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"TFA, un puzzle ancora tutto da comporre", di A.G. da La Tecnica della Scuola

A meno di 20 giorni dalla scadenza dei bandi, sono diverse le questioni da chiarire. Come l’allargamento degli ambiti disciplinari. O la novità dei 36 mesi utili all’accesso diretto,: serviranno tre supplenze annuali o continuative per almeno 180 giorni. Ciò comporterebbe l’esclusione di diverse migliaia di candidati. Con alti rischi di ricorso. In compenso sarebbe imminente l’avvio per infanzia e primaria. Per l’Afam se ne riparla nel 2013/2014. Mancano ancora tanti pezzi per comporre il sempre più complicato puzzle sui Tfa abilitanti. Almeno a detta dei sindacati, che hanno reso noto i particolari dell’incontro (in alcuni tratti molto vicino allo scontro tra le due parti) tenuto il 14 maggio al ministero dell’Istruzione con l’amministrazione rappresentata dal capo dipartimento, Lucrezia Stellacci, dal direttore generale del personale scolastico, Luciano Chiappetta, e dal direttore generale dell’Università, Daniele Livon. A far partire l’incontro su un binario inatteso è stata la novità, espressa dai rappresentanti dell’amministrazione, di avviare la preselezione non sulle classi di concorso ma utilizzando ambiti disciplinari in alcuni casi veramente troppo allargati (con il caso limite della A050 o A051 congiunta ad A036 e A037). I sindacati hanno anche chiesto di permettere ai candidati di partecipare alle selezioni senza precludersi l’accesso alle prove evitando di organizzarle in contemporanea.
Ma il punto che farà sicuramente molto discutere nei giorni a venire è quello sul servizio necessario per accedere ai corsi riservati (la cui partenza, tra l’altro, è stata inaspettatamente posticipata di diversi mesi): l’amministrazione ha di fatto ridotto la platea di possibili candidati ai minimi termini. Per farlo ha deciso di rendere validi i 180 giorni minimi annui esclusivamente attraverso la stipula di contratti annuali o al termine delle lezioni (valgono quelli a partire dal 1999). Oppure che comportino comunque la continuità per 6 mesi. Tutti gli altri generi di supplenze, che sono la maggior parte, sarebbero escluse. Significativo, a tal proposito, il commento della Uil Scuola, sindacato da sempre tra i più moderati ma che non nasconde la sorpresa nell’aver appreso certe intenzioni del Miur: “A nostro parere, per evitare contenzioso ed al fine del raggiungimento dei giorni richiesti, deve essere prevista la cumulabilita’ dei servizi. In passato, per la valutabilità dei 180 giorni di servizio non è stata mai necessaria la continuità, quindi per la Uil questo servizio deve essere riconosciuto anche se prestato in modo non continuativo. Non si può, adducendo argomentazioni giuridico-europee, restringere la platea dei possibili partecipanti introducendo il requisito dei tre anni (540 giorni) e della non cumulabilità dei servizi, che – conclude il sindacato di Di Menna – nulla hanno a che vedere con l’esperienza maturata in servizio”.
Buone notizie, invece, per i candidati ad abilitarsi nella scuola d’infanzia e primaria, come previsto dal D.M. 10 marzo 1997: a quanto riferisce lo Snals, “i rappresentanti del Miur hanno garantito che” il bando sarebbe addirittura “imminente, entro la fine del mese”. Tanto che sarebbe in arrivo “una convocazione su questo aspetto per la presentazione delle bozze relative alla concreta attivazione di questi corsi”. Buone nuove anche per gli interessati ai corsi abilitanti Afam (art. 15 decreto 249/2010): ebbene, dal dicastero di viale Trastevere hanno spiegato che vogliono accelerare i tempi di pubblicazione del bando. In modo da rendere operativi i corsi in sovrapposizione del prossimo anno scolastico. Molte meno chance hanno invece di essere banditi i Tfa per le classi di concorso con poche disponibilità di posti. E lo stesso dicasi per gli Itp (anche se su questo punto il Miur ha detto che non se ne parla solo per il momento).
Capitolo concorsi. Il Miur ha confermato l’intenzione di avviare i bandi di concorso solo laddove vi sono carenze di posti. Sembra che però, a differenza dei Tfa, verranno “agganciati” alle nuove classi di concorso. Che, come avevamo preannunciato, saranno pronte per l’inizio della prossima primavera.
In conclusione Tfa riservati e concorso pubblico partiranno molto più avanti dei Tfa. Tanto che la Snals è arrivato a dichiarare: “stante la situazione sopra descritta, in particolare in relazione alle incertezze sia normative e temporali che dei requisiti necessari per l’eventuale attivazione e partecipazione del ‘Tfa semplificato-riservato’, ci pare opportuno invitare il personale non abilitato a iscriversi al Tfa ordinario”. Con i gestori degli atenei che, ancora una volta, si ritroveranno a sorridere sotto i baffi.

La Tecnica della Scuola 16.05.12

"La sanzione morale della Fao contro l'iniqua incetta di terre", di Giulio Sapelli

