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«La scuola riparte dalla nuvola», di Pierangelo Soldavini

L’aula sarà un luogo aperto dove si lavora insieme, professori e studenti, sfruttando la ricchezza del sapere condiviso nella rete per realizzare testi di studio anch’essi aperti al contributo di tutti

La scuola digitale del futuro non avrà più pareti. Perché l’aula sarà un luogo aperto dove si lavora insieme, professori e studenti, sfruttando la ricchezza del sapere condiviso nella rete per realizzare testi di studio anch’essi aperti al contributo di tutti. Con elaborati che poi vengono messi a disposizione di tutti gli altri, dentro e fuori lo stesso istituto, attraverso la “cloud”, la nuovola informatica che permette di condividere tutto.
Qualche crepa nelle mura polverose della vecchia scuola inizia a emergere. Già oggi capita in un liceo di Bergamo che una professoressa corregga le verifiche fatte in classe insieme agli studenti via Skype: «Io avviso i ragazzi della correzione, chiedo loro di tenersi disponibili, mi connetto e vediamo insieme le verifiche», spiega Dianora Bardi, docente di italiano e latino che fin dalla sua introduzione ha sposato il tablet come strumento chiave della nuova didattica in chiave digitale. È stata lei due anni fa ad avviare, al liceo scientifico Lussana di Bergamo, una sperimentazione innovativa che non si esaurisce nell’introduzione della tavoletta in classe come supporto al posto dei libri di testo tradizionali, ma che trasforma il tablet in una piattaforma per creare i testi scolastici con i ragazzi, coinvolgendoli direttamente e coniugando per una volta le competenze didattiche dei professori con quelle tecnologiche degli studenti. «Riempire le scuole di tecnologie o laboratori non serve – prosegue Bardi – se non sono supportate da un’adeguata formazione dei docenti e se lo spettatore rimane passivo: la didattica deve rinascere attorno a uno studente che sia davvero protagonista».
La professoressa ha capito immediatamente che il tablet poteva rappresentare la chiave di volta per scardinare la vecchia didattica. È partita con una classe abolendo del tutto i testi cartacei, sostituiti da tablet sempre connessi che hanno permesso di elaborare con gli studenti i nuovi testi su cui studiare: «Io fornisco le mie competenze, le spiegazioni, il quadro dell’argomento, le fonti da utilizzare, poi si decide insieme lo schema e i gruppi di lavoro: ognuno fa la sua parte e alla fine si mette insieme il risultato e si crea l’ebook. Lì sono loro che mi insegnano il metodo». Il risultato è, per esempio, un canto di Dante con tutte le note e le perifrasi del caso, che si apre con il testo recitato da Benigni in video e si chiude con i commenti dei principali autori, le declamazione di Gassman, la bigliografia e la sitografia del caso. Con la certezza che i ragazzi quei testi e quei video se li sono visti e studiati! Adesso le classi della sperimentazione sono dieci, per la prima volta una quinta si presenta alla maturità senza i vecchi testi – «ovviamente non ci sarà nessuna differenza rispetto agli altri studenti» – e intanto il liceo ha visto raddoppiare le richieste di iscrizione.
«La situazione cognitiva sta cambiando e di conseguenza dobbiamo cambiare il nostro modo di imparare e di insegnare», ha spiegato recentemente a Milano Derrick De Kerckhove, esperto di comunicazione digitale, commentando queste nuove sperimentazioni didattiche: «Lo spazio mentale tende a coincidere con lo spazio fisico grazie alla cloud: con l’ubiquità che questa ci garantisce, la collaboratività diventa sempre più rilevante al posto dell’individualità».
Con questa stessa logica si è evoluta rapidamente la sperimentazione di Bergamo, sfociata nella creazione del Centro studi Impara digitale che ha “modellizzato” la nuova didattica in modo da poterla riproporre anche ad altre scuole: il modello stesso sarà studiato e certificato dall’Università Bocconi. Al momento sono una trentina in tutta Italia gli istituti, statali o privati, che hanno aderito alla rete, tra cui anche i Salesiani di Torino che si ispirano a questo metodo per la nuova scuola della Juventus, primo club calcistico a istituirla al proprio interno. A settembre sono tutti pronti a partire con sperimentazioni simili, dopo un adeguato corso di formazione. Il cui obietivo non è fornire dei testi già fatti in formato digitale, ma insegnare ai docenti a costruire questi nuovi testi. «L’insegnante deve diventare un regolatore, una figura di mediatore tra il semplice “datore” di una materia e il maieuta – spiega il gesuita Eraldo Cacchione, che ha affiancato Dianora Bardi in Impara digitale –, e il tablet è lo strumento che può permettere di mediare tra queste due figure, aiutando il docente a costruire la conoscenza attraverso la regolazione del movimento della classe».
Il gruppo di insegnanti ed esperti tecnologi riuniti attorno a Impara digitale stanno mettendo a punto, con il contributo di WordPress, una piattaforma open source di cloud nella forma di software as a service, che andrà oltre il semplice file sharing di Dropbox permettendo di condividere le esperienze educative tra le diverse scuole, ma anche all’interno dello stesso istituto con un coordinamento verticale verso l’alto, con il preside che ha sotto mano costantemente la programmazione dei professori, e verso il basso, con il coinvolgimento diretto degli studenti. Ma la piattaforma è fatta apposta per facilitare un coordinamento multidisciplinare tra i diversi professori della medesima classe in unità di apprendimento trasversale. In questo quadro gli studenti intervengono in modalità wiki: ogni ragazzo contribuisce con le proprie competenze e il proprio sapere. Wikipedia Italia sta collaborando con la mappatura dei contenuti gratuiti disponibili in rete.

