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"Piccole librerie spariscono", di Pietrangelo Buttafuoco

Sentite questa, perfino Paolo Pisanti, presidente dell´Ali, l´Associazione dei librai italiani, ha dovuto chiudere: «Anch´io ho abbassato la saracinesca della mia libreria a San Giorgio a Cremano». Si chiude, dunque: «In tre mesi, nella sola Napoli», racconta ancora Pisanti, «c´è stata un vera e propria moria. Un monumento come la “Libreria Guida”, al Vomero, quella di Mario Guida, non c´è più. E anche una bellissima Mondadori, in centro, un franchising cui hanno partecipato fior di imprenditori illuminati, s´è dovuta arrendere. Era stata inaugurata il 2 di luglio del 2011. Non si può dire che abbia avuto il tempo di diventare “storica”».
L´involontaria serrata delle librerie in Italia: muoiono come le mosche. Possiamo ipotizzare una media di due alla settimana in tutto il territorio. «Chiudono, chiudono», conferma Salvo Pandetta, titolare della storica “Libreria Bonaccorso” di Catania in piazza Università. Questo negozio è “l´ufficio” di riferimento di Salvatore Silvano Nigro, critico della letteratura, nonché officina di una tradizione il cui marchio è Giovanni Verga. Accanto, proprio a filo di vetrina, da quattro anni ha aperto un negozio delle librerie editoriali (modello Feltrinelli e Mondadori, per intendersi). Per Pandetta il danno commerciale è stato enorme, ma almeno si è preso una bella soddisfazione. Gli arriva davanti al bancone un ragazzo per chiedergli Rosso Malpelo. Lui non fa in tempo a prendergli il volume, che quello sparisce per tornare subito dopo: «Che succede?» chiede Pandetta, col libro in mano. «Nell´altro negozio mi avevano detto che questo libro non esisteva. Hanno scritto nel computer Rosso Malpelo e non è uscito niente». Ecco, la concorrenza sleale. Il vecchio mestiere si prende la rivincita sul business: «Certo che non esce», ribatte sornione il libraio, «è contenuto in Vita dei campi. Oplà!».
«Aprono per far chiudere, e in realtà non sono librerie: sono negozi con uso di libri» spiega con cruda analisi Marcello Ciccaglione, fondatore delle Arion, 17 librerie a Roma. Nella capitale, giusto per aggiornare questa necrologia, con cinque librerie serrate negli ultimi sei mesi ha chiuso anche la storica vetrina della “Libreria Croce” su Corso Vittorio.
Aprire per chiudere. Ad Ancona è stata messa a morte la libreria di città. A Firenze sono morte la Libreria del Porcellino, la Martelli e la Le Monnier. Guai in arrivo per la Edison: è in scadenza il contratto d´affitto e Feltrinelli ha comprato l´immobile. Gioacchino Tavella, libraio a Lamezia Terme, quando viene salutato con l´appellativo di “eroico libraio” fa gli scongiuri.
Aprire per resistere. «Se non avessi la mia struttura», dice Ciccaglione, «una holding con altre associate Arion, non avrei avuto la forza di tenere aperta la mia prima libreria in viale Eritrea. Quando a pochi passi, sullo stesso marciapiede, venne inaugurato un punto vendita, diciamo così, editoriale, ebbi un Natale terribile. Ma ormai tutti noi librai lo dobbiamo mettere in conto: l´editore fa business snaturando la qualità del prodotto, sporcando l´amore per questo mestiere, svilendo la passione per un lavoro che se non fa diventare ricchi, di certo arricchisce. E lo dice uno come me che ha solo la seconda media, ha cominciato con una bancarella e adesso si è guadagnato una qualità speciale della vita grazie ai libri».
Che tipo, il Ciccaglione. «Quando vado a trovare gli amici della mia infanzia a Tor Pignattara, vedo nelle loro case un agio, un affollarsi di gadget e di elettrodomestici e mai, proprio mai, un libro. Mi è capitato di incontrare a una presentazione Carlo Vanzina e non sono riuscito a trattenermi, gli ho detto: “Ma perché non gli mette in mano un libro a uno dei personaggi dei suoi popolarissimi film?”». A proposito di film, non si può non ricordare C´è posta per te: lui è il proprietario della più importante catena di bookstore di Manhattan, le megalibrerie Fox, lei gestisce una piccola libreria di quartiere, “Il Negozio Dietro l´Angolo” proprio accanto al bookstore. I due si incontrano in una chat-room e nasce un amore. Ma era solo un film, appunto, e per giunta americano; nella cruda realtà italiana, l´amore tra chi ama i libri e chi i profitti non riesce a esistere. Piuttosto la pellicola di riferimento, dicono loro, è The Artist: i librai come gli artisti del muto, alla fine di un´epoca.
