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"Diecimila insegnanti in esubero riconvertiti sul sostegno. Ed è polemica", di Salvo Intravaia

Taglio di 10 mila posti in arrivo attraverso la riconversione su sostegno degli insegnanti in esubero. Ma le associazioni di precari e di genitori non ci stanno. Lo scorso 16 aprile, il ministero dell’Istruzione ha emanato il decreto che consentirà a oltre 10 mila insegnanti in esubero – senza più una cattedra sulla quale insegnare a causa del megataglio di 87 mila posti operato dalla gestione Gelmini/Tremonti – di acquisire la specializzazione prevista per insegnare agli alunni portatori di handicap ed allontanare lo spettro della mobilità forzosa e del licenziamento.

Ma per la Flc Cgil “non è così che si risolve il problema degli esuberi”. Lo scorso mese di dicembre, sembrava tutto pronto ma poi l’Ansas – l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica – preferì ritirare il bando per il reclutamento dei tutor per i corsi di riconversione che organizzeranno le università. A spingere il ministero a una pausa di riflessione sono state le proteste delle associazioni di disabili, Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) in testa, che non ritenevano sufficiente un corso di appena 120 ore per trasformare docenti in esubero in insegnanti di sostegno.

Ma dopo una revisione del bando che prevede un corso di 426 ore strutturato in tre livelli – base, intermedio e avanzato – il mese scorso è stato pubblicato il decreto che lancia i corsi. “Riteniamo che il tema esuberi per il comparto scuola – spiega Domenico Pantaleo – non possa essere archiviato stabilendo una riconversione su sostegno, volontaria, ma che nei fatti si traduce in scelta obbligata, essendo allo stato l’unica scelta possibile”. Entro il 25 maggio, i direttori scolastici regionali dovranno comunicare al ministero i nominativi di coloro che intendono seguire i corsi di riconversione e subito dopo partiranno le lezioni.

I docenti in esubero sono attualmente 10.443 e parecchi stanno aderendo alla proposta del ministero di riconvertirsi. Ma “è evidente – continua Pantaleo – che l’effetto di tutto ciò determinerà una ulteriore perdita di posti per i docenti a tempo determinato, innescando l’ennesima contrapposizione tra il personale”. I precari che lavorano su sostegno, alcuni da anni, sono almeno 40 mila e saranno proprio loro i primi a fare le spese della riconversione dei colleghi in esubero perché il decreto che istituisce i corsi prevede che basterà superare la prova finale del livello base per essere “utilizzati su posto di sostegno”.

Basterà seguire cioè 120 ore di corso per entrare in classe e lavorare con gli alunni disabili. Ma i precari non ci stanno. Pochi giorni fa, un gruppo di supplenti di Reggio Calabria ha scritto al ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, manifestando tutte le loro perplessità. “Vogliamo sottolineare che tali corsi generano una disparità di trattamento fra docenti, in quanto il titolo verrà conseguito con modalità diverse rispetto a quelle richieste al personale oggi in servizio, innescando una poco costruttiva ‘guerra fra poveri’, arrecano un notevole danno agli studenti”.

I precari, per ottenere la specializzazione su sostegno, hanno seguito corsi di due anni (per 800/1.600 ore) mentre ai docenti in esubero ne basteranno appena 120. “I percorsi di riconversione, che si effettueranno in modo affrettato e quindi superficiale, saranno frequentati da docenti, per la maggior parte, demotivati e poco inclini a tale tipo di insegnamento, considerato solo un ripiego per evitare la mobilità forzata o addirittura il licenziamento. Noi , precari di sostegno siamo fantasmi per la scuola, ma fantasmi che hanno lottato per acquisire la propria professionalità, che hanno affrontato anni di studio, che hanno coperto sedi disagiate, che hanno affiancato allievi con le più diverse patologie, che si sono aggiornati a loro spese”. E invitano Profumo “ad analizzare bene la situazione” per evitare di “essere privato del proprio lavoro e della propria dignità”, di diventare “figli di un Dio minore” a quarant’anni ed oltre.

