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"La politica degli antipolitici", di Nadia Urbinati

La demagogia è una forma degenerata della democrazia, la sua periferia interna. I classici la situavano al punto terminale della democrazia costituzionale o “buona”. Era la conseguenza di un impoverimento della società, del timore della classe media di vedere indebolito il proprio status e dei meno abbienti di perdere quel poco che a fatica avevano guadagnato. In questo scontento che contrapponeva i pochi ai molti poteva emergere un astuto demagogo che metteva in campo forze nuove, desiderose di farsi largo ed emergere.
Oggi la demagogia usa il linguaggio dell´antipolitica per esprimere opposizione alla classe politica attualmente esistente con il prevedibile obiettivo di scalzarla con una nuova. Se poi questa classe politica si è macchiata di corruzione ciò rende l´arringa del demagogo più facile ed efficace. Il Movimento Cinque Stelle rientra in questa categorizzazione demagogica. Beppe Grillo ha fatto dell´antipolitica la sua battaglia e alle recenti elezioni amministrative quel linguaggio ha dato i suoi frutti. La crisi economica e i recenti e meno recenti scandali politici hanno fatto da benzina. Ma che cosa è esattamente l´antipolitica?
Quando si parla di antipolitica nelle società democratiche si usa una parola molto imprecisa. Chi la usa non suggerisce infatti di ritirarsi nella solitudine di un convento, oppure di vivere solo di e per la famiglia, o solo di e per il lavoro. Chi usa l´espressione antipolitica vuole presumibilmente criticare il modo con il quale la politica è praticata ma in realtà sfruttare lo scontento che esiste ed è forte verso le forme tradizionali di esercizio della politica. Non è la politica l´obiettivo polemico e nemmeno la forma partito. Non è la politica perché il parlare di antipolitica è comunque un parlare politico, addirittura uno schierarsi partigianamente, e questo è a dimostrazione del fatto che nelle società democratiche non c´è scampo alla politica, nel senso che ogni questione che esce dal chiuso della domesticità è e si fa politica. Diceva Thomas Mann in un saggio esemplare sull´impolitico che nella società democratica anche chi si scaglia contro la politica è costretto a farlo con linguaggio politico, a farsi partigiano della sua causa. Ci si schiera e si entra nell´agone. L´antipolitica non è possibile.
Così è oggi: non c´è niente di più politico di questa persistente critica della politica. A ben guardare l´obiettivo polemico non è neppure la forma partito, l´associarsi cioè per perseguire o ostacolare determinati obiettivi e progetti politici. Anche i più astiosi demagoghi dell´antipolitica – anche l´arrabbiato Beppe Grillo – si presentano alle elezioni! Come scriveva Ilvo Diamanti su Repubblica a commento del recente voto amministrativo, il termine “antipolitica” sottintende una valutazione poco convincente quando è usata per spiegare il voto al Movimento Cinque Stelle – benché questo si sia alimentato pantagruelicamente dello slogan dell´antipolitica. Accettando di presentarsi alle elezioni ha accettato le regole democratiche della competizione e, soprattutto, messo in campo persone che, nonostante il linguaggio demagogico di Grillo, vogliono fare politica e discutono di problemi che sono politici, dall´ambiente alla corruzione, agli interessi privati nella cosa pubblica. A ben guardare gli elettori del Movimento sono semmai iperpolitici e vedono tutto in chiave politica (un termine al quale hanno dato un significato negativo, salvo… usarlo proprio per far politica). Scriveva Diamanti che i grillini “mostrano un alto grado di interesse per la politica” e in passato molti di loro hanno votato Lega Nord e anche Pd e Idv. La demagogia non piace ma è innegabile che chi si identifica con il Movimento del demagogo ha una visione politica, non antipolitica. E su questa visione ci si deve interrogare e ad essa occorre controbattere.
Il movimento Cinque Stelle opera come un partito e se vorrà persistere nel tempo dovrà strutturarsi come un partito. Nella democrazia rappresentativa non c´è scampo a questa regola. L´esperienza di Berlusconi insegna: avere i mezzi finanziari non è sufficiente poiché senza struttura e idee propositive la prima grossa sconfitta si rivela fatale. Perché un partito, se partito è, deve essere capace non solo di vincere ma anche di perdere. Un partito nato per solo vincere è un partito destinato all´estinzione. La memoria sulla quale ogni compagine si struttura creando identità collettiva si consolida anche grazie alle sconfitte, esperienze che uniscono, non meno delle vittorie. Quindi il Movimento Cinque Stelle se vuole consolidare la propria presenza nella politica nazionale dovrà essere pronto a scendere nell´agone sapendo che può perdere. La prepotenza verbale del suo leader rivela che questa non è ancora la sua condizione. Se sarà un partito di sola vittoria sarà di breve durata.
Perché dopo la protesta ci sarà la prova del fuoco del potere praticato. Essere eletti, avere una presenza nelle istituzioni, implica fatalmente prendere in mano quel potere urlando contro il quale il movimento di protesta è nato vittorioso. Si tratta di una regola ferrea che contraddice quel che ci aveva abituato a pensare una Democrazia Cristiana che stava in sella sapendo che non rischiava alternativa grazie alla guerra fredda: ovvero che il “potere logora chi non ce l´ha”. Questa massima andreottiana valeva appunto perché chi aveva il potere sapeva di non rischiare di perderlo, cosicché a logorarsi erano appunto coloro che non potendolo avere per vie ordinarie (vittoria elettorale) dovevano scendere a patti con chi lo aveva già a costo di sporcarsi le mani. La massima andreottiana designa una condizione di irrilevanza della democrazia elettorale. Ma in una sana democrazia dove le elezioni funzionano davvero da deterrenza, e sono quindi rischiose (come si è visto il 6 e 7 maggio), allora il “potere consuma chi ce l´ha”. E quindi le vittorie dei movimenti di protesta rischiano di spegnersi in fretta. La vicenda patetica della Lega Nord prova questa regola. Le ali se le scotta chi più si avvicina al sole. Il Movimento Cinque Stelle o diventa un partito e quindi accetta la sfida di essere vittima della critica di “antipolitica”, oppure scompare. Ma se non scompare, allora deve darsi obiettivi e linguaggi che non sono più quelli della demagogia, roboanti, rozzi, e troppo facili.