In questo modo «internet non è più visto come un nemico da lasciare fuori dalla scuola, ma diventa uno strumento per educare i ragazzi a costruire la loro conoscenza», prosegue Dianora Bardi. Il metodo stesso si presenta come aperto alle buone pratiche e alle esperienze che si vanno via via evidenziando. «È una didattica nuova, basata sulle competenze, sul “sapere nel contesto”, un modello che va imponendosi in Europa – continua padre Eraldo – e che mette al centro proprio lo studente». Al centro di un’aula che, grazie alla didattica rinnovata dalla tecnologia, non ha più pareti

da il Sole 24 Ore

«Spending review? Tagliamo le armi», di Mila Spicola

Spending Review?

Hanno voluto consigli su cosa tagliare e come tagliare: eccoli. Tagliare le spese militari e dirottarle su scuola e ricerca. Non diciamo eliminare, bensì tagliare. Come si è tagliato sul resto, del resto. Se non è possibile ci si spieghi il perchè. Ad alta voce e con dovizia di argomentazioni e ricordiamocela poi noi docenti o genitori tale spiegazione: tra un po’ si va a votare. E non siam pochi.

Osservando l’intero arco parlamentare voteremo per chi non taglia affatto nelle spese in armamenti e taglia nell’istruzione dei nostri figli? Là dove è già stata ampiamente depauperata? Voteremo per chi da quest’orecchio si ostina a non sentire? Non sarebbe il caso per costoro di riflettere e ascoltare? Come ve lo dobbiamo ripetere? In aramaico?

Specialmente chi è a sinistra non potrebbe prendersi quest’impegno? La scuola dei ragazzi italiani non può essere tagliata se non tagliate anche o altrettanto le spese belliche. Non esiste guerra che non possa essere combattuta con le armi della conoscenza e del sapere. Qualora ci capissero.

” Se vuoi che il popolo stia con te, a questo popolo puoi anche dire no. E puoi perfino fargli cambiare idea. Ma prima, almeno, devi fargli sentire che lo capisci.”(A. Gramsci)

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=3884757922537&set=a.1052854526722.9218.1386543525&type=1