Restare aperti per vivere meglio. Ancora Ciccaglione: «Sono andato in vacanza ad Antibes, e con allegra rabbia mi sono accorto che in Francia, in qualsiasi sperduto paese della provincia, c´è sempre una libreria. Resto incantato a vedere i miei colleghi: scrivono a penna le schede dei libri per poi collocarle in vetrina. E quel gesto fa capire quanta cultura, quanta civiltà, quanta qualità della vita sia custodita da chi sa investire nella lettura».
Rosanna Cappelli, dirigente Electa, spiega a muso duro la situazione di questa catastrofe: «Al declino della politica fa seguito il declino intellettuale. In Italia non si tiene conto della conoscenza come forma di sviluppo». Si stampano libri che incontreranno tremila acquirenti in tutta Italia, e gli editori riempiono le librerie di titoli che non fanno in tempo ad arrivare per essere tolti. In Italia è venuta a mancare la clientela. L´avvocato Giovanni Battista Compagno, negli anni ‘70, lasciava duecentomila lire ogni mese in libreria come conto aperto per il figlio. Quella paghetta era l´educazione sentimentale del figlio, oggi filosofo, Giuliano Compagno. Lo facevano in tanti in tutta Italia. Quello zoccolo duro, i ragazzi fatti clienti dall´infanzia fino alla maturità universitaria, non c´è più.
Le librerie si trasformano. Gilberto Moretti è andato a farne una a Badia Polesine dove c´era una pizzeria. Ha mantenuto il banco e anche la licenza di somministrazione, ha buoni riscontri, si ammazza di idee e di fatica, e adesso la sua Antica Rampa, libreria-caffè, ricavata in un suggestivo piano interrato medievale, organizza presentazioni nel segno del sugarspritz.
Ma in Italia è venuta a mancare anche la qualità. La decisione di buttare in edicola, a prezzi stracciati, i Meridiani, orgoglio del catalogo Mondadori, è stata letale. Un incentivo a disertare le librerie con un prodotto taroccato, un ennesimo tributo al totem dello sconto. L´Aie, l´Associazione italiana editori, sta organizzando la Festa del Libro dal 19 al 23 maggio e di sicuro finirà a sconti. Come se gli italiani non leggessero più per non spendere. La verità è che gli italiani non entrano più in libreria perché ne hanno dimenticato l´esistenza. Una libreria che muore è un presidio sociale che se ne va. Come non trovare più la caserma dei Carabinieri, l´asilo e l´ospedale: «Se lo dico io», sorride Paolo Pisanti, «faccio come il pescivendolo che dice che il suo pesce è fresco. Però è davvero così. E un´Italia senza librerie è il deserto». Pisanti è impegnato a Orvieto con Piero Rocchi nei corsi di Scuola per librai. Ed è un segno di ottimismo.
Si scimmiotta l´America con l´idea che l´e-book sia il futuro. Ma neanche con il libro elettronico ci sono tutti questi grandi numeri. Anzi. «La Francia, piuttosto», dice Pisanti, «si prenda esempio da Parigi in tema di sostegno alla lettura. Il Centro per il Libro di cui è presidente Gian Arturo Ferrari riceve dallo Stato due milioni. Il governo francese, per l´ente che si occupa della promozione libraria, ne eroga sessanta». E poi la crisi. «Certo», continua il presidente dell´Ali, «c´è la crisi, ma è una storia tutta italiana. Anche in Grecia c´è la crisi, eppure le librerie non chiudono. La libreria è commercio. Ma solo in Italia ci sono gabelle assurde come la spesa di “porto-imballo”».
E poi i soldi, la liquidità. «Tutti i commercianti hanno problemi. A maggior ragione i librai. Gli istituti di credito considerano i magazzini dei libri al pari di carta straccia». E pensare che fu un grande banchiere, Raffaele Mattioli, il mecenate che volle dare alle stampe, nella Valdonega di Verona, quella collana che è il monumento della nostra memoria, la “Letteratura Italiana Ricciardi” il cui motto era «Quinci si va chi vuol andar per pace». Le banche di oggi, si sa, hanno scambiato la pace per il requiem.