La Repubblica 10.05.12

Il dovere di "farsi carico", di Mario Calabresi

Esiste un’idea capace di salvare la politica, di restituirle quella dignità che sembrerebbe irrimediabilmente perduta? Ieri mattina ho ascoltato Giorgio Napolitano celebrare per l’ultima volta il Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi e ho pensato che la risposta è racchiusa in due sole parole: «Farsi carico». Mentre il Presidente parlava mi è tornata in mente una sera di quattro anni fa quando, nella stazione dei vigili del fuoco di un piccolissimo paesino dell’Iowa, mi capitò di ascoltare Hillary Clinton parlare a un gruppetto di elettori del suo partito. Uno le chiese cosa fosse la politica e lei rispose: «Fare la differenza nella vita della gente». Alla fine, prima di andarsene, si accorse che vicino all’uscita era rimasta solo un’anziana madre con un figlio disabile sulla sedia a rotelle. Non c’erano telecamere o fotografi, se ne erano andati tutti, ma Hillary si avvicinò e si mise ad ascoltare il lungo sfogo di questa donna che le parlò delle paure per il futuro del suo ragazzo.

La Clinton si mise a spiegarle a quali assistenze avrebbe potuto rivolgersi e le raccontò come avrebbe voluto cambiare una legge. Andarono avanti per quasi venti minuti. Guardando il volto rasserenato di quella donna, che si sentiva finalmente compresa, mi resi conto di cosa significa «farsi carico» dei problemi dei cittadini.

Significa prima di tutto ascoltare, capire di cosa c’è bisogno, immedesimarsi nelle difficoltà delle persone e poi avere il coraggio di sfuggire dagli slogan, per cercare soluzioni oneste e rispettose della complessità.

Cinque anni fa la memoria del terrorismo e delle stragi e delle sue vittime era un campo di macerie, pieno di rabbia, dolori, rancori e polemiche ideologiche. La prassi politica corrente avrebbe suggerito di tenersene alla larga, limitandosi a qualche ricordo di maniera. Giorgio Napolitano invece ha avuto il coraggio di accollarsi il problema, di dare un contenuto vero a una giornata che il Parlamento aveva appena istituito ma che era tutta da inventare. «Queste Giornate ha spiegato -, il ricordo di quegli uomini e di quelle donne come persone, la vicinanza al dolore delle loro famiglie, la riflessione intensa su quelle vicende, su quel periodo di storia sofferta, di storia vissuta sono stati in questi anni tra gli impegni che più mi hanno messo alla prova e coinvolto non solo istituzionalmente, ma moralmente ed emotivamente. Hanno messo alla prova la mia capacità di ascoltare e di immedesimarmi, la mia responsabilità di lettura imparziale, equanime di fatti che chiamavano in causa diverse ed opposte ideologie e pratiche politiche».

E’ stata fatta una grande opera di ricomposizione, di ricostruzione e di trasmissione della memoria, si sono costruiti percorsi preziosi e utili in tempi di nuova crisi «per porre un argine insuperabile a ogni rigurgito di violenza». Giorgio Napolitano si è emozionato e commosso ricordando la delusione per la «giustizia incompiuta» e il coraggio di chi ha superato barriere un tempo considerate insormontabili.

Questo suo impegno è stato capace di fare la differenza, di diventare un punto di riferimento e resterà un esempio di cosa possono essere la politica e le Istituzioni.

Perché l’unico antidoto all’insulto, allo smarrimento, a quell’aridità che ci condanna a non avere più sogni e fame di futuro è la fatica dell’impegno quotidiano, è la capacità di farsi carico dei problemi e dei bisogni che ci circondano ed è anche la capacità di commuoversi. Per non essere condannati al cinismo abbiamo bisogno di ascoltare e di lasciarci coinvolgere, di riconoscere i bisogni di chi fa parte della nostra comunità, e questo vale per tutti, non solo per i politici o per i presidenti.

La Stampa 10.05.12

"Primavera in Lombardia: Berlusconi e Lega a pezzi", di Rinaldo Gianola

Non tirava una bell’aria in quell’autunno del 2010 sotto i capannoni di “Malpensafiere” a Busto Arsizio, profondo nord leghista, dove il Pd aveva deciso di organizzare l’assemblea nazionale per riflettere sulla sconfitta enorme di pochi mesi prima. In primavera la destra aveva conquistato tutte le grandi regioni del Nord, Piemonte, Lombardia, Veneto, nonostante i segnali già evidenti che la crisi economica non si sarebbe fermata e che gli effetti sociali si sarebbero aggravati nel corso dei mesi successivi. Pier Luigi Bersani venne accolto dalla consueta volgarità di qualche leghista che si sentiva offeso dall’iniziativa della sinistra in quel territorio. Il leader democratico parlò in maniche di camicia. Disse che il Pd «non si sentiva straniero al Nord» e che Berlusconi e Bossi «avevano tradito le imprese e il lavoro». Fece le sue proposte per rilanciare l’occupazione, per delineare un fisco di sostegno allo sviluppo e alle piccole-medie imprese, riprese e valorizzò quel filone ideale di solidarietà e di volontariato che proprio in Lombardia ha storiche radici e un’ampia diffusione sociale.