Nel primo trimestre del 2012, ben 2,5 milioni di ettari sono stati ceduti dalle comunità locali a grandi imprese multinazionali cinesi, brasiliane, francesi, inglesi, danesi, svedesi, nord americane, quatarine e thailandesi. Se si considera il periodo che va dal 2007 al 2011, nelle aree dell’Africa sub-sahariana, del Sud America, dell’Australia e dell’Oceania, le vendite o le espropriazioni sono avvenute per ragioni che le statistiche classificano come «alimentari» (il 52%), la coltivazione di colture per la produzione di bio-carburanti (20%) e, infine, l’allevamento (l’8%).
L’area sub-sahariana è quella più interessata da questo irrompere del mercato capitalistico: gli acquisti di terre sono stati il 54% di tutte le transazioni mondiali, connotando in modo esplicito il ruolo svolto in questo fenomeno dalla Cina, che mira chiaramente al dominio del continente africano. Segue a lunga distanza l’Oceania, con il 9,5% e l’America del Sud, con il 9,4%. Insomma, un fenomeno enorme, che per la prima volta nella storia la Fao (Organizzazione delle Nazioni unite per l’agricoltura e l’alimentazione) ha affrontato per le rilevanti implicazioni che esso ha sui regimi alimentari dei popoli più poveri del pianeta. I 124 Paesi che fanno parte del Comitato per la sicurezza mondiale alimentare hanno adottato all’unanimità una risoluzione che mira a raggiungere una sorta di «regolazione globale della globalizzazione» in merito alle transazioni fondiarie. L’accordo è stato firmato venerdì 11 maggio a Roma. Sono stati due anni di negoziazione e di discussione e di ricerca accanita. Il documento redatto dovrebbe regolare le transazioni non solo dei terreni coltivabili, ma altresì delle foreste e delle aree di pesca nel mondo.
Tutto ha avuto inizio dalle accese proteste delle popolazioni più povere del pianeta e di quelle più legate alla risorse naturali per il loro sostentamento. Esse da circa un decennio hanno visto via via aumentare a dismisura la pressione diretta a far sì ch’esse abbandonassero le loro terre per un misero compenso, oppure addirittura attraverso atti di vera e propria espropriazione, non potendo opporre resistenza legale agli espropriatori, non possedendo una documentazione scritta del possesso medesimo. Le regole di un diritto ancestrale, agnatico e secolare comunitario si scontravano e si scontrano con lo scambio mercantile tipico dell’economia monetaria capitalistica, che distrugge i diritti non scritti e consuetudinari con una violenza spesso inaudita. D’ora innanzi sia gli Stati sia le imprese che non rispetteranno tali diritti arcaici e non scritti, così come le consuetudini colturali delle popolazioni che sono confinanti con le terre espropriate, verranno sanzionati. Solo moralmente, tuttavia, perché le regole adottate sono volontarie e non compulsive. Non sono previste, infatti, sanzioni se non morali; ma questo è di già, nonostante tutte le limitazioni, un grande risultato perché per la prima volta 124 Stati hanno firmato un documento che auspica un corretto comportamento reputazionale degli attori economici grazie al rispetto del diritto consuetudinario, invitando a consultare e a informare e a negoziare con le popolazioni locali, con l’assistenza dei tecnici della Fao e dei suoi comitati. Si obietterà che molte nazioni hanno firmato l’accordo perché nessuna sanzione è prevista. Ma ciò è vero solo in parte: in giudizio l’accordo potrà essere fatto valere come un elemento di forte difesa dei diritti delle popolazioni offese. Certo esse dovranno organizzarsi e darsi una rappresentanza politico-giuridica. Si potranno in tal modo costruire dei catasti della proprietà fondiaria in ogni angolo della terra e creare in tal modo una società civile in grado di far valere le regole del commercio regolato dalla legge e non dalla violenza.
Termina l’epoca della brutalità senza freni che ha dominato le transazioni fondiarie sì in lontane parti del mondo, ma anche in aree a noi più vicine. Un lungo cammino vero il diritto scritto sta per concludersi. Per questo l’accordo di Roma è storico ed è simbolicamente rilevante ch’esso sia stato firmato nella patria di tutti i diritti di proprietà: quello romano.

Il Corriere della Sera 16.05.12

"Il doppio gioco di Berlusconi", di Michele Prospero

In questo interminabile finale di legislatura la destra assume come suo prioritario obiettivo quello di accompagnare verso un lento logoramento il suo principale avversario. Corruzione e falso in bilancio, si sa, sono temi molto caldi. Argomenti che da sempre scoprono i nervi più sensibili del berlusconismo. Da vent’anni ormai la presenza del Cavaliere in politica sovente non trova altra giustificazione che la protezione (oltre che degli infiniti suoi averi) della fedina penale del capo. Questa cura maniacale del
certificato di buona condotta viene fatta valere con strumenti legislativi talora aberranti, cioè con norme ad personam che stravolgono i pilastri del moderno costituzionalismo. Malgrado il copione sia quello antico, quanto accaduto ieri alla Camera è ugualmente una sceneggiata assai squallida. Dietro cova una operazione di artificiale rigonfiamento della rabbia antipolitica, secondo il disegno di una estrema chiamata di correità generale che è davvero spudorata nel suo cinismo. L’ostruzionismo, neanche troppo camuffato, è l’arma letale di una destra allo sbando che accarezza un calcolo inquietante: mettere in profondo imbarazzo le forze politiche che, solo per un senso di spiccata responsabilità nazionale, nel novembre scorso non hanno fatto saltare il tavolo del gioco. Su questioni a elevato significato simbolico (corruzione, legge elettorale, costi della politica), il Pdl fa di tutto per sabotare ogni riforma e lasciare così che il confronto politico resti in eterno dominato dai rumori di fondo del giustizialismo. È come se la strategia del Cavaliere disarcionato fosse solo quella di alimentare ad arte il fuoco dell’antipolitica attraverso una sfacciata pratica dilatoria, sorda verso qualsiasi innovazione ed escogitata apposta per surriscaldare il risentimento irriducibile contro la politica nel suo complesso. Più la nuvola dell’antipolitica si espande minacciosa e più aumentano le possibilità per la destra di acciuffare tutti i partiti per coinvolgerli nella comune deriva catastrofica. La sensazione che la crisi si aggravi e stia sfuggendo al controllo è perciò molto forte. L’equilibrio, che per alcuni mesi sembrava granitico, si è spezzato. Un governo tecnico, cioè retto con un ceto politico di riserva il cui futuro è ancora incerto, accompagnato da un presidente della Repubblica autorevole che sempre più si avvicina alla fine del mandato, non assicura più quella tenuta dinanzi all’emergenza che nei primi mesi dell’esperienza Monti pareva d’acciaio. Il fattore tempo non aiuta il governo e il Pdl aumenta le sue quotidiane prove tecniche di volgare provocazione per indurre l’avversario in tentazione. E in molti stanno al gioco. Quando il Corriere della Sera in sostanza fa le pulci alla dichiarazione del Capo dello Stato sul rischio di derive demagogiche e promuove Grillo a pieni voti («i programmi di
Grillo traboccano di proposte», mentre è meglio stare alla larga dai «capponi» o ragazzi «allevati dai partiti», e pure dal Parlamento che «manca di rispetto» ai cittadini) è evidente che è scattato il rompete le righe. Anche il clima di conformismo mediatico edificato attorno ai tecnici è di fatto evaporato e in molti pescano nel torbido civettando con l’antipolitica. Pensano così di inguaiare il Pd, già sotto tensione per una crisi sociale lacerante che certi provvedimenti strabici dell’esecutivo vorrebbero accollare solo al lavoro e ai ceti popolari. Buttando macigni contro ogni riforma della politica, la destra spera di potere poi gridare a piè sospinto contro la «casta» omologata, tutta da spazzare via. Responsabili sì, anche quando è costoso, ma sprovveduti proprio no.

