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"Il governatore impresentabile", di Roberto Rho

L´inchiesta per corruzione a carico di Davide Boni, presidente leghista del Consiglio regionale della Lombardia, proietta ufficialmente anche il Carroccio nel vortice delle mazzette e della corruzione. Un´altra indagine della Procura, altre tangenti passate di mano in mano, forse negli stessi uffici della Regione, un altro partito nella tempesta: questa volta è la Lega, proprio all´indomani delle minacce rivolte dal suo leader, Umberto Bossi, al premier Mario Monti. Il Pirellone, popolato da un imbarazzante numero di inquisiti, è un caso politico grande come il grattacielo che Formigoni si è fatto costruire a imperitura gloria del suo ventennio di governo. E la sua classe dirigente, la si guardi da destra o da sinistra – il versante frequentato dall´indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti Filippo Penati – restituisce l´immagine di una politica pervasa dall´affarismo e dalla corruzione, ostinatamente aggrappata al privilegio, scollegata dalla realtà.
Ciò che fingono di ignorare gli uomini del Pirellone – compresi da ieri i sedicenti moralizzatori della Lega che avevano minacciato di far cadere Formigoni proprio a causa dei molteplici pasticci in cui erano finiti i suoi compagni di partito – è che tra i banchi del Consiglio siedono otto indagati per reati che spaziano dalla corruzione fino allo sfruttamento della prostituzione. Che quattro dei cinque membri dell´Ufficio di Presidenza sono assediati dalle inchieste. Che Prosperini (ex leghista traslocato nel Pdl), Boni, Ponzoni e Nicoli Cristiani non sono personaggi capitati al Pirellone per caso, ma assessori della giunta guidata da Formigoni fino a due anni fa. Ciò che Formigoni, nelle sue reiterate rivendicazioni di buongoverno, sistematicamente dribbla sono gli scandali che da anni divorano il mito dell´efficienza lombarda: i Drg taroccati dalle cliniche convenzionate per incassare i rimborsi della Regione, gli interventi chirurgici “inventati” per la stessa ragione, le centinaia di milioni accordati alla sedicente eccellenza del San Raffaele, i finanziamenti-lampo alle Fondazioni amiche (di Cl o della Compagnia delle Opere) come l´Asilo Mariuccia. Ciò che Formigoni liquida sono le 618 firme false accertate dalle perizie in calce al listino che, alle Regionali 2010, portava il suo nome. Ciò di cui non vuole neppure sentir parlare sono le manovre con i faccendieri della cosiddetta P3 per far riammettere la lista, inzialmente esclusa.
Formigoni è un leader sfiancato, privo di iniziativa politica, indebolito dagli scandali e dalle inchieste sui suoi uomini di fiducia. Il suo orizzonte non è più la Lombardia, ma Roma: otto su dieci delle sue molteplici esternazioni su giornali e social media, di cui è frequentatore assiduo, riguardano temi di interesse nazionale. Sa, Formigoni, che il 2013 è l´ultima chance per spiccare il balzo dalla politica locale a quella nazionale. Si agita, briga, reclama le primarie, sfida il segretario del suo partito, poi intravvede movimenti al centro e si candida a primo sostenitore di una futura premiership Passera, poi ribadisce che resterà presidente della Lombardia, ma non ci crede neppure lui. Tra una sortita e l´altra, si barcamena al Pirellone, forte di un sistema di potere pervasivo e cementato in lustri di governo, confidando più sulla debolezza degli altri (compresa la sinistra azzoppata dall´affare Penati) che sulla forza propria. Al punto che ieri, giurano alcuni dei suoi, Formigoni avrebbe accolto con un mezzo sorriso la notizia dell´inchiesta su Boni: la Lega, a questo punto coinvolta negli scandali giudiziari tanto quanto il Pdl, perde la sua arma più pericolosa.
Per concludere che la somma algebrica di tutto ciò non può essere altro che il ritorno immediato alle urne, per rimettere nelle mani dei cittadini l´occasione di un rinnovamento profondo della leadership e della classe dirigente lombarda, servirebbe un sussulto di dignità e di responsabilità della politica. Prevedere che ciò possa avvenire, oggi o nel prossimo futuro, nel Pirellone degli scandali, è davvero un azzardo.