UNA SCONFITTA DI TUTTA LA DESTRA
Quell’assemblea faticosa ci è venuta subito in mente di fronte ai risultati del primo turno delle elezioni amministrative che dimostrano una caduta repentina, profonda di consensi, forse inaspettata per le dimensioni, della Lega e del Pdl in tutto il Nord e in particolare in Lombardia. Insomma se oggi siamo qui a raccontare con un certo piacere l’arretramento della destra forse un qualche merito va proprio a quella scel ta del Pd a Busto Arsizio. Naturalmente non bisogna farsi illusioni. Il voto di domenica e lunedì non è definitivo e attende il secondo turno per chiarire il quadro dei sindaci. È vero che le elezioni sono amministrative, parziali e quindi i risultati non possono essere caricati di eccessivi significati politici generali. Però qualche cosa di importante è accaduto e va segnalato, si può già dire che c’è stata un’ondata fortissima che ha colpito e destrutturato il centro-destra al Nord salvo Verona dove viene confermato il leghista anomalo Tosi. C’è, in questo contesto elettorale frammentato e contradditorio, anche l’affermazione del pd, che forse fa meno notizia di Beppe Grillo, ma che si presenta oggi come il primo partito al Nord.

LA LEGA DIMEZZA I VOTI
Secondo le valutazioni dell’Istituto Cattaneo la Lega ha dimezzato i voti rispetto alle regionali del 2010 e alle politiche del 2008. In termini percentuali la caduta si attesta attorno al 50% in Lombardia e Veneto e arriva al 70% in Piemonte. Dati che rappresentano un forte ridimensionamento del partito di Bossi che perde comuni di grande valore simbolico, come quelli della provincia di Varese, e registra sconfitte pesanti in città come Monza, Como, in tutta la Brianza, le cui passate perfomance elettorali erano sempre state caricate di grande valore politico sulla vocazione leghista, federalista del Nord produttivo. Il sindaco leghista di Monza, Marco Mariani, è stato eliminato al turno ed è in vantaggio il candidato di centrosinistra Roberto Scanagatti. Il progressista Mario Lucini è nettamente in testa al primo turno (34,5%) a Como e questo risultato in questa città, qualunque sia l’esito del doppio turno, dà il segno del cambiamento dello scenario politico ed elettorale.

La Lega e il Pdl hanno fatto poi una figuraccia anche a Sesto San Giovanni dove per mesi hanno suonato la grancassa della propaganda contro la sinistra da sempre al governo della città che avrebbe dovuto pagare le conseguenze delle inchieste della magistratura sui lavori dell’ex area Falck. Ma, in attesa che i giudici chiudano le indagini e decidano se rinviare a giudizio Filippo Penati, i cittadini dell’ex Stalingrado hanno dato un ampio consenso alla candidata del Pd, Angela Chittò, che passa al ballottaggio con un rotondo 46%. La sconfitta della destra al nord si misura anche nella sorpresa della flessione leghista nei piccoli comuni dell’area pedemontana, l’insediamento storico e più fedele dell’elettorato del movimento di Bossi. Questo è uno smottamento importante in prospettiva perchè, se confermato nei prossimi appuntamenti elettorali, priverebbe la lega del suo bacino più importante di consensi. Ci sono zone, inoltre, dove il Pdl non solo perde, ma addirittura rischia di scomparire o di essere ridotto a percentuali irrisorie.

SCANDALI E CRISI
Naturalmente la sconfitta del centrodestra suscita interrogativi sui motivi di questo cambiamento delle scelte elettorali dei cittadini e sulle prospettive future. In Lombardia, ad esempio, il segretario regionale del Pd Maurizio Martina ha detto che nella regione c’è ormai un’altra maggioranza rispetto a quella che sostiene la giunta Formigoni, già investita da una decina di inchieste giudiziarie che hanno coinvolto consiglieri e assessori, dalle vicende del figlio di Bossi il “Trota”, dai diamanti del cassiere Belsito, per non parlare delle vacanze inquietanti del governatore pagate dal faccendiere Daccò. Formigoni resiste nella sua torre, ma ormai in molti, anche nel centrodestra, ipotizzano che in Lombardia si possa votare in coincidenza con le prossime elezioni politiche previste per il 2013, salvo anticipo. Il problema, infatti, oggi non è limitato al comportamento degli esponenti della Lega o del Pdl, coinvolti a torto o ragione in qualche inchiesta della magistratura o in piccoli e grandi privilegi assolutamente ingiustificati. La questione più rilevante è la caduta di credibilità politica, la mancanza di proposte adeguate per fronteggiare i problemi delle famiglie e delle imprese, la carenza di leadership visto che i grandi capi sono ostaggio chi del bunga bunga, chi degli affari di famiglia, chi dei viaggi ai Caraibi.

IMPRESE, LAVORO E PD
La flessione del voto leghista e berlusconiano al Nord, tuttavia, ha ragioni più profonde, deve tener conto degli effetti di una crisi economica che ormai dura da quattro anni e del deterioramento del tessuto sociale ormai evidente e pericoloso. Alcuni commentatori, ieri, sui grandi giornali dell’industria e della finanza si sono chiesti sorpresi e preoccupati come mai imprese, artigiani, commercianti, lavoratori abbiano tolto il consenso alla Lega e a Berlusconi e da chi vorranno farsi rappresentare da oggi in poi. Le elezioni amministrative dello scorso anno, il trionfo del centrosinistra a Milano, Torino, Venezia, Bologna e altrove avrebbe già dovuto far capire che industria e lavoro non sono colpite da afasia perchè voltano le spalle a Bossi e Berlusconi. L’asse Gemonio-Arcore, magari con la benedizione cardinalizia di Gulio Tremonti, non c’è e nessuno ci crede più. Anche perchè le imprese, le famiglie, la gente che spera in un futuro più sereno hanno altro a cui pensare.

