaventassero talmente da non riuscir più a far latte. Purtroppo è ciò che è avvenuto, in maniera sparsa, perché cominciano ad arrivare le segnalazioni di stalle messe in ginocchio.
Al momento ciò che ci manca sono proprio i dati “piccoli”: le comunicazioni in queste ore parlano ad esempio di aziende agricole che fanno prodotti freschi (come uova, latte, ma anche ortaggi e frutta) che non sanno più dove vendere i prodotti perché alcune filiere locali sono ovviamente paralizzate. I gruppi di acquisto e le reti dei mercati contadini, come quella dei mercati della Terra di Slow Food, sono molto presenti in Emilia e si stanno mobilitando per dare una mano agli agricoltori, i quali peraltro si sono già rivolti alla Protezione Civile per donare quello che hanno in casa, dimostrando lodevole generosità. Anche queste sono tante piccole perdite e rendono più difficile risalire, curare quella ferita che non riguarda soltanto la produzione ma anche l´idea stessa di ruralità, di società rurale, che da quelle parti si è sempre nutrita di condivisione e di bellezza. Non è un problema secondario ed è ancor più difficile da quantificare.
Un oste che ha perso tutta la cantina, frutto di anni di appassionata ricerca e selezione andati in frantumi insieme alle bottiglie, guarda al suo paese e si danna perché hanno «perso tutto ciò che era bello: i castelli, le chiese, i vecchi casali agricoli». Come nel centese, dove mi dicono che le secolari case della partecipanza, un´antica forma di gestione collettiva della proprietà che ha plasmato l´agricoltura di questi territori usando la terra come un bene comune, sono tutte crollate. Lì la partecipanza si mantiene ancora viva in forme più moderne, quelle erano case disabitate ormai, ma erano belle, simboliche, rappresentavano la memoria dell´agricoltura locale espressa forse nella sua forma più nobile. Dei piccoli monumenti. Ecco, ci sono i gravi danni alla produzione, che andranno risarciti per aiutare un polmone agricolo importantissimo, ma ci sono anche i danni alla memoria. La speranza è non soltanto che vengano in qualche modo riparati, ma che diventino un monito per dirci che l´agricoltura di queste zone non va dimenticata, per l´immediato e le urgenze di chi ha visto da un giorno all´altro crollare il suo mondo fatto di lavoro e fatica, ma anche per il futuro, che senza agricoltura sarà sicuramente meno bello e meno umano.

La Repubblica 22.05.12

"Brindisi: tra le ombre della verità", di Claudia Fusani

Fra tanti allarmi manca ancora una verità. Controlli a tappeto e perquisizioni. «Ma non c’è nessun sospettato»
Interrogati per ore due fratelli residenti nella zona vicino
la scuola. Sono stati poi rilasciati in serata: non c’entrano con l’ordigno. Se le indagini fossero il disegno di un puzzle, possiamo dire che i pezzi ci sono tutti ma che il lavoro da fare per trovare gli incastri giusti è ancora molto lungo. Complesso. E la figura narrata ancora molto sbiadita. Almeno tanto quanto quella dell’uomo con il telecomando.
Che è stata restituita dalla memoria delle due telecamere del chiosco “Il panino dei desideri”. Che ieri polizia scientifica e Ris dei carabinieri sono andati a cercare anche tra i volti delle migliaia che hanno affollato la chiesa e la piazza di Mesagne durante i funerali di Melissa. Microtelecamere hanno filmato decine e decine di volti di uomini di mezza età somiglianti all’immagine diffusa ieri da tv e giornali. L’attentatore potrebbe anche essere andato ai funerali. Ipotesi da non scartare. Compatibile con il profilo psicologico di uno che arma un ordigno come quello esploso davanti alla scuola “Morvillo Falcone” e si ferma quel tanto che basta per vederne gli effetti.
In tre giorni i duecento investigatori specializzati di Ros dei carabinieri e Sco della polizia spediti a Brindisi da Roma hanno sentito a verbale 162 persone, numero fissato alle cinque di ieri pomeriggio e destinato a crescere ora dopo ora. Qualcuna di queste è stata, almeno per qualche ora, più sospettata di altre. Ma nessuna di queste risulta al momento indagata nonostante gli allarmi e le voci che si rincorrono da giorni. «Non abbiamo il fiato sul collo di nessuno» taglia corto un inquirente alla fine di un’altra giornata frenetica, piena di notizie farlocche. Che ha raffreddato gli entusiasmi e riporta le pedine di questa indagine alla casella di partenza. Anche nella forma visto che il fascicolo, sempre contro ignoti cioè senza nomi di indagati, torna sulla scrivania del procuratore antimadia di Lecce Cataldo Motta, lascia l’ufficio del procuratore di Brindisi Marco Dinapoli che però applica il sostituto antimafia Milto De Nozza. «Allo stato non è possibile escludere alcuna ipotesi» dice il ministro della Giustizia Paola Severino che racconta, dopo il vertice in prefettura, «di una magistratura unita che lavora di comune accordo». «Faremo il focus sulla criminalità nella tre province pugliesi più a rischio crimine organizzato, Brindisi, Lecce e Taranto» assicura il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri. Tutto. E nulla. Schema classico quando le indagini non stringono sul risultato sperato.
UN’IMMAGINE SBIADITA
L’elemento più forte al momento nelle mani degli investigatori è e resta l’immagine dell’attentatore ripresa dalle telecamere del Chiosco che dista venti metri dalla scuola. «Siamo stati fortunati a trovare quell’immagine» spiega un investigatore, «ma anche sfortunati perché quelle immagini, tre quelle utili, non sono di buona qualità. Dicono ma non a sufficienza per vedere in faccia chi ha premuto il telecomando che ha fatto esplodere le tre bombole del gas». La tecnologia è al lavoro. Ma anche lavorando di pixel e cercando di riempire i vuoti, «possiamo arrivare al 55 per cento dell’immagine». Adesso è al 50 per cento. Non c’è un volto. C’è una persona. Un uomo di circa 55 anni, alto più o meno un metro e 65, caratteri europei, giacca blu, camicia chiara, pantaloni chiari, scarpe sportive con suola chiara. Tiene la mano destra in tasca e usa solo la sinistra. Ha una menomazione? «Possibile, ma non ne siamo sicuri». Da ieri mattina quell’immagine è sulle locandine di tutti i giornali locali e sulle porte dei bar, la gente cammina lungo Corso Roma, si ferma, osserva, punta il dito e comincia a ricordare. «Ci arrivano decine di segnalazioni, chiamano il poliziotto o il carabiniere amico, stiamo valutando tutto».
In questo «tutto» c’è anche l’ipotesi sempre più forte che l’attentatore non abbia agito da solo. E ci sono due casi più clamorosi degli altri. Il primo riguarda un sottufficiale dell’Aeronautica, espulso anni fa per un’indagine sull’immigrazione clandestina, esperto di circuiti elettrici ed esplosivi, parente di persone che hanno un commercio di bombole del gas. «Non solo – racconta un investigatore quando siamo arrivati in casa sua aveva sul tavolo un ritaglio di giornale del 2004 relativo alla scuola “Morvillo Falcone”». L’uomo ha un alibi di ferro. Già verificato e riscontrato.
Il secondo caso ha tenuto in scacco matto l’informazione per tutta la giornata di ieri. Riguarda due fratelli, uno dei quali leggermente claudicante dalla parte destra del corpo e residente a 200 metri dalla scuola, entrambi somiglianti con l’uomo del telecomando. Li hanno portati in questura dove un gruppo di giovani ha anche assalito un’auto civetta pensando ci fopsse dentro l’attentatore. Lungo interrogatorio. Rilasciati con tante scuse in serata. Quando si diffonde un altro allarme. Dalla questura la solita risposta: «Accertamenti di routine». Tra le persone sentite, due studentesse della scuola hanno riconosciuto nelle immagini «un uomo che in settimana ha sostato a lungo nei giardini davanti alla scuola». Ci sono immagini. Ci sono impronte e Dna ricavate dai mozziconi di sigaretta lasciati intorno al chiosco. Elementi utili per fare un confronto quando ci sarà un sospettato. Certo, riflette un inquirente, «più il tempo passa e più si concretizza l’ipotesi che possa non essere di Brindisi». Gli investigatori sono al lavoro. Con un ausilio inedito. Il boss della Sacra Corona Raffaele Brandi lunedì ha avvicinato il caposcorta di un pm e gli ha promesso: «Se li troviamo ce li mangiamo».