La Repubblica 07.03.12

“Il governatore impresentabile”, di Roberto Rho

L´inchiesta per corruzione a carico di Davide Boni, presidente leghista del Consiglio regionale della Lombardia, proietta ufficialmente anche il Carroccio nel vortice delle mazzette e della corruzione. Un´altra indagine della Procura, altre tangenti passate di mano in mano, forse negli stessi uffici della Regione, un altro partito nella tempesta: questa volta è la Lega, proprio all´indomani delle minacce rivolte dal suo leader, Umberto Bossi, al premier Mario Monti. Il Pirellone, popolato da un imbarazzante numero di inquisiti, è un caso politico grande come il grattacielo che Formigoni si è fatto costruire a imperitura gloria del suo ventennio di governo. E la sua classe dirigente, la si guardi da destra o da sinistra – il versante frequentato dall´indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti Filippo Penati – restituisce l´immagine di una politica pervasa dall´affarismo e dalla corruzione, ostinatamente aggrappata al privilegio, scollegata dalla realtà.
Ciò che fingono di ignorare gli uomini del Pirellone – compresi da ieri i sedicenti moralizzatori della Lega che avevano minacciato di far cadere Formigoni proprio a causa dei molteplici pasticci in cui erano finiti i suoi compagni di partito – è che tra i banchi del Consiglio siedono otto indagati per reati che spaziano dalla corruzione fino allo sfruttamento della prostituzione. Che quattro dei cinque membri dell´Ufficio di Presidenza sono assediati dalle inchieste. Che Prosperini (ex leghista traslocato nel Pdl), Boni, Ponzoni e Nicoli Cristiani non sono personaggi capitati al Pirellone per caso, ma assessori della giunta guidata da Formigoni fino a due anni fa. Ciò che Formigoni, nelle sue reiterate rivendicazioni di buongoverno, sistematicamente dribbla sono gli scandali che da anni divorano il mito dell´efficienza lombarda: i Drg taroccati dalle cliniche convenzionate per incassare i rimborsi della Regione, gli interventi chirurgici “inventati” per la stessa ragione, le centinaia di milioni accordati alla sedicente eccellenza del San Raffaele, i finanziamenti-lampo alle Fondazioni amiche (di Cl o della Compagnia delle Opere) come l´Asilo Mariuccia. Ciò che Formigoni liquida sono le 618 firme false accertate dalle perizie in calce al listino che, alle Regionali 2010, portava il suo nome. Ciò di cui non vuole neppure sentir parlare sono le manovre con i faccendieri della cosiddetta P3 per far riammettere la lista, inzialmente esclusa.
Formigoni è un leader sfiancato, privo di iniziativa politica, indebolito dagli scandali e dalle inchieste sui suoi uomini di fiducia. Il suo orizzonte non è più la Lombardia, ma Roma: otto su dieci delle sue molteplici esternazioni su giornali e social media, di cui è frequentatore assiduo, riguardano temi di interesse nazionale. Sa, Formigoni, che il 2013 è l´ultima chance per spiccare il balzo dalla politica locale a quella nazionale. Si agita, briga, reclama le primarie, sfida il segretario del suo partito, poi intravvede movimenti al centro e si candida a primo sostenitore di una futura premiership Passera, poi ribadisce che resterà presidente della Lombardia, ma non ci crede neppure lui. Tra una sortita e l´altra, si barcamena al Pirellone, forte di un sistema di potere pervasivo e cementato in lustri di governo, confidando più sulla debolezza degli altri (compresa la sinistra azzoppata dall´affare Penati) che sulla forza propria. Al punto che ieri, giurano alcuni dei suoi, Formigoni avrebbe accolto con un mezzo sorriso la notizia dell´inchiesta su Boni: la Lega, a questo punto coinvolta negli scandali giudiziari tanto quanto il Pdl, perde la sua arma più pericolosa.
Per concludere che la somma algebrica di tutto ciò non può essere altro che il ritorno immediato alle urne, per rimettere nelle mani dei cittadini l´occasione di un rinnovamento profondo della leadership e della classe dirigente lombarda, servirebbe un sussulto di dignità e di responsabilità della politica. Prevedere che ciò possa avvenire, oggi o nel prossimo futuro, nel Pirellone degli scandali, è davvero un azzardo.