da repubblica.it

"L´Europa e la Germania alla svolta decisiva", di Eugenio Scalfari

Tre bombole di gas collegate ad un timer e collocate in prossimità di un edificio scolastico (intitolato a Falcone e Morvillo) possono provocare la rottura dei vetri delle finestre e sbriciolare l´intonaco del palazzo; ma se l´esplosione avviene in mezzo a una folla di persone provoca una strage ed è quanto avvenuto a Brindisi.
Volevano la strage i terroristi che hanno architettato l´infame attentato? Oppure hanno sbagliato l´orario dell´esplosione e invece delle 7.40 del mattino volevano che lo scoppio avvenisse alle 19.40 della sera, quando la scuola e la piazza antistante sono deserte e mentre in lontananza doveva sfilare un corteo pacifista e legalista?
Polizia e magistrati sono al lavoro per identificare gli attentatori e stanno vagliando tutte le piste, ma l´ipotesi più convincente conduce alla strategia della tensione e ricorda alla lontana la bomba di piazza Fontana del 1969. La gente è scontenta e rabbiosa per tante ragioni; oggi e domani si vota anche in Puglia per i ballottaggi delle amministrative. La morte d´una ragazza di 16 anni, un´altra moribonda e una decina di feriti scuotono il Paese intero.
Strategia della tensione. Basta un fiammifero acceso buttato in un pagliaio per scatenare l´incendio.
Il cordoglio per quelle vittime innocenti è grande, il lutto è nazionale, ma i problemi sono altri. La tensione nasce dalla loro mancata soluzione ed è su di essi che bisogna agire. Ogni giorno ed ogni ora perduti aggravano il contesto e possono essere fatali.
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Non ci può essere un piano B che preveda l´uscita della Grecia dall´Unione europea e dalla moneta comune. Il solo pensarlo ed enunciarlo peggiora le aspettative e dà ali alla speculazione.
Se la Grecia abbandonasse l´Europa la vittoria di chi gioca allo sfascio risulterebbe certificata e il contagio diventerebbe galoppante epidemia. Il fuoco si sposterebbe al Portogallo e alla Spagna. Molte banche europee entrerebbero in crisi. Il panico si estenderebbe con incalcolabili ripercussioni. Ma la soluzione c´è ed è a portata di mano.
Il G8 è appena terminato ed ha indicato la strada: l´Europa deve decidere non soltanto le politiche necessarie per avviare la crescita e rilanciare la domanda con interventi concreti e immediati, ma deve soprattutto accordarsi sul futuro dell´Unione.
Che cosa sarà tra dieci anni il nostro Continente? Nascerà uno Stato federale o qualche cosa che gli somigli? Quali saranno i rapporti e le rappresentanze tra il governo Federale e i governi degli Stati nazionali?
Non servono generiche dichiarazioni di intenti e generiche enunciazioni di ideali; servono obiettivi precisi e datati e poteri fin d´ora conferiti a organi già esistenti o da creare per la bisogna.
La Germania ha fin qui dettato gli interventi necessari per attuare la politica del rigore. Non si tratta di smantellare quella politica, ma di affiancarla subito con quella dello sviluppo, dell´occupazione e del welfare. Un welfare moderno e dunque diverso ma non meno protettivo per i deboli bisognosi di tutele.
Il calendario è già stato redatto con le riunioni di organi europei dal 23 maggio alla fine di giugno. Per quella data le decisioni debbono esser state prese e rese pubbliche. Ma un principio va tenuto sempre presente: si tratta di costruire un´Europa democratica. Tentazioni autoritarie stanno emergendo in vari punti del Continente e di varia natura. Non possono essere ignorate, vanno affrontate e combattute.
L´indifferenza per prima. Il populismo che rafforza quelle tentazioni. Il nichilismo che le esalta. A queste pulsioni bisogna contrapporre la responsabilità democratica, il rinnovamento riformatore, il pragmatismo coerente.
Se questi passi saranno compiuti, le aspettative del popolo, degli imprenditori, dei banchieri, dei risparmiatori, dei consumatori, cambieranno in positivo e rapidamente.
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Chi debba essere lo sceneggiatore incaricato di scrivere il copione del programma europeo è abbastanza chiaro: è un compito da affidare ad un´Autorità europea la cui sovra-nazionalità e la cui indipendenza siano assolute. Ce n´è una sola in possesso di questi requisiti ed è la Banca centrale. Il compito di scrivere il copione degli interventi necessari spetta a lei. Lo deve fare subito, entro la fine di maggio se si vuole rispettare il calendario.
Il dibattito ovviamente coinvolgerà il Parlamento europeo, la Commissione e i governi nazionali. Ma quale sarà il motore politico dell´intero processo? Quel motore che mette in moto le ruote del treno europeo?
È molto difficile che le ruote di quel treno si muovano se la Germania farà mancare il suo impulso propulsivo, la sua volontà politica e insomma la sua egemonia. Accettandone le responsabilità. Fino a quando la Germania continuerà a pensare soltanto a se stessa non potrà che combinare guai. I governi non solo dell´Europa ma dell´Occidente debbono metterla dinanzi alle sue responsabilità riconoscendo a loro volta che la Germania possiede la forza per innescare la costruzione dello Stato federale europeo. Non si può far finta di non vedere che il vero problema da risolvere è questo. Non si tratta di un´opzione ma di una necessità.
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Federare Stati nazionali che hanno storie diverse, lingue e costumi diversi, richiede molta saggezza. È possibile che gli Stati nazionali debbano esser chiamati a cedere una parte cospicua della loro sovranità alla Federazione, ma è realistico pensare che questa cessione non sia integrale.
Da questo punto di vista la struttura degli Stati Uniti d´America merita d´essere osservata con attenzione. Il potere federale si è esteso molto gradualmente; la sovranità dei singoli Stati è ancora largamente presente per quanto riguarda la legislazione, la magistratura, l´ordine pubblico, l´organizzazione della rappresentanza politica ed elettorale. Ed anche l´economia.
Ma non c´è dubbio – la storia americana lo dimostra – che col passar del tempo il potere federale si è esteso, le agenzie e le Corti federali hanno acquistato una competenza sempre più ampia e incisiva.
Il “melting” etnico degli Stati Uniti è stato reso possibile dall´elasticità della struttura costituzionale e politica e un analogo processo dovrebbe avvenire per quanto riguarda l´Europa.
Le classi dirigenti e i popoli sovrani europei saranno in grado di darsi carico del futuro? Noi ce lo auguriamo.
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Oggi e domani alcuni milioni di italiani sono chiamati alle urne per i ballottaggi amministrativi. Sembra ed è un assai piccolo problema di fronte a quelli che abbiamo fin qui evocato. Ed è vero, è soltanto il dente d´una piccola ruota che a sua volta fa parte di ben più complessi ingranaggi. Ma basta a volte un granello di polvere per bloccare quella rotella rallentando o addirittura mettendo in crisi l´ingranaggio complessivo.
Io risiedo a Roma dove non si è votato. Sento tuttavia il dovere di esprimere la mia opinione sul voto di oggi e di domani ed è la seguente: andate a votare. Magari scheda bianca, ma votate. Ed abbiate ben chiara la responsabilità che incombe su ciascuno, quella di non bloccare l´ingranaggio e di non essere il granello di polvere che ferma la ruota.
Ciascuno decide quale sia il voto giusto per non bloccare l´ingranaggio o per sbloccarlo e rimetterlo in moto. Di solito si dice: gli elettori sono saggi, ma non sempre è vero. Nel recente passato hanno commesso molti errori che tutti stiamo ora duramente pagando. La memoria aiuti dunque ciascuno a non commetterne altri che oggi, dopo l´esperienza fatta, non avrebbero più alcuna giustificazione.