Ci sono notizie e numeri che a volte danno spiegazioni ben più convincenti di mille analisi degli specialisti. Nella provincia di Varese da sempre leghista il tasso di disoccupazione tra il 2010 e il 2011 è salito dal 5,3 al 7,7%. In questa tranquilla provincia ci sono ben 22mila giovani tra i 15 e i 29 anni che non fanno nulla: non studiano, non lavorano, non hanno futuro. Stiamo parlando di una delle zone più ricche e ad alta intensità industriale del Paese, non delle aree disperate del Sud. Ecco, forse in questi numeri, che potrebbero essere accompagnati da statistiche ben più gravi per l’intero Nord, sta il segreto che spinge molti elettori ad abbandonare la Lega e il Pdl. Oggi scelgono un altro sindaco, domani probabilmente sceglieranno un altro governo.

l’Unità 09.05.12

Peppino Impastato e Aldo Moro, oggi anniversario della morte

Oggi 9 maggio l’Italia ricorda due vittime della mafia e del terrorismo nel giorno in cui decorre l’anniversario della loro morte nel 1978: il giornalista e attivista Peppino Impastato e il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. La morte di Impastato, avvenuta in piena notte, passò inizialmente inosservata perchè proprio in quelle ore veniva ritrovato il corpo senza vita dell’ex Presidente del Consiglio in via Caetani a Roma, dopo 55 giorni di prigionia delle Brigate Rosse.

Il giornalista di Cinisi fu assassinato a 30 anni su mandato di Gaetano Badalamenti, boss di Cosa Nostra, nel corso della campagna elettorale, 5 giorni prima della sua elezione a consigliere comunale di Cinisi nelle liste di Democrazia proletaria. Con il suo cadavere, dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani, venne inscenato un suicidio. Solo l’11 aprile 2002, grazie alla guerra combattuta dalla madre di Peppino e dal Centro Impastato, il mafioso Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del giovane attivista.

A 34 anni dalla morte il Paese celebra i due personaggi nel “Giorno della Memoria”, in ricordo di quanti hanno perso la vita durante gli anni di piombo. Al Quirinale si terrà una celebrazione, preceduta dalla deposizione di una corona di fiori in via Caetani davanti alla lapide di Aldo Moro alla quale parteciperanno le associazioni e numerosi familiari di vittime del terrorismo. Prenderanno la parola anche alcuni giovani autori del libro “A onor del vero. Piazza Fontana. E la vita dopo”, e Piergiorgio Vittorini, avvocato al processo di Piazza della Loggia e promotore del progetto “Memoriale per le Vittime del terrorismo e della violenza politica”.

Questa mattina saranno esposte, sempre al Quirinale, due delle lettere scritte da Aldo Moro durante i giorni della sua prigionia, in esposizione fino al 18 maggio e saranno anche oggetto di un dibattito in una serie d’incontri dal titolo “Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani…”.

Anche i social network ricordano Impastato e Moro. Entrambi su Twitter sono diventate le parole più cinguettate di oggi nella classifica dei top trend. Numerosissimi utenti postano sul profilo le frasi più celebri dei due uccisi: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’’omertà”, PeppinoImpastato. “Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”, AldoMoro.

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Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo

“La tragedia del terrorismo non si ripeterà. Quanti fossero tentati di mettersi su quella strada non si illudano di intimidire lo Stato e i cittadini”, di Giorgio Napolitano

All'”opera di raccoglimento solidale nel ricordo e nell’omaggio per tutte le vittime del terrorismo; di ricomposizione unitaria di molteplici esperienze, dolorose e laceranti, vissute in rapporto alle singole vicende di quella stagione di violenza sanguinaria”, ha voluto fare riferimento il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in apertura del discorso celebrativo pronunciato al Quirinale in occasione del “Giorno della Memoria” dedicato alla vittime del terrorismo. Alla “opera, nello stesso tempo, di trasmissione della memoria, di ricostruzione e approfondimento sul piano storico, di riflessione collettiva e di mobilitazione civile. Ecco, quest’opera – ha sottolineato il Capo dello Stato – è andata avanti, negli ultimi cinque anni, attraverso un crescere, in modo imprevedibile, di contributi e di iniziative, che ci ha grandemente confortato, confermando la fecondità dell’impulso e dell’indirizzo” che si espressero già nella prima Giornata celebrata al Quirinale il 9 maggio del 2008.

“Si sono da allora – ha aggiunto il Presidente Napolitano – levate molte voci nuove, hanno preso la parola, innanzitutto, famigliari delle vittime, prima soverchiati dal rumoroso e spudorato esibizionismo dei colpevoli, e scoraggiati da disattenzioni e ambiguità dello stesso mondo dell’informazione. Si sono imposti all’attenzione nuovi analisti e studiosi, con apporti originali e importanti. C’è stato insomma un forte risveglio di sensibilità e di coscienze. Ed è così che dobbiamo proseguire. Per questo siamo oggi qui riuniti”.

Il Presidente Napolitano ha quindi ringraziato per i loro contributi “quanti sono intervenuti a richiamare, per esperienza vissuta e per testimonianza, vicende e figure altamente rappresentative degli anni funesti dell’attacco terroristico, che furono insieme anni di resistenza e risposta coraggiosa da parte delle forze migliori dello Stato democratico e della società italiana”.

“Certo – ha sottolineato il Capo dello Stato – sentiamo ancor più fortemente il tormento di una giustizia incompiuta, dopo tante sollecitazioni, speranze, attese e delusioni. Non è vano ripetere che il corso della giustizia deve – pur nei limiti in cui (ad esempio, anche dopo la recente sentenza per Piazza della Loggia) è rimasto possibile – continuare con ogni scrupolo. Ma è altrettanto necessario mettere sempre in luce tutto quel che di netto, preciso, inconfutabile è emerso dalle stesse carte processuali e dalle stesse sentenze – per quanto insoddisfacenti rispetto all’esigenza di colpire le persone responsabili di orrende stragi con pene adeguate e da scontare effettivamente”. Ma “non brancoliamo nel buio di un’Italia dei misteri : ci troviamo dinanzi a limiti da rimuovere e a problemi di giustizia e di verità ancora da risolvere, ma in un’Italia che ha svelato gravissime insidie via via liberandosene, che ha sconfitto il terrorismo, individuandone e sanzionandone a centinaia gli sciagurati attori, e che ha salvaguardato i presidi della nostra vita democratica”.