La Repubblica 07.03.12

Scuola, Ghizzoni e Puglisi (PD): stop a tagli, approvato emendamento PD

Dichiarazione di Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd VII Commissione Camer a e Francesca Puglisi Responsabile Scuola segreteria Pd. Importante vittoria del Partito Democratico a favore della scuola: è infatti stato approvato oggi alla Camera (Commissioni Affari Costituzionali e Attività Produttive) l’emendamento PD al decreto semplificazioni che definisce l’organico dell’autonomia che permetterà in particolare di bloccare il trascinamento dei tagli nella scuola primaria e alle superiori.

Vengono inoltre aggiunti ulteriori 10.000 posti per attività di recupero, di integrazione e sostegno agli alunni con bisogni educativi speciali anche per estendere il tempo scuola, con particolare riguardo alla scuola primaria e alle medie.

Si tratta di una importante inversione di tendenza che dovrà essere confermata dalla Commissione Bilancio e che restituisce ossigeno e fiducia alle scuole.

"I laureati italiani? Sempre più disoccupati. Passa dal 16% al 19% la disoccupazione dei laureati triennali", di Corinna De Cesare

Un’altra brutta notizia per i ragazzi italiani. Oltre al tasso di disoccupazione giovanile superiore al 31% secondo i dati Istat di gennaio, ora arriva anche l’aumento della disoccupazione tra i laureati. È quanto stabilisce il XIV Rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei «neodottori», circa 400mila ragazzi coinvolti. Secondo il consorzio interuniversitario la disoccupazione dei laureati triennali è passata dal 16% del 2009 al 19% del 2010. Dato che lievita anche per i laureati specialistici, passato dal 18 al 20 per cento. Non vengono risparmiati neanche gli specialistici «a ciclo unico» come i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza: anche per loro la disoccupazione è passata dal 16,5 al 19%.
I RISULTATI – «Si tratta di un fenomeno piuttosto preoccupante – spiega Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea – ma del resto basta dare un’occhiata agli investimenti fatti in questo periodo dal nostro Paese in questo settore. Francia, Germania, tutti i Paesi Europei hanno investito di più nelle professioni qualificate per uscire dalla crisi, l’Italia è l’unica in controtendenza. Abbiamo una percentuale di laureati modesta rispetto alla media Ocse, abbiamo una classe dirigente oltre 55 anni poco scolarizzata e per di più investiamo pochissimo su questo fronte».

IL CONFRONTO – Non conforta neanche il confronto con i dati del 2007. I laureati triennali disoccupati del 2010 fotografati da Almalaurea, sono infatti aumentati dell’8%, percentuale che lievita per i laureati specialistici (9%) e per gli specialistici a ciclo unico (+10%). Per di più diminuisce il lavoro a tempo indeterminato: la stabilità riguarda infatti il 42,5% dei laureati occupati di primo livello e il 34% dei laureati specialistici (con una riduzione, rispettivamente, di 4 e di 1 punto percentuale rispetto all’indagine 2010). Contemporaneamente si dilata la consistenza delle forme contrattuali a tempo determinato e interinale, del lavoro parasubordinato e del lavoro nero. Fenomeno, quest’ultimo, che riguarda il 6% dei laureati di primo livello, il 7% degli specialistici, l’11% di quelli a ciclo unico.