La Repubblica 20.05.12

"Il ritorno delle solite paure", di Michele Brambilla

L’attentato di ieri a Brindisi è talmente pazzesco che siamo qui tutti a sperare che a compierlo sia stato, appunto, un pazzo. Se così non fosse, saremmo infatti di fronte a uno sconvolgente cambio di passo della criminalità organizzata, o del terrorismo se di terrorismo si trattasse. Finora la mafia e le organizzazioni della lotta armata avevano infatti colpito bersagli precisi, cioè uomini considerati «nemici», oppure seminato la morte nelle banche o sui treni. Era mostruoso, ma mai si era arrivati a voler colpire una scuola per uccidere deliberatamente degli studenti che sono poco più che bambini. Questo sarebbe ancora più mostruoso.

Ecco perché siamo qui a sperare che l’attentatore sia una specie di Unabomber al quadrato. Altrimenti, se dietro a tanto orrore ci fosse un disegno anziché una mente malata, dovremmo concludere che l’Italia è condannata a non essere mai un Paese normale.

Infatti la prima riflessione che viene spontanea è questa: ogni volta che nel nostro Paese c’è un periodo di transizione, qualcuno cerca di gestirlo con il sangue. Accadde così dopo il Sessantotto, quando ci fu chi cercò di condizionare il cambiamento con le bombe e chi invece con un partito armato. Furono anni in cui mutò quasi tutto, nel mondo occidentale: dai rapporti sociali al costume, e le tensioni esplosero ovunque. Ma solo in Italia ebbero effetti tanto tragici e prolungati nel tempo. Negli Stati Uniti si parla ancora oggi della rivolta di Berkeley del 1964, a Parigi di un mese soltanto («il maggio francese»), in Germania il terrorismo si aprì e si chiuse in poche settimane con la cruenta vicenda della banda Baader Meinhof. In Italia invece si andò avanti almeno fino agli Anni Ottanta, e per giunta con una serie di misteri ancora oggi non chiariti.

La seconda riflessione: siamo sempre in ritardo a capire quello che ci succede attorno. Leggiamo sempre il presente con le categorie del passato. Due settimane fa, dopo il ferimento dell’amministratore delegato dell’Ansaldo a Genova, abbiamo pensato subito alle Brigate Rosse, alla lotta al capitalismo e così via. Tutta roba di trenta o quaranta anni fa, mentre l’Italia e il mondo sono profondamente cambiati e nuove rabbie stanno montando: contro la finanza, contro le ultime frontiere del progresso tecnologico, contro l’incubo dell’inquinamento e del disastro nucleare. Stanno montando e alimentano ahimè anche alcune frange estremiste e potenzialmente omicide. Il rischio di un nuovo terrorismo dunque c’è, e quelli che dicono che invece non c’è perché il mondo non è più diviso in due blocchi suscitano francamente un po’ di tenerezza.