La Repubblica 17.04.12

Vendola: «l’antipolitica ci fa fare un pauroso salto indietro», di Maria Zegarelli

Il presidente della Puglia: «Crisi sociale e crisi democratica in Europa hanno partorito il fascismo. La ripoliticizzazione dei partiti e la loro rifondazione deve passare attraverso un nuovo agire collettivo in grado di restituire un messaggio di speranza». È questa la ricetta di Nichi Vendola contro l’antipolitica che monta nel Paese. Per niente ammaccato dalle notizie che lo vedono indagato il governatore pugliese è più che mai intenzionato a rilanciare l’azione politica del centrosinistra. «Dobbiamo interrompere questo cortocircuito antropologico con una coalizione di centrosinistra che sia una grande alleanza tra politica e nuove generazioni. A settembre convochiamo gli Stati generali del futuro e riconsegnamo un messaggio di nuova prospettiva».
Vendola, secondo lei bisogna rifondare i partiti. Secondo Angelo Panebianco invece, andrebbe rivisto il loro ruolo: non più principi, ma sherpa al supporto di coloro che si sfidano sul piano elettorale. Che ne pensa? «Non sono d’accordo. Dobbiamo partire dalla crisi che c’è in Italia e in Europa per capire dove si forma l’onda melmosa dell’antipolitica che rischia di montare e che rappresenta un pericolo per il futuro dello stesso vecchio Continente. Noi siamo in una fase in un cui il mix micidiale di disoccupazione di massa, recessione e caduta libera della credibilità della politica rischia di segnare un drammatico punto di cesura rispetto alle narrazioni civili e democratiche che hanno plasmato la nostra storia dal 1945».
Crisi della politica e crisi sociale: c’è davvero il rischio di un salto nell’abisso per la democrazia?
«Purtroppo ci sono precedenti. Crisi sociale e crisi democratica in Europa nel Novecento hanno partorito il fascismo».
Non crederà che siamo di nuovo di fronte a spinte di quel tipo? «Evocare questo precedente, sia chiaro, non deve servire a nevrotizzare la discussione ma a rendere più approfondita l’analisi di questa crisi. La spinta di nuovi populismi nazionali si aggancia allo smarrimento di grandi porzioni del Continente e può scommettere sullo smottamento del ceto medio e la precarizzazione della vita produttiva delle nuove generazioni. L’antipolitica può essere l’incubazione di una paurosa regressione, in forme modernissime si può prospettare un vertiginoso salto indietro perché la globalizzazione senza regole ha trasformato la politica in una contesa rumorosa e talvolta priva di oggetto». Il ministro Riccardi individua nei partiti la responsabilità di non aver saputo leggere e quindi governare questa globalizzazione.
«Con la globalizzazione la politica si è fatta paurosamente debole e la finanza paurosamente forte, mentre le destre hanno costruito il circolo del loro consenso mettendo insieme la baldanzosa apologia del primato della finanza globale e il mito delle piccole patrie. Hanno messo in atto la predicazione razzista, il paradigma della paura fondata sull’evocazione di fantasmi della diversità. Il punto di svolta è che l’Europa rischia di spezzarsi nella propria spina dorsale. Non c’è più l’Europa del welfare, di un racconto civile e sociale. È la prima volta che in Italia, ad esempio, le giovani generazioni si sentono globalmente escluse da un circuito produttivo, il ceto medio si va restringendo. In questo contesto i partiti sono stati arroganti perché deboli, voraci perché contavano poco».
Da dove si deve ripartire, allora?
«I partiti devono ricominciare ad affermare un proprio punto di vista autonomo, ripartendo dal concetto di bene comune e abbandonando questo asservimento alle lobby e ai gruppi di potere».
In realtà le vicende Lusi e Lega hanno dimostrato che molto spesso è stato l’interesse personale a determinare l’agire dei alcuni politici.
«La domanda che bisogna porsi è come mai vent’anni dopo tangentopoli siamo allo stesso punto? Forse perché vent’anni fa la corruzione veniva percepita come una patologia mentre oggi viene percepita come la fisiologia della vita pubblica. Ma dobbiamo raccontare tutta la verità: se nella politica c’è chi è corrotto vuol dire che nella società c’è chi corrompe ed aver fatto della politica l’unico imputato vuol dire non voler capire quanto profondo sia il guasto. Ci sono pezzi del sistema d’impresa, delle corporazioni, della burocrazia che hanno assediato la politica per interessi privati e non collettivi. Nella misura in cui tutto è mercato, tutto ha un prezzo, anche la politica si è organizzata come mercato elettorale tanto è vero che le campagne elettorali sono diventate giostre faraoniche di spreco di risorse».
E questo è uno temi su cui si dibatte di più. C’è chi sostiene che bisognerebbe abolire i finanziamenti pubblici. «Si dovrebbe stabilire un tetto massimo di spesa per le campagne elettorale, si deve procedere subito con una legge sulla trasparenza dei bilanci, che devono dimagrire e si deve tornare ad un regime di sobrietà. Ma quando abbiamo fatto tutto questo rischiamo di aver operato in superficie se la politica non si riappropria di un suo punto di vista autonoma su modello di sviluppo, crescita, etica, organizzazione dei beni pubblici. Spetta alla politica indicare i vincoli e limiti di una crescita economica che non può mai assumere contorni di neoschiavismo e di arretramento dei diritti universali».
Intanto, mentre i partiti si interrogano su come riacquistare la fiducia dei cittadini Beppe Grillo avanza. «L’antipolitica non è l’antidoto alla cattiva politica è la sua variante più pericolosa perché mette sul piedistallo l’epopea e la retorica di un demiurgo, di una personalità che propone il proprio carisma come una sorta di esorcismo e attraverso le bestemmie salvifiche pensa di voler far sparire il mondo dei cattivi. Per questo serve un’alternativa forte di buona politica che metta insieme il valore della democrazia e la centralità di una giustizia sociale».