da www.unita.it

«Esodati, idea decreto. Altolà dei sindacati», di Virginia Piccolillo

No a un decreto sugli «esodati» prima del confronto già fissato per mercoledì prossimo: sarebbe «grave», «lo stesso errore fatto con le pensioni». I sindacati respingono l’intenzione del governo di varare martedì prossimo un decreto per sanare la posizione di quelli che il ministro Fornero chiama «salvaguardati». Ovvero quanti hanno lasciato il lavoro, sulla base di accordi fatti con le aziende entro dicembre 2011, e avrebbero dovuto percepire la pensione immediatamente o entro due anni, ma a causa dell’allungamento dell’età pensionabile del salva Italia, sono rimasti di colpo senza ratei, senza stipendio e senza nemmeno gli ammortizzatori sociali su cui può contare l’altra parte degli esodati (inclusi i cassintegrati di Termini Imerese).
I primi sono solo 65 mila, secondo il governo: l’emergenza più acuta del problema che era all’ordine del giorno dell’incontro di mercoledì. Ma, a sorpresa, alla vigilia, per loro potrebbe arrivare il decreto. Per sanare, fa sapere il governo, questa situazione più urgente. Senza nulla togliere però alla trattativa sul resto della questione, che da mercoledì verterà attorno ad una via d’uscita possibile per gli altri: una soluzione «ponte» che prolunghi la mobilità, estenda agli esodati l’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego) o li riporti al lavoro.
Ma il sindacato non ci sta allo «spacchettamento». Teme che sia un modo per tacitare la protesta sul problema senza risolverlo. Susanna Camusso, leader Cgil, lancia un’altolà: «C’è una convocazione la prossima settimana, fare un decreto il giorno prima vuol dire che non c’è volontà di relazione con le forze sociali. La considereremo una scelta che dice: non c’è volontà di confronto, nè una ricerca concreta di soluzioni con le parti sociali». Camusso ci vede un bis dell’errore fatto sulle pensioni: «Cancellare la rappresentanza». Il segretario Cisl, con delega alla Previdenza, Maurizio Petriccioli, concorda: «È necessario che il confronto avvenga prima di mettere mano ad una normativa che deve trattare tutte le casistiche». «Il governo disconosce il ruolo dei sindacati», protesta il segretario Ugl, Giovanni Centrella.
Non sarà rottura: «Noi andiamo sempre ai tavoli a discutere», specifica Camusso, che è preoccupata anche per un altro problema. Il governo ha dato mandato a Giuliano Amato di tagliare il finanziamento pubblico oltre ai partiti anche ai sindacati. «Una delega — rimarca la Camusso — che non ha natura perché non esiste un finanziamento pubblico ai sindacati. Salvo che qualcuno non pensi che lo siano i permessi sindacali. Allora saremmo di fronte a un pericolo democratico», avverte la leader Cgil.
Tornando al problema degli esodati, la soluzione in due tempi ha contorni incerti. A partire dal numero reale dei lavoratori coinvolti: 300 mila da qui ai prossimi 4 anni, per i sindacati, 130 mila secondo l’Inps. E 300 mila, si fa notare, è il numero complessivo delle nuove pensioni del settore privato che vengono erogate in un anno (nel 2011 sono state 235 mila con un calo di quasi 90 mila unità).
«Il ministro Fornero ha a cuore la questione e la segue personalmente» assicura a SkyTg24-L’intervista il viceministro, Michel Martone.
«Il governo, per una volta, dimostri di non prendere in giro il Paese e ascolti l’appello della Cgil» raccomanda però il capogruppo idv al Senato Felice Belisario. E il pd Achille Passoni sottolinea: «Sulla questione esodati sono stati fatti già troppi pasticci: il governo ne eviti altri».
Intanto crescono le polemiche sulla possibilità di armonizzare il trattamento pensionistico del comparto sicurezza-difesa in base al salva Italia. Maurizio Gasparri, presidente dei senatori pdl, è duro: «Vedo che il governo tiene riunioni con il presidente Monti e i ministri interessati per i problemi della previdenza relativi a questo comparto: che ci siano adeguamenti è logico, ci sono però aspetti da salvaguardare e che sono relativi alla specificità del comparto, che non può essere trattato senza tener conto delle particolari forme di impiego delle forze armate e delle forze dell’ordine». E annunciando una mozione, Gasparri invita il governo ad attendere la discussione a Palazzo Madama a metà maggio: «Apprezziamo talune aperture del ministro Fornero sul lavoro, ma la invitiamo a non tentare sortite dalle quali uscirebbe pesantemente sconfitta in sede parlamentare. Governo avvisato, mezzo salvato». Anche il deputato pd Emanuele Fiano annuncia una mozione e chiede al ministro Fornero di ricordare che «forse, nessun altro comparto dello Stato ha, in questi anni, pagato il proprio contributo di sacrificio alla riduzione della spesa pubblica come questo».

da Il Corriere della Sera

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«Per gli esodati non basterà il decreto», di Giuseppe Vespo
LE FORZE POLITICHE concordano: ci vuole un provvedimento che «sani» tutti coloro che hanno lasciato il lavoro entro il dicembre del 2011. DAMIANO, PD: «Si trovino le risorse»

Il decreto non salverà gli esodati», le vittime della riforma pensionistica rimaste senza stipendio né pensione. Sindacati e opposizione avvertono la ministra Fornero, tentata nei giorni scorsi dall’idea di chiudere prima del tavolo di mercoledì con le parti sociali la partita dei 65mila «esodati-salvaguardati»: quelli che in due anni matureranno i requisiti per la pensione previsti dalla vecchia normativa. Per loro c’è la copertura finanziaria del milleproroghe e la ministra vorrebbe definire tutto con un decreto. Per tutti gli altri non c’è nulla.
Ecco il primo scoglio della trattativa: dividere i lavoratori e allontanare i problemi, non piace a Cgil, Cisl e Uil, e non piace ai partiti. Per i primi il nodo esodati va sciolto tutto insieme; i secondi non vogliono trovarsi magari al governo con una bomba ad orologeria sul tavolo. Del resto, fa notare il segretario Cisl Giorgio Santini, «i risparmi ottenuti con la riforma delle pensioni sono già a bilancio e non possono essere utilizzati per gli esodati senza copertura».
Piuttosto è meglio trovare una soluzione «strutturale», che metta delle pezze là dove la riforma Fornero ha creato le falle. In questo senso il PD ha presentato una proposta che allarga la platea dei tutelati.
La riforma stabilisce che i lavoratori che hanno lasciato l’azienda con un accordo e sono entrati in mobilità prima del 4 dicembre vadano in pensione con le vecchie regole. il PD vuole dare questa possibilità a tutti quelli che sono entrati in mobilità nel 2011. un’idea che sembra non dispiacere né al PDL né all’UdC. Mentre di fronte all’eventualità di un decreto che risolva solo la questione dei 65mila «salvaguardati», l’ex ministro Cesare Damiano, avverte: «non dovremmo limitarci ai casi per i quali è già prevista una copertura finanziaria. si dovrebbero prevedere clausole di adeguamento delle risorse economiche per coprire le necessità di tutti i lavoratori rimasti in questo limbo». Anche per Maurizio Filipponi, responsabile welfare IdV, il decreto «deve riconoscere l’aggancio alla pensione a tutti i lavoratori che prima del dicembre 2011 hanno firmato un accordo» per l’uscita dal lavoro. su un altro punto tutti concordano: la ministra non decida prima di incontrare i sindacati. «Vorrebbe dire che non fa tesoro dell’esperienza. Gli esodati li ha creati lei con la riforma delle pensioni», dice Carla Cantone segretaria Spi-Cgil. Una riforma lampo, senza confronti.

da L’Unità

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«Esodati, altolà della Cgil alla Fornero. “Nessun decreto prima di averci incontrato”. Il ministero: “Create confusione”», di Roberto Mania
I sindacati temono il varo senza confronto così come è stato per le pensioni

ROMA – Di nuovo tensione sulla vicenda dei cosiddetti lavoratori “esodati”, i quali, per effetto dall´ultima riforma previdenziale che ha innalzato l´età di quiescenza, potrebbero trovarsi senza stipendio e anche senza pensione. Ieri sono andati all´attacco i sindacati: il ministro Fornero non vari il decreto applicativo per tutelare i primi 65 mila esodati individuati dal “Salva Italia” e dal “Milleproroghe” prima dell´appuntamento già fissato con Cgil, Cisl, Uil e Ugl per mercoledì prossimo, 9 maggio. Replica informale del ministero: si tratta di due questioni tra loro distinte e comunque il ministro ha tempo fino al 30 giugno per firmare il decreto. «Così – è la tesi del Lavoro – si continua ad alimentare solo confusione».
Ad annunciare il provvedimento in tempi rapidi era stata la stessa Fornero, senza tuttavia indicare una data. Che, stando ad alcune indiscrezioni, potrebbe essere quella dell´8 maggio, vigilia dell´appuntamento con i sindacati. Nessuna conferma è arrivata ieri dal ministero. Anzi è molto probabile che il decreto (comunque già pronto) sia firmato dopo l´incontro con i sindacati.
La partita è più complessa, dunque, e riguarda il ruolo stesso che Cgil, Cisl e Uil rivendicano sul tema della previdenza. «Annunciare un decreto sugli esodati il giorno prima dell´incontro – ha dichiarato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso – è la dimostrazione che non c´è nessuna volontà di relazione con le forze sociali». Insomma, la Camusso, come gli altri sindacalisti, teme un replay della riforma delle pensioni, approvata a tempi di record senza alcun confronto con le organizzazioni dei lavoratori. Caso praticamente inedito addirittura dal 1969. E attraverso il confronto con il governo, Camusso, Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil) puntano a correggere alcune parti della riforma Fornero. «Con le cose che si sono lette – ha aggiunto la Camusso – non siamo di fronte alla soluzione del problema esodati, mentre di vorrebbe considerare chiusa la vicenda con il decreto Milleproroghe che invece ha affrontato solo una piccola parte dei problemi. Il governo rischia di commettere lo stesso errore della riforma: cancellare la rappresentanza». E sullo stesso fronte si è schierato il Pd con il senatore Achille Passoni: «Sulla questione degli esodati sono stati fatti già troppi pasticci, il governo ne eviti altri e proceda solo dopo il confronto coi sindacati».
Ma la strategia del ministro divergenze da quella che prospettano i sindacati. La Fornero indica una soluzione in più tappe: prima i 65 mila (che ha definito i «salvaguardati» e che entro i prossimi due anni matureranno i requisiti fissati dalla vecchia normativa per andare in pensione) per i quali sono già previste tutte le tutele, poi via via la soluzione per gli altri che rischiano di trovarsi senza reddito. Cgil, Cisl e Uil vorrebbero chiudere l´intera vicenda con una soluzione unica. Mercoledì ci sarà un primo incontro, ma non sarà nulla di più che l´avvio del dialogo. La stessa platea degli, a questo punto, “esodanti” è incerta: saranno 130 mila secondo l´Inps coloro che nei prossimi quattro anni potrebbero trovarsi senza reddito, oltre 300 mila, invece, secondo le stime dei sindacati.