Sempre per questa propensione a leggere l’oggi con le categorie di ieri o dell’altro ieri, adesso siamo qui a cercare un nesso tra la bomba di Brindisi e quelle del ’92 e ’93, altro periodo di transizione. Allora fu la mafia a colpire. Lo fece con una strategia per quei tempi nuova. Adesso cercare di indirizzare il cambiamento con le bombe non sarebbe più una novità. Ma nuovo sarebbe sicuramente l’obiettivo – una scuola, appunto – e quindi siamo in ogni caso di fronte a un fenomeno inedito, e non a una replica.

Terza cosa. Non riusciamo mai a essere un Paese normale anche perché in nessun altro angolo del mondo i profeti del complottismo e della dietrologia fanno tanti proseliti. È vero che in Italia, a partire da Piazza Fontana in poi, ne abbiamo viste di ogni colore. È vero che le trame sono state molte (le abbiamo appena ricordate) e spesso oscure. Ma sostenere – o insinuare, che è la stessa cosa – che la bomba di Brindisi l’ha messa o fatta mettere il governo Monti per distogliere l’attenzione degli italiani dalla crisi economica e dalle cartelle esattoriali, è anche questa l’espressione di una follia, e non del tutto innocente. Eppure tesi del genere ieri pomeriggio circolavano sulla rete con l’ammiccamento di qualche politico, o meglio antipolitico, in cerca di voti e di visibilità.

Insomma questa è l’Italia. Un Paese talmente anormale da costringerci a sperare davvero che ci sia in giro qualche pazzo che collega tre bombole del gas con un timer così, per il gusto di farlo, e senza secondi fini.

La Stampa 20.05.12

"Quei quaderni bruciati sull´asfalto", di Francesco Merlo

L´unica cosa viva è la ragazza morta in questo Medioriente che ci arriva in casa. Anche le bombole di gas sono l´esplosivo del disperato, l´estetica dei palazzi è da geometra, il paesaggio è la periferia di un Meridione remoto, «il sud del sud dei santi» lo chiamava Carmelo Bene che vi era nato e cresciuto. E nella folla c´è una telegenica, crudele familiarità col dolore, la collera scontata nel canovaccio dei cori dell´Italia meridionale: « E adesso ammazzateci tutti». Solo i resti per terra sono una semina della modernità: lo zainetto, il quaderno e la scarpa da tennis diventano didascalia e album, dettagli che raccontano e documentano l´eguaglianza dei diversi. Tutte le ragazze del mondo infatti, in Inghilterra come in Pakistan, a Milano come a Brindisi indossano gli stessi abiti, annotano gli stessi diari, fanno della fantasia e della creatività una stessa divisa, anche se gli orizzonti e il destino raramente si somigliano. Li avessimo visti sparpagliati per terra senza sapere nulla della bomba, questi frammenti di scuola e questi brandelli di eleganze ci avrebbero comunque procurato un po´ dell´angoscia e della rabbia che proviamo adesso.
La scarpa da tennis numero 36, per esempio, che è il simbolo internazionale della gioventù, della disinvoltura e dell´andare per strada senza fermarsi mai, ora nello spazio che sta davanti alla scuola è un relitto, è il naufragio della vita, è la fine dell´innocenza. E al primo sguardo fanno tenerezza il quaderno bruciacchiato e il diario squadernato, ma poi ti monta dentro un bisogno di giustizia o meglio ancora di spietata vendetta per quei capelli, per l´anello, per la borsa di plastica e per quel foglio d´agenda che vola via. E anche noi come Borges «vediamo gli odori», gli odori di carne bruciata: li «vediamo» perché come lui siamo diventati ciechi e nessuno capisce nulla. Tutte le congetture franano: la mafia, il terrorismo, gli albanesi, i greci, la follia, la passione e c´è ovviamente la retorica che si affaccia qua e là, ma anche quella è un rifugio di vita.
E in quei pezzi di plastica esplosa, in quella giacchetta stropicciata, annerita e bucata c´è la paura che possa accadere ancora, in qualsiasi altro angolo d´Italia: la morte come contagio. Ed è inutile cercare una trama, un tracciato da percorrere con la matita, dagli astucci ai cerchietti per i capelli, dalle cinture alle scatolette piene di rossetti e forbicine. C´è persino una pomata antiacne, e poi forcine, fazzoletti di carta, panini imbottiti, caramelle e, nel mezzo, la silhouette con quel bianco definitivo che la polizia usa per disegnare i confini dell´assenza. Per terra non c´è la geografia di una fatalità ma di un crimine, c´è l´incubo degli anni di piombo, quelli degli agguati e delle bombe.
E anche i fischi ai politici e al vescovo per una volta sono fuori luogo. Tutto il rituale funebre e la messa in scena collettiva diventano ostacolo alla ragione e intralcio autoassolutorio dinanzi alla morte di una sedicenne. Al posto dei lumini e dei fiori qui ci vuole l´intelligenza dei reparti speciali e della scientifica, il ritorno e la forza dello Stato. Ma diciamo la verità, nessuno può rimettere in ordine queste atroci rimanenze sull´asfalto. E nessuno potrà mai risarcire le famiglie, la città e lo sguardo di chi ha visto, il nostro sguardo oltraggiato. Oggi anche la scrittura più sincera è retorica, e anche le mie parole sono diventate cieche.