L’Unità 17.04.12

"L’unico modello è sul Reno", di Franco Mosconi

Si rifletta un momento su questo semplice elenco di paesi: Nuova Zelanda, Australia, Italia, Regno Unito, Portogallo, Israele, Stati Uniti, Turchia, Messico e Cile. Sono i dieci paesi con la peggiore diseguaglianza nella distribuzione del reddito, ordinati dal decimo al primo. I dati sono stati elaborati direttamente dall’Ocse e hanno tutti i crismi dell’ufficialità. Ci sono i paesi che siamo soliti ricondurre sotto l’etichetta di “capitalismo anglosassone”; ci sono alcuni paesi emergenti e in via di sviluppo. C’è il Portogallo e c’è la nostra Italia, sì il Belpaese (un tempo, forse).
Basta questo semplice fatto per spazzare via la narrazione da paese dei balocchi che sull’economia e la società italiana ci è stata propinata per anni e anni. In quell’elenco non c’è la Germania, non c’è la Francia; più in generale non ci sono i paesi del “capitalismo renano” né i paesi scandinavi.
Beninteso, nell’ultimo decennio – è l’Ocse stesso ad annotarlo – anche questi paesi, caratterizzati storicamente da bassi livelli di diseguaglianza, hanno sperimentato incrementi significativi: ma nessuno di loro è in quella non proprio lusinghiera top ten. Eppure, il tema fa fatica a scalare posizioni nell’agenda politica italiana; la speranza è che con il governo Monti e col cammino di riforme da esso intrapreso, di disuguaglianze si torni a parlare anche da noi per poi agire.
Nel farlo non si partirebbe da zero; fra le direzioni verso cui volgere lo sguardo per trovare l’ispirazione v’è certamente L’economia giusta, il bellissimo saggio che Edmondo Berselli scrisse negli ultimi mesi di vita (aprile 2010), che ora Einaudi ha ripubblicato con una prefazione di Romano Prodi da sempre fautore di un «capitalismo ben temperato» (il suo saggio col Mulino è del 1995).
In un tempo in cui di diseguaglianza, almeno in Italia, non parlava nessuno, Berselli scriveva: «È stata una tensione fortissima nella distribuzione del reddito a provocare la torsione che ha strappato con violenza inusitata norme e abitudini. Nella società fordista veniva considerato equo che il presidente o l’amministratore delegato di una grande impresa guadagnasse trenta volte lo stipendio di un usciere. Oggi, o soltanto fino a ieri, si considerava normale che il reddito del grande manager ammontasse da tre a quattrocento volte la retribuzione di un impiegato di basso livello».
Che dire invece della diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza (ossia, dello stock di risparmio accumulato)? Anche di questo parla Berselli nel suo libro quando afferma: «In Italia, il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede il 44 per cento dell’intero ammontare di ricchezza netta».
È stato Salvatore Rossi, vicedirettore della Banca d’Italia, ad osservare – in una delle tre serate dedicate a Berselli di cui anche Europa ha parlato – che sotto questo secondo profilo (ricchezza anziché redditi) la situazione del nostro paese appare meno sperequata rispetto a tanti altri, grazie soprattutto alla diffusione della proprietà immobiliare.
Se Edmondo potesse aggiornare queste pagine del suo libro con i dati di fonte Bankitalia scriverebbe che «nel 2009 la ricchezza netta delle famiglie era pari a 8,2 volte il reddito disponibile». Ma si tratta di una ricchezza privata «altamente concentrata» perché il 10 per cento più ricco dei cittadini ne possiede quasi la metà, mentre la metà più povera (o meno ricca) dei cittadini possiede meno del 10 per cento della ricchezza immobiliare e finanziaria.
Un altro libro, al pari di quello di Berselli, tragicamente illuminante – Guasto è il mondo di Tony Judt (Laterza), uno straordinario intellettuale scomparso dopo una lunga malattia – mostra le impressionanti diseguaglianze del capitalismo americano, così come esse sono maturate nei 20-30 anni del Washington Consensus, che Berselli chiama anche l’«imbroglio liberista».
Judt cita nel suo libro, fra le altre, queste cifre: nel 2005, il 21,2 per cento del reddito nazionale americano derivava da appena l’1 per cento dei cittadini; il patrimonio della famiglia dei fondatori della Walmart, il colosso della grande distribuzione, pari a 90 miliardi di dollari, equivaleva sempre nel 2005 a quello del 40 per cento più povero della popolazione americana, cioè 120 milioni di persone.
Siamo proprio sicuri che l’Europa, e l’Italia, non abbiano nulla da dire e da proporre di fronte a tendenze di questa natura? Ecco la forza del libro di Berselli: avere riscoperto – primo fra tutti – che l’economia sociale di mercato di impronta tedesca può rappresentare il paradigma possibile di cui, oggi, c’è bisogno. Certo, un’economia sociale di mercato rivista alla luce dei tempi nuovi e vista in simbiosi – come Berselli non si stanca di ripetere le sue pagine – con la Dottrina sociale della Chiesa, un insieme di principî e valori che dalla Rerum Novarum del 1891 giunge ai giorni nostri.
«Cosa direbbe oggi, cosa scriverebbe Edmondo?», si sono chiesti sia Ilvo Diamanti che Ezio Mauro prendendo la parola nel corso della serata modenese di cui si diceva. È impossibile eguagliare – hanno detto entrambi – la sua maestria nell’unire economia e filosofia, storia e costume, grandi personaggi e persone che vivono una vita normale. Leggendo le fredde cifre dell’Ocse potrebbe però lasciarsi sfuggire, magari sorridendo, un: «Avete visto che avevo ragione: siamo un paese sempre più diseguale».
Il suo capolavoro sarebbe quello di far diventare un saggio come L’economia giusta una guida alle necessarie riforme del welfare, del mercato del lavoro, della scuola, della finanza – in una parola, del nostro modello di capitalismo – di cui l’Italia, più che gli altri grandi dell’Europa, ha disperatamente bisogno.