da La Repubblica

"Maestro unico o unico-prevalente la riforma Gelmini è un fallimento", di Salvo Intravaia

Il monitoraggio sullo stato di attuazione delle ristrutturazioni degli ultimi tre ministri ha evidenziato tra l’altro che alle elementari una classe su cinque funziona addirittura con più di tre insegnanti e le rimanenti con tre. “Maestro unico” all’elementare? La novità proposta per giustificare la demolizione del modulo di tre insegnanti su due classi è rimasta soltanto un’idea nella testa dell’ex ministro Mariastella Gelmini. La realtà è un’altra cosa: il modulo è stato in effetti minato alla base, mentre del maestro unico nessuna traccia. A certificare il flop del maestro unico, poi diventato “unico-prevalente”, è lo stesso ministero dell’Istruzione, che qualche giorno fa ha pubblicato gli esiti del monitoraggio sullo stato di attuazione delle riforme Moratti, Fioroni e Gelmini del primo ciclo, in cui l’unico ad essere promosso da coloro che hanno materialmente attuato le riforme sembra l’ex ministro Fioroni.

Perché anche l’anticipo scolastico alla materna e all’elementare, introdotto dalla Moratti, viene giudicato una mezza sciagura da chi lo ha dovuto subire in questi anni. Ma andiamo con ordine. Oggi, dopo tre anni di riforma Gelmini, una classe di scuola elementare su cinque funziona addirittura con più di tre maestri, la restante parte con tre. E se a questi aggiungiamo gli specialisti di Inglese, Religione e spesso di sostegno si scopre che alla scuola primaria i bambini possono vedere nell’arco della settimana anche sette e più insegnanti. Come alla scuola media e al liceo. E la scuola vintage con un unico maestro, come quella frequentata dai quaranta/cinquantenni di oggi?

Nel 2009 la riforma Gelmini del primo ciclo di istruzione – la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado – smonta il “modulo”, che fino a quel momento ha fatto la fortuna della scuola elementare italiana. L’obiettivo è quello di tagliare il maggior numero di posti possibile sfruttando al massimo l’orario di cattedra dei maestri: 22 ore settimanali, più due di programmazione. E al posto delle 30 e più ore settimanali vengono lanciate tre opzioni, a scelta delle famiglie: 24, 27 e 30 ore a settimana. Più il tempo pieno di 40 ore settimanali. Le 24 ore hanno la finalità di realizzare l’ipotesi di una scuola elementare con un solo maestro per classe.

Perché, nell’ipotesi di scelta in massa da parte delle famiglie di questa opzione, basterebbe un solo insegnante curricolare, con 22 ore settimanali, a completare l’orario della classe. Le restanti due ore sono appannaggio dai docenti specialisti di Inglese e di Religione. E il gioco è fatto. Ma le famiglie che scelgono le 24 ore sono una percentuale “residuale”, scrive l’Ansas che ha curato il monitoraggio in questione: lo 0,4 per cento, cioè quattro su mille. La stragrande maggioranza delle famiglie italiane continuano a richiedere 30 ore a settimana di istruzione per i propri figli, anche se, per effetto dei tagli, una parte consistente – il 30 per cento – dovrà accontentarsi di 27 ore di lezione a settimana.

Intanto, il modulo è stato smontato e le scuole anno dopo anno si sono dovute accontentare di un numero di docenti sempre minore. Per fare quadrare i conti, così, in alcune classi le scuole sono riuscite a mantenere il modulo con tre insegnanti su due classi, ma nella restante parte l’orario è diventato uno “spezzatino”, come avevano previsto i sindacati. “Gli esiti del monitoraggio – scrivono gli esperti dell’Ansas – hanno rilevato che, per effetto della riforma, a livello nazionale sul totale di 82.396 classi funzionanti con orario ordinario da 24 a 30 ore, è stata introdotta una diversa organizzazione delle risorse umane con utilizzo di un numero superiore a tre docenti per classe (esclusi gli specialisti di Inglese, Religione e sostegno) per un numero complessivo di 16.463 classi interessate, pari al 20 per cento”.