l’Unità

"La preghiera di Aiace" di Barbara Spinelli

Ci abituiamo talmente presto ai luoghi comuni che non ne vediamo più le perversità, e li ripetiamo macchinalmente quasi fossero verità inconfutabili: la loro funzione, del resto, è di metterti in riga. Il pericolo di divenire come la Grecia, per esempio: è una parola d´ordine ormai, e ci trasforma tutti in storditi spettatori di un rito penitenziale, dove s´uccide il capro per il bene collettivo. Il diverso, il difforme, non ha spazio nella nostra pòlis, e se le nuove elezioni che sono state convocate non produrranno la maggioranza voluta dai partner, il destino ellenico è segnato. Lo sguardo di chi pronuncia la terribile minaccia azzittisce ogni obiezione, divide il mondo fra Noi e Loro. Quante volte abbiamo sentito i governanti insinuare, tenebrosi: «Non vorrai, vero?, far la fine della Grecia»? La copertina del settimanale Spiegel condensa il rito castigatore in un´immagine, ed ecco il Partenone sgretolarsi, ecco Atene invitata a scomparire dalla nostra vista invece di divenire nostro comune problema, da risolvere insieme come accade nelle vere pòlis.
L´espulsione dall´eurozona non è ammessa dai Trattati ma può essere surrettiziamente intimata, facilitata. In realtà Atene già è caduta nella zona crepuscolare della non-Europa, già è lupo mannaro usato per spaventare i bambini. Chi ha visto la serie Twilight zone conosce l´incipit: «C´è una quinta dimensione oltre a quelle che l´uomo già conosce. È senza limiti come l´infinito e senza tempo come l´eternità. È la regione intermedia tra la luce e l´oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l´oscuro baratro dell´ignoto e le vette luminose del sapere». Lì sta la Grecia: lontana dalle vette luminose dell´eurozona, usata come clava contro altri. L´editorialista di Kathimerini, Alexis Papahelas, ha detto prima delle elezioni: «Ci trasformeranno in capro espiatorio. Angela Merkel potrebbe punire la Grecia per meglio convincere il suo popolo ad aiutare paesi come Italia o Spagna». Il tracollo greco è «un´opportunità d´oro» per Berlino e la Bundesbank, secondo l´economista Yanis Varoufakis: nell´incontro di oggi tra la Merkel e Hollande, l´insolvenza delle Periferie europee (Grecia, e domani Spagna, Italia) «sarà usata per imporre a Parigi le idee tedesche su come debba funzionare il mondo». Agitare lo spauracchio ellenico è tanto più indispensabile, dopo la disfatta democristiana in Nord Reno-Westfalia e il trionfo di socialdemocratici e Verdi, pericolosamente vicini a Hollande. La speranza è che Berlino intuisca che la sua non è leadership, ma paura di cambiare paradigmi.
Può darsi che la secessione greca sia inevitabile, come recita l´articolo di fede, ma che almeno sia fatta luce sui motivi reali: se c´è ineluttabilità non è perché il salvataggio sia troppo costoso, ma perché la democrazia è entrata in conflitto con le strategie che hanno preteso di salvare il paese. Nel voto del 6 maggio, la maggioranza ha rigettato la medicina dell´austerità che il Paese sta ingerendo da due anni, senza alcun successo ma anzi precipitando in una recessione funesta per la democrazia: una recessione che ricorda Weimar, con golpe militari all´orizzonte. Costretti a rivotare in mancanza di accordo fra partiti, gli elettori dilateranno il rifiuto e daranno ancora più voti alla sinistra radicale, il Syriza di Alexis Tsipras. Anche qui, i luoghi comuni proliferano: Syriza è forza maligna, contraria all´austerità e all´Unione, e Tsipras è dipinto come l´antieuropeista per eccellenza.
La realtà è ben diversa, per chi voglia vederla alla luce. Tsipras non vuole uscire dall´Euro, né dall´Unione. Chiede un´altra Europa, esattamente come Hollande. Sa che l´80 per cento dei greci vuol restare nella moneta unica, ma non così: non con politici nazionali ed europei che li hanno impoveriti ignorando le vere radici del male: la corruzione dei partiti dominanti, lo Stato e il servizio pubblico servi della politica, i ricchi risparmiati. Tsipras è la risposta a questi mali – l´Italia li conosce – e tuttavia nessuno vuol scottarsi interloquendo con lui.
Neanche Hollande ha voluto incontrare il leader di Syriza, accorso a Parigi subito dopo il voto. E avete mai sentito le sinistre europee, che la solidarietà dicono d´averla nel sangue, solidarizzare con George Papandreou quando sostenne che solo europeizzando la crisi greca si sarebbe trovata la soluzione? Chi prese sul serio le parole che disse in dicembre ai Verdi tedeschi, dopo le dimissioni da Primo ministro? «Quello di cui abbiamo bisogno è di comunitarizzare il nostro debito, e anche i nostri investimenti: introducendo una tassa europea sulle transazioni finanziarie, e sulle energie che emettono biossido di carbonio. E abbiamo bisogno di eurobond per stimolare investimenti comuni». L´idea che espose resta ancor oggi la via aurea per uscire dalla crisi: «Agli Stati nazionali il rigore, all´Europa le necessarie politiche di crescita».
La parole di Papandreou, ascoltate solo dai Verdi, caddero nel vuoto: quasi fosse vergognoso oggi ascoltare un Greco. Quasi fosse senza conseguenze, l´ebete disinvoltura con cui vien tramutato in reietto il Paese dove la democrazia fu inaugurata, e le sue tragiche degenerazioni spietatamente analizzate. Sono le degenerazioni odierne: l´oligarchia, il regno dei mercati che è la plutocrazia, la libertà quando sprezza legge e giustizia.
Naturalmente le filiazioni dall´antichità son sempre bastarde. Anche la nostra filiazione da Roma lo è. Ma se avessimo un po´ di memoria capiremmo meglio l´animo greco. Capiremmo lo scrittore Nikos Dimou, quando nei suoi aforismi parla della sfortuna di esser greco: «Il popolo greco sente il peso terribile della propria eredità. Ha capito il livello sovrumano di perfezione cui son giunte le parole e le forme degli antichi. Questo ci schiaccia: più siamo fieri dei nostri antenati (senza conoscerli) più siamo inquieti per noi stessi». Ecco cos´è, il Greco: «un momento strano, insensato, tragico nella storia dell´umanità». Chi sproloquia di radici cristiane d´Europa dimentica le radici greche, e l´entusiasmo con cui Atene, finita la dittatura dei colonnelli nel 1974, fu accolta in Europa come paese simbolicamente cruciale.
Il non-detto dei nostri governanti è che la cacciata di Atene non sarà solo il frutto d´un suo fallimento. Sarà un fallimento d´Europa, una brutta storia di volontaria impotenza. Sarà interpretato comunque così. Non abbiamo saputo combinare le necessità economiche con quelle della democrazia. Non siamo stati capaci, radunando intelligenze e risorse, di sormontare la prima esemplare rovina dei vecchi Stati nazione. L´Europa non ha fatto blocco come fece il ministro del Tesoro Hamilton dopo la guerra d´indipendenza americana, quando decretò che il governo centrale avrebbe assunto i debiti dei singoli Stati, unendoli in una Federazione forte. Non ha fatto della Grecia un caso europeo. Non ha visto il nesso tra crisi dell´economia, della democrazia, delle nazioni, della politica. Per anni ha corteggiato un establishment greco corrotto (lo stesso ha fatto con Berlusconi), e ora è tutta stupefatta davanti a un popolo che rigetta i responsabili del disastro.
Le difficoltà greche sono state affrontate con quello che ci distrugge: con il ritorno alle finte sovranità assolute degli Stati nazione. È un modo per cadere tutti assieme fuori dall´Europa immaginata nel dopoguerra. Ci farà male, questa divaricazione creatasi fra Unione e democrazia, fra Noi e Loro. La loro morte sarebbe un po´ la nostra, ma è un morire cui manca il conosci te stesso che Atene ci ha insegnato. Non è la morte greca che Aiace Telamonio invoca nell´Iliade: «Una nebbia nera ci avvolge tutti, uomini e cavalli. Libera i figli degli Achei da questo buio, padre Zeus, rendi agli occhi il vedere, e se li vuoi spenti, spegnili nella luce almeno».