da Europa Quotidiano 17.04.12

"Imu, si paga in tre rate la prima il 16 giugno. Stretta sulle detrazioni", di Bianca Di Giovann

L’Imu in tre rate entra nel decreto fiscale. L’emendamento presentato dal relatore Gianfranco Conte (Pdl) è passato ieri in commissione Finanze alla Camera. Il testo prevede che la nuova rateizzazione valga soltanto per la prima casa e le relative pertinenze. Le scadenze sono fissate al 16 giugno, 16 settembre e 16 dicembre, e ciascun versamento sarà pari a un terzo del dovuto.
Per gli altri immobili, che non sono quelli di residenza, restano le due rate di giugno e dicembre.
STRETTA SULLE DETRAZIONI
Insieme alle rate arriva anche una stretta sulle detrazioni per la prima casa: saranno valide soltanto se il titolare risiede effettivamente nell’immobile e comunque non potrà esserci più di una detrazione (200 euro per tutti, più 50 euro per ciscun figlio fino a un tetto massimodi 400 euro) per ogni nucleo familiare.
La disposizione punta a eliminare gli abusi che spesso si verificano all’interno della famiglia, indicando come titolare coniugi o figli per evitare l’aliquota maggiorata sulla seconda casa. La commissione dà anche l’ok alla proposta Pd di eliminare il prelievo Imu, Irpef e Ires sui fabbricati colpiti dal terremoto
dell’Aquila. Un’altra modifica dell’imposta sugli immobili riguarda le coppie separatae: in questo caso pagherà l’Imu chi risiede stabilmente nell’abitazione, anche se non ne è il proprietario. Insomma, il cantiere Imu sembra ancora aperto, nonostante il fatto che la prima scadenza sia molto vicina. È già deciso che a giugno si pagherà l’aliquota base, e solo più tardi si
stabilirà l’ammontare effettivo del prelievo. In ogni caso lo scenario in movimento non piace ai commercialisti. «Tre rate o due rate, quello che è certo è che con l’Imu si sta ormai rasentando il ridicolo», afferma Claudio Siciliotti, presidente dei fiscalisti
italiani. «Ci sono Paesi – sostiene Siciliotti – che, per imposte simili all’Imu, mandano bollettini precompilati, lasciando ai contribuenti e ai loro professionisti un rapido compito di verifica
e controllo della correttezza degli importi esposti. Da noi siamo infine arrivati a costruire una imposta per la quale il contribuente non deve soltanto procedere ai conteggi totali, ma deve pure provvedere lui a conteggiare anche quanto va allo Stato e
quanto ai Comuni». Altri addetti ai lavori protestano anche sulla disposizione sulle coppie separate. Gli avvocati matrimonialisti chiedono che sia il giudice a stabilire chi pagherà la tassa sulla base del reddito, evitando una norma che imponga l’onere ex ante.
Sull’imposta sugli immobili resta poi la preoccupazione dei Comuni,
che avranno difficoltà a reperire risorse dovendo «girare» una parte del gettito allo Stato. Nel documento Pd sulle politiche per l’abitare, presentato ieri a Torino, si solleva anche la questione dell’imposizione – ancora non risolta – sulle case di proprietà comunale o Iacp ancora non del tutto esentate. Il governo sta cercando 250 milioni di euro per consentire lo sgravio, ma il nodo ancora non è sciolto. «Tale esclusione – si legge nel documento – avrebbe favorito gli investimenti necessari per la gestione e manutenzione del patrimonio esistente (6.000 unità), nonché gli investimenti futuri per nuova edificazione (circa 2.500 nuovi alloggi). A proposito di crescita. Stesso effetto espansivo avrebbe lo sgravio per i costruttori per tre anni prima della vendita. Tra le altre misure anche una tassa sul lusso sugli aero-taxi (100 euro per i tragitti sotto i 1.500 chilometri, il doppio per gli altri). Slitta al primo luglio il pagamento in contante della pubblica amministrazione per i redditi sopra i mille euro, mentre il bollo sullo scudo fiscale viene prorogato al 16 luglio. Viene inoltre previsto uno sconto sull’imposta in caso di rinuncia all’anonimato. Questa modifica, spiega la Relazione, è mirata «ad ottenere il pagamento dell’imposta di bollo pro-rata qualora il contribuente rinunci al regime della riservatezza in corso d’anno».

L’Unità 17.04.12

"Il Cerchio Magico del Celeste", di Alberto Statera

Uomini d´acciaio i Memores Domini, alias Gruppo Adulto, il nucleo aristocratico di Comunione e Liberazione votato alla «povertà evangelica e alla castità perfetta» (sic). Il più inox–man di tutti si sta palesando Roberto Formigoni, da un ventennio presidente della Lombardia. Asserragliato nel Formigone, il grattacielo che a perpetua memoria si è fatto erigere più alto della Madonnina originale perché – garantisce – così voleva Papa Paolo VI, mentre si sfalda in un´orgia di scandali senza fine la cupola affaristica lombarda tra una folla di politici senza scrupoli, assessori corrotti, faccendieri, coppole di ‘ndrangheta, fondi neri, tangenti, appalti truccati, colossali truffe sanitarie, lui esibisce uno straordinario aplomb. Giura: «Non c´è nulla di imputabile a me». Inox-man o «il politico più stupido che conosco», come una volta lo apostrofò Ciriaco De Mita? «Non stupido, tutt´altro, direi Diomammoneggiante – corregge privatissimamente un autorevole esponente dell´establishment d´Oltretevere – capitano di una legione di lottatori a tempo pieno, ma non vincitori contro il peccato».
Passi per la castità, che in caso di qualche scivolata si può assolvere confessandola ai padri Salesiani di via Copernico, come dev´essere avvenuto quando il casto fu fotografato su un panfilo in boxer mentre ballava con tre ragazze sulle note dei Red Hot Chili Peppers. «Non sono un musone», si giustificò con Stefano Lorenzetto. Tutt´altro, ama le buone compagnie, le barche, le vacanze esotiche. Ma, suvvia, vada pure per la castità, ma quanto alla povertà evangelica, gli stili di vita suoi e del suo Cerchio magico non sembrano proprio tapini. È vero, il Celeste ha abitato per anni in una casa-comunità dei Memores Domini in via Dino Villani, che era di proprietà – guarda un po´ – di don Salvatore Ligresti. Con lui viveva, tra gli altri, Alberto Perego titolare, secondo l´accusa, di un deposito svizzero su cui confluivano tangenti della Finmeccanica. Erano i tempi dello scandalo Oil for Food. Se in ossequio al dettato evangelico di povertà il governatore non ha mai toccato un euro, come ieri ha ripetuto, non c´è più dubbio allora sul fatto che si sia circondato di una legione di simoniaci che nel suo ventennio al comando della Lombardia non hanno perso neanche un´occasione per sottrarre e accumulare denaro con mezzi illeciti. Per loro, per i Memores, per Comunione e liberazione, per il sistema di potere politico – religioso da cementare? Poco importa ai fini delle responsabilità politiche.
Dove ha girato per tanti anni lo sguardo il Celeste, sempre occupato ad autoassolversi, come, con ragioni più nobili, fece per il padre vecchio podestà in Brianza, accusato dell´omicidio di quattro partigiani e amnistiato da Togliatti? Lo dice persino non l´opposizione, ma il coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani: «Ma quale complotto. È la solita cricca che porta via quattrini», dove per solita cricca si deve intendere il sistema politico-affaristico di Cl. E una quantità inaudita di quattrini.