Anche il maestro unico-prevalente ha trovato difficoltà ad affermarsi: le classi dove è presente un docente con orario prevalente – con più ore dei colleghi – rappresentano il 54 per cento. Ma non solo. Ai docenti delle elementari è stato chiesto un parere anche sull’anticipo scolastico, cavallo di battaglia dell’ex sindaco di Milano Letizia Moratti, che consente ancora oggi l’ingresso alla scuola elementare a cinque anni e mezzo e alla materna a due anni e mezzo. E la risposta è chiara: un mezzo disastro. L’unico ad essere “promosso” dagli insegnanti sembra essere l’ex ministro Fioroni. Le sue “indicazioni per il curricolo” sono decisamente più apprezzate e più utilizzate delle “indicazioni nazionali” della Moratti.

da repubblica.it

"Osservatorio Tv: informazione squilibrata e ingiustificata nelle ultime tre settimane", di Roberto Zaccaria

Con questo comunicato relativo a tre settimane di campagna elettorale si conclude la prima fase del lavoro dell’Osservatorio del PD. Un lavoro che dovrebbe essere complementare rispetto a quello dell’Agcom ma che finisce per essere sostitutivo: i dati ufficiali arrivano in ritardo, sono illeggibili, non hanno tabelle di sintesi su partiti e leader.

Dall’insieme dei dati relativi ai TG serali (sono quelli più seguiti) emerge un risultato inequivocabile: PDL e Lega hanno gli spazi maggiori e se per la Lega questo fatto è collegato a notizie non certo positive, lo stesso discorso non vale per il PDL. Senza voler far di tutta l’erba un fascio, per questo abbiamo i dati analitici, si può dire che una preferenza editoriale è chiara nella maggior parte dei TG. Forse proprio su questo aspetto non sarebbe stato male che l’Arbitro dicesse qualcosa.

Questo il dettaglio d’insieme:
Partiti: Lega 42%, PDL 29%, PD 13%, TP 8,5%, mov5atelle 3%, IDV 2,5%, SEL 2%.
Soggetti politici ed istituzionali, tempi di parola: Alfano 9,5%, Casini 8,5%, Bersani 8%, Maroni 6%, Berlusconi 5%, Di Piero 4,5%, Bossi 3%, Grillo 3%, Vendola 2%, Fini 1%, Rutelli 0,5%, altri PDL 12%, altri PD 8%, altri Lega 10%, TP 2%, Governo 6.5%, Monti 10.5%.
Tempi di notizia: Berlusconi 9%, Maroni 7,5% Bossi 5%, Bersani 4%, Casini 3,5%, Alfano 3.5%, Grillo 3%, Di Pietro 1%, Vendola 1%, Rutelli 0.5%, Fini 0,5%, altri PDL 8.5%, altri PD 3.5%, altri Lega 22.5%, altri TP 1.5%, altri Mov5stelle 0.5%, Governo 15% Monti 10%.

Dichiarazione di Roberto Zaccaria, deputato Pd, Vincenzo Vita, senatore Pd, e di Vinicio Peluffo, vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai, membri dell’Osservatorio del Pd.