l’Unità 22.5.12

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“L’orrore e gli errori” di Giovanni Pellegrino

Le stragi sono lo strumento più raffinato di terrore, quando colpiscono un obiettivo indiscriminato: la clientela di una banca, un’assemblea democratica riunita in una piazza, il microcosmo che si costituisce in un vagone ferroviario o nella carlinga di un aereo, la folla festosa, che in una stazione attende di partire per le ferie.
Ciascun membro della comunità si sente esposto al rischio di essere vittima di un prossimo attentato. Nell’esperienza italiana degli anni di piombo a ciò si aggiungeva la mancanza di rivendicazioni: le stragi restavano misteriose, perché tali si voleva che fossero, lasciandone inconoscibili i fini. L’evento brindisino ha avuto questi caratteri per la natura del suo obiettivo: un gruppo di studentesse, che scendeva da una autobus recandosi a scuola. Ciò ha determinato una ovvia reazione di dolore, sdegno ed angoscia, cui si aggiunge nell’immediatezza dell’evento la difficoltà di inquadrarlo in una sia pur generica matrice.
L’essere la scuola intitolata ad uno dei magistrati uccisi a Capaci e il suo situarsi in un contesto cittadino interessato nello stesso giorno da una manifestazione in favore della legalità spingono a prospettare una origine mafiosa dell’attentato, ipotesi, con cui stridono però la natura dell’ordigno e la difficoltà di individuare una credibile strategia della cosca, in cui l’attentato possa logicamente inserirsi.
È pur vero che nei primi anni novanta la mafia dei corleonesi si spinse a compiere stragi con obiettivi indiscriminati in una logica di innalzamento dello scontro militare con lo Stato. Ma i bersagli furono non a caso individuati in Roma, Milano e Firenze e cioè in luoghi lontani da quelli tradizionali dell’insediamento mafioso. Una cosca non può infatti avere credibile interesse ad attirare sul proprio territorio la pressione degli organi di polizia, per la banale ragione che ciò nuoce allo svolgimento dei suoi affari.
D’altro lato il luogo in cui è stato collocato l’ordigno, spinge ad escludere anche che si sia in presenza del non voluto effetto collaterale di un attentato di tipo estorsivo.
Difficile appare anche ipotizzare di essere in presenza di un atto attribuibile ad un terrorismo di matrice ideologica o politica. Si tratterebbe infatti di un atto di propaganda armata, che necessita di un target determinato come nel recente attentato genovese, che non a caso è stato credibilmente rivendicato. Attentati terroristici che colpiscono obiettivi indiscriminati, quale una scolaresca, hanno senso in fenomeni di terrorismo irredentista (Eta, Ira, Olp), che in Italia non hanno ragion d’essere. Più opportuno, almeno allo stato delle acquisizioni, risulta riflettere come nella contemporaneità scuole e scolaresche siano state spesso bersagli di azioni stragiste da parte di attentatori isolati o da gruppi estremamente esigui (ma non per questo meno pericolosi) di esaltati. I primi riscontri indagativi sembrerebbero confermare la validità della ipotesi, evidenziando come all’indubbia preparazione dimostrata nell’approntamento dell’ordigno si sia accompagnata la colossale imprudenza di un attentatore, che si espone all’occhio vigile di una pluralità di telecamere di sicurezza.
È prevedibile e auspicabile che tutto ciò sia confermato da una rapida individuazione dell’autore dell’attentato e di un possibile numero ridottissimo di complici. Se ciò non avvenisse, l’aver reso noto che si era in possesso di immagini dell’attentatore in azione si rivelerebbe una clamorosa imprudenza indagativa.
Certo è che il contrasto che si è acceso su questo punto tra Procura ordinaria e Procura distrettuale antimafia rende incomprensibili le ragioni, per cui ci si attardi nell’estendere la competenza della Procura nazionale antimafia e delle Dda ad una più ampia gamma di reati.

l’Unità 22.05.12

"Il centrosinistra conquista numerose roccaforti del centrodestra", di Pietro Spataro

La tendenza è chiara: vince il Pd, è una disfatta per il Pdl e un ko per la Lega, il movimento «5 stelle» si afferma come «partito della protesta». Finisce un modello di governo, si sgretola il blocco sociale che il centrodestra aveva creato attorno a un’idea carismatica, proprietaria e liberista. Cambia tutto, ma come avviene in tutti i cambiamenti troppo veloci e disordinati, restano troppe incognite che impediscono di prevedere quale sarà l’esito di questo difficile passaggio. Il Paese è come sospeso tra ieri e domani, ma su un filo troppo sottile che può spezzarsi in qualunque momento se non si avrà la forza e l’ambizione di mettere al suo posto una corda robusta.
Non c’è dubbio che il Pd ha oggi la responsabilità principale della transizione. Gira in rete un grafico che illustra bene il nuovo scenario: c’è una colonnina rossa molto alta, molto più alta delle altre, e rappresenta il numero dei Comuni che saranno governati dal centrosinistra. Sono 92, erano 45 nelle precedenti elezioni. Molto più giù una serie di tante basse colonnine tra le quali spicca quella del centrodestra con 34 sindaci e poi una piccolissimi numeri che riguardano tutti gli altri, liste civiche comprese. È l’immagine di un bipolarismo muscolare sconfitto. Ma anche di un Pd che, tra le macerie di una pericolosa polverizzazione, resta l’unica forza in grado di aggregare una alternativa alla crisi del sistema.
Ma il risultato di ieri è una sfida per Bersani. Che richiede una risposta aperta e una capacità di correggere le debolezze di cui il Pd soffre e che infatti gli impediscono di intercettare l’elettorato che abbandona il centrodestra. Sin da oggi ci sarà bisogno di una «scossa civica» che sia in grado di far sentire ai cittadini, con maggiore convinzione, che il Pd c’è. E c’è sui loro problemi, sulla crisi del Paese, sul malessere che serpeggia nelle famiglie. C’è con un’idea chiara sul nuovo sistema politico. C’è nell’opera di rinnovamento e di ricambio generazionale indispensabile. Il Pd, insomma, dovrà evitare di coccolarsi con gli allori di questa vittoria e saperla usare, invece, per offrire una proposta credibile.
Il successo di Grillo a Parma è sicuramente un fatto importante e una novità di rilievo. Il movimento «5 stelle» è riuscito (anche con un consistente aiutino del Pdl) a intercettare il malumore e la protesta che agitano l’Italia in crisi. Lo ha fatto, spesso, usando slogan populisti, affidandosi alla facile arma del «siamo contro tutti»: e tutti ladri, venduti e incapaci. Ora però anche per il movimento cambierà musica. Diciamo che da oggi il «5 stelle» diventa ufficialmente un partito, esce definitivamente dallo «stato nascente» dei vaffa-day ed entra nell’età adulta. Dovrà misurarsi con i bilanci, con i tagli di spesa, con le scelte urbanistiche, dovrà trattare e scendere a compromessi: dovrà sporcarsi le mani. Su questo verrà giudicato dagli elettori e non più sulla battuta meglio azzeccata. Ma il risultato di Grillo dimostra anche che nel Paese c’è un malumore diffuso nei confronti della politica che non è solo e tutta antipolitica. Tra gli elettori che a Parma hanno scelto Pizzarotti sono molti quelli che vogliono una politica diversa. Anche a questi, evitando pregiudizi a volte troppo politicisti, il centrosinistra deve saper parlare.
Se un’indicazione di tendenza si può ricavare da questo voto locale è che il passaggio al post berlusconismo non è per niente un pranzo di gala. È invece un processo difficile, che comporta alti rischi e presenta spinte e controspinte incontrollabili che possono condurre anche a esiti imprevisti. La frammentazione è talmente forte e la tentazione per alcune forze di giocare al “tanto peggio tanto meglio” così accattivante, che serve un grande spirito di responsabilità nazionale. Ma servono anche grandi scelte strategiche che diano al Paese la certezza che un nuovo cammino è possibile. Il Pd alla fine resta l’unico «partito della nazione» e dovrà essere all’altezza di questa delicata dimensione rafforzando nello stesso tempo il suo rapporto con i progressisti europei e con le loro battaglie contro il «partito dell’austerità» che rischia di strangolare il Vecchio Continente. Riuscirà a fare tutto ciò se presenterà un programma di governo chiaro e alternativo: equità, uguaglianza, lavoro, diritti, welfare. Se sarà la forza centrale di un sistema di alleanze coerente e non conflittuale come fu la vecchia Unione. E se si batterà con determinazione per la cancellazione del Porcellum e per una riforma del sistema istituzionale che garantisca al tempo stesso la centralità dei partiti, che restano i capisaldi della rappresentanza politica, e la forza serena di un bipolarismo di tipo europeo dove l’elettore sceglie da chi essere governato e i parlamentari non siano più nominati. Al forte vento astensionista che soffia nelle nostre città bisogna rispondere con la forza della buona politica e non con le sue troppe debolezze.
Dieci mesi ci separano ormai dal voto del 2013. Dieci mesi in politica sono un tempo breve, quasi un lampo. Ma occorre andare controvento per riuscire a valorizzare il messaggio positivo che viene da questi ballottaggi e per eliminare le troppe incognite che ancora pesano sul futuro. Nel Paese c’è una spinta certo, spesso nascosta e a volte disordinata per il cambiamento. Se il centrosinistra saprà sintonizzarsi con essa forse potrà cominciare finalmente il tempo nuovo.

l’Unità 22.5.12

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“Bersani: una vittoria senza se e senza ma”, di Simone Collini

«Da 45 comuni a 92: non è una vittoria?». Su Parma: «Il Pdl si è nascosto dietro Grillo»
Renzi insiste: primarie. «Abbiamo vinto senza se e senza ma. Capisco il simpatico tentativo di rubarci la vittoria ma non sarà consentito». Tre ore dopo la chiusura dei seggi elettorali Pier Luigi Bersani sale al terzo piano del quartier generale del Pd con sotto il braccio una cartellina. Ad attenderlo ci sono decine di giornalisti, telecamere, fotografi. Il leader dei Democratici si siede al tavolo di fronte a loro e mette in bella vista un grafico a colori. Schematizza il risultato elettorale complessivo, i Comuni andati al voto che da oggi saranno governati dal centrosinistra, quelli riconfermati e quelli strappati al centrodestra. «Abbiamo vinto le amministrative 2012: 177 Comuni al voto sopra i 15 mila abitanti, 92 vinti dal centrosinistra; l’altra volta erano 45. Questi sono i fatti». E Parma? «Abbiamo non vinto», sorride Bersani. «Lì governava da dieci anni il centrodestra, che è stato sconfitto e si è rimpannucciato dietro a Grillo. Non è che abbiamo perso».
Anche questa seconda tornata elettorale viene commentata positivamente dal gruppo dirigente del Pd. Si partiva da una situazione, guardando ai Comuni capoluogo, di 18 a 8 a favore del centrodestra. Oggi il risultato è ribaltato, col centrosinistra che governa in 18 di essi, mentre al Pdl ne rimangono 5, uno alla Lega (Verona) e uno al Movimento 5 stelle (Parma). I riflettori sono tutti puntanti sull’exploit dei grillini, ma al Pd si guarda soprattutto al fatto che nel Nord sono state conquistate importanti città come Alessandria, Asti, Como, Monza, Belluno, e che l’asse Pdl-Lega che ha dominato la scena politica per gran parte dell’ultimo ventennio oggi è in frantumi.
Al di là del buon risultato ottenuto, nella sede del Pd si guarda non tanto all’affermazione del movimento di Beppe Grillo, che per Bersani ora «dovrà dire cosa intende fare perché solo gli slogan servono a poco» (e la sfida che gli lancia il leader dei Democratici è per un confronto su un tema «inevaso» dal comico genovese, quello del lavoro), ma al dato dell’astensionismo. «È preoccupante ma non allarmante», dice Bersani, giustificando questa frase con la media che si registra in questa fase nelle elezioni a livello europeo e con il fisiologico calo che c’è sempre nel secondo turno.
MESSAGGIO ANCHE PER IL GOVERNO
Ma quel 49% di elettori che ha scelto di non votare non lascia proprio sereni i dirigenti del Pd, che ora imposteranno la strategia delle prossime settimane incalzando gli altri partiti sulle riforme da approvare in Parlamento e l’esecutivo sulla necessità di approvare in tempi rapidi misure che diano un segnale chiaro al disagio sociale che c’è nel Paese. «Mi auguro che il governo capisca che viene un messaggio anche per lui da queste elezioni», dice non a caso Bersani commentando il risultato dei ballottaggi.
Il leader del Pd tra oggi e domani vedrà Mario Monti e i leader dei partiti progressisti europei, discutendo in entrambi i casi di come far fronte alla crisi e di come favorire la crescita. «Il Paese vive una sofferenza acuta, alcuni problemi non si possono risolvere, altri sì, e bisogna porre un grande orecchio sui temi sociali». Bersani insisterà con il presidente del Consiglio sulla necessità di rivedere il patto di stabilità interno che impedisce ai Comuni di fare investimenti, di trovare una rapida soluzione al problema degli esodati, di accelerare i pagamenti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. «Il Paese ha bisogno di segnali concreti che riguardano la vita di ogni giorno».
Ma la richiesta di «cambiamento» che è arrivata dagli elettori investe anche i partiti, che hanno pochi giorni di tempo per approvare riforme di cui da troppo tempo si discute senza arrivare a meta. Per questo Bersani sollecita le altre forze parlamentari a smetterla di rallentare l’iter del dimezzamento dei rimborsi elettorali (oggi comincia la discussione in aula) e delle altre riforme (a cominciare dalla legge elettorale) che a parole tutti dicono di volere ma che nei fatti rimangono ferme al palo. Il Pd è convinto che gli elettori abbiano «compreso» il sostegno a Monti e che non tutti i partiti sono uguali. Ma se entro i prossimi mesi non arriveranno risultati concreti, è il timore che circola al Nazareno, l’ondata di antipolitica non farà troppe distinzioni. E il lavoro, per Bersani, andrà condotto sia con le altre forze parlamentari che all’interno del Pd: «Siamo in una situazione in cui la destra non risponde più alle aspettative dell’elettorato, c’è disaffezione e protesta verso la politica e tocca a noi interpretare un cambiamento credibile in vista di un appuntamento storico che è il 2013».
Il gruppo dirigente del Pd, che ora si riunirà per esaminare più approfonditamente il risultato elettorale e per decidere i prossimi passi (dopo il voto di Palermo c’è chi, come Bindi e Veltroni, chiede di rompere con Lombardo in Sicilia), sa che servirà il massimo della coesione per far fronte alle sfide che attendono il partito nei prossimi mesi, sul piano del rapporto col governo come nel confronto con le altre forze politiche. L’unica voce fuori dal coro, in queste ore, è quella di Matteo Renzi, per il quale «se Atene piange Sparta non ride», «l’usato sicuro va in pensione» e ora il Pd ha di fronte a sé due strade: «O si arrocca nella propria fortezza oppure prende atto dei risultati e indice per ottobre le primarie in modo da prepararsi per le prossime elezioni politiche». Bersani, a chi gli chiede un commento sulle parole del sindaco di Firenze, risponde con una sola battuta, che delinea la strategia per i prossimi mesi: «Se gli alleati vorranno faremo le primarie».

L’Unità 22.05.12

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“Una valanga travolge la destra in Lombardia”, di Rinaldo Gianola

Il secondo turno del voto amministrativo conferma e accentua la crisi della Lega e del berlusconismo. Ma il Pd non deve illudersi, la battaglia è solo all’inizio. Si rompe il blocco sociale e d’interessi della destra, milioni di voti in fuga Svanisce l’asse del Nord. Il risultato, piaccia o no, riconosce i Democratici come primo partito del territorio. Certo, oggi tutti hanno in mente Parma e la bella vittoria del grillino Pizzarotti. Giusto. Ma, forse, se vogliamo capire cosa è successo di rilevante in tutto il Nord, nei due turni delle amministrative, se vogliamo immaginare quali bandierine potrebbe piantare Bruno Vespa in uno speciale “Porta a porta” sul voto in Lombardia, nei santuari del Pdl e della Lega, allora dobbiamo partire dal comune di Tradate, nel varesotto. Qui inizia il ribaltone. Perchè il voto non si misura solo in percentuale, ma anche in valenza politica e simbolica. Ci sono vittorie, e sconfitte, che sono più vittorie e sconfitte di altre perchè anticipano il cambiamento, sono il segno della svolta, della novità attesa e finalmente manifesta.
SI RICOMINCIA DA TRADATE
Tradate, dunque? Sicuro. In questo ricco comune, di capannoni e imprese, ha vinto Laura Cavallotti, impiegata comunale, che ha mandato a casa il sindaco leghista e ha messo ko il boss locale della Lega, Dario Galli, presidente della provincia di Varese e consigliere di amministrazione di Finmeccanica perchè anche la Lega di lotta e di governo sa benissimo che i consigli delle grandi imprese pubbliche sono la continuazione della politica con altri mezzi. Tradate era un bastione inattaccabile della destra, oggi crolla sotto i colpi degli scandali, della paghetta del “Trota”, ma soprattutto rappresenta la mutazione politica del territorio, la rottura del blocco sociale leghista e berlusconiano che porta imprenditori, artigiani, professionisti, lavoratori a spostarsi altrove, soprattutto verso il Pd che, piaccia o no ai commentatori del Corriere della Sera vince in 17 comuni su 20 in Lombardia ed è oggi il primo partito della regione.
Certo nessuno nel Pd e nel centrosinistra deve farsi illusioni di poter riprendere la regione più importante, più ricca con un colpo di bacchetta, immaginando candidati improbabili che si autopromuovono con certe interviste che vien voglia di scappare… E non si può dimenticare, proprio nel momento di un successo importante, che la rotta della destra si accompagna con una crescita enorme dell’astensionismo, un segnale palese del distacco dei cittadini dai partiti che deve interessare e preoccupare la sinistra. Ma non c’è dubbio che oggi appare una grande occasione per le forze progressiste, c’è la strada aperta per riconquistare la Lombardia e da qui anche la guida del Paese. La Lombardia ha prodotto Craxi, Bossi, Berlusconi, Tremonti, oggi il tecnico Monti, è necessario creare le condizioni affinchè possa maturare un candidato progressista alla guida del Paese. L’anno scorso la conquista di Milano con Giuliano Pisapia ha segnato un percorso che merita di essere seguito.
I ballottaggi, infatti, offrono uno scenario politico nuovo e in evoluzione, accentuano le difficoltà politiche della coalizione che sostiene Roberto Formigoni e lasciano la destra in piena crisi. Al netto della vittoria chiara, al primo turno, del sindaco di Verona il leghista anomalo Tosi, il movimento di Umberto Bossi registra una frana totale, in particolare nelle proprie roccaforti. Perde nei grandi centri e perde voti, consensi nei comuni della fascia pedemontana, quella dove i sociologi della politica individuano la base, la forza, lo zoccolo duro della Lega.
Il terremoto del voto in Lombardia vede la Lega perdere tutti i ballottaggi in cui era impegnata. La sola consolazione è che a Cassano Magnago, la culla di Bossi, non passano i “rossi”, ma la spunta il candidato del Pdl appoggiato malvolentieri dai leghisti. Il resto è un disastro, per Bossi e per Berlusconi che, infatti, non si fa più vedere in giro perchè ha capito che per lui e i suoi sodali tira una brutta aria.
LA BRIANZA SALUTA SILVIO
La sinistra vince nettamente a Monza con Roberto Scanagatti, territorio considerato berlusconiano anche per la vicinanza con Arcore. La bella e produttiva Brianza dei mobilieri, delle fabbrichette, volta pagina e si affida al Pd, come era già emerso al primo turno. Un caso incredibile è quello di Meda, grande centro brianzolo, dove vince per un solo voto il candidato del centrosinistra Gianni Caimi e riprende il municipio che dal 1992 era in mano alla Lega. Una vittoria storica è quella di Mario Lucini che porta le forze progressiste al governo della città, dopo oltre vent’anni. I successi del Pd e dei suoi alleati sono rilevanti in Lombardia e altrove, hanno una valenza storica perchè mettono fine a un lungo dominio della destra.
Poi ci sono anche delle belle conferme. A Sesto San Giovanni il Pd mantiene il sindaco, esce Giorgio Oldrini e il suo posto viene preso da Monica Chittò, che vince con largo distacco. Gli elettori sestesi, dunque, hanno preferito confermare la loro fiducia verso chi ha ben governato la città e le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto anche Filippo Penati non hanno prodotto conseguenze sul voto. In Lombardia le elezioni amministrative 2012 dicono che il Pd si prende pure la guida di Abbiategrasso, Buccinasco, Castiglione delle Stiviere, Cernusco sul naviglio, Cesano Maderno, Crema, Desenzano sul Garda, Garbagnate milanese (dove il candidato grillino sostenuto dal pdl è arrivato al 48% ), Legnano, Lissone, Magenta, Meda, Palazzolo sull’Oglio, Pieve Emanuele, San Donato Milanese, Senago e Tradate. È un buon inizio.