La Repubblica 16.05.12

"Se i ragazzi disabili non possono studiare", da ScuolaOggi

In Lombardia per il 2012-2013 è a rischio il loro diritto fondamentale a costruirsi un futuro migliore. L’allarme della Ledha. L’appello è di quelli che fanno paura: come è possibile che nell’accogliente e sviluppata Lombardia, con tutte le parole che in modo più o meno retorico vengono spese sulla necessità di “inclusione” sociale delle persone con disabilità, proprio per queste sia a rischio nel prossimo anno scolastico il diritto allo studio? Accettare il “risparmio” come unica spiegazione non basta anche perché la lettera aperta di Fulvio Santagostini, presidente Ledha, è un macigno che ora pesa senza possibilità di nascondersi ulteriormente sulle teste dei rappresentanti istituzionali in Comune, Provincia e Regione. Noi lo abbiamo intervistato ma prima spieghiamo l’antefatto: tra Province e Comuni lombardi c’è da tempo in atto un conflitto di attribuzione delle competenze, altresì detto “scarica varile”, sul servizio di assistenza educativa per gli studenti con disabilità che frequentano le scuole superiori. Già nel 2011-2012 non sono mancati i problemi poi risolti ad anno scolastico già avviato grazie all’assunzione di responsabilità dei Comuni stessi che però, per il 2012-2013, hanno già fatto sapere alle famiglie che non dispongono dei fondi necessari per assicurare il pieno godimento del diritto allo studio. Le famiglie dei ragazzi con disabilità si sono rivolte alla magistratura per avere giustizia e l’hanno ottenuta: il servizio legale della Ledha ha infatti ottenuto che venisse definitivamente assegnata la competenza in questione, e la decisione del Tribunale ha stabilito che toccasse alla Provincia che però continua a dichiararsi estranea al problema.

E dunque? «La sofferenza si avverte ovunque – dice Santagostini. I tagli alla scuola per quanto riguarda il sostegno e più in generale i tagli al sociale che negli ultimi quattro anni sono stati ridotti brutalmente del 90%: se viene meno l’assistenza, è difficile ipotizzare un percorso di inclusione sociale per i ragazzi con disabilità». Il messaggio arriva forte e chiaro, e il quadro, se possibile, è anche peggiore: «Uno degli aspetti più inquietanti di questa faccenda è il fatto che, oltre a non essersi compiuti passi avanti, c’è la possibilità concreta di fare diversi passi indietro tanto che si è ricominciato a parlare di classi differenziate e si stanno creando percorsi di formazione “alternativi” alla scuola tradizionale, pubblica o privata. In questo modo, una condizione di inclusione che costituiva un vanto per il nostro Paese, presa a modello da tante realtà straniere, potrebbe essere cancellata». Restando sul tema scuola, una delle emergenze principali è la disponibilità di un numero sufficiente di insegnanti di sostegno e la necessità che il progetto di inclusione non ricada esclusivamente su questi ultimi ma preveda il coinvolgimento di tutto lo staff di insegnanti: in caso contrario, si andrebbe incontro a sorte di “ghetti” all’interno della stessa classe. «Proporre programmi specifici ben integrati nel progetto didattico è possibile riducendo, per esempio, il numero degli studenti di ogni classe».