La Repubblica 20.05.12

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«Volevano colpire proprio i giovani Studiare fa paura», intervista a Don Luigi Ciotti

«Forza ragazzi, non smarritevi: reagite, dire da che parte si sta è il modo migliore per abbracciare Melissa», ripete don Ciotti, mentre ha ancora negli occhi i «quaderni, gli zainetti, i fogli di carta, sparsi a terra da quell’esplosione di una violenza criminale inaudita». Insieme al ministro Profumo e al procuratore antimafia Piero Grasso è appena stato nella scuola dedicata a Francesca Morvillo Falcone. Con loro ha attraversato la scena dell’esplosione, passando attraverso le cose lasciate sull’asfalto dalla bomba. «Alcuni di quei quaderni che ho visto a terra parlano di legalità e di impegno», racconta, mentre lascia l’istituto di Melissa per andare alla manifestazione. E ripensa a quella frase di Antonino Caponnetto: «La mafia ha più paura della scuola che della giustizia».
Nessuno mai era arrivato a tanto.Tentare di portare la strage davanti a una scuola.
«No, non era mai successo. E però mi viene da pensare che aveva ragione Nino Caponnetto quando diceva che la mafia teme più la scuola che la giustizia. L’istruzione toglie il terreno sotto i piedi alla cultura mafiosa». Il pensiero va alle stragi di mafia di vent’anni fa… «Non sappiamo se sia stata la mafia o il terrorismo, se ci sono dei giochi internazionali o se sia stato un folle. Sono tanti gli interrogativi aperti. Ancora ci chiediamo: cosa c’è dietro tutto questo? Quali sono le piste da seguire? Sappiamo però che abbiamo perso la vita di una ragazzi di sedici anni. Sappiamo che altri ragazzi come lei sono stati feriti, anche gravemente. E che tutti i loro compagni di scuola sono sconvolti. Chi ha messo quelle tre bombole davanti all’istituto di Melissa aveva la volontà precisa di uccidere. Chiunque sia stato, voleva uccidere dei ragazzi e insieme alle vite voleva spezzare la speranza di questi studenti che frequentano la scuola intitolata
a Francesca Morvillo Falcone. E che vivono in questa terra dove ci sono tanti beni confiscati alla Sacra Corona Unita, gestiti da altrettante cooperative. Di quei oggi (ieri per chi legge ndr) passava la Carovana anti-mafia che attraversa tutta l’Italia per scuotere le coscienze e stimolare le persone ad assumersi la propria responsabilità. Sono coincidenze?». Secondo lei?
«Nessuno lo sa. Ma non dimentichiamo che i tre ragazzi della scorta di Falcone erano pugliesi: Rocco Di Cillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro, erano tre ragazzi di questa terra generosa, dove anche oggi tanti giovani scelgono di impegnarsi contro la mafia. È per loro, per i giovani di oggi che dobbiamo reagire: forza ragazzi, non smarriamoci. Troviamo la forza, del morso del più. In questo momento è necessario tirare fuori le unghie, la passione, l’impegno, la volontà». Cosa pensa che stia passando nella mente dei coetanei di Melissa? «Quello che passa per la nostra: come si fa a morire in questo modo? Come si fa a pensare che la tua compagna ha perso la vita davanti al cancello della scuola? Con il procuratore Grasso, prima di lasciarci, ci siamo fermati a dire una preghiera a Dio per chiedergli che ci dia una bella pedata per andare avanti. Insieme. Dobbiamo reagire tutti, non dimenticarci che il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi».
Come?
«Attraversando la scena dell’esplosione, insieme al procuratore antimafia Grasso e al ministro Profumo, ho visto i quaderni sparsi a terra nella zona che è stata recintata. Alcuni di quei quaderni parlano di legalità, di Costituzione. È il lavoro che questi ragazzi stanno facendo. Ed è quello che dobbiamo continuare a fare: andare nelle scuole, coinvolgerle in percorsi di educazione alla legalità, alla cittadinanza, come stiamo facendo da anni in migliaia di scuole. Questo è un momento di grande smarrimento, di grande fragilità: la crisi economica, quella sociale. Soprattutto c’è bisogno di una politica, che sia nelle strade, vicina alle persone. Attenta a tutto ciò che avviene nel paese».