Per il Capo dello Stato “anche sul piano della ricostruzione della verità storica, molto rimane da fare. Con rigore di metodo, con giusto distacco da una condizionante vicinanza emotiva o da troppo facili schemi interpretativi, e con possibilità maggiori di accesso a tutte le fonti essenziali. A questo proposito, è in corso – secondo una dettagliata valutazione fornitami dal COPASIR – un’evoluzione positiva in materia di accesso agli atti, compresi quelli degli organismi di intelligence e sul terreno della riorganizzazione dei loro archivi per accelerare il versamento di documenti all’Archivio storico del DIS e quindi all’Archivio Centrale dello Stato, presso il quale siano consultabili. Attraverso la vigilanza e la sollecitazione esercitate dal COPASIR, il Parlamento segue più in generale il rinnovato impegno del governo all’applicazione di regole stringenti in materia di ricorso al segreto di Stato che scongiurino il pericolo delle distorsioni, durante gli anni del terrorismo e delle stragi, che sono state spesso e in più sedi denunciate”. A conferma di “come il tempo della storia sia giunto e possa essere fecondamente coltivato”, il Presidente Napolitano ha fatto riferimento agli originali – esposti nell’occasione al Quirinale – di due lettere di Aldo Moro, scritte in quei 55 giorni, “che furono, quelli sì, davvero ‘notte della Repubblica’, una ‘notte’ che Aldo Moro aveva visto incombere e invano tentato di allontanare”.

“Quel che ci preme in definitiva – insieme col tener viva, anche nelle sue forme più sofferte, la memoria delle vittime del terrorismo, è – ha insistito il Presidente – consolidare nella società e soprattutto nelle nuove generazioni, il senso della libertà e della democrazia conquistate sconfiggendo il fascismo, sancite nella Costituzione repubblicana, fatte oggetto di trame e di azioni distruttive, difese e riaffermate dalla grande maggioranza dei cittadini – normali ‘cittadini’ che vi credevano e che hanno reagito a pericoli estremi come il terrorismo anche pagando prezzi durissimi. Quel che ci preme è diffondere, anzi condividere, consapevolezza storica, sensibilità civica, volontà di partecipazione a tutela dei principi e dei diritti costituzionali, da qualunque parte vengano insidiati o feriti. E’ così che possiamo porre un argine insuperabile a ogni rigurgito di violenza e finanche di violenza armata. Non ci sono ragioni di dissenso politico e tensione sociale, che possano giustificare ribellismi, illegalismi, forme di ricorso alla forza destinate a sfociare in atti di terrorismo. Quella tragedia non si ripeterà, nemmeno in forme di bieca e sempre micidiale farsa. Fossero pure solo le modalità dell’agguato al dirigente d’azienda genovese a richiamare il terrorismo – vedremo i seguiti dell’indagine – la risposta e la vigilanza devono essere categoriche. Quanti fossero tentati di mettersi su quella strada sono dei perdenti, non si illudano di intimidire lo Stato e i cittadini”.

Il Presidente Napolitano si è quindi associato al ricordo di Francesca Dendena, storica rappresentante dell’associazione vittime della strage di Piazza Fontana, dedicandogli l’intera Giornata della memoria, perché nelle sue parole si ritrova “una straordinaria lezione di umanità, combattività ed equilibrio, di sapienza e saggezza politica, di senso della democrazia e della nazione”. Come le parole della Dendena – che Napolitano ha richiamato – riferite allo shock per la strage di Piazza della Loggia : ‘Temetti che a quel punto lo Stato democratico avrebbe potuto non reggere’. “Un timore che – ha aggiunto il Presidente – in più momenti, durante quegli anni, assalì anche me. Ma l’Italia, lo Stato democratico, lo Stato di diritto, ce la fecero. Ed è per questo che celebrando i 150 anni dell’Italia unita, riflettendo sul suo passato e sul suo avvenire, abbiamo potuto indicare nell’esperienza del terrorismo, in quella prova superata grazie a uno sforzo corale, un grande esempio di vitalità del tessuto unitario della nostra nazione e della nostra democrazia, un punto di riferimento e una sorgente di fiducia per il nostro comune futuro”.

Il Capo dello Stato ha concluso il suo intervento con una considerazione personale: “Queste Giornate in memoria delle vittime del terrorismo, il ricordo di quegli uomini e di quelle donne come persone, la vicinanza al dolore delle loro famiglie, la riflessione intensa su quelle vicende, su quel periodo di storia sofferta, di storia vissuta sono stati in questi anni tra gli impegni che più mi hanno messo alla prova e coinvolto non solo istituzionalmente, ma moralmente ed emotivamente. Hanno messo alla prova la mia capacità di ascoltare e di immedesimarmi, la mia responsabilità di lettura imparziale, equanime di fatti che chiamavano in causa diverse ed opposte ideologie e pratiche politiche. Trasmetterò il senso di questo impegno a chi mi succederà, così che possa essere portato avanti con immutata convinzione e tenacia”.

da quirinale.it

Ciao 'Cev'

Maurizio Cevenini, ex candidato sindaco del Pd a Bologna nel 2011, si è suicidato questa mattina gettandosi da una delle “torrette” della sede del Consiglio regionale dell’Emilia Romagna in Viale Aldo Moro. La notizia è stata data nella prima mattinata dal Presidente del Consiglio regionale Emilia-Romagna Matteo Richetti.