«Le risorse devono essere garantite dagli enti locali: in Lombardia, per quanto riguarda l’assistenza agli studenti disabili delle scuole elementari e medie, l’impegno è assunto, con sporadici casi di malfunzionamento, dai Comuni. Il problema grave esiste rispetto ai ragazzi che frequentano le superiori: il servizio di carattere integrativo non viene loro garantito o viene garantito in modo complicato a causa di un balletto di competenze tra Comuni e Province»: per Giovanni Merlo, direttore Ledha, nell’anno scolastico in corso il rischio è stato concretissimo perché per mesi abbiamo ricevuto segnalazioni quotidiane di disservizi, sul prossimo si sono addensate nubi nerissime sia dal punto di vista dell’assistenza in aula, sia della possibilità di raggiungere la scuola stessa. Il 2011-2012 alla fine è stato in qualche modo garantito grazie a un atto di responsabilità unilaterale dei Comuni che, pur considerandosi non competenti in materia, hanno “tirato” un altro anno. Il punto è che la magistratura ha già detta la sua investendo la Provincia che però non ha alcuna intenzione di assolvere il proprio dovere. Al di là delle competenze è però impensabile che venga negato il diritto allo studio ai ragazzi disabili che proprio in questi mesi stanno magari progettando il loro futuro. «Si tratta chiaramente di un problema economico, nato da quando i ragazzi disabili hanno iniziato a frequentare in modo massiccio le scuole superiori, e aggravato dal drastico taglio sociale dei fondi destinati agli enti locali: in Lombardia è una partita che vale circa 15 milioni di euro». Ancora Merlo: «Questi ragazzi, attraverso l’istruzione, si costruiscono un futuro anche lavorativo migliore perché la scuola offre loro gli strumenti per rendersi un giorno più competitivi». E poi c’è il discorso della socializzazione: togliere a questi adolescenti la possibilità di mettersi alla prova con i loro coetanei in un’età determinante per le persone che diventeranno è un vero delitto. La riduzione dei fondi destinati alla scuola pubblica ha costretto gli istituti ad aumentare il numero di studenti per classe: e in presenza di ragazzi con disabilità è impensabile che un insegnante, anche con tutta la buona volontà del mondo, possa mettere in pratica il benché minimo percorso individualizzato. «La scuola italiana – prosegue Merlo -, facendo una battuta che non è una battuta, nel mondo non è conosciuta per come siamo bravi a insegnare la matematica ma viene apprezzata e presa a modello per il modo in cui includiamo i ragazzi con disabilità: come operiamo noi non lo fa nessuno, anche in termini di risultati». Una battuta che pare una sentenza… inapplicata.

da Scuolaoggi.org

"Celebrate la giornata contro l'omofobia". L'invito di Profumo ai presidi, di Marco Pasqua

Il 17 maggio cade la ricorrenza istituita dal Parlamento europeo nel 2007 e per la prima volta il governo promuove l’iniziativa negli istituti. La Concia: “Quando era ministro la Gelmini non volle mai incontrarmi”. Un invito alle scuole a celebrare la giornata internazionale contro l’omofobia, in programma per il prossimo 17 maggio. È il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, attraverso una circolare, a rivolgere un appello agli istituti italiani affinché partecipino attivamente alla giornata istituita nel 2007 dal Parlamento europeo. “E’ la prima volta che avviene qualcosa del genere”, commenta Paola Concia, deputata del Pd.

“Siamo di fronte ad un atto fondamentale e rilevantissimo”, dice soddisfatto Paolo Patané, presidente nazionale Arcigay. “Quando la Gelmini era ministro, cercai di parlarle del problema dell’omofobia a scuola, ma non accettò mai di incontrarmi”, rivela oggi la Concia.

Un’iniziativa, questa del ministero, che rappresenta dunque una novità assoluta e si inserisce nell’ambito della campagna “Smonta il bullo”. Lanciata nel 2007 per contrastare il fenomeno del bullismo tra i banchi scolastici (dall’allora ministro Giuseppe Fioroni), non aveva però una sezione specifica per l’omofobia, che è stata aggiunta nei mesi passati, su impulso di Profumo e del sottosegretario Marco Rossi Doria.

Tra i primi atti del ministero, subito dopo l’insediamento di Mario Monti, c’è stata l’istituzione di un gruppo di lavoro sulle Pari Opportunità, che ha messo all’ordine del giorno il tema dell’omofobia. A ispirare il lavoro di questo team, le parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che in occasione

della giornata contro l’omofobia del 2011, si disse preoccupato “per il persistere di discriminazioni e comportamenti ostili nei confronti di persone con orientamenti sessuali diversi. Si tratta di atteggiamenti che contrastano con i dettami della nostra Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali della Ue”.

La circolare del direttore generale 1, Marcello Limina, datata 10 maggio, è indirizzata ai Dirigenti delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. “L’Unione Europea ha indetto per il 17 maggio di ogni anno – sottolinea il funzionario del ministero – la Giornata internazionale contro l’omofobia (risoluzione del Parlamento Europeo del 26 aprile del 2007) ossia contro ogni forma di atteggiamenti pregiudiziali basati sull’orientamento sessuale. La giornata rispecchia i principi costitutivi sia dell’Unione Europea sia della Costituzione italiana: il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, l’uguaglianza fra tutti i cittadini e la non discriminazione. Sono le condizioni che consentono alla società di promuovere l’inclusione di tutti e di ciascuno e di battersi contro ogni offesa alle persone”.

Si evidenzia, a tale proposito, il ruolo fondamentale svolto dagli istituti scolastici: “La scuola si cimenta ogni giorno con la costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le diversità di ciascuno. E’, infatti, ad un tempo, la prima comunità formativa dei futuri cittadini e un luogo importantissimo per la crescita e la costruzione dell’identità di ciascuna persona. Così, le scuole favoriscono la costruzione dell’identità sociale e personale da parte dei bambini e dei ragazzi, il che comporta anche la scoperta del proprio orientamento sessuale. Il loro ruolo nell’accompagnare e sostenere queste fasi non sempre facili della crescita risulta decisivo, anche grazie alla capacità di interagire positivamente con le famiglie”.

L’impegno contro gli atti omofobi deve essere una priorità per i docenti: “Le scuole, nello svolgere tale prezioso lavoro educativo ogni giorno, contrastano ogni forma di discriminazione, compresa l’omofobia”. Per questo “il ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca intende supportare il lavoro dei docenti impegnati quotidianamente nella formazione dei propri alunni sulle problematiche relative a tutte le tipologie di discriminazione, in particolare, attraverso strumenti informativi presenti sul sito www.smontailbullo.it 2 e assicurando un primo supporto a tutti i ragazzi, i docenti e le famiglie attraverso il numero verde 800.669.696”.

L’invito ai docenti e dirigenti scolastici che abbiano già realizzato progetti o iniziative sul tema delle discriminazioni omofobiche, anche in collaborazione con Associazioni ed Enti del territorio, è quello di darne comunicazione al sito “Smonta il Bullo”. “Iniziative e progetti segnalati dalle scuole saranno successivamente pubblicati in un apposito spazio del sito dedicato alle ‘buone pratiche’ che servirà a una riflessione corale delle scuole, anche nella prospettiva del confronto europeo su questi temi”, fanno sapere dal ministero.