l’Unità 20.05.12

Brindisi, il cordoglio delle parlamentari Pd Bastico e Ghizzoni

“La scuola è – e deve continuare ad essere – presidio di legalità e democrazia”. L’ex vice-ministro dell’istruzione nel governo Prodi Mariangela Bastico e l’attuale capogruppo Pd in Commissione cultura e istruzione della Camera Manuela Ghizzoni esprimono il loro cordoglio alle famiglie degli studenti colpiti da un attentato a Brindisi e tutto l’orrore che la società civile deve, giustamente, provare di fronte a fatti di tale e inaudita gravità. Ecco il testo della loro dichiarazione congiunta:
“Innanzitutto desideriamo esprimere il nostro cordoglio alle famiglie delle due ragazze uccise e dei sette studenti rimasti feriti nell’attentato di Brindisi. Ci sconvolge, e sconvolge tutti gli italiani, che una scuola sia diventata il tragico teatro di un attacco terroristico. Saranno gli investigatori a dover far chiarezza sulla natura, gli autori, le cause di un tale vile reato, ma come genitori, lavoratrici della scuola, prima ancora che come donne impegnate in politica proprio sui temi dell’istruzione e della formazione dei giovani ribadiamo tutto il nostro orrore per quanto è accaduto a Brindisi. E’ un fatto senza precedenti e inaudito. La scuola è sempre stata, e deve continuare ad essere, presidio di legalità e democrazia, luogo del confronto e della crescita: a scuola ci si va per imparare ad affrontare la vita con strumenti e conoscenze adeguati, non per morire colpiti da mani vigliacche”.

"Prove Invalsi: apparente regolarità, sotterranea ambiguità", di Anna Maria Bellesia

Prove Invalsi: apparente regolarità, sotterranea ambiguità
Aldilà delle cifre della protesta, malumori e tensioni covano sotto la facciata dello svolgimento regolare, col rischio di spendere tantissimo in termini di costi per avere pochissimo in termini di benefici. Ma il nodo centrale è che bisogna fare chiarezza una volta per tutte sull’utilizzo dei risultati. In apparenza sembra la solita storia. A leggere i dati forniti dal Miur, le prove Invalsi si sono svolte regolarmente, con percentuali minime di astensionismo: solo lo 0,69% delle classi della scuola primaria, l’1,26% nella secondaria di I grado, e l’1,56% nella secondaria di II grado.
Tutt’altra musica sul fronte opposto: i Cobas, protagonisti dello sciopero, riferiscono di “decine di migliaia di docenti” e contestano i dati diffusi dal Ministero. Sono falsi -dicono- perché riguardano solo le classi campione, che sono meno di un decimo del totale. Lo zoccolo duro della protesta anti-Invalsi si conferma la secondaria di II grado, grazie all’appoggio dell’Unione degli Studenti e di altre associazioni studentesche, che hanno boicottato i test in diverse scuole, a volte con l’astensionismo palese, a volte in modo beffardo: lasciando in bianco, rispondendo a caso, cancellando i codici identificativi.
Aldilà delle cifre della protesta, malumori e tensioni covano sotto la facciata dello svolgimento regolare, col rischio di spendere tantissimo in termini di costi per avere pochissimo in termini di benefici.
Nelle scuole le prove si sono svolte più per dovere che per convinzione. Non sono mancati casi di minacce “disciplinari” da parte di dirigenti verso insegnanti riottosi o studenti astensionisti. Certamente però non basta il metodo impositivo affinché una operazione come quella delle rilevazioni nazionali standard possa avere successo ed essere utile. Lo ha ammesso lo stesso ministro Profumo, che ha annunciato, per il prossimo anno, “un’operazione di educazione e comunicazione”, per diffondere una “cultura di lettura del dato”, ma soprattutto per far crescere la “consapevolezza del valore della valutazione e dei suoi obiettivi” negli attori del sistema scuola.
Ma il nodo centrale è che bisogna fare chiarezza una volta per tutte sull’utilizzo dei risultati. A cosa servono le rilevazioni generalizzate degli apprendimenti? Ad avviare processi di “autonomia responsabile” e di miglioramento qualitativo dell’istruzione, o a misurare e valutare la performance dell’organizzazione scolastica e del personale che vi lavora in vista dell’assegnazione di premialità economiche?
Se guardiamo al progetto sperimentale VALeS, avviato quest’anno in 300 scuole, si direbbe che la strada è la prima: la valutazione ha come obiettivo il miglioramento dell’istituzione scolastica, con finanziamenti rapportati agli obiettivi da raggiungere e nessuna graduatoria.
Tuttavia l’impalcatura normativa vigente, costruita dal precedente governo, è rivolta in tutt’altra direzione. Brunetta ha voluto il ciclo della performance (D.lvo 150/2009) e il ministero guidato dalla Gelmini ne ha recepito i principi nel Dpcm del 26/1/2011 e nella legge del 26/2/2011. Nelle famose risposte inviate all’Unione europea dal governo Berlusconi nell’autunno 2011, si ribadisce che la valutazione delle scuole porta alla definizione di una “graduatoria” utilizzata per dare incentivi e finanziamenti. Nel caso di risultati negativi, si parla di “ristrutturazione” e “ridimensionamento della singola scuola”.
La Direttiva annuale all’Invalsi del 3/10/2011, uno degli ultimi atti della Gelmini, contiene le stesse ambiguità: da un lato indica fra gli obiettivi della valutazione quello di promuovere un generale e diffuso miglioramento della qualità degli apprendimenti nel nostro Paese, dall’altro però non manca di rimarcare che il progetto affidato all’Invalsi serve “anche ai fini della definizione e generalizzazione dei processi di misurazione delle performance delle scuole”.
Finché non si farà chiarezza sull’utilizzo dei risultati, rimane alto il rischio dei comportamenti opportunistici, che possono inficiare alla base l’attendibilità dei test. Infatti, nel dubbio che i dati raccolti possano servire a misurare la performance organizzativa e individuale, non sono rari i piccoli accorgimenti od espedienti di salvaguardia, come giocare sulle assenze degli studenti più deboli, o consentire qualche aiutino. Nei sistemi scolastici dove le rilevazioni nazionali degli apprendimenti sono legate ai finanziamenti, questi comportamenti sono ben noti, frequentemente praticati e molto sofisticati.
All’Invalsi lo sanno bene, e hanno messo a punto dei metodi statistici per “depurare” i dati dai comportamenti anomali. Ma al Ministero dovrebbero ben sapere che, se non si esplicitano chiaramente le finalità, non ci sarà campagna di comunicazione in grado di sviluppare la cultura della valutazione né di favorire il “concorso istituzionale” di tutti soggetti coinvolti.

