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Vendola: «l’antipolitica ci fa fare un pauroso salto indietro», di Maria Zegarelli

Il presidente della Puglia: «Crisi sociale e crisi democratica in Europa hanno partorito il fascismo. La ripoliticizzazione dei partiti e la loro rifondazione deve passare attraverso un nuovo agire collettivo in grado di restituire un messaggio di speranza». È questa la ricetta di Nichi Vendola contro l’antipolitica che monta nel Paese. Per niente ammaccato dalle notizie che lo vedono indagato il governatore pugliese è più che mai intenzionato a rilanciare l’azione politica del centrosinistra. «Dobbiamo interrompere questo cortocircuito antropologico con una coalizione di centrosinistra che sia una grande alleanza tra politica e nuove generazioni. A settembre convochiamo gli Stati generali del futuro e riconsegnamo un messaggio di nuova prospettiva».
Vendola, secondo lei bisogna rifondare i partiti. Secondo Angelo Panebianco invece, andrebbe rivisto il loro ruolo: non più principi, ma sherpa al supporto di coloro che si sfidano sul piano elettorale. Che ne pensa? «Non sono d’accordo. Dobbiamo partire dalla crisi che c’è in Italia e in Europa per capire dove si forma l’onda melmosa dell’antipolitica che rischia di montare e che rappresenta un pericolo per il futuro dello stesso vecchio Continente. Noi siamo in una fase in un cui il mix micidiale di disoccupazione di massa, recessione e caduta libera della credibilità della politica rischia di segnare un drammatico punto di cesura rispetto alle narrazioni civili e democratiche che hanno plasmato la nostra storia dal 1945».
Crisi della politica e crisi sociale: c’è davvero il rischio di un salto nell’abisso per la democrazia?
«Purtroppo ci sono precedenti. Crisi sociale e crisi democratica in Europa nel Novecento hanno partorito il fascismo».
Non crederà che siamo di nuovo di fronte a spinte di quel tipo? «Evocare questo precedente, sia chiaro, non deve servire a nevrotizzare la discussione ma a rendere più approfondita l’analisi di questa crisi. La spinta di nuovi populismi nazionali si aggancia allo smarrimento di grandi porzioni del Continente e può scommettere sullo smottamento del ceto medio e la precarizzazione della vita produttiva delle nuove generazioni. L’antipolitica può essere l’incubazione di una paurosa regressione, in forme modernissime si può prospettare un vertiginoso salto indietro perché la globalizzazione senza regole ha trasformato la politica in una contesa rumorosa e talvolta priva di oggetto». Il ministro Riccardi individua nei partiti la responsabilità di non aver saputo leggere e quindi governare questa globalizzazione.
«Con la globalizzazione la politica si è fatta paurosamente debole e la finanza paurosamente forte, mentre le destre hanno costruito il circolo del loro consenso mettendo insieme la baldanzosa apologia del primato della finanza globale e il mito delle piccole patrie. Hanno messo in atto la predicazione razzista, il paradigma della paura fondata sull’evocazione di fantasmi della diversità. Il punto di svolta è che l’Europa rischia di spezzarsi nella propria spina dorsale. Non c’è più l’Europa del welfare, di un racconto civile e sociale. È la prima volta che in Italia, ad esempio, le giovani generazioni si sentono globalmente escluse da un circuito produttivo, il ceto medio si va restringendo. In questo contesto i partiti sono stati arroganti perché deboli, voraci perché contavano poco».
Da dove si deve ripartire, allora?
«I partiti devono ricominciare ad affermare un proprio punto di vista autonomo, ripartendo dal concetto di bene comune e abbandonando questo asservimento alle lobby e ai gruppi di potere».
In realtà le vicende Lusi e Lega hanno dimostrato che molto spesso è stato l’interesse personale a determinare l’agire dei alcuni politici.
«La domanda che bisogna porsi è come mai vent’anni dopo tangentopoli siamo allo stesso punto? Forse perché vent’anni fa la corruzione veniva percepita come una patologia mentre oggi viene percepita come la fisiologia della vita pubblica. Ma dobbiamo raccontare tutta la verità: se nella politica c’è chi è corrotto vuol dire che nella società c’è chi corrompe ed aver fatto della politica l’unico imputato vuol dire non voler capire quanto profondo sia il guasto. Ci sono pezzi del sistema d’impresa, delle corporazioni, della burocrazia che hanno assediato la politica per interessi privati e non collettivi. Nella misura in cui tutto è mercato, tutto ha un prezzo, anche la politica si è organizzata come mercato elettorale tanto è vero che le campagne elettorali sono diventate giostre faraoniche di spreco di risorse».
E questo è uno temi su cui si dibatte di più. C’è chi sostiene che bisognerebbe abolire i finanziamenti pubblici. «Si dovrebbe stabilire un tetto massimo di spesa per le campagne elettorale, si deve procedere subito con una legge sulla trasparenza dei bilanci, che devono dimagrire e si deve tornare ad un regime di sobrietà. Ma quando abbiamo fatto tutto questo rischiamo di aver operato in superficie se la politica non si riappropria di un suo punto di vista autonoma su modello di sviluppo, crescita, etica, organizzazione dei beni pubblici. Spetta alla politica indicare i vincoli e limiti di una crescita economica che non può mai assumere contorni di neoschiavismo e di arretramento dei diritti universali».
Intanto, mentre i partiti si interrogano su come riacquistare la fiducia dei cittadini Beppe Grillo avanza. «L’antipolitica non è l’antidoto alla cattiva politica è la sua variante più pericolosa perché mette sul piedistallo l’epopea e la retorica di un demiurgo, di una personalità che propone il proprio carisma come una sorta di esorcismo e attraverso le bestemmie salvifiche pensa di voler far sparire il mondo dei cattivi. Per questo serve un’alternativa forte di buona politica che metta insieme il valore della democrazia e la centralità di una giustizia sociale».

L’Unità 17.04.12