LE RETRIBUZIONI – Brutte notizie anche sul fronte della remunerazione: lo stipendio a un anno dalla laurea (pari a 1.105 euro mensili netti per i laureati di primo livello, 1.050 per gli specialistici a ciclo unico, 1.080 per gli specialistici), già non elevato, perde ulteriormente potere d’acquisto rispetto alle indagini precedenti (con una contrazione compresa fra il 2 e il 6% solo nell’ultimo anno). «Sarebbe un errore imperdonabile – precisa Cammelli – sottovalutare o tardare ad affrontare in modo deciso le questioni della condizione giovanile e della valorizzazione del capitale umano, non facendosi carico di quanti, anche al termine di lunghi, faticosi processi formativi, affrontano crescenti difficoltà ad affacciarsi sul mercato del lavoro, a conquistare la propria autonomia, a progettare il proprio futuro».

DOPO DIECI ANNI – E cosa succede a dieci anni dal titolo? Se lo è chiesto lo stesso consorzio bolognese che nell’autunno del 2011 ha condotto un’indagine via web coinvolgendo un campione di laureati pre-riforma degli anni 2000, 2001 e 2002. Le conclusioni? Dalle 13 mila interviste realizzate, risulta che lavorano 88 intervistati su cento, valore in calo di 4 punti percentuali rispetto all’analoga rilevazione condotta nel 2006 (sui laureati del 1997-1998). Si dichiara alla ricerca di un lavoro il 10% (erano 6 su cento tra i laureati 1997-1998). Stabili 81 occupati su cento, di cui il 63% con un contratto a tempo indeterminato e il restante 18 con un lavoro autonomo. I laureati degli anni 2000-2001-2002, vedono la propria retribuzione mensile netta attestarsi, in media, a 1.620 euro (era di 1.466 euro tra i laureati del 1997-1998 intervistati nel 2006). In termini reali, gli stipendi sono rimasti pressoché costanti.

Il Corriere della Sera 06.03.12

“I laureati italiani? Sempre più disoccupati. Passa dal 16% al 19% la disoccupazione dei laureati triennali”, di Corinna De Cesare

Un’altra brutta notizia per i ragazzi italiani. Oltre al tasso di disoccupazione giovanile superiore al 31% secondo i dati Istat di gennaio, ora arriva anche l’aumento della disoccupazione tra i laureati. È quanto stabilisce il XIV Rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei «neodottori», circa 400mila ragazzi coinvolti. Secondo il consorzio interuniversitario la disoccupazione dei laureati triennali è passata dal 16% del 2009 al 19% del 2010. Dato che lievita anche per i laureati specialistici, passato dal 18 al 20 per cento. Non vengono risparmiati neanche gli specialistici «a ciclo unico» come i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza: anche per loro la disoccupazione è passata dal 16,5 al 19%.
I RISULTATI – «Si tratta di un fenomeno piuttosto preoccupante – spiega Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea – ma del resto basta dare un’occhiata agli investimenti fatti in questo periodo dal nostro Paese in questo settore. Francia, Germania, tutti i Paesi Europei hanno investito di più nelle professioni qualificate per uscire dalla crisi, l’Italia è l’unica in controtendenza. Abbiamo una percentuale di laureati modesta rispetto alla media Ocse, abbiamo una classe dirigente oltre 55 anni poco scolarizzata e per di più investiamo pochissimo su questo fronte».

IL CONFRONTO – Non conforta neanche il confronto con i dati del 2007. I laureati triennali disoccupati del 2010 fotografati da Almalaurea, sono infatti aumentati dell’8%, percentuale che lievita per i laureati specialistici (9%) e per gli specialistici a ciclo unico (+10%). Per di più diminuisce il lavoro a tempo indeterminato: la stabilità riguarda infatti il 42,5% dei laureati occupati di primo livello e il 34% dei laureati specialistici (con una riduzione, rispettivamente, di 4 e di 1 punto percentuale rispetto all’indagine 2010). Contemporaneamente si dilata la consistenza delle forme contrattuali a tempo determinato e interinale, del lavoro parasubordinato e del lavoro nero. Fenomeno, quest’ultimo, che riguarda il 6% dei laureati di primo livello, il 7% degli specialistici, l’11% di quelli a ciclo unico.