La Tecnica della Scuola 19.05.12

Puglisi: "Pacchetto-merito? Non c'è merito senza equità"

Il ministro Profumo prepara un ‘pacchetto per il merito”, Francesca Puglisi risponde che serve una scuola inclusiva che garantisca l’uguaglianza delle opportunità, così come stabilito dalla Costituzione. Apprendiamo da indiscrezioni di stampa che il Ministero dell’Istruzione sta preparando un pacchetto per il merito. Ma non c’è merito senza equità. E il Partito Democratico continua a credere fermamente che serva una scuola inclusiva e dell’uguaglianza delle opportunità, non competitiva.
Ogni centesimo disponibile, in questa fase di crisi economica, deve essere investito per combattere la dispersione scolastica, che non è problema solo del mezzogiorno, e per dare un posto nella scuola dell’infanzia ai bambini e le bambine. Le liste d’attesa nella scuola dell’infanzia stanno esplodendo in tutt’Italia, perché lo Stato scarica ogni responsabilità sui Comuni che i bilanci al collasso.
Noi, come afferma la Costituzione, chiediamo che “i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi, possano raggiungere i più alti gradi di istruzione”. Questo tristemente non è più vero a causa dei drastici tagli al diritto allo studio. Per questo proponiamo che le risorse aggiuntive vengano assegnate ai meritevoli per finanziare la prosecuzione degli studi all’università.

www.partitodemocratico.it

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«Più merito», ecco il piano di Profumo, di Mariagrazia Gerina

Lo studente dell’anno, la carta «IoMerito», le master class per i migliori della scuola. Proved’accesso all’Università. Tutte le novità del ddl che il ministro sta per presentare. Merito. La parola a cui il ministro Profumo sembra voler legare il suo passaggio a Viale Trastevere è di quelle che, nell’Italia del familismo e delle baronie, fanno sempre un certo effetto. Anche se non è proprio nuova. Anzi, è persino abusata. Chi l’ha preceduto, Mariastella Gelmini, per dire, del merito ha provato a farne addirittura una bandiera, nel bel mezzo di una sollevazione studentesca epocale. Mentre più di una generazione di giovani ricercatori si ritrovava di fatto espulsa in massa dalle università. E i più giovani studenti facevano i conti con le borse di studio negate anche agli aventi diritto. Ora il suo successore, Francesco Profumo, ci riprova. La prossima settimana, in Consiglio dei ministri, porterà un disegno di legge che, pure in regime di ristrettezze, si spinge a declinare il principio del merito a tutti i livelli possibili. Merito nelle scuole, nell’università, merito nella ricerca. Valorizzazione del sistema scolastico. Rafforzamento dell’attività di valutazione della ricerca. Ce ne è per tutti. Anche se quella che stiamo sfogliando è solo una «bozza», ancora suscettibile di modifiche. Un documento ufficioso, che sta circolando in queste ore in cerca di pareri e di cui l’Unità è venuta in possesso.