Cevenini, 58 anni, era consigliere regionale dal 2010 e nel 2011 era stato candidato dal Pd alla carica di sindaco di Bologna, ma aveva dovuto ritirare la propria candidatura dopo essere stato colpito da ictus. Il suo impegno politico nel capoluogo emiliano lo aveva portato a partecipare alle primarie del 2008, nelle quali aveva raccolto oltre il 23% dei voti, piazzandosi alle spalle di Flavio Del Bono.

Il “Cev” era conosciuto a Bologna per la sua passione per il calcio e per essere un «recordman» nella celebrazione di matrimoni in Comune dove è stato consigliere sin dal 1995. Sembra però che da tempo fosse depresso. Su Facebook, Cevenini aveva dovuto aprire tre profili, perché uno solo e nemmeno due bastavano a contenere la quantità di persone «amiche» sul social network.

«Siamo sconvolti e profondamente rattristati per la tragica morte di Maurizio Cevenini. Il nostro pensiero va alla sua famiglia a cui esprimiamo cordoglio e vicinanza. Ma un pensiero va anche a Bologna, la sua amata città che perde un ottimo amministratore, un uomo onesto e sensibile, un esempio di correttezza e passione civile che rimarrà sempre vivo», dichiara Davide Zoggia, Responsabile Enti Locali del Pd.

Anche Pier Luigi Bersani commenta il decesso improvviso come una “notizia sconvolgente, non riesco a crederci”.

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Morte Cevenini, Vasco Errani: “Colpiti da un immenso dolore”

“Siamo colpiti da un immenso dolore per una tragedia improvvisa che ci priva di un amico, di un collega di lavoro, di una persona di grande generosità e umanità. In questo momento ci stringiamo alla famiglia, alla moglie Rossella e alla figlia Federica, rispettando il riserbo per il loro dramma personale”. E’ quanto affermano congiuntamente il presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, e il presidente dell’Assemblea legislativa, Matteo Richetti. “E’ una perdita, quella di Maurizio Cevenini, che riguarda un’intera comunità che aveva imparato a volergli bene”.

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Bersani: “Cevenini, la sua morte è una notizia a cui non riesco a credere”
9 maggio 2012
immagine La notizia della morte di Maurizio Cevenini è sconvolgente. Non riesco a crederci. Nel ricordare il Cev non riesco ancora a parlare da segretario del suo amatissimo partito.
Adesso voglio solo ricordare la sua umanità, la sua intelligenza, la sua sensibilità straordinaria. La perdita di Maurizio è una ferita vera e profonda.
Gli si voleva tutti bene perché lui voleva bene a tutti.

"Sindacati uniti in piazza per la Festa della Repubblica", di Massimo Franchi

«Due giugno, festa della Repubblica fondata sul lavoro». Per la prima volta i sindacati decidono di manifestare in una giornata di festività nazionale e di portare i lavoratori a Roma. Lo faranno al pomeriggio, dopo la tradizionale parata militare ai Fori imperiali, con un corteo e con comizio finale (Alemanno permettendo) a piazza del Popolo. L’obiettivo dell’ormai ricostruita triplice è quello di «far cambiar politica economica al governo». L’ultima manifestazione unitaria di questo tipo risale all’epoca Epifani. A giorni poi Cgil-Cisl-Uil presenteranno una piattaforma unitaria sui temi del fisco e della crescita, in cui metteranno nero su bianco le coperture possibili per abbassare, in primis, il cuneo fiscale sul lavoro dipendente. L’annuncio della manifestazione arriva dopo settimane di incontri e discussioni per mettere a punto la strategia comune e trovare la data («abbiamo tante mobilitazioni in corso, l’agenda è fitta »), ma non arriva per riposizionare i sindacati dopo lo tsunami elettorale («la data l’avevamo già decisa la settimana scorsa»). A fare gli onori di casa è stato Luigi Angeletti, che ha illustrato i motivi della scelta del 2 giugno: «Vogliamo far festeggiare la Repubblica dai lavoratori, da coloro che sono più sacrificati e la cui importanza economica e sociale è più sottovalutata». Il segretario generale della Uil vede nero: «La disoccupazione arriverà presto in doppia cifra, un livello che non toccavamo dal secolo scorso, con una riforma del mercato del lavoro che temiamo avrà un impatto tutt’altro che positivo». Un quadro a tinte fosche nel quale rientrano «anche i suicidi di imprenditori ed artigiani, persone che di lavoro vivono, allo stesso modo dei dipendenti che rappresentiamo », tanto da arrivare «ad invitarli a manifestare con noi e a condividere la nostra piattaforma». L’obiettivo della mobilitazione è quindi chiaro e diretto al governo, sebbene venga da «un sindacato responsabile che però non ridursi all’afasia»: «Convincere, e non essere costretti a costringere, il governo a invertire questa tendenza, questa politica fiscale che ha contribuito a distruggere lavoro aumentando il cuneo fiscale, l’iniquità del sistema e ha depresso il mercato interno». A fargli eco arriva subito dopo Raffaele Bonanni. Per il leader Cisl «bisogna garantire una sterzata alla vicenda fiscale, come diciamo da diverso tempo, perché esistono Paesi che usano la leva fiscale al contrario nostro, favorendo i più deboli e colpendo i ricchi. Noi come sindacato avevamo chiesto la patrimoniale e invece ci siamo trovati la patrimoniale per i poveri: l’Imu che colpisce le prime case». In questo senso Bonanni appoggia «convintamente i sindaci che stanno pensando di sostituirla perché la conseguenza sarà un controllo delle loro spese molto migliore rispetto a quello che farà Bondi con la spendingreview». Il governo è nel mirino di Bonanni soprattutto per «il tentativo di saltare il confronto con la falsa idea che in questo modo si eviti la consociazione, mentre è esattamente il contrario: in questi mesi le lobby hanno scorrazzato con il governo e invece il confronto con noi porta sempre discussioni trasparenti». A chiudere arriva una soddisfatta Susanna Camusso. Per il segretario generale della Cgil «nella storia recente di questo Paese non esiste una situazione analoga in cui si è manifestato nel giorno di una festività per chiedere al governo di cambiare politica economica ». Tutto ciò è «indice che il punto di rottura per chi lavora è vicino ed è necessario che il governo cambi in fretta strada». Anche perché «la scusa che usa (“l’Europa non ce lo consente”) non tiene più: l’Europa non ci ha chiesto di non fare la patrimoniale, l’Europa non ci ha vietato di fare accordi con la Svizzera sui capitali portati là, come hanno fatto altri Paesi». Servono infatti «risorse per un cambiamento concreto fatto di investimenti in welfare e per i Comuni, di fisco come elemento di equità e non riforme strutturali che daranno frutti fra anni: tutte queste cose si possono fare rispettando i vincoli europei ». Il fisco dunque come «strumento per introdurre due parole sempre usate dal governo, ma mai perseguite: equità e crescita». In chiusura arriva l’avvertimento al governo: «Questa grande manifestazione richiede risposte; se non ci saranno, continueremo a mobilitarsi». La parola “sciopero generale” viene solo evocata. Ma anche questo è un elemento di novità, specie se Bonanni e Angeletti non si dicono contrari a priori. ESODATI,DIRITTOSOGGETTIVO Oggi, alle 17, Camusso, Bonanni e Angeletti si ritroveranno ad un appuntamento «importante, anche se arrivato troppo in ritardo»: quello con la ministra Elsa Fornero per il tavolo sugli esodati. Contenti per aver costretto al dietrofront il governo, che ha atteso l’incontro prima di emanare il decreto interministeriale sui 65mila «salvaguardati del 2011», Cgil-Cisl-Uil (assieme all’Ugl) si presenteranno con una posizione unitaria: «Non è un problema di numeri e di copertura,ma di diritti soggettivi di persone che hanno firmato accordi con le aziende prima della riforma delle pensioni; persone a cui dare risposte previdenziali. Una risposta unica, non solo ai primi 65mila»

