Latest Posts

"La scuola in vetrina", di Marina Boscaino

Sono appena terminati gli ultimi Open day, che – nel linguaggio cifrato dell’autonomia di facciata, ignoto a chi non abbia almeno un nipotino studente e invece assai familiare a genitori e insegnanti – scandiscono il periodo conclusivo del cosiddetto “Orientamento”, quello in cui le scuole devono tentare di attirare il maggior numero di iscritti, specie ora che la soglia dei mille alunni decide sopravvivenza o accorpamento. Le iscrizioni sono chiuse.
Una domenica, in genere, con la scuola aperta, per accogliere potenziali utenti che possono così prendere contatto con struttura, Piano dell’offerta formativa, attività svolte durante l’anno; accompagnati da insegnanti – che accolgono, spiegano, illustrano – talvolta coadiuvati dagli studenti più grandi. Una lettera al Corriere vi individua «una sorta di campagna promozionale della scuola, in cui si mostrano i locali, si illustrano le attività ed i progetti e si conosce parte del corpo docente della scuola presso la quale si vorrebbe iscrivere il proprio figlio». Il “responsabile dell’orientamento” (l’insegnante affidatario dell’incarico) si dedica soprattutto a organizzare gli eventi e a girare per le scuole medie del proprio bacino di utenti potenziali per magnificare ai genitori le attività della propria scuola ed invitarli alla kermesse casalinga.
Ma i ragazzi delle medie che passeggiano tra i corridoi dei vari istituti vengono davvero orientati? E, soprattutto, la loro scelta sarà frutto di un autentico orientamento o il confluire spontaneo di rendimenti e destini sociali già determinati: i bravi-ricchi ai licei, i somari-poveri-migranti al professionale (o, al più, al tecnico)? Nei programmi del ’79 si afferma che la scuola media è formativa ed è orientativa, perché promuove le condizioni affinché i ragazzi compiano scelte personali e realistiche in un mondo in continua trasformazione, consolidando il proprio processo identitario e capacità decisionali fondate su una verificata conoscenza di sé. Non sono, dunque, “orientativi” gli edifici, la maggiore o minore ospitalità degli insegnanti, il numero dei progetti sviluppati. E invece si è rinunciato a scandagliare il necessario rapporto tra orientamento reale (inseparabile da una collaborazione serrata tra ordini di scuola) e didattica: non solo orientare, ma promuovere le condizioni per orientarsi, dando allo studente l’opportunità di partecipare al processo che rende possibile il formarsi del sapere.
Ancora una volta la pratica sconfessa la teoria: a vincere è invece, nella sede idealmente più lontana, la scuola, una visione mercificante, che ha reso l’autonomia scolastica sbiadita controfigura dell’idea originale. Un intero sistema scolastico davvero orientante non dovrebbe fare dell’orientamento un fatto occasionale, frettoloso e sintetico giudizio a conclusione della scuola media, che caldeggia studi liceali o tecnico-professionali, ma costante azione interna del processo educativo, al di là di automatismi e rapporti di causa-effetto tra quota di benessere economico e sociale e attitudini individuali. Do-vrebbe, insomma, concretizzare la funzione emancipante dell’istruzione.
La scuola-vetrina può forse abbagliare il “cliente”, ma certamente impedisce al cittadino di valutare in modo critico se stesso e i percorsi formativi che la comunità educante gli offre.

da Adista 9/12

“La scuola in vetrina”, di Marina Boscaino

Sono appena terminati gli ultimi Open day, che – nel linguaggio cifrato dell’autonomia di facciata, ignoto a chi non abbia almeno un nipotino studente e invece assai familiare a genitori e insegnanti – scandiscono il periodo conclusivo del cosiddetto “Orