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"Il centrosinistra conquista numerose roccaforti del centrodestra", di Pietro Spataro

La tendenza è chiara: vince il Pd, è una disfatta per il Pdl e un ko per la Lega, il movimento «5 stelle» si afferma come «partito della protesta». Finisce un modello di governo, si sgretola il blocco sociale che il centrodestra aveva creato attorno a un’idea carismatica, proprietaria e liberista. Cambia tutto, ma come avviene in tutti i cambiamenti troppo veloci e disordinati, restano troppe incognite che impediscono di prevedere quale sarà l’esito di questo difficile passaggio. Il Paese è come sospeso tra ieri e domani, ma su un filo troppo sottile che può spezzarsi in qualunque momento se non si avrà la forza e l’ambizione di mettere al suo posto una corda robusta.
Non c’è dubbio che il Pd ha oggi la responsabilità principale della transizione. Gira in rete un grafico che illustra bene il nuovo scenario: c’è una colonnina rossa molto alta, molto più alta delle altre, e rappresenta il numero dei Comuni che saranno governati dal centrosinistra. Sono 92, erano 45 nelle precedenti elezioni. Molto più giù una serie di tante basse colonnine tra le quali spicca quella del centrodestra con 34 sindaci e poi una piccolissimi numeri che riguardano tutti gli altri, liste civiche comprese. È l’immagine di un bipolarismo muscolare sconfitto. Ma anche di un Pd che, tra le macerie di una pericolosa polverizzazione, resta l’unica forza in grado di aggregare una alternativa alla crisi del sistema.
Ma il risultato di ieri è una sfida per Bersani. Che richiede una risposta aperta e una capacità di correggere le debolezze di cui il Pd soffre e che infatti gli impediscono di intercettare l’elettorato che abbandona il centrodestra. Sin da oggi ci sarà bisogno di una «scossa civica» che sia in grado di far sentire ai cittadini, con maggiore convinzione, che il Pd c’è. E c’è sui loro problemi, sulla crisi del Paese, sul malessere che serpeggia nelle famiglie. C’è con un’idea chiara sul nuovo sistema politico. C’è nell’opera di rinnovamento e di ricambio generazionale indispensabile. Il Pd, insomma, dovrà evitare di coccolarsi con gli allori di questa vittoria e saperla usare, invece, per offrire una proposta credibile.
Il successo di Grillo a Parma è sicuramente un fatto importante e una novità di rilievo. Il movimento «5 stelle» è riuscito (anche con un consistente aiutino del Pdl) a intercettare il malumore e la protesta che agitano l’Italia in crisi. Lo ha fatto, spesso, usando slogan populisti, affidandosi alla facile arma del «siamo contro tutti»: e tutti ladri, venduti e incapaci. Ora però anche per il movimento cambierà musica. Diciamo che da oggi il «5 stelle» diventa ufficialmente un partito, esce definitivamente dallo «stato nascente» dei vaffa-day ed entra nell’età adulta. Dovrà misurarsi con i bilanci, con i tagli di spesa, con le scelte urbanistiche, dovrà trattare e scendere a compromessi: dovrà sporcarsi le mani. Su questo verrà giudicato dagli elettori e non più sulla battuta meglio azzeccata. Ma il risultato di Grillo dimostra anche che nel Paese c’è un malumore diffuso nei confronti della politica che non è solo e tutta antipolitica. Tra gli elettori che a Parma hanno scelto Pizzarotti sono molti quelli che vogliono una politica diversa. Anche a questi, evitando pregiudizi a volte troppo politicisti, il centrosinistra deve saper parlare.
Se un’indicazione di tendenza si può ricavare da questo voto locale è che il passaggio al post berlusconismo non è per niente un pranzo di gala. È invece un processo difficile, che comporta alti rischi e presenta spinte e controspinte incontrollabili che possono condurre anche a esiti imprevisti. La frammentazione è talmente forte e la tentazione per alcune forze di giocare al “tanto peggio tanto meglio” così accattivante, che serve un grande spirito di responsabilità nazionale. Ma servono anche grandi scelte strategiche che diano al Paese la certezza che un nuovo cammino è possibile. Il Pd alla fine resta l’unico «partito della nazione» e dovrà essere all’altezza di questa delicata dimensione rafforzando nello stesso tempo il suo rapporto con i progressisti europei e con le loro battaglie contro il «partito dell’austerità» che rischia di strangolare il Vecchio Continente. Riuscirà a fare tutto ciò se presenterà un programma di governo chiaro e alternativo: equità, uguaglianza, lavoro, diritti, welfare. Se sarà la forza centrale di un sistema di alleanze coerente e non conflittuale come fu la vecchia Unione. E se si batterà con determinazione per la cancellazione del Porcellum e per una riforma del sistema istituzionale che garantisca al tempo stesso la centralità dei partiti, che restano i capisaldi della rappresentanza politica, e la forza serena di un bipolarismo di tipo europeo dove l’elettore sceglie da chi essere governato e i parlamentari non siano più nominati. Al forte vento astensionista che soffia nelle nostre città bisogna rispondere con la forza della buona politica e non con le sue troppe debolezze.
Dieci mesi ci separano ormai dal voto del 2013. Dieci mesi in politica sono un tempo breve, quasi un lampo. Ma occorre andare controvento per riuscire a valorizzare il messaggio positivo che viene da questi ballottaggi e per eliminare le troppe incognite che ancora pesano sul futuro. Nel Paese c’è una spinta certo, spesso nascosta e a volte disordinata per il cambiamento. Se il centrosinistra saprà sintonizzarsi con essa forse potrà cominciare finalmente il tempo nuovo.

l’Unità 22.5.12

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“Bersani: una vittoria senza se e senza ma”, di Simone Collini

«Da 45 comuni a 92: non è una vittoria?». Su Parma: «Il Pdl si è nascosto dietro Grillo»
Renzi insiste: primarie. «Abbiamo vinto senza se e senza ma. Capisco il simpatico tentativo di rubarci la vittoria ma non sarà consentito». Tre ore dopo la chiusura dei seggi elettorali Pier Luigi Bersani sale al terzo piano del quartier generale del Pd con sotto il braccio una cartellina. Ad attenderlo ci sono decine di giornalisti, telecamere, fotografi. Il leader dei Democratici si siede al tavolo di fronte a loro e mette in bella vista un grafico a colori. Schematizza il risultato elettorale complessivo, i Comuni andati al voto che da oggi saranno governati dal centrosinistra, quelli riconfermati e quelli strappati al centrodestra. «Abbiamo vinto le amministrative 2012: 177 Comuni al voto sopra i 15 mila abitanti, 92 vinti dal centrosinistra; l’altra volta erano 45. Questi sono i fatti». E Parma? «Abbiamo non vinto», sorride Bersani. «Lì governava da dieci anni il centrodestra, che è stato sconfitto e si è rimpannucciato dietro a Grillo. Non è che abbiamo perso».
Anche questa seconda tornata elettorale viene commentata positivamente dal gruppo dirigente del Pd. Si partiva da una situazione, guardando ai Comuni capoluogo, di 18 a 8 a favore del centrodestra. Oggi il risultato è ribaltato, col centrosinistra che governa in 18 di essi, mentre al Pdl ne rimangono 5, uno alla Lega (Verona) e uno al Movimento 5 stelle (Parma). I riflettori sono tutti puntanti sull’exploit dei grillini, ma al Pd si guarda soprattutto al fatto che nel Nord sono state conquistate importanti città come Alessandria, Asti, Como, Monza, Belluno, e che l’asse Pdl-Lega che ha dominato la scena politica per gran parte dell’ultimo ventennio oggi è in frantumi.
Al di là del buon risultato ottenuto, nella sede del Pd si guarda non tanto all’affermazione del movimento di Beppe Grillo, che per Bersani ora «dovrà dire cosa intende fare perché solo gli slogan servono a poco» (e la sfida che gli lancia il leader dei Democratici è per un confronto su un tema «inevaso» dal comico genovese, quello del lavoro), ma al dato dell’astensionismo. «È preoccupante ma non allarmante», dice Bersani, giustificando questa frase con la media che si registra in questa fase nelle elezioni a livello europeo e con il fisiologico calo che c’è sempre nel secondo turno.
MESSAGGIO ANCHE PER IL GOVERNO
Ma quel 49% di elettori che ha scelto di non votare non lascia proprio sereni i dirigenti del Pd, che ora imposteranno la strategia delle prossime settimane incalzando gli altri partiti sulle riforme da approvare in Parlamento e l’esecutivo sulla necessità di approvare in tempi rapidi misure che diano un segnale chiaro al disagio sociale che c’è nel Paese. «Mi auguro che il governo capisca che viene un messaggio anche per lui da queste elezioni», dice non a caso Bersani commentando il risultato dei ballottaggi.
Il leader del Pd tra oggi e domani vedrà Mario Monti e i leader dei partiti progressisti europei, discutendo in entrambi i casi di come far fronte alla crisi e di come favorire la crescita. «Il Paese vive una sofferenza acuta, alcuni problemi non si possono risolvere, altri sì, e bisogna porre un grande orecchio sui temi sociali». Bersani insisterà con il presidente del Consiglio sulla necessità di rivedere il patto di stabilità interno che impedisce ai Comuni di fare investimenti, di trovare una rapida soluzione al problema degli esodati, di accelerare i pagamenti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. «Il Paese ha bisogno di segnali concreti che riguardano la vita di ogni giorno».
Ma la richiesta di «cambiamento» che è arrivata dagli elettori investe anche i partiti, che hanno pochi giorni di tempo per approvare riforme di cui da troppo tempo si discute senza arrivare a meta. Per questo Bersani sollecita le altre forze parlamentari a smetterla di rallentare l’iter del dimezzamento dei rimborsi elettorali (oggi comincia la discussione in aula) e delle altre riforme (a cominciare dalla legge elettorale) che a parole tutti dicono di volere ma che nei fatti rimangono ferme al palo. Il Pd è convinto che gli elettori abbiano «compreso» il sostegno a Monti e che non tutti i partiti sono uguali. Ma se entro i prossimi mesi non arriveranno risultati concreti, è il timore che circola al Nazareno, l’ondata di antipolitica non farà troppe distinzioni. E il lavoro, per Bersani, andrà condotto sia con le altre forze parlamentari che all’interno del Pd: «Siamo in una situazione in cui la destra non risponde più alle aspettative dell’elettorato, c’è disaffezione e protesta verso la politica e tocca a noi interpretare un cambiamento credibile in vista di un appuntamento storico che è il 2013».
Il gruppo dirigente del Pd, che ora si riunirà per esaminare più approfonditamente il risultato elettorale e per decidere i prossimi passi (dopo il voto di Palermo c’è chi, come Bindi e Veltroni, chiede di rompere con Lombardo in Sicilia), sa che servirà il massimo della coesione per far fronte alle sfide che attendono il partito nei prossimi mesi, sul piano del rapporto col governo come nel confronto con le altre forze politiche. L’unica voce fuori dal coro, in queste ore, è quella di Matteo Renzi, per il quale «se Atene piange Sparta non ride», «l’usato sicuro va in pensione» e ora il Pd ha di fronte a sé due strade: «O si arrocca nella propria fortezza oppure prende atto dei risultati e indice per ottobre le primarie in modo da prepararsi per le prossime elezioni politiche». Bersani, a chi gli chiede un commento sulle parole del sindaco di Firenze, risponde con una sola battuta, che delinea la strategia per i prossimi mesi: «Se gli alleati vorranno faremo le primarie».

L’Unità 22.05.12

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“Una valanga travolge la destra in Lombardia”, di Rinaldo Gianola

Il secondo turno del voto amministrativo conferma e accentua la crisi della Lega e del berlusconismo. Ma il Pd non deve illudersi, la battaglia è solo all’inizio. Si rompe il blocco sociale e d’interessi della destra, milioni di voti in fuga Svanisce l’asse del Nord. Il risultato, piaccia o no, riconosce i Democratici come primo partito del territorio. Certo, oggi tutti hanno in mente Parma e la bella vittoria del grillino Pizzarotti. Giusto. Ma, forse, se vogliamo capire cosa è successo di rilevante in tutto il Nord, nei due turni delle amministrative, se vogliamo immaginare quali bandierine potrebbe piantare Bruno Vespa in uno speciale “Porta a porta” sul voto in Lombardia, nei santuari del Pdl e della Lega, allora dobbiamo partire dal comune di Tradate, nel varesotto. Qui inizia il ribaltone. Perchè il voto non si misura solo in percentuale, ma anche in valenza politica e simbolica. Ci sono vittorie, e sconfitte, che sono più vittorie e sconfitte di altre perchè anticipano il cambiamento, sono il segno della svolta, della novità attesa e finalmente manifesta.
SI RICOMINCIA DA TRADATE
Tradate, dunque? Sicuro. In questo ricco comune, di capannoni e imprese, ha vinto Laura Cavallotti, impiegata comunale, che ha mandato a casa il sindaco leghista e ha messo ko il boss locale della Lega, Dario Galli, presidente della provincia di Varese e consigliere di amministrazione di Finmeccanica perchè anche la Lega di lotta e di governo sa benissimo che i consigli delle grandi imprese pubbliche sono la continuazione della politica con altri mezzi. Tradate era un bastione inattaccabile della destra, oggi crolla sotto i colpi degli scandali, della paghetta del “Trota”, ma soprattutto rappresenta la mutazione politica del territorio, la rottura del blocco sociale leghista e berlusconiano che porta imprenditori, artigiani, professionisti, lavoratori a spostarsi altrove, soprattutto verso il Pd che, piaccia o no ai commentatori del Corriere della Sera vince in 17 comuni su 20 in Lombardia ed è oggi il primo partito della regione.
Certo nessuno nel Pd e nel centrosinistra deve farsi illusioni di poter riprendere la regione più importante, più ricca con un colpo di bacchetta, immaginando candidati improbabili che si autopromuovono con certe interviste che vien voglia di scappare… E non si può dimenticare, proprio nel momento di un successo importante, che la rotta della destra si accompagna con una crescita enorme dell’astensionismo, un segnale palese del distacco dei cittadini dai partiti che deve interessare e preoccupare la sinistra. Ma non c’è dubbio che oggi appare una grande occasione per le forze progressiste, c’è la strada aperta per riconquistare la Lombardia e da qui anche la guida del Paese. La Lombardia ha prodotto Craxi, Bossi, Berlusconi, Tremonti, oggi il tecnico Monti, è necessario creare le condizioni affinchè possa maturare un candidato progressista alla guida del Paese. L’anno scorso la conquista di Milano con Giuliano Pisapia ha segnato un percorso che merita di essere seguito.
I ballottaggi, infatti, offrono uno scenario politico nuovo e in evoluzione, accentuano le difficoltà politiche della coalizione che sostiene Roberto Formigoni e lasciano la destra in piena crisi. Al netto della vittoria chiara, al primo turno, del sindaco di Verona il leghista anomalo Tosi, il movimento di Umberto Bossi registra una frana totale, in particolare nelle proprie roccaforti. Perde nei grandi centri e perde voti, consensi nei comuni della fascia pedemontana, quella dove i sociologi della politica individuano la base, la forza, lo zoccolo duro della Lega.
Il terremoto del voto in Lombardia vede la Lega perdere tutti i ballottaggi in cui era impegnata. La sola consolazione è che a Cassano Magnago, la culla di Bossi, non passano i “rossi”, ma la spunta il candidato del Pdl appoggiato malvolentieri dai leghisti. Il resto è un disastro, per Bossi e per Berlusconi che, infatti, non si fa più vedere in giro perchè ha capito che per lui e i suoi sodali tira una brutta aria.
LA BRIANZA SALUTA SILVIO
La sinistra vince nettamente a Monza con Roberto Scanagatti, territorio considerato berlusconiano anche per la vicinanza con Arcore. La bella e produttiva Brianza dei mobilieri, delle fabbrichette, volta pagina e si affida al Pd, come era già emerso al primo turno. Un caso incredibile è quello di Meda, grande centro brianzolo, dove vince per un solo voto il candidato del centrosinistra Gianni Caimi e riprende il municipio che dal 1992 era in mano alla Lega. Una vittoria storica è quella di Mario Lucini che porta le forze progressiste al governo della città, dopo oltre vent’anni. I successi del Pd e dei suoi alleati sono rilevanti in Lombardia e altrove, hanno una valenza storica perchè mettono fine a un lungo dominio della destra.
Poi ci sono anche delle belle conferme. A Sesto San Giovanni il Pd mantiene il sindaco, esce Giorgio Oldrini e il suo posto viene preso da Monica Chittò, che vince con largo distacco. Gli elettori sestesi, dunque, hanno preferito confermare la loro fiducia verso chi ha ben governato la città e le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto anche Filippo Penati non hanno prodotto conseguenze sul voto. In Lombardia le elezioni amministrative 2012 dicono che il Pd si prende pure la guida di Abbiategrasso, Buccinasco, Castiglione delle Stiviere, Cernusco sul naviglio, Cesano Maderno, Crema, Desenzano sul Garda, Garbagnate milanese (dove il candidato grillino sostenuto dal pdl è arrivato al 48% ), Legnano, Lissone, Magenta, Meda, Palazzolo sull’Oglio, Pieve Emanuele, San Donato Milanese, Senago e Tradate. È un buon inizio.

L’Unità 22.05.12

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Sindaci scelti da meno della metà degli elettori anche a Alessandria, Como, Monza, Belluno, Lucca, Taranto e Trapani
Da Genova a Palermo, lo sciopero del voto a quota 60
di Alberto Custodero

Crollano gli elettori. L´astensionismo sale a un livello definito dai politici di tutti i partiti «preoccupante». A Genova ha toccato livelli record del 61 per cento: per il ballottaggio vinto dal sindaco Marco Doria si sono recati alle urne complessivamente 197 mila votanti (il 39 per cento) su un totale di 504 mila, il 15 per cento in meno rispetto al primo turno. Sei genovesi su dieci non si sono recati alle urne. E Doria è stato eletto circa da un genovese su 5, 114 mila cittadini. Per capire l´entità del fenomeno nel capoluogo ligure, basta confrontare i dati con la precedente tornata: nel 2007 avevano votato il venti per cento di elettori in più, 323.289, il 61,75%. Secondo i dati del Viminale (che non tiene conto della Sicilia), in termini assoluti calano del 13,98 per cento gli elettori rispetto alla precedente elezione di cinque anni fa. «Un messaggio chiaro da prendere sul serio», ha commentato Angelo Bagnasco, il presidente della Cei.
Ma ci sono città, dal Nord Est al Sud, dove ha votato meno di un elettore su due. La fuga di elettori ha portato a Belluno meno di uno su due a votare (il 53 per cento, per l´esattezza). E l´affluenza è calata del dieci per cento rispetto al primo turno. Cinque anni fa l´astensionismo era stato appena del 34%. Anche a Palermo, come Belluno, ha votato solo il 47%, 531.631 elettori. Rispetto al primo turno, s´è registrato un calo complessivo, quindi, del 20,11%.
Stessa situazione di astensione quasi del 60 per cento accomuna Como (dove, però, nel 2007 avevano votato quasi 7 su dieci) a Taranto (dove cinque anni fa 5 elettori su dieci avevano votato al secondo turno di due anni fa). In entrambe queste città il calo rispetto alla primo turno è stato quasi del 20%. Anche in Emilia crolla l´affluenza: a Parma l´astensionismo s´è assestato intorno al 39 per cento: i votanti (61 per cento) sono diminuiti di sei punti percentuali rispetto a cinque anni fa (67 per cento). Appena uno su tre circa ha votato il sindaco del Movimento 5 Stelle di Grillo, 51 mila voti su 142 mila aventi diritto.
Crolla quasi del 16 per cento la partecipazione al voto anche a Monza: solo il 44 per cento s´è recato a votare ieri, contro il 60 per cento del primo turno. «Il dato preoccupante – ha commentato Rosy Bindi, presidente del Pd – è l´astensionismo o il rifugio in liste che hanno il sapore di una protesta o il tentativo di una risposta sbagliata all´antipolitica che va crescendo».

La Repubblica 22.05.12

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“Cambia la mappa del potere locale Il crollo della Lega
Il Carroccio perde 7 ballottaggi su 7”. di Alessandra Troncino

Italia divisa in tre, recita la geopolitica italiana degli ultimi anni: Nord «padano» a prevalenza leghista e pidiellino; Centro tosco-emiliano baluardo della sinistra; Sud feudo del centrodestra. L’ultima tornata amministrativa spazza via i confini consolidati e mescola le frontiere: al Nord crolla il leghismo, devastato dagli scandali e dal declino dell’autocrazia bossiana. Collassa anche il Pdl, che vive l’analogo inabissarsi dell’appeal personale berlusconiano. Il centrosinistra risorge conquistando 15 capoluoghi di Provincia: situazione praticamente capovolta rispetto al passato. Una vittoria a macchia di leopardo, quella del centrosinistra, che parte dal Piemonte e arriva fino in Sicilia. I centristi perdono la presa con il territorio quasi ovunque, mantenendo solo due appigli: Cuneo e Agrigento. Il grillismo avanza deciso ma solo nel Nord, dove conquista quattro Comuni di due Regioni, Emilia-Romagna e Veneto: Sarego (Vicenza), Comacchio (Ferrara), Mira (Venezia) e Parma.
Dati sui quali riflettere, a cominciare dal Nord. Clamorosa la débâcle del Carroccio, che perde sette ballottaggi su sette, cinque in Lombardia e due in Veneto: sconfitto a Cantù, Palazzolo, Tradate, Senago, Thiene, San Giovanni Lupatoto e Meda (per un voto). Dopo aver perso al primo turno Cassano Magnago (patria di Umberto Bossi), altre due sconfitte simbolo: a Tradate, dove governava da vent’anni, e a Thiene, dove in campagna elettorale era arrivato Bobo Maroni a dare un segnale di discontinuità. La Lega perde anche Monza, dove da due mandati governava Marco Mariani: qui trionfa lo sconosciuto pd Roberto Scanagatti, che ottiene un 63 per cento inedito in una città un tempo feudo democristiano poi leghista.
Crollata la Lega e in crisi il Pdl, a chi va il Nord? I dati non sono omogenei e ce n’è uno da non sottovalutare: l’affluenza, scesa dal 47,6 del primo turno al 36,2, con picchi negativi a Genova (26,64), oltre che a Palermo (28,5). In Piemonte il Pd è il primo partito e vince ad Alessandria (Comune a rischio bancarotta) ed a Asti. In Lombardia, oltre che a Monza, vince a Como, Sesto (nonostante la questione Penati), Legnano, Magenta, Abbiategrasso e molti altri Comuni. Vittorie anche in Toscana, dove il centrosinistra strappa al Pdl Lucca (vittoria storica, con il primo sindaco di centrosinistra dal dopoguerra, a parte una breve parentesi) e Camaiore. In Lazio esulta il Pd: il partito di Nicola Zingaretti fa cappotto a Civitavecchia, Ladispoli e Cerveteri. Il Pdl si consola strappando al Pd Frosinone — con Nicola Ottaviani, vincitore delle prime primarie dell’era Alfano — e imponendosi a Gaeta. Ma perde a Rieti, dove accade l’imprevedibile: trionfa Simone Pietrangeli, di Sinistra e libertà, che subentra a un Pdl al governo da ben 18 anni.
Nel Sud il centrosinistra si conferma a Taranto e all’Aquila e vince in tutta la Campania. I Verdi si difendono bene a Taranto, ma solo perché qui si è presentato il leader Angelo Bonelli. Il Pdl tiene Catanzaro, Lecce, Trani e Trapani.
Non sono pochi i vincenti nel centrosinistra che non vengono dal Pd: a cominciare dai clamorosi successi di Palermo per l’Idv Leoluca Orlando e di Genova del vendoliano Marco Doria. Due successi che il Pd in qualche modo subisce. Ma c’è un altro caso interessante: Belluno, dove vince un ex Pd sostenuto da liste civiche. Jacopo Massaro partiva in svantaggio rispetto a Claudia Bettiol, del Pd, ma alla fine si è imposto nettamente, con il 62,7%.

Il Corriere della Sera 22.05.12