Le schede

"Vincere e restare soli. La grande paura del Pd", di Federico Geremicca

Le vittorie elettorali fanno sempre bene: eppure a volte, paradossalmente, possono aprire problemi dei quali si farebbe volentieri a meno. Se è possibile sintetizzare in una battuta lo stato d’animo che regna nel quartier generale del Pd in attesa del primo turno delle amministrative, lo si potrebbe descrivere così. L’ evidente ottimismo intorno ai risultati che arriveranno dal voto, è appena mitigato da un paio di preoccupazioni che riguardano il futuro. La prima di queste preoccupazioni, se si vuole la più ovvia, riguarda (al di là del numero di nuovi Comuni che saranno conquistati) i voti che otterranno le liste Pd e quelli che al contrario guadagneranno i partiti e i movimenti concorrenti all’interno dello stesso schieramento di centrosinistra: e cioè Sel, Idv e in parte secondo alcuni lo stesso Grillo.
A Largo del Nazareno, infatti, nessuno ha grandi dubbi intorno al fatto che a conclusione del turno di ballottaggi saranno molti i Comuni la cui guida sarà passata dal centrodestra al centrosinistra: l’interrogativo non irrilevante per il futuro riguarda piuttosto i rapporti di forza che il voto ristabilirà tra Bersani, Vendola e Di Pietro. Il risultato delle liste concorrenti, infatti, non solo dirà di eventuali nuovi equilibri tra alleati-concorrenti: ma anche quanto avrà pagato (per Vendola e Di Pietro) stare all’opposizione del governo di Mario Monti.
E qui arriva la seconda preoccupazione: che accadrà, dopo il voto, intorno all’esecutivo tecnico di SuperMario? E’ un interrogativo non da poco, visto che investe sopravvivenza e durata della legislatura e in sostanza data e prospettive dell’appuntamento considerato più importante: le prossime elezioni politiche. A volerla dire tutta, anzi, è forse proprio questa la maggiore delle preoccupazioni di Pier Luigi Bersani.
In verità, le premesse affinché il clima dopo il voto si faccia irrespirabile ci sono tutte. Il centrodestra, infatti, arriva a queste elezioni in ordine sparso e in condizioni pessime. Lega e Pdl si presentano quasi ovunque divisi, e la sconfitta in molti Comuni (anche significativi) è data già per certa. E chiaro che le somme verranno tirate solo dopo i ballottaggi, ma l’interrogativo è chiaro fin da ora: come reagirà Berlusconi di fronte ad una sconfitta che potrebbe assumere il profilo della disfatta?
Il rischio è che le fibrillazioni diventino ingovernabili e possano portare alla saldatura di due nervosismi: quello già evidente della Lega e quello crescente del Pdl. Già oggi i rapporti tra il partito di Berlusconi e il governo di Monti appaiono tesi: e ieri, da Brunetta a Gasparri, per finire a Sandro Bondi, è stato tutto un rosario di ultimatum e avvertimenti. Che cosa potrebbe accadere se il Pdl uscisse da queste elezioni con le ossa rotte?
Lo scenario non è difficile da immaginare, e tratteggia una ulteriore presa di distanze dal governo Monti, fin quasi a prefigurare quel che molti dirigenti del Pdl chiedono già ora: e cioè una sorta di appoggio esterno all’esecutivo dei tecnici, da sostenere o avversare di volta in volta, provvedimento per provvedimento. Uno scenario certamente allarmante per il governo in carica: e per il Pd più in particolare.
A quel punto infatti, l’esecutivo il cui consenso nel Paese comincia decisamente a calare diventerebbe quasi un governo targato Pd: non proprio un buonissimo affare per un partito la cui base è già in sofferenza per molti dei provvedimenti varati da Mario Monti. Senza contare il rischio che una tale evoluzione possa addirittura portare ad una brusca interruzione della legislatura. Le incognite del dopo-voto, insomma, sono tante. Bersani lo sa e se ne preoccupa. Anche se intanto si prepara a gustare quella che si annuncia fin forse da domani come una robusta vittoria elettorale.