Un plauso all’iniziativa arriva dall’Arcigay: “La circolare – dice il presidente, Paolo Patané – rappresenta un atto fondamentale che ha in se stesso l’evidenza del suo grande spessore, laddove richiama la nostra Costituzione e la Carta dei diritti dell’Unione europea. Mi sembra che sia rilevantissimo per tre ragioni: perché per la prima volta fa della giornata mondiale contro l’omofobia un tema che doverosamente deve vivere nelle scuole un teatro essenziale; perché dimostra che stare in Europa non può voler dire solo occuparsi di pareggio di bilancio; e perché offre alle scuole un riferimento preciso all’interno del Ministero nel contrasto al bullismo. C’è poi il dato politico: un governo definito ‘tecnico’ ha avuto il coraggio di salire di livello e di ricollocare un tema di giustizia come quello del contrasto all’omofobia e del diritto alla realizzazione della propria personalità in un contesto chiave come quello scolastico, sottraendolo ai beceri conflitti ideologici e riconoscendogli finalmente dignità oggettiva. Questo è l’orizzonte a cui guardiamo e su cui pretendiamo che i partiti che presto si confronteranno per il governo del Paese, dimostrino altrettanto spessore culturale e politico”.

Soddisfatta Paola Concia, che ricorda di aver presentato una proposta di legge per l’istituzione di un osservatorio contro le discriminazioni e il bullismo presso il Miur (sottoscritto da circa cinquanta parlamentari bipartisan): “Sono felicissima e ringrazio sia il ministro che il sottosegretario Marco Rossi Doria, entrambi molti sensibili a questi temi. E’ una svolta, dopo gli anni della Gelmini. L’omofobia si combatte con le leggi ma anche con l’educazione, tra i banchi di scuola”.

Per Giacomo Guccinelli, responsabile Rete Giovani Arcigay, quello del ministero è “un utile investimento sulle generazioni future” perché contribuisce “alla diffusione e alla valorizzazione di una cultura del rispetto, dell’inclusione e della valorizzazione di ogni tipo di differenza in ambito scolastico”.

La Repubblica 16.05.12

"La gran caciara sulla corruzione" di Gianluigi Pellegrino

Più che allarmati c´è da restare basiti. Non sapessimo nulla degli ultimi quindici anni, l´ostruzionismo e la gran caciara messi in atto dal Pdl sul disegno di legge anticorruzione, risulterebbero incomprensibili. Vagamente surreali. Il progetto infine composto, con indubbia pazienza, dal ministro Severino è davvero il minimo che ci si possa aspettare sotto il titolo dell´anticorruzione.
Bene inteso, la politica legislativa e il diritto penale possono avere le più varie curvature, tutte in teoria legittime. Il punto è il dato di partenza. Se si ritiene, che in Italia vi sia un´emergenza corruzione allora la direzione è una sola. Guardato, con queste lenti obbligate, il progetto del Governo porta con sé lo stretto indispensabile. Anzi qualcosa in meno. Ed infatti se risulta nel complesso animato dal necessario rigore nel mettere a fuoco nuove fattispecie criminose imposte dalla cronaca, per altro verso non solo si astiene dal riparare la ferita al sistema delle prescrizioni inferta dalle leggi ad personam; ma purtroppo fa anche di più. Senza che ve ne sia alcun bisogno spacchetta la concussione, prevedendo per l´ipotesi più diffusa e odiosa (il pubblico ufficiale che nulla fa, sino a quando l´imprenditore o il cittadino non lo unge) ad abbassare notevolmente la pena del colletto bianco. Che viene anche promosso a semplice induttore. Pena abbassata vuol dire prescrizione sforbiciata. E non di poco ma di ben 5 anni. Se questo progetto diventasse legge così com´è, un numero sicuramente non basso di imputati verrebbe improvvisamente baciato dalla grazia estintiva di ogni reato. E addio processi e sentenze. Non fosse per il rispetto che dobbiamo alla buona fede e competenza di Paola Severino, dovremmo parlare di autentico colpo di spugna.
Né si possono invocare le richieste europee, senza proferire una grossolana bugia. Gli organismi internazionali, che del resto pretendono da noi maggior rigore, non ci chiederebbero mai questo harakiri. Ci invitano soltanto a non lasciare impunito l´imprenditore che alla fine si sia fatto indurre a versare la mazzetta senza opporre adeguata resistenza, cogliendovi magari l´occasione per entrare nelle grazie del colletto bianco.
Ma se è così, basta integrare la norma oggi vigente con i tre anni di pena che pure Severino prevede per quell´imprenditore, lasciando però ferma la pena attuale per il pubblico ufficiale concussore. E ferma pertanto anche la relativa prescrizione. Tutto più semplice. E tutto più chiaro.
Ma allora come si giustifica quest´ombra nella proposta del pur ottimo guardasigilli? Quale tra i partiti le ha chiesto questa soluzione? Quanti processi a colletti bianchi andranno a farsi benedire? E sarà per questo che nessuno dice nulla? Il Pdl ovviamente se ne guarda bene e grida insensatamente al giustizialismo. In realtà sa bene che non può avere nulla di più; vuole piuttosto mettere le mani avanti perché non vi sia quella correzione che il buon senso, prima del diritto, sicuramente richiedono. Sarebbe davvero beffardo che un progetto “anticorruzione” partorisse come prima cosa un grappolo di prescrizioni. E proprio per i reati più odiosi.