l’Unità 09.05.12

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Camusso: “Troppi sacrifici, poche speranze dipendenti e piccoli imprenditori sono stremati”, di Paolo Griseri

Nel manifesto di fronte alla scrivania, la bambina chiede all´adulto: «Papà, perché hai un caporale se non sei un soldato?». Di questi tempi la campagna per la legalità sul lavoro appare purtroppo un lusso. Sul muro alle spalle della scrivania il ritratto di Giuseppe Di Vittorio, testimonia una tradizione sindacale fatta di avanzate e di arretramenti. Ma è lo schermo del computer che attira l´attenzione di Susanna Camusso: «Vede? Mail come questa arrivano sempre più spesso. Gente disperata, che ha smesso anche di arrabbiarsi. In alcuni casi abbiamo contattato gli psicologi. Chi scrive certe cose può davvero rischiare di compiere gesti estremi».
Susanna Camusso, la crisi trasloca dalle pagine di economia a quelle di cronaca. Che cosa ha causato un salto così drammatico?
«Non penso che sia un salto. Penso che molti abbiano cominciato a convincersi che questa crisi non avrà fine. Che i sacrifici di questi quattro anni sono stati inutili. Se alle persone togli l´orizzonte non puoi stupirti dei drammi. I sacrifici senza speranza sono la formula della disperazione».
Di chi è la responsabilità di quei drammi? Di chi governa adesso o di chi è venuto prima?
«Non intendo commentare quella frase di Monti».
Da quando si è perso l´orizzonte?
«E´ quattro anni che il popolo dei lavoratori dipendenti e dei piccoli imprenditori fa sacrifici. Gli stipendi vengono pagati con ritardi di sei, sette, otto mesi. I crediti con i clienti diventano inesigibili. All´inizio uno spende quel che aveva messo da parte negli anni precedenti. Per anni i governi hanno detto che presto ci sarebbe stata la ripresa. Poi l´autunno scorso si è scoperto che non è cosi. Che bisogna fare altri sacrifici. E la gente li ha fatti, sperando che sarebbero serviti a uscire dalla crisi. Invece adesso si scopre che i sacrifici aumenteranno ma la crisi non finirà. Per guarire ti tagli un braccio oggi ma sai già che domani ti taglieranno anche la gamba. E´ questa disillusione che fa nascere i drammi di questi giorni».
Quali sono i gruppi più a rischio?
«Chi ha una famiglia da mantenere e i pensionati soli. I nostri centri fiscali raccontano che molti arrivano allo sportello e confessano di non essere in grado di pagare le tasse. I pensionati che vivono da soli nella casa di famiglia sono atterriti dall´idea che arrivi una Imu più alta della loro pensione. Gli esodati, senza cassa e senza pensione, ci mandano lettere agghiaccianti».
Il 2 giugno farete una manifestazione nazionale unitaria a Roma. Che cosa chiedono Cgil, Cisl e Uil a questo governo?
«Abbiamo scelto il 2 giugno perché vorremmo che si ricordasse che l´Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Questo governo deve cambiare e presto per non arrivare al punto di rottura con il paese. Deve decidere, finalmente, di fare una politica equa. E´ profondamente iniquo tassare sempre e solo i lavoratori dipendenti e rifiutarsi di introdurre la patrimoniale. Chiediamo la riduzione progressiva del peso fiscale sulle buste paga e un´Imu proporzionale ai redditi sulla prima casa. Chiediamo che vengano ridistribuiti i frutti della lotta all´evasione».
E´ più difficile il dialogo con questo governo o con quello precedente?
«Per noi della Cgil il paragone e impossibile perché il governo precedente non ci parlava e lavorava a dividere i sindacati. Qualcuno ha pensato che si potesse replicare anche con questo governo la scena della rottura. Magari immaginando di offrire ai mercati la testa della Cgil su un piatto d´argento. E invece oggi siamo tutti uniti a chiedere a Monti un immediato cambio di rotta e a proporre una piattaforma per la crescita. Senza quel cambio di linea temo che i drammi di questi giorni siano destinati a ripetersi».