PREMIOALLOSTUDENTEDELL’ANNO Tra le novità, il tentativo di modificare, almeno nelle procedure, anche l’accesso all’università. Con «prove finalizzate all’accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei medesimi corsi», estese a tutte le facoltà, non solo a quelle a numero chiuso. La competizione deve essere il sale fin dai primi banchi di scuola. E allora ecco le Olimpiadi internazionali di matematica, informatica, fisica, chimica, scienze naturali, astronomia, filosofia. Ma anche, nazionali, di italiano e di lingue classiche. E poi il titolo di «studente dell’anno», da assegnare al più bravo. E le «master class» estive, riservate ai campioni che si saranno classificati ai primi tre posti delle varie Olimpiadi e competizioni rilanciate dal dl Profumo. Bisogna però arrivare all’articolo 15 per capire che i soldi per promuovere tutti i possibili incentivi al merito prospettati verranno presi dal solito fondo. Quello istituito nel 1997 per «l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi». Da lì si attingerà anche per finanziare la «carta» dal nome accattivante: «IoMerito ». Premio riservato a tutti quelli che si conquisteranno il titolo di «studente dell’anno». Superare la maturità con il massimo dei voti non basterà. Lo studente dell’anno dovrà essere uno solo, il più bravo.Esarà scelto da ogni singola scuola tra quanti avranno preso 100/100 e lode, «con criteri e modalità» che verranno definiti in un successivo decreto. Potrà avere una riduzione del 30 per cento sulle tasse universitarie. E un «borsellino elettronico», su cui potrà essere accreditata una borsa di studio aggiuntiva. La competizione, prima di tutto. Anche per le scuole, che saranno valutate in base ai successi degli alunni (ma conteranno anche i risultati ottenuti nel contrasto all’abbandono scolastico). E potranno ottenere risorse aggiuntive solo se vanteranno un certo numero di alunni che hanno preso parte alle Olimpiadi.

PROVED’ACCESSOALL’UNIVERSITÀ Ma nel ddl Profumo ce ne è anche per l’università. Una delle novità è che ci si potrà iscrivere contemporaneamente a due diversi corsi universitari, scuole e master compresi. Mentre l’articolo sull’«Orientamento e ammissione agli studi universitari» modifica la legge del 2 agosto 1999 che detta le «Norme inmaterie di accessi ai corsi universitari», introducendo di fatto delle prove d’accesso per tutte le facoltà. «L’iscrizione ai corsi di laurea è disposta dagli atenei previo svolgimento di prove finalizzate all’accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi medesimi », si legge nella bozza. Le prove – prosegue – dovranno essere «relative a materie attinenti a dette discipline», definite «sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore» e dovranno verificare anche le capacità di «ragionamento logico» e «comprensione di testi ». Le facoltà a numero chiuso restano però quelle già definite nelle legge del ‘99 – medicina, etc. E mentre per queste ultime il «superamento delle prove» è propedeutico all’ammissione, non si comprende bene quale sarà il valore delle prove d’ingresso per le altre facoltà

. LA COMMISSIONE PROFUMO Altra novità riguarderà i ricercatori. Sotto la rubrica: «Sperimentazione per la selezione di ricercatori» (Articolo 9), di fatto, il ddl Profumo riforma la non ancora attuata Riforma Gelmini. La legge 240, promulgata tra le proteste il 30 dicembre 2010, lasciava abbastanza indefinite le «procedure pubbliche di selezione » che i vari atenei dovevano adottare per reclutare i ricercatori a tempo determinato. Ora invece il disegno Profumo scandisce più chiaramente quali devono essere le «procedure di valutazione» da adottare per «valorizzare il merito». A selezionare i futuri ricercatori sarà una commissione nominata dal rettore e composta da quattro professori ordinari – due interni all’ateneo, due esterni sorteggiati – più un altro componente, anche questo sorteggiato ma da una lista di «studiosi o esperti» in servizio presso un ateneo di un paese Ocse. A loro il compito di individuare tra gli aspiranti «il candidato maggiormente meritevole » da segnalare al dipartimento, che decide a quel punto se assumerlo o meno. Alla voce «Misure per l’internazionalizzazione del sistema universitario», Profumo corregge in vari punti la legge 240, aggiungendo per esempio l’inglese dove serve. E introduce la possibilità di chiamata diretta «di studiosi che siano risultati vincitori» di un programma di ricerca di «alta qualificazione». Infine, le università straniere. Che potranno sbarcare in Italia a patto che attivino corsi, solo per i loro iscritti e solo sul «patrimonio letterario, giuridico, storico, artistico, monumentale e archeologico italiano ». Niente scuole di Economia, dunque, per esempio, niente Business School. Per quei campi, l’apertura internazionale alle università straniere può attendere.

l’Unità 19.05.12