La Repubblica 16.05.12

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“Corruzione, il veto Pdl affossa la legge”, di Cuzzocrea e Milella

Il disegno di legge sulla corruzione è in mezzo al guado si è impantanato a causa del veto del Pdl. Mentre in commissione è passato un emendamento Pdl-Udc-Fli che di fatto, con l´assenso del governo che poi ha corretto il tiro, ha svuotato il reato di falso in bilancio. Suscitando l´ira di Pd e Idv. Una raffica di interventi del Pdl che impantana la legge anticorruzione. Poi, un blitz misterioso che svuota la proposta di legge sul falso in bilancio dell´Italia dei Valori. È stata la giornata dell´assalto alla giustizia, ieri, alla Camera.
Il presidente della commissione Giulia Bongiorno aveva fiutato l´aria il giorno prima e anticipato i lavori temendo lo stop di 24 ore dovuto alla fiducia sul decreto commissioni bancarie. Sapeva di dover correre, il suo intervento però non è bastato. In un´ora e mezza i deputati delle commissioni congiunte, Giustizia e Affari Costituzionali, sono riusciti a votare solo un emendamento alla legge anticorruzione. Enrico Costa (pdl) ha aperto le danze del suo partito con un lungo intervento, seguito dai colleghi Vitali, Sisto, Contento, Pecorella, Paniz. «Ostruzionismo strisciante», lo definisce il centrista Pierluigi Mantini. «Sciocco e becero», dice l´Idv Di Pietro. «Ogni anno sugli italiani pesa una tassa occulta di oltre 70 miliardi di euro- spiega Donatella Ferranti, pd – questo ddl dev´essere legge entro l´estate. Siamo disposti a lavorare giorno e notte». Di più, i democratici accusano il Pdl di voler andare in aula con il vecchio testo uscito dal Senato, firmato da Angelino Alfano in persona. Una versione extralight di una legge anticorruzione che comunque – dopo le lunghe consultazioni con la maggioranza del ministro Severino e dopo i suoi emendamenti – non si prevede durissima. «La mia preoccupazione resta, anzi è cresciuta – dice Giulia Bongiorno – spero nella prossima seduta di giovedì con il ministro». Non vede il problema, invece, il segretario pdl Alfano: «La data dell´aula è fissata e credo verrà rispettata».
Poi succede di peggio. La commissione Giustizia discute la proposta di legge dell´Italia dei Valori che reintroduce pene più dure per il falso in bilancio. A sorpresa, i deputati di Pdl, Fli e Udc, col parere positivo del governo, votano un emendamento che di fatto la svuota. Una modifica firmata da Manlio Contento che porta le pene da 2 a 3 anni e annulla tutto l´articolo uno della proposta (prevedeva pene di 5 anni, com´era prima che la norma fosse modificata dal governo Berlusconi, nel 2001).
Idv e Pd insorgono. Fli e Udc dicono di non aver capito e di essersi rimessi alla decisione del governo. La radicale Bernardini si è astenuta, per sbaglio. Pare non avesse capito neanche il sottosegretario Mazzamuto, che ha dato quel parere positivo. Si giustifica: «Il testo formulato era talmente succinto che non si poteva desumere la cancellazione dell´articolo 1 del ddl e la preclusione degli altri emendamenti». Rao, Udc, assicura: «Valuteremo interventi correttivi insieme al governo». Dagli Stati Uniti, dov´è in missione, il ministro Severino sconfessa Mazzamuto: «Se c´è stato un errore lo correggeremo in aula, al sottosegretario erano state fornite dall´ufficio legislativo tutte le schede necessarie a dare i pareri».
Ma sono proprio i “tecnici” di via Arenula a entrare nel mirino dell´Idv: «Quando cambia il governo è bene sempre cambiare gli uffici legislativi», dice Di Pietro. L´allusione è ad Augusta Iannini, magistrato fuori ruolo, moglie di Bruno Vespa, vicina al Pdl, capo dell´ufficio legislativo prima dell´arrivo della Severino. Era lì ad accoglierla al suo ingresso al ministero. Il suo fu l´abbraccio più caloroso: si conoscono da anni.

La Repubblica 16.05.12

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La tattica del Cavaliere per far saltare tutto “Con quelle leggi il Pd vuole colpire me”

Per l´ex premier resta sullo sfondo la preoccupazione per il processo Ruby. Si passano di bocca in bocca, a Montecitorio, la reazione entusiasta di Berlusconi: «Andate avanti così ragazzi, mi state dando una grande soddisfazione». E ancora: «State tranquilli, non vi lasciate intimidire da chi agita lo spauracchio della caduta del governo, il Pd e l´Udc vogliono quelle leggi contro di me. Ma Monti può crollare solo sulle misure economiche, non certo sulla giustizia».
Eccoli i “ragazzi” del Cavaliere, la “covata” di Niccolò Ghedini, il suo avvocato. I protagonisti della débacle del governo su anti-corruzione e falso in bilancio. Ridacchiano quando apprendono che Pd e Idv hanno tenuto una conferenza stampa assieme. Enrico Costa, il capogruppo in commissione Giustizia, Manlio Contento, l´avvocato civilista friulano, Francesco Paolo Sisto, il penalista di Bari. Ma anche Maurizio Paniz, il ricco legale di Belluno e Luigi Vitali, l´ex sottosegretario della Cirielli. Loro hanno tessuto la “rete” degli emendamenti che alla fine ha imbrigliato il governo. Ammette Costa: «Sì, siamo stati bravi. Abbiamo lavorato con attenzione sul piano tecnico. Noi il provvedimento sulla corruzione lo vogliamo, ma dev´essere corretto. Non deve aprire la strada a una nuova stagione giustizialista».
Parole. Pronunciate pure in commissione. Che hanno innervosito il presidente Giulia Bongiorno. Che hanno aperto la strada all´ostruzionismo e hanno confuso il governo, prima sulla corruzione, poi sul falso in bilancio. Lontana, negli Usa, il Guardasigilli Paola Severino. Via l´altro sottosegretario Andrea Zoppini, che alle 14 sa già di essere indagato per frode e ovviamente si tiene alla larga dalla Camera. Di mezzo ci finisce Salvatore Mazzamuto. Convocato ad horas, arriva in abbondante ritardo. Se ne lamenta con tutti pure con i berlusconiani. Ammette: «Questa roba non l´ho studiata».
In mano ha le carte che producono il clamoroso incidente, il governo che affonda se stesso. È il parere sugli emendamenti al falso in bilancio. Quattro pagine. Ma contano le prime righe. Carte vergate di pugno dal capo dell´ufficio legislativo Augusta Iannini. Sotto la copia di Mazzamuto la sua firma è cancellata con più di un tratto di penna. Ma appare riconoscibile. Per Severino ha sbagliato tutto Mazzamuto. Per Di Pietro è tutta colpa della “talpa” che si annida al ministero. Un fatto è certo e lo ricostruisce più di una fonte della commissione: per come è scritto, il parere ha taciuto un elemento fondamentale per orientare il voto. Lì è scritto che il primo emendamento al “nuovo” falso in bilancio del dipietrista Federico Palomba, prodotto da Sisto, «sopprime» il primo articolo. Quindi il parere del governo deve essere contrario. Poi si passa al secondo emendamento, quello di Contento, l´oggetto dello scontro. Il parere di via Arenula scrive che la proposta Contento «prevede come unica modifica all´articolo 2621 del codice civile l´aumento della pena edittale (reclusione fino a tre anni)». Non specifica che esso «sostituisce» il cuore della legge Palomba, quella che porta la pena per il reato fino a cinque anni, dagli attuali due, ed elimina la formula dell´inganno ai soci. Accanto, nella tabella, c´è il parere ed è «favorevole». Mazzamuto pronuncia quella parola. Il Pdl ovviamente vota a favore perché non vuole un falso in bilancio rafforzato. Dolo? Severino lo nega, anzi si arrabbia con Mazzamuto. Mazzamuto se la prende con il parere. I sospetti si addensano su chi ha scritto quel foglio.
Il Pdl si aggiudica un altro round. Chi, come Vitali, ha il polso dell´aula, si slancia in un pronostico: «Queste leggi in aula non passano. Io, di sicuro, non le voto». Costa è prudente: «Certo, il voto segreto è un rischio». Chi ha parlato con Ghedini, pur preso dai processi di Berlusconi, lo ha trovato soddisfatto. I “suoi” ragazzi gli hanno una bella soddisfazione. Lui è pronto a dire che non pensa affatto alla norma salva-Ruby, che pure Sisto ha presentato, perché il processo di Berlusconi non ne ha bisogno. Lo hanno sentito dire che finirà come è finito Mills. Quanto al falso in bilancio i berlusconiani non vedono neppure il problema: «Perché tanta agitazione? È solo un proposta di legge in quota opposizione. Non impegna il governo in alcun modo. Nessuno ci può chiedere di tornare indietro sulle norme che abbiamo sostenuto e in cui abbiamo creduto. Proprio a partire dal falso in bilancio».
(l. mi.)

La Repubblica 16.05.12

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“Giulia Bongiorno: nel Pdl non c´è volontà di combattere la corruzione, è una cosa che sgomenta”, di Liana Milella

“La legge salva-Silvio non ci sarà ma la maggioranza è spaccata Sulla giustizia il governo rischia”. La corruzione è un veleno, e la mancanza di legalità uccide l´economia. Necessario occuparsene ora. Spazi per norme salva-Silvio «non ce ne sono più», ma sulla corruzione – «un veleno per il Paese» – il governo può andare incontro alla crisi. Giulia Bongiorno, la presidente finiana della commissione Giustizia della Camera, lancia di nuovo il suo allarme e ricorda che «proprio sulla giustizia si ruppe l´intesa tra Fini e Berlusconi».
Una giornata di scontri da dimenticare per la giustizia nella sua commissione, non le sembra?
«Sì, e temo che non sia l´esito di una congiuntura astrale, piuttosto una condizione permanente».
In che senso?
«In materia di giustizia, all´interno dell´attuale maggioranza, ci sono visioni diametralmente opposte. Dunque era prevedibile».
Perché prevedibile? Se Abc trovano sintesi sui temi economici come mai sulla giustizia non si trova l´accordo?
«Io credo che la giustizia rappresenti, prima di altre materie, la vera identità dei partiti. E non c´è accordo politico che possa annullare l´identità. Faccio un esempio: io sono molto amareggiata perché oggi si è persa l´occasione di creare una figura di reato di falso in bilancio più efficace rispetto all´attuale. Altri hanno tirato un sospiro di sollievo. Ecco, l´idea che si possa tirare un sospiro di sollievo mi turba».
Protestano duramente Pd e Idv, nuova opposizione all´interno del governo. Il governo esiste ancora su questi temi?
«In politica, purtroppo la giustizia è sempre stata considerata un tema di secondo piano. E invece non lo è affatto. Temo che la grande attenzione giustamente riconosciuta alle questioni economiche abbia portato a sottovalutare il peso della questione giustizia, peraltro trascurandone l´incidenza sull´economia. Non dimentichiamo che la mala-giustizia uccide l´economia, che gli investitori esteri fuggono quando scoprono che in Italia si può restare impelagati in vicende giudiziarie per un decennio».
Il parere del sottosegretario Mazzamuto sul falso in bilancio lo vede come un errore, una svista o una cosa voluta?
«Lui era alla mia destra e leggeva un foglio. Non so altro. In aula avremo comunque la possibilità di lavorare ancora sul testo».
Come giudica l´ostruzionismo del Pdl sul ddl anti-corruzione?
«Sono molto preoccupata perché oggi in un´ora e mezzo abbiamo votato un emendamento: ne abbiamo circa 150 da votare entro la prossima settimana».
Ma in questa fase politica l´anti-corruzione è una priorità?
«Le dico cosa penso della corruzione: è un reato abominevole. Si diffonde a macchia d´olio azzerando il merito, è subdola, si annida anche là dove non te lo aspetteresti, distorce le prospettive e falsa i valori, è un veleno… L´idea che non ci sia una volontà comune di combatterla usando i mezzi a disposizione del legislatore mi disorienta. Ma si torna al discorso di prima… visioni diverse».
Il Pdl vorrebbe una nuova norma salva-Ruby. Ma in questo momento politico a destra esistono ancora margini di possibili alleanze per approvarla?
«Non so se vogliono una salva-Ruby, so però che in commissione la Lega non vota con il Pdl e non credo che altre forze voterebbero attualmente ulteriori norme ad personam».
Giustizia e stabilità di governo: che succederà in aula se, come tutto lascia prevedere, l´attuale maggioranza dovesse spaccarsi sul ddl anti-corruzione, come è avvenuto sul falso in bilancio?
«È un allarme che ho lanciato da tempo. Da quando ci furono i primi incontri con le forze della maggioranza promossi dal ministro. Mi fu subito chiaro che la maggioranza non andava nella stessa direzione. Infatti oltre che di corruzione si parlava di responsabilità dei giudici e di intercettazioni, come se i temi fossero intrecciati tra loro».
Non sarebbe stato meglio, quando è nato l´esecutivo Monti, escludere del tutto il capitolo della giustizia?
«Il risanamento del Paese non può prescindere da un risanamento morale. Escludere la giustizia avrebbe significato perdere in partenza».
Esiste la possibilità che il governo cada sulla giustizia?
«La cosiddetta frattura Fini-Berlusconi nasce sul tema della legalità. Ripeto: sbaglia chi considera la giustizia un tema politico di secondo piano».
La Repubblica 16.05.12