LE RETRIBUZIONI – Brutte notizie anche sul fronte della remunerazione: lo stipendio a un anno dalla laurea (pari a 1.105 euro mensili netti per i laureati di primo livello, 1.050 per gli specialistici a ciclo unico, 1.080 per gli specialistici), già non elevato, perde ulteriormente potere d’acquisto rispetto alle indagini precedenti (con una contrazione compresa fra il 2 e il 6% solo nell’ultimo anno). «Sarebbe un errore imperdonabile – precisa Cammelli – sottovalutare o tardare ad affrontare in modo deciso le questioni della condizione giovanile e della valorizzazione del capitale umano, non facendosi carico di quanti, anche al termine di lunghi, faticosi processi formativi, affrontano crescenti difficoltà ad affacciarsi sul mercato del lavoro, a conquistare la propria autonomia, a progettare il proprio futuro».

DOPO DIECI ANNI – E cosa succede a dieci anni dal titolo? Se lo è chiesto lo stesso consorzio bolognese che nell’autunno del 2011 ha condotto un’indagine via web coinvolgendo un campione di laureati pre-riforma degli anni 2000, 2001 e 2002. Le conclusioni? Dalle 13 mila interviste realizzate, risulta che lavorano 88 intervistati su cento, valore in calo di 4 punti percentuali rispetto all’analoga rilevazione condotta nel 2006 (sui laureati del 1997-1998). Si dichiara alla ricerca di un lavoro il 10% (erano 6 su cento tra i laureati 1997-1998). Stabili 81 occupati su cento, di cui il 63% con un contratto a tempo indeterminato e il restante 18 con un lavoro autonomo. I laureati degli anni 2000-2001-2002, vedono la propria retribuzione mensile netta attestarsi, in media, a 1.620 euro (era di 1.466 euro tra i laureati del 1997-1998 intervistati nel 2006). In termini reali, gli stipendi sono rimasti pressoché costanti.

Il Corriere della Sera 06.03.12

Una squadra arcobaleno nel Nord-est "Con il calcio sfidiamo i pregiudizi", di Jenner Meletti