L’Unità 22.05.12

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Sindaci scelti da meno della metà degli elettori anche a Alessandria, Como, Monza, Belluno, Lucca, Taranto e Trapani
Da Genova a Palermo, lo sciopero del voto a quota 60
di Alberto Custodero

Crollano gli elettori. L´astensionismo sale a un livello definito dai politici di tutti i partiti «preoccupante». A Genova ha toccato livelli record del 61 per cento: per il ballottaggio vinto dal sindaco Marco Doria si sono recati alle urne complessivamente 197 mila votanti (il 39 per cento) su un totale di 504 mila, il 15 per cento in meno rispetto al primo turno. Sei genovesi su dieci non si sono recati alle urne. E Doria è stato eletto circa da un genovese su 5, 114 mila cittadini. Per capire l´entità del fenomeno nel capoluogo ligure, basta confrontare i dati con la precedente tornata: nel 2007 avevano votato il venti per cento di elettori in più, 323.289, il 61,75%. Secondo i dati del Viminale (che non tiene conto della Sicilia), in termini assoluti calano del 13,98 per cento gli elettori rispetto alla precedente elezione di cinque anni fa. «Un messaggio chiaro da prendere sul serio», ha commentato Angelo Bagnasco, il presidente della Cei.
Ma ci sono città, dal Nord Est al Sud, dove ha votato meno di un elettore su due. La fuga di elettori ha portato a Belluno meno di uno su due a votare (il 53 per cento, per l´esattezza). E l´affluenza è calata del dieci per cento rispetto al primo turno. Cinque anni fa l´astensionismo era stato appena del 34%. Anche a Palermo, come Belluno, ha votato solo il 47%, 531.631 elettori. Rispetto al primo turno, s´è registrato un calo complessivo, quindi, del 20,11%.
Stessa situazione di astensione quasi del 60 per cento accomuna Como (dove, però, nel 2007 avevano votato quasi 7 su dieci) a Taranto (dove cinque anni fa 5 elettori su dieci avevano votato al secondo turno di due anni fa). In entrambe queste città il calo rispetto alla primo turno è stato quasi del 20%. Anche in Emilia crolla l´affluenza: a Parma l´astensionismo s´è assestato intorno al 39 per cento: i votanti (61 per cento) sono diminuiti di sei punti percentuali rispetto a cinque anni fa (67 per cento). Appena uno su tre circa ha votato il sindaco del Movimento 5 Stelle di Grillo, 51 mila voti su 142 mila aventi diritto.
Crolla quasi del 16 per cento la partecipazione al voto anche a Monza: solo il 44 per cento s´è recato a votare ieri, contro il 60 per cento del primo turno. «Il dato preoccupante – ha commentato Rosy Bindi, presidente del Pd – è l´astensionismo o il rifugio in liste che hanno il sapore di una protesta o il tentativo di una risposta sbagliata all´antipolitica che va crescendo».

La Repubblica 22.05.12

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“Cambia la mappa del potere locale Il crollo della Lega
Il Carroccio perde 7 ballottaggi su 7”. di Alessandra Troncino

Italia divisa in tre, recita la geopolitica italiana degli ultimi anni: Nord «padano» a prevalenza leghista e pidiellino; Centro tosco-emiliano baluardo della sinistra; Sud feudo del centrodestra. L’ultima tornata amministrativa spazza via i confini consolidati e mescola le frontiere: al Nord crolla il leghismo, devastato dagli scandali e dal declino dell’autocrazia bossiana. Collassa anche il Pdl, che vive l’analogo inabissarsi dell’appeal personale berlusconiano. Il centrosinistra risorge conquistando 15 capoluoghi di Provincia: situazione praticamente capovolta rispetto al passato. Una vittoria a macchia di leopardo, quella del centrosinistra, che parte dal Piemonte e arriva fino in Sicilia. I centristi perdono la presa con il territorio quasi ovunque, mantenendo solo due appigli: Cuneo e Agrigento. Il grillismo avanza deciso ma solo nel Nord, dove conquista quattro Comuni di due Regioni, Emilia-Romagna e Veneto: Sarego (Vicenza), Comacchio (Ferrara), Mira (Venezia) e Parma.
Dati sui quali riflettere, a cominciare dal Nord. Clamorosa la débâcle del Carroccio, che perde sette ballottaggi su sette, cinque in Lombardia e due in Veneto: sconfitto a Cantù, Palazzolo, Tradate, Senago, Thiene, San Giovanni Lupatoto e Meda (per un voto). Dopo aver perso al primo turno Cassano Magnago (patria di Umberto Bossi), altre due sconfitte simbolo: a Tradate, dove governava da vent’anni, e a Thiene, dove in campagna elettorale era arrivato Bobo Maroni a dare un segnale di discontinuità. La Lega perde anche Monza, dove da due mandati governava Marco Mariani: qui trionfa lo sconosciuto pd Roberto Scanagatti, che ottiene un 63 per cento inedito in una città un tempo feudo democristiano poi leghista.
Crollata la Lega e in crisi il Pdl, a chi va il Nord? I dati non sono omogenei e ce n’è uno da non sottovalutare: l’affluenza, scesa dal 47,6 del primo turno al 36,2, con picchi negativi a Genova (26,64), oltre che a Palermo (28,5). In Piemonte il Pd è il primo partito e vince ad Alessandria (Comune a rischio bancarotta) ed a Asti. In Lombardia, oltre che a Monza, vince a Como, Sesto (nonostante la questione Penati), Legnano, Magenta, Abbiategrasso e molti altri Comuni. Vittorie anche in Toscana, dove il centrosinistra strappa al Pdl Lucca (vittoria storica, con il primo sindaco di centrosinistra dal dopoguerra, a parte una breve parentesi) e Camaiore. In Lazio esulta il Pd: il partito di Nicola Zingaretti fa cappotto a Civitavecchia, Ladispoli e Cerveteri. Il Pdl si consola strappando al Pd Frosinone — con Nicola Ottaviani, vincitore delle prime primarie dell’era Alfano — e imponendosi a Gaeta. Ma perde a Rieti, dove accade l’imprevedibile: trionfa Simone Pietrangeli, di Sinistra e libertà, che subentra a un Pdl al governo da ben 18 anni.
Nel Sud il centrosinistra si conferma a Taranto e all’Aquila e vince in tutta la Campania. I Verdi si difendono bene a Taranto, ma solo perché qui si è presentato il leader Angelo Bonelli. Il Pdl tiene Catanzaro, Lecce, Trani e Trapani.
Non sono pochi i vincenti nel centrosinistra che non vengono dal Pd: a cominciare dai clamorosi successi di Palermo per l’Idv Leoluca Orlando e di Genova del vendoliano Marco Doria. Due successi che il Pd in qualche modo subisce. Ma c’è un altro caso interessante: Belluno, dove vince un ex Pd sostenuto da liste civiche. Jacopo Massaro partiva in svantaggio rispetto a Claudia Bettiol, del Pd, ma alla fine si è imposto nettamente, con il 62,7%.

Il Corriere della Sera 22.05.12

"Rispunta la quarta fascia delle graduatorie", di Carlo Forte

Al via la IV fascia delle graduatorie a esaurimento. Alla fascia aggiuntiva avranno accesso i laureati in scienze delle formazione e per i diplomati di accademia e conservatorio, che abbiano conseguito il titolo abilitante tra il 2008/09, e 2010/11. La novità è prevista dall’art. 14, comma 2 ter, del decreto legge 216/2011, convertito con legge 14/2012. Che rinvia a un decreto ministeriale la fissazione dei termini (che presumibilmente andranno dal 15 giugno al 5 luglio) e le modalità di presentazione delle domande, che comunque dovranno essere inoltrate on line. E il ministero ha già approntato la bozza del decreto che sarà emanato a breve. ItaliaOggi lo ha letto ed è in grado di anticiparne il contenuto.

In coda alla terza

Va detto subito che la IV fascia è definita nella legge come graduatoria aggiuntiva da porre in coda alla terza fascia. E sarà costituita solo per i soggetti espressamente elencati nella legge. E cioè gli aspiranti in possesso del diploma Cobaslid rilasciato dalle accademie e dei titoli accademici di II livello rilasciati dai conservatori. A patto che abbiano conseguito i titoli nel triennio 2008/09, 2009/10 e 2010/11. Idem per i laureati in scienze della formazione primaria, che abbiano conseguito il titolo nel medesimo triennio. Tutti gli altri restano fuori perché le graduatorie restano chiuse.

No all’aggiornamento per chi c’è già

Conseguentemente i titoli che danno accesso alla fascia aggiuntiva delle graduatorie ad esaurimento saranno valutati solo a tale fine e non per il miglioramento del punteggio in eventuali altre graduatorie di I, II e III fascia, che potrà essere aggiornato solo a partire dal successivo triennio di validità delle graduatorie.

5 fasce per il sostegno

Ai fini della graduatoria aggiuntiva, gli interessati potranno far valer anche il titolo del sostegno. Resta il fatto, però, che è prevista l’ulteriore costituzione di una fascia aggiuntiva, nella quale saranno collocati coloro che sono già inclusi nelle graduatorie a esaurimento e che abbiano conseguito il titolo di sostegno dopo il termine di aggiornamento delle medesime. Pertanto, nel caso degli elenchi di sostegno, le fasce aggiuntive sono addirittura due. Nella prima fascia aggiuntiva saranno collocati coloro che faranno valere il titolo di sostegno tardivamente,ma comunque sono già inseriti nelle graduatorie. E nella seconda fascia aggiuntiva, i soggetti che entrano ora nella IV fascia della classe di concorso. Conseguentemente, le fasce delle classi di concorso e dei posti di scuola dell’infanzia e primaria saranno 4 ( le prime 3 fasce ordinarie + la fascia aggiuntiva). Mentre, per il sostegno, le fasce saranno complessivamente 5: le prime 3 fasce ordinarie + la fascia aggiuntiva degli inclusi che fanno valere tardivamente il sostegno + la fascia aggiuntiva di coloro che entrano ora in graduatoria e, contemporaneamente fanno valere anche il titolo di sostegno.

Aggiornamento della riserva ogni anno Il comma 2-quater dello stesso art. 14, prevede che gli aspiranti in possesso del titolo di accesso alla riserva dei posti prevista dalla legge 68/99 possano far valere tale titolo con cadenza annuale e non più, come accadeva in passato, solo in occasione dell’aggiornamento delle graduatorie. E dunque, lo stesso termine previsto per consentire l’accesso alle fasce aggiuntive avrà valore anche per i neoriservisti che abbiano intenzione di far valere tale titolo già da quest’anno.

Si può aggiornare anche la 104

In via eccezionale, tale possibilità sarà concessa, anche se solo per l’anno in corso, anche a coloro che abbiano conseguito i titoli per accedere ai benefici previsti dalla legge 104/92. Ciò per evitare disparità di trattamento tra coloro che avrebbero potuto far valere tali titoli nella fascia aggiuntiva e coloro che, per il solo fatto di essere già in graduatoria, non avrebbero potuto fruirne.

da ItaliaOggi 22.05.12

"Nord, segnato il primo gol", di Giuseppe Civati

La sconfitta di Lega e Pdl, abbondantemente prevista e preannunciata dagli stessi esponenti della destra di ogni ordine e grado, si è trasformata in una vera e propria «scomparsa» degli elettori cosiddetti moderati. In Lombardia è cappotto per il centrosinistra e per il Pd in particolare: si vince a Monza, la principale città della fu-Padania al voto in questo secondo turno di ballottaggio, si vince a Como e con percentuali altissime. Perché l’astensionismo ha colpito durissimo i candidati della destra.
Se a Monza e a Como è una vittoria dal significato locale, perché entrambe le città erano state pessimamente amministrate e Lega e Pdl si erano divisi al primo turno, colpisce la netta affermazione del centrosinistra in feudi storici della Lega, come Lissone, dove il centrosinistra civico raccoglie quasi il 70 per cento dei suffragi, e forse anche Meda (un voto di vantaggio, domattina si riconteggia), a segnare la fine di un’epoca. Così come a Legnano, città della battaglia, tanto per stare alla simbologia leghista, che oggi sembra davvero molto lontana nel tempo.
Per motivi che sembreranno paradossali, ciò comporterà un disperato rafforzamento della maggioranza che regge la Regione, perché andare a votare subito, per Formigoni e per i leghisti – cerchisti o maroniti poco importa – sarebbe un massacro.
Il Pd dove si apre alla partecipazione ed esprime un profilo di governo, serio e competente sotto il profilo amministrativo, in queste condizioni non ha rivali. Quando sa interloquire con il civismo e con la spinta che proviene dal basso, in questo momento, è letteralmente imbattibile.
Speriamo sappia far tesoro, però, di quella che è prima di tutto un’opportunità che si apre, non una partita che si chiude: perché il Nord è da ripensare, perché dopo vent’anni di propaganda non è sufficiente un’affermazione in campo amministrativo, ci vuole un investimento politico, che sappia individuare parole, argomenti, proposte e nuovi riferimenti all’interno della società del Nord.
Dopo le ampolle e la secessione, i ministri del Nord a Roma (erano quasi tutti lombardi, quei ministri) e i ministeri del Nord a Monza (l’assurdità più plateale, in questo senso, degli ultimi anni), ci vuole una politica più credibile.
Rinnovata e capace di parlare anche a chi è rimasto a casa. Che muova da questi risultati straordinari (stricto sensu) per rilanciare una sfida che è prima di tutto culturale e profondamente politica.
Le paure non sono scomparse, sono molto appannati gli attori che le hanno cavalcate. E non si sono invertiti i poli, come potrebbe sembrare: si è manifestata una grande disaffezione, da una parte, e una presenza politica, dall’altra. Che nonostante tutto e tutti, in uno schema politico tutto sommato tradizionale, di centrosinistra (senza alleanze ogm, per capirci), ha convinto il nostro elettorato a esserci e partecipare.
Non è poca cosa: per tradursi in una vittoria piena, però, bisogna guardarsi intorno, leggere i dati, prendere sul serio il messaggio di lontananza dalla politica che attraversa tutto lo stivale, cambiare passo su alcuni temi di ordine economico e sociale, e scegliere i propri rappresentanti come è avvenuto dove si è vinto: con le primarie, in uno schema unitario, in cui poi tutti hanno dato il loro contributo.
Se sapremo fare tutto questo, vinceremo anche nel 2013: la partita è appena iniziata. E diciamo che il primo gol, però, in Lombardia, e nel Nord che votava, l’abbiamo segnato noi. Attenti alle rimonte non impossibili da parte di chi ora non c’è, ma può ripensarsi e riorganizzarsi.