Pare che siamo già a 70 milioni di euro solo dell´ultima ondata scoperta dalla magistratura, quella della Fondazione Maugeri, che ha appena portato in carcere l´ex assessore alla Sanità della Regione Antonio Simone e ha procurato un altro mandato di cattura per Pierangelo Daccò, già arrestato per lo scandalo del San Raffaele di don Verzé, che ha lasciato un buco da un miliardo e mezzo oltre allo strascico dell´Olgettina e di Nicole Minetti, la maitresse sua protégée preferita, passata a Berlusconi, la quale gestiva la «casa delle femmine» proprio lì di fronte alla faraonica cupola dell´ospedale costata 50 milioni di euro.
Lo stretto Cerchio Magico del Celeste c´è tutto, nessuno escluso, nei tifoni giudiziari che si susseguono. Ed è come se fosse organizzato per specialità. I faccendieri dedicati all´edilizia e alle opere pubbliche, quelli all´urbanistica, quelli all´ambiente, specializzati nei rifiuti e nell´amianto. Come Rosanna Gariboldi, moglie di Giancarlo Abelli detto il Faraone della sanità, che è già stata condannata a due anni: riciclava sul suo conto a Montecarlo i fondi neri di Giuseppe Grossi, il re degli inceneritori morto mentre si indagava per disinquinamenti fantasma, mai fatti ma pagati, e per i rifiuti tossici nascosti sotto le autostrade e i nuovi quartieri milanesi.
Ma è la sanità il fiore all´occhiello del modello lombardo, come il governatore ama chiamarlo, che oggi appassisce fino a disseccare il «ciellenismo realizzato» che avrebbe dovuto condurlo ai sogli più alti, forse alla guida del paese nel dopo-Berlusconi.
«Più società e meno Stato» è lo slogan ciellino con il quale Formigoni ha conquistato le società pubbliche, ma soprattutto i gangli del potere sanitario, la prima industria regionale che assorbe 17 miliardi di euro all´anno, oltre il 70 per cento del bilancio. Il modello formigoniano ha trasferito parte rilevante di queste risorse alle strutture private, soprattutto quelle sponsorizzate da Cl. Gli ospedali pubblici che non reggono i tagli e le strutture «amiche» che moltiplicano i rimborsi pubblici fino a livelli inenarrabili come il mezzo miliardo o giù di lì del San Raffaele.
Troppi soldi, come ai partiti con i rimborsi elettorali, che hanno scatenato gli appetiti, soddisfatti, del ciellenismo lombardo. «Vi siete mai chiesti – ha ben riassunto l´ex assessore leghista alla Sanità Alessandro Cè, cacciato perché ostacolava il business miliardario delle cricche – perché in Lombardia ci sono più centri di cardiochirurgia che in tutta la Francia, molti dei quali privati? Perché la cardiochirurgia, come alcune altre specialità, è più remunerativa. Sul pubblico si scaricano le prestazioni meno profittevoli».
Succede così, secondo l´ex assessore, che un clinicaro come Giuseppe Rotelli diventi il primo azionista della Rizzoli – Corriere della Sera con gli utili della sanità privata convenzionata.
L´inox–man del Formigone, ieri per la prima volta un po´ sudato, ha forse infine tradito la velleitaria rocciosità del Gruppo Adulto. Perché tutto congiura contro di lui. Reggerà fino al 2013 o sarà costretto presto a dimettersi col procedere delle inchieste che riservano risvolti clamorosi? Non solo costretto dalla politica politicante devastata in Lombardia da Lega Ladrona, ma anche dall´imbarazzo della Chiesa. «Sarà mai possibile che Scola non c´entri niente con Formigoni? No, non c´entra niente», ha già scolpito due mesi fa l´arcivescovo di Milano. E anche Julian Carròn, successore di don Giussani alla guida di Cl, va ripetendo che lui non vuole mischiarsi con la politica. Chissà che nel pullulare di faccendieri devoti, sia finalmente finita la stagione dei «santi per contratto».