Idris El Omari, marocchino di 22 anni, ha chiesto la maglia numero 5, «quella di Zidane al Real Madrid». Marcelo Pincini, argentino di 25 anni, ha scelto la numero 16, «come Aguero, il mito del Manchester City». Ibrahim M., un sudanese di 32 anni scappato dalla guerra di Libia, punta ancora più in alto. «Il mio idolo è Messi, ma non sono un originale. Quasi tutti i miei compagni vorrebbero essere come lui». Quattro fari illuminano il campo di allenamento, alla periferia di Feltre. «Passa a destra poi punta alla porta. Vai, vai, vai». Dialetto veneto, italiano, inglese e altre lingue arrivate da mezzo mondo si mescolano nel campo da calcio sotto il monte Grappa. Se si esponessero le bandiere di tutti i giocatori, sarebbero necessari undici pennoni. Quattordici dei ventotto calciatori tesserati alla Porcenese Calcio, torneo Csi, sono infatti nati in terre lontane, dall´Argentina alla Macedonia, dall´India al Gambia, dalla Polonia all´Albania. «In un mondo normale – dice il presidente della squadra, Marco Zanella, 25 anni – il fatto di avere mezza squadra di stranieri non dovrebbe fare notizia. Ho solo messo assieme i ragazzi della mia frazione, Porcen, e altri dei paesi vicini. Marocchini, indiani e macedoni e tanti altri sono qui da anni, a lavorare in campagna e soprattutto nelle fabbriche. È dunque normale avere una squadra con tanti colori. Abbiamo messo su un campo da calcio un pezzo di quella società dentro la quale già viviamo. Un gruppo come il nostro può essere una provocazione solo per chi fa finta di non conoscere la nuova realtà».
Porcen ha 350 abitanti in tutto, una chiesa, un bar e un´osteria, e la sagra di Santa Barbara, a dicembre, dove con “Indovina il peso” puoi vincere un maiale. «Abbiamo fatto – dice il presidente, un ragazzo laureato in mediazione linguistica che lavora come impiegato in un´azienda metalmeccanica – tutto in regola. Ci siamo iscritti al campionato Csi, pagando 560 euro. Abbiamo cercato un campo e qui sono iniziati i problemi. Nessuno voleva darcelo. Forse pensavano – io sono buono – che una squadra tutta nuova avesse problemi a pagare. Alla fine il campo l´abbiamo trovato a Feltre, 55 euro a partita. Volevamo fare delle amichevoli, prima del campionato, ma non è stato facile. L´abbiamo chiesto a 12 squadre e solo 2 hanno detto sì. Siamo già impegnati, dovevate dircelo prima… Il fatto è che quando si gioca nel campionato non possono dire no, altrimenti perdono la partita a tavolino. Quando possono scegliere un´amichevole, la Porcenese viene dimenticata. E non certo perché siamo troppo forti: in classifica siamo settimi, su dieci squadre».
Non è facile la vita di una squadra arcobaleno nel Nordest dove «”el leon che magna el teron” – dice Marco Zanella – non è solo un ricordo del passato». «”Paròni a casa nostra” è ancora una parola d´ordine. E se giri nei bar (solo nel centro storico di Feltre ce ne sono 50, e chiudono invece teatri e cinema) nei mercati, nelle piazze, senti anche di peggio: negro de merda, teron del casso… Per fortuna, quando entri in campo, trovi un mondo diverso. Quando arrivi e aspetti di entrare nello spogliatoio, ci guardano un poco perplessi. “E questa sarebbe la squadra di Porcen della val feltrina?”. Poi si gioca e si è soltanto 11 giocatori contro 11. Il razzismo, almeno per ora, resta fuori dal prato verde».
Anche a Porcen l´inizio non è stato facile. «Quando abbiamo deciso di fare gli sponsor della squadra – raccontano Silvia Turrin e Rosemarie Prenot, le ragazze dell´Osteria la Pergola – qualche cliente ci ha detto: ma cosa c´entra Porcel con questi marocchini e macedoni? Poi hanno visto questi ragazzi tutti assieme, a bere un bicchiere dopo l´allenamento, e hanno detto: che belli, finalmente un po´ di gioventù. E sono anche forti in campo». Mille euro dall´osteria, per comprare due divise a testa, maglia, calzoncini e calzettoni. Il prossimo anno ci sarà anche un altro sponsor, la pizzeria Il Castegner. Così si potranno comprare le tute. Borse e scarpe sono a carico dei giocatori, che pagano anche 60 euro all´anno per l´iscrizione. «Ma c´è anche chi non può pagare – dice il presidente – ed entra comunque nella squadra». Lamin B., 24 anni, è un rifugiato politico. Nato in Gambia è scappato in Libia, perché suo padre è un oppositore del regime. «Quando è scoppiata la guerra anche lì, sono venuto in Italia, su un barcone. Vivo con Ibrahim, anche lui rifugiato, in un appartamento della Caritas. Esco solo per andare a scuola di italiano e per giocare a calcio. È bello stare assieme agli altri, avere una divisa da calciatore e per qualche ora pensare solo al pallone. Quando sono in casa riesco a pensare solo a mio padre, che è scappato in Senegal e al fatto che, se torno in Gambia, rischio di essere ucciso».
I ragazzi sul campo di allenamento rincorrono anche i loro sogni. Ervin Lika, albanese di 27 anni, ha una piccola impresa edile e spera di trovare «anche clienti italiani». Idris El Omari, il marocchino, ha un diploma di aiuto cuoco e spera di trovare un posto di lavoro. Marcelo l´argentino dice che altre tre squadre lo hanno chiesto ma lui ha scelto la Porcenese. «Ci sono ragazzi di tutto il mondo, si impara di più. Se potessi diventare bravo come Messi… Anche la metà andrebbe bene». I fari del campo illuminano ancora ragazzi che giocano a calcio. Non stranieri.

La Repubblica 06.05.12