da Europa Quotidiano 22.05.12

"Tre interventi urgenti per l'università", di Marco Meloni e Maria Chiara Carrozza

Nelle ultime settimane il governo ha adottato una serie di misure per l’equità e la crescita, rivolte in particolare riguardo al Mezzogiorno, ed è intenzionato a proseguire con altri interventi, in particolare rivolti alla promozione del merito. Per vincere la crisi, ne siamo tutti consapevoli, serve una nuova fase di sviluppo. Gli obiettivi ambiziosi dell’Ue per il 2020 (innalzamento al 75% del tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni, contrasto alla povertà, investimenti in ricerca e innovazione) stavolta non possono restare sulla carta. Alla base di questi, l’innalzamento del livello di istruzione: riduzione degli abbandoni scolastici sotto il 10%, aumento al 40%dei laureati. L’Italia è molto indietro, si pensi che il governo Berlusconi ha trasmesso all’Europa obiettivi per il 2020 sotto le medie europee del 2010.E peggioriamo: sempre meno giovani italiani si iscrivono all’università (-10% nell’ultimo anno). Le ragioni sono varie: un orientamento inefficiente, l’idea– sbagliata! – che studiare sia inutile. Ma soprattutto queste scelte segnano un’intollerabile decrescita culturale e sociale, per cui l’alta formazione tende a trasmettersi nuovamente per censo. Pochissimi ottengono borse di studio: il 7% degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6% della Francia (1,6 miliardi), il30%della Germania (2 miliardi) e il 18% della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato dell’11,2%, mentre aumenta negli altri paesi (Francia +25,9%, Germania +18,6%, Spagna + 39%). Si può ormai fare un bilancio della «Grande Riforma» Gelmini: l’università italiana è bloccata da procedure macchinose e interminabili, che non ci consegnano un sistema più efficiente, ma più asfittico e di minor qualità, oltre a una generazione perduta di ricercatori. Così, stiamo già scivolando fuori dal modello sociale europeo: un’Italia rassegnata all’inutilità della formazione vive il declino come destino. Nel Programma nazionale di riforma 2012, il governo ha mostrato attenzione a questi temi, marcando essenziali discontinuità, sostenendo il valore sociale dell’istruzione e il rafforzamento del diritto allo studio. Non basta: ora occorre passare dalle parole ai fatti. Servono misure strategiche e interventi urgenti, che a nostro avviso devono essere mirati su tre priorità. Primo, un programma nazionale per il merito e il diritto allo studio, che affianchi gli interventi regionali, finanziato con 500 milioni (250 di risorse già destinate all’università e 250 da prestiti d’onore) e potenziato nel Mezzogiorno dall’utilizzo delle risorse europee per sostenere percorsi Erasmus e “Master and back”. L’università torni a essere la culla, e non la tomba della mobilità sociale, garantendo davvero il diritto costituzionale a completare gli studi per i capaci e meritevoli “ancorché privi di mezzi”. Secondo, la circolazione dei talenti e l’apertura internazionale. Nel venticinquesimo compleanno dell’Erasmus, l’Italia ha poco da festeggiare, perché il programma coinvolge solo l’1% dei nostri studenti, metà della media europea, al Nord il doppio che al Sud. Puntiamo a far sì che in 5 anni si passi da 20mila a 100mila studenti Erasmus all’anno, intervenendo con sgravi fiscali per le famiglie, sul riconoscimento dei crediti, sugli scambi di ospitalità. Erasmus significa anche accoglienza degli studenti stranieri, e richiama l’apertura e la trasparenza del sistema: insegnamento in inglese e dell’inglese, equipollenza per il riconoscimento dei titoli accademici, “cattedre parziali” per gli studiosi che insegnano nelle università straniere. Terzo, l’accesso ai ruoli universitari. Anche qui, tutto è fermo, dalle procedure di abilitazione al piano per gli associati, ai contratti in tenure track: si deve invertire la marcia e investire sui giovani, con il contratto unico di ricerca (con diritti certi e compensi adeguati) per tutte le attività post-doc e una figura più “forte” di professore junior in percorso di ruolo. A poco più di 30 anni deve essere possibile fare di un talento – la ricerca e l’insegnamento – l’impegno della propria vita. È vero, il capitale umano si qualifica con una “veduta lunga” che richiede un’azione costante e pluriennale. E l’università italiana ha bisogno di una visione di coesione e apertura, che – come cerca di fare il Paese – la riporti al centro delle dinamiche dello spazio europeo dell’istruzione, che riprenda la strada di “autonomia e responsabilità” interrotta in questi anni. Sono cose che faremo. Ma è urgente, oltre che lanciare un grido d’allarme, trovare ora l’energia per ripartire: la nuova Italia deve tornare subito a scommettere nello studio, se non vuole continuare a disperdere le possibilità economiche e culturali dei suoi figli e nipoti.