La Repubblica 17.04.12

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“La funzionaria, il manager, l´avvocato tutti i ciellini dell´intrigo di Milano”, di WALTER GALBIATI ed EMILIO RANDACIO

I verbali: “Daccò girava con buste piene di contanti”.
Dallo studio legale che si occupa dei trasferimenti di denaro di società lussemburghesi (dell´avvocato Paolo Sciumè), all´»alto funzionario regionale della Sanità» (Alessandra Massei), per finire alla sede in pieno centro a Milano dove si gestivano gli affari. Tutto, nel terremoto provocato dall´inchiesta milanese sui fondi neri della fondazione Maugeri, sembra passare per Comunione e Liberazione (Cl). Nelle carte allegate all´ordinanza con cui, venerdì scorso, sono finite in carcere sei persone (compreso l´ex assessore regionale alla Sanità, Antonio Simone), per 56 milioni di euro di presunti fondi neri, spunta una ragnatela molto fitta tessuta da uomini di primo piano di Cl nel mondo della sanità. A svelarli è il fiduciario svizzero Giancarlo Grenci, della società «Norconsulting», che ha operato per conto di uno dei principali arrestati, il faccendiere Pierangelo Daccò (già in carcere per il crac del San Raffaele).
La grande famiglia di Cl
Proprio dalle sponde del lago di Lugano, Grenci avrebbe gestito fino al 2009, il trasferimento di denaro dai conti della Fondazione Maugeri a società riconducibili a Daccò e a Simone (entrambi vicini a Cl), che ne avrebbero poi fatto l´uso più disparato. Che Cl sia il filo conduttore di questa inchiesta, lo dimostra ancora Grenci. «Posso dirvi che la persona che dal 2006 segue il cliente Daccò all´interno della Norconsulting è Andrea Galafassi che lavorava già per Daccò. Quando è andato via lo abbiamo assunto dopo che ha presentato regolarmente il suo curriculum». Un´assunzione disinteressata? Così non sembra. «Preciso che non c´è stata alcuna raccomandazione di Daccò. So che Galafassi è di Cl perché me lo ha detto lui. Mi dice di conoscere la Massei che è anche lei di Cl e frequenta Simone anche lui di Cl». Per essere ancora più chiari, l´esperto finanziario elvetico, precisa anche che il suo dipendente «frequenta il gruppo di Cl in Italia e che partecipa ai ritrovi».
Il doppio ruolo di Maffei
Balza agli occhi lo strano ruolo che, Alessandra Massei, avrebbe coperto in questa brutta faccenda. L´operatore finanziario Grenci ricorda come «mi sia stata presentata da Daccò come ex dirigente di pregio dell´ospedale Fatebenefratelli e che oggi occupa un ruolo importante all´interno della Regione Lombardia».
Manager pubblica, simpatizzante di Cl, secondo questo identikit, ma anche «socia in una serie di attività di Daccò, soprattutto in Sud America». L´ex «dirigente di pregio» della sanità lombarda, sembra avere diversificato le sue attività. È sempre Grenci che ricorda ai pm Orsi, Pastore, Ruta e Pedio, di come la Massei si sia anche recata «a Lugano in compagnia di Passerino e Mozzali (entrambi finiti in carcere venerdì scorso nell´operazione Maugeri, ndr), quando abbiamo fatto un sopralluogo alla clinica Sementina».
Prelievi per 2-3 milioni
La gestione di questa contabilità occulta, prosciugata dai conti della fondazione pavese Maugeri, aveva una unica finalità: creare fondi neri. Attraverso la Norconsulting, infatti, Grenci avrebbe giustificato il passaggio di denaro su altri conti esteri, attraverso «contratti falsi». In sostanza, secondo la ricostruzione dello stesso indagato, assistito dagli avvocati Luca Lauri e Alessandro Viglione, il suo compito era quello di «incassare somme di denaro e quindi predisporre contratti ad hoc». È lunghissimo l´elenco delle società collegate alla Maugeri. Grenci produce tutta la documentazione accumulata dal suo ufficio. Parla anche dell´esponente del Pdl, «Gianstefano Frigerio che era un consulente e che forniva delle dispense di Forza Italia». A cosa si riferisce nel dettaglio, non sembra spiegarlo. Aggiunge di non sapere che sia un politico. Le attività a cui andava incontro Daccò sembrano al momento intuibili, ma non ancora provate. Di certo, il consulente vicino a Cl, per Grenci, aveva una disponibilità di contante enorme. «È capitato una ventina di volte che Daccò lasciasse nei nostri uffici, somme di denaro in contanti in buste chiuse. Gli importi erano variabili, nell´ordine al massimo di 200 mila euro per busta (negli anni complessivamente saranno stati 2 o 3 milioni di euro)». La destinazione finale, al businessman, è sconosciuta. La procura, sta puntando il mirino su una società di Madeira, in Portogallo, per svelare le destinazioni finali del «malloppo». Di certo, anche un altro indagato dell´inchiesta, l´ex assessore Antonio Simone, ricorda a verbale il livello di rapporti intessuti da Daccò. «Abbiamo anche ricevuto finanziamenti dallo Ior (la banca del Vaticano, ndr), con cui aveva buoni rapporti». E anche grazie a questi buoni uffici, sarebbero state «costituite varie società in Cile e Israele».
il conto burlando
I magistrati milanesi sembrano essersi fatti un´idea molto precisa su dove indirizzare la parte più succosa dell´inchiesta, quella che coinvolgerebbe (anche se al momento non sono indagati), i politici. «Per conto della Fondazione Maugeri, Daccò intratteneva relazioni con la Regione Lombardia. Con quali persone?», lo interroga il pm Laura Pedio il 22 dicembre. «Con la Massei, con Formigoni e con Perego (segretario di Formigoni). Mi chiedete – aggiunge Grenci -, se abbia avuto rapporti con Lucchina (direttore generale della Sanità lombarda, ndr), Sanese (uomo vicino del governatore, ndr), e Villa (segretario di Formigoni, ndr)». Ma Grenci è sicuro: dico di non averli mai sentiti nominare».
E nel mirino finiscono anche rapporti con le Regioni Sicilia e Liguria. Tra le carte sequestrate dalla sezione di Polizia giudiziaria di Milano, ecco spuntare fuori il conto «Burlando». «Di chi è?», lo interroga la procura. «È un conto cifrato riferibile a Giovanni Cozzi della Luxury yachts, ma non so perché sia stata pagata la somma di 200 mila euro».

La Repubblica 17.04.12