La Stampa 06.05.12

"Quegli 80mila ragazzi in coda per fare X Factor", di Francesco Merlo

Valgono quanto i ragazzi che intasano le prove selettive a Medicina questi ottantamila talenti di X Factor che stanno per sbancare l´Italia, ottantamila giovani aggrappati ad uno dei pochissimi concorsi senza trucchi né familismi, senza raccomandazioni né baronie. Gli iscritti sono già arrivati a quota ventimila ma solo a Bari ieri si sono presentati in cinquemila. E oggi sono attese le variopinte carovane dalla Sicilia e dalla Calabria. Poi toccherà a Roma e a Milano. Ma questa massa che si sposta e risale l´Italia non è la solita folla indistinta e volgare che sempre si raduna attorno a qualsiasi fuoco fatuo. E non c´è nulla di fru fru nel loro abbigliamento pop che è già costume di scena. E non c´è l´esibizionismo sconcio da Grande Fratello nei cappelli a tuba, nelle mantiglie rosse e negli stivaloni aderenti a gamba alta sotto i pantaloncini corti e colorati come la bandiera americana. Né questi sono i questuanti che vogliono comprare l´iPod scontato nel nuovo negozio di Trony e perciò bloccano il traffico di Roma. Somigliano semmai molto di più ai 300mila che hanno fatto domanda per i 1.995 posti al Comune di Roma, ragazzi che cercano opportunità di lavoro in un´Italia ad alta disoccupazione e basso tasso di futuro, con la differenza che qui c´è almeno un talento di base che al Comune probabilmente non è richiesto.
E forse sono i discendenti legittimi del neorealismo, i nipotini e le nipotine di “Bellissima”. Ma questi ragazzi di X Factor, che l´anno scorso erano già cinquantamila, non vanno alla lotteria del corpo come le miss Italia, come la Loren, la Lollo, la Bosè e la Mangano che pure seppero poi costruire quello stile italiano che fece epoca, divenne fascino irresistibile, conquistò il mondo e niente altro era se non un quid misterioso, un fattore X appunto. E fu infatti l´x factor della Loren che Lello Bersani, il più famoso giornalista televisivo della Rai di allora, riuscì a mostrare agli italiani nella celebre intervista in vestaglia nell´intimità di una camera d´albergo. In quegli anni di povertà il quid misterioso stava certo nell´irruzione di una nuova idea di bellezza ma anche nello scandalo dell´attrice e del produttore che non erano sposati ma innamorati: «concubini e peccatori» fu la condanna della Chiesa.
E forse è vero che c´è un legame con i concorsi di quel tempo italiano in cui il pane era sincero, impastato di amore e fantasia. Ma oggi i ragazzi che saranno esaminati dalla giuria di X Factor affronteranno sicuramente una competizione più vera. In molti hanno studiato musica e canto, in tanti hanno fatto il conservatorio, li aspetta un torneo delle qualità canore, con un´idea nobile dell´agonismo e del merito che è merce sempre più rara nel Paese lazzarone della selezione impiattata. Anche la cosmesi creativa di queste aspiranti star non è così falsa come nei reality né è così pataccara come nelle sfide “culi e tette e silicone” per “bagagline” tv (non scrivo “veline” perché le soubrette di “Striscia la notizia” rivendicano arrabbiatissime di essere state scelte anche loro per talento e dunque di non corrispondere all´idea di degrado che la parola ormai esprime: affido ai linguisti questo conflitto tra la parola e la cosa).
Di sicuro la ricerca del “fattore x” è il motivo del successo planetario di una trasmissione televisiva che dall´Australia all´Italia, dall´India all´Inghilterra, dagli Stati Unti agli Emirati Arabi è diventata una vera scuola di formazione di talenti, una fabbrica di pop star. Inventato quarant´anni fa dall´inglese Simon Cowell, il programma coinvolge milioni e milioni di spettatori in tutto il mondo ed è una gara – spettacolo nel quale l´x factor lotta eroicamente per esprimersi. Non è l´Isola dei famosi che espone il peggio delle persone. È la caccia, la creazione, la costruzione di questo x factor che oggi è anche costruito con luci e telecamere, va cercato nel dosaggio tra falsità e verità, nel mondo delle apparenze, della disinvoltura, del trucco e della telegenia, nell´illusorio non completamente bugiardo, ma soprattutto nel talento, nella voce, nel canto. C´è insomma un fattore x che non è più il vecchio carisma, e ogni Paese ha la sua specialità misteriosa.
Così anche in Italia le trasmissioni come X Factor su Sky e “Amici” su Canale 5 sono scuole di formazione che hanno prodotto molte pop star. E tuttavia l´inquietante affollamento multicolore e polifonico che è già esploso ieri a Bari nella prima tappa di questa selezione rivela pure la speciale voluttà da successo di un Paese strampalato e stremato. E c´è la via italiana al quarto d´ora di celebrità così bene raccontata nel film di Woody Allen che sempre più si rivela profondo e indovinato. Nel film Roberto Benigni è «il signor coglione qualsiasi» che diventa famoso perché è venuto il suo momento di diventare famoso e il suo triste x factor è la scoperta che «siamo tutti uguali, i ricchi e famosi e i poveri e sconosciuti, ma è meglio essere ricchi e famosi».
Insomma in questo X Factor italiano accanto all´investimento sul talento c´è anche la funzione della tv come ufficio di collocamento che rivela il dramma dell´azienda Italia. Ieri a Bari i ragazzi sono arrivati come i pionieri della nuova frontiera. «Uno su mille ce la fa» canta Morandi. E però quando una mille ce l´ha fatta come è accaduto a Emma, laureata da “Amici” e vincitrice a Sanremo, bisogna stringere i denti e tenere posizione e botta perché la crisi ruba a tutti il futuro come Belen ruba il fidanzato.
E nell´X Factor italiano raccontato ancora da Woody Allen c´è quella specie di Morgan che solo sotto la doccia diventa un talento della canzone, virtuoso come Pavarotti: canta che ti passa. Ma nessun partito potrà promettere a questi ottantamila che stanno risalendo l´Italia il minimo garantito di talento, neppure sotto la doccia. Nell´X Factor italiano c´è solo il minimo garantito di disperazione: canta che non ti passa.

La Repubblica 06.05.12