Marco Meloni resp. Università e ricerca segreteria Pd

Maria Chiara Carrozza presidente forum Università, ricerca e saperi Pd

l’Unità 22.05.12

"Nuova sfida per Bersani", di Michele Prospero

Soprattutto quando un partito vince deve riflettere con freddezza sulle incognite del cammino che resta ancora da compiere fino al voto. In ogni sua mossa, deve avere un quadro nitido circa le prospettive del sistema politico. Come scaltro partito cerniera, che mette insieme ovunque delle coalizioni altamente competitive, il Pd di sicuro incassa una grande affermazione. I giornali, che non lo amano troppo, faranno a gara per oscurare il successo o persino per negarlo con artifici retorici, ma il dato resta comunque, ed è inconfutabile. O direttamente con i suoi uomini, o
cedendo ad altri alleati la guida dello schieramento (fanno ridere
certi commentatori che presentano Genova come uno smacco), il Pd si
conferma il pilastro di una aggregazione ampia della sinistra capace di sfondare nell’intero territorio nazionale.
Il primo dato che il ballottaggio amplifica è che esiste un grande blocco del centrosinistra che il Pd, nonostante la difficile esperienza di un governo tecnico, riesce a coagulare e portare a vincere, secondo la specifica logica competitiva della elezione diretta del sindaco. Questa persistenza di una vasta sinistra (che rende meglio dove non ha attraversato il deserto rancoroso delle primarie di coalizione), capace spesso di accogliere movimenti e aree moderate, è un punto d’analisi inamovibile. Il secondo dato da
evidenziare è che il Pd rimane il solo partito con un qualche profilo organizzato entro un sistema ormai franato e irriconoscibile nelle sue stabili linee di demarcazione. La mancanza di competitori temibili (la Lega perde in tutti i ballottaggi, il Pdl è solo un cumulo di rovine, il terzo polo è un’incompiuta) però non deve autorizzare una sensazione di onnipotenza, che si sa è sempre l’anticamera della sconfitta più rovinosa. Proprio quando un partito è solo, e il sistema attorno pare indecifrabile, deve aumentare la diffidenza su ciò che il Paese profondo potrebbe avere in gestazione e all’occasione decisiva potrebbe tirarlo fuori con un impeto distruttivo.
Poiché la destra non è scomparsa (e come potrebbe in un avvelenato
clima di antipolitica che nella storia è sempre l’alimento vitale per la conservazione?) e gli interessi prosaici sui quali essa poggiava non sono affatto in silenziosa ritirata, è presumibile che emergeranno altri investimenti politici per rinserrare le fila oggi disperse. Ancora esiste una destra sociale (e d’opinione) che però non ha più referenti politici credibili e leader efficaci (perciò si aggrappa in maniera gattopardesca persino ai seguaci locali di Grillo) e quindi naviga alla cieca, in attesa di nuove offerte simboliche nelle quali riconoscersi. Non è esclusa la ricomparsa in vesti magari inedite di devianti scorciatoie fiabesche capaci di farsi largo per la difficoltà di curare l’alienazione politica della vasta neoborghesia che non comprende la grammatica della rappresentanza e del generale. Fin quando permane una emergenza democratica, resta aperta la questione storica di impedire l’aggregazione del centro moderato con le manifestazioni di una inquietante destra che non riesce a resistere al richiamo perverso del dialetto del populismo e della farsa dell’antipolitica. Che fare? Non servono gocce di
civetteria nuovista, di sicuro subalterna all’epoca decadente.
Inefficaci sarebbero pure le trite metafore reticolari, destinate a perdersi nell’oceano dell’antipolitica perché del tutto incapaci di rifondare una democrazia rappresentativa matura. Al Pd tocca agire come un partito-sistema che progetta una repubblica finalmente affrancata dall’incantesimo di regressive avventure carismatiche. La sua funzione storica di argine al primitivismo di movimenti personalistici, risiede nella capacità di organizzare la rappresentazione credibile del mondo del lavoro minacciato da una crisi micidiale e di delineare, in antitesi allo strapaese incombente, la necessaria proiezione dei partiti rinnovati verso le grandi culture politiche europee.

l’Unità 22.05.12

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Bersani: “Il Pd ha fatto il pieno vittoria senza se e senza ma” e dopo Parma è sfida a Grillo, di Giovanna Casadio

«Preoccupato per Grillo? Sono preoccupato come italiano, perché questo nostro sistema politico non trova mai una stabilizzazione… Come Pd, no. Siamo gli unici rimasti. C´è piuttosto il vuoto d´aria lasciato dal crollo del Pdl e della Lega, basta vedere Monza». Neppure per il risultato dei ballottaggi si brinda nella sede dei Democratici. Non sono giorni, con tutto quello che accade in Italia, con i lutti. Bersani ha appena concluso la conferenza stampa, e si sfoga. Poco prima, ha rivendicato la vittoria del Pd nei ballottaggi. Una vittoria “senza se e senza ma”, afferma. Ma ad offuscarla ci sono due fatti: l´astensionismo record e Grillo appunto, che sbaraglia il candidato democratico a Parma. Quindi, la preoccupazione c´è. Martedì prossimo il Pd riunirà la direzione. I consensi al MoVimento 5 Stelle sono il segnale dello smottamento politico. Bersani lo sa. A Grillo lancia la sfida: «Penso che alle politiche si presenterà anche il 5 Stelle che dovrà risolvere alcuni problemi di proposta. C´è un punto inevaso da Grillo: il lavoro. Lo sfido a confrontarsi su questo».
E sull´onda alta dell´anti politica? «Io mi chiamo Pd, e mi do una sveglia tutti i giorni. Il 5 Stelle sarà un nuovo partito, però basta avvelenare i pozzi della politica, noi non cederemo a qualunquismi e populismi. No al “muoia Sansone con tutti i filistei” di una destra che a Parma si è rimpannuciata sostenendo il grillino». Insomma, la destra scompaginata provoca «un vuoto d´aria, una ricerca d´autore… faccio i miei auguri ad Alfano». Tra le spine del Pd c´è anche Leoluca Orlando, al quale Bersani augura «buon lavoro», benché la prima bordata del neo sindaco di Palermo sia proprio per il leader democratico e per Vendola.
La contabilità del Pd è in una tabella: «Dei 177 comuni al voto, 92 sono stati vinti dal centrosinistra, l´altra volta erano 45. Nessuno ci rubi la vittoria». Su 26 capoluoghi, 14 avranno giunte di centrosinistra. Parma? «Lì, come a Comacchio, abbiamo “non vinto”, perché voglio ricordare che erano governati dal centrodestra. Certo il risultato di Parma ci fa riflettere… ho sentito La Russa compiaciuto perché a Parma hanno votato Grillo, ma non credo che Grillo si identifichi in ciò. So che Grillo pone domande cui rispondere». Lo stato maggiore democratico ha molto di cui discutere: dalle modalità di gioco, cioè le alleanze, al ricambio in un partito che spesso vince con outsider. Forte la «domanda d´innovazione», così la chiama Fioroni. Matteo Renzi, il “rottamatore”, rilancia: la classe dirigente attuale si deve fare da parte, primarie a ottobre. Bersani garantisce: «Al prossimo giro ci sarà un grande rinnovamento, bisogna far girare la ruota, ma non senza esperienza». Fa l´esempio di Hollande, in politica da decenni, che ha vinto in Francia e voluto un governo di donne e giovani. A Monza però, «è un sessantenne ad avere rappresentato il cambiamento». Aggiunge: «Ah, la giaculatoria delle primarie, ne abbiamo il copyright, anzi dovremmo chiederne la royalty». E alle politiche «se i nostri compagni di strada vorranno farle, non abbiamo nessun problema». I compagni di strada quali saranno? Di Pietro a Bersani: «Bisogna rilanciare al più presto la foto di Vasto, uniti si vince». Vendola: «Vince la voglia di cambiare, da oggi inizia il dopo Monti», parte la sfida per il governo. Ma il Pd conferma l´appoggio al professore, purchè abbia «un grande orecchio» sulle questioni sociali. Matteo Orfini, dalemiano, attacca: «Questo governo sta andando peggio di come ci aspettavamo».

La Repubblica 22.05.12