La Repubblica 09.05.12

"Al via i test INVALSI fra le critiche. Dal 2013 ci sarà anche l'inglese", di Salvo Intravaia

Sindacati sul piede di guerra per le prove che iniziano oggi. Ma il ministro Profumo li difende: “Serve una cultura della valutazione”. E dal prossimo anno in arrivo nuove sperimentazioni. Tra polemiche e “novità” annunciate partono i test Invalsi. Da oggi, due milioni e mezzo di alunni italiani si cimenteranno nei test di Italiano e Matematica, ma come avviene ormai dall’anno scorso la prova è oggetto di mille polemiche: i Cobas e gli studenti la boicottano, mentre Flc Cgil e la Gilda denunciano le pressioni dei capi d’istituto perché le cose vadano per il verso giusto nei giorni in cui è prevista la somministrazione delle prove.

Ma il ministro dell’istruzione Francesco Profumo difende il test nazionale. “L’Italia – dice Profumo – ha bisogno della valutazione: solo guardandosi allo specchio il paese può migliorarsi. La carenza di cultura della valutazione” di cui soffre il paese “ci sta penalizzando nei confronti internazionali”.

Oggi, sarà la volta dei bambini di seconda e quinta elementare alle prese con la prova di Lettura e di Italiano. Domani, gli studenti della prima media affronteranno i test di Italiano e Matematica e dopodomani sarà di nuovo la volta dei bambini dell’elementare, alle prese con la prova di Matematica. La tornata di prove prosegue il 16 maggio con gli studenti del secondo anno delle superiori e si chiude il 18 giugno con le prove per i ragazzini della terza media.

Intanto i Cobas hanno proclamato tre giorni di sciopero. “I Signori Invalsi e il ministero – si legge in una nota del sindacato di base – dopo aver ripetutamente modificato le date dei loro ridicoli quiz, stanno spingendo la grande maggioranza dei presidi ad

esercitare minacce e illegali pressioni su docenti e studenti affinché non si sottraggano alla distruttiva farsa degli indovinelli Invalsi”. E l’Unione degli studenti – al grido di “valutati, non schedati” – invita i ragazzi delle scuole superiori a boicottare i test consegnando la scheda bianca.

Per gli studenti i test “non valutano le buone esperienze educative prodotte nelle classi né fanno emergere i limiti della scuola italiana” e sono inutilmente costosi: “Nel 2011, mentre non si stanziava un euro per finanziare il diritto allo studio o l’edilizia scolastica, si sprecavano 8 milioni” per i test Invalsi.

Ma Profumo è di un altro parere: “C’è un’indicazione forte da parte dell’Europa per tutti i settori. Dalla ricerca, all’università, all’istruzione. L’Italia, pur essendo ricca di eccellenze, oggi si trova in difficoltà nei confronti internazionali proprio a causa della carenza di una cultura della valutazione, che, invece, deve diventare strategica per il futuro”.

La priorità dei test, rassicura Profumo, “non è quella di punire o premiare”. E gli insegnanti che minacciano di aderire allo sciopero? “Chiudersi non serve a nessuno, agli insegnanti dico che solo attraverso una fotografia corretta e trasparente della situazione attuale possiamo cercare di migliorare la scuola. Per questo li invito a partecipare, contribuendo a migliorare il processo di valutazione con le loro osservazioni, fornendoci il loro feedback per avviare un processo migliorativo”.

Intanto, la Flc Cgil ha scritto al ministro per invitarlo ad “intervenire sulle prove Invalsi, al fine di evitare una situazione di crescente tensione e contenziosi legali infiniti. Vi sono istituzioni scolastiche – spiega Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc Cgil – in cui i collegi dei docenti hanno espresso pareri contrari e altri dove i dirigenti scolastici non hanno ritenuto obbligatorio chiedere il loro pronunciamento e che ora pretendono di imporre ai docenti di provvedere alla somministrazione delle prove e agli altri adempimenti correlati. La cultura della valutazione non ha bisogno di autoritarismo, ma di processi partecipativi a partire dal pieno coinvolgimento dei collegi dei docenti”.

Anche la Gilda ha stigmatizzato il comportamento del ministero affermando, senza troppi giri di parole che il lavoro riguardante la somministrazione e la tabulazione dei risultati dei test “non spetta ai docenti”. Il perché è presto detto: “Oltre a invadere l’ambito della professione docente – spiega il sindacato – la somministrazione e la tabulazione meccanica non rientra in alcun modo tra le competenze che attengono agli insegnanti perché si tratta di attività riguardanti una valutazione esterna che non spetta ai docenti”. Ma viale Trastevere va avanti e annuncia anche le novità per l’anno prossimo.

Paolo Sestito, commissario straordinario dell’Invalsi, e Roberto Ricci, responsabile del servizio di valutazione, alcuni giorni fa hanno annunciato che le prove si svolgeranno non più su schede cartacee ma con l’ausilio dei computer e verranno lanciate verifiche sperimentali anche sulla conoscenza della lingua inglese e sulle competenze scientifiche nella scuola media. L’Invalsi vorrebbe estendere le prove campionarie ad altri ambiti disciplinari e ad altre classi dell’elementare e della scuola superiore, ma prima occorre una lunga fase di validazione delle prove prima di avviare la sperimentazione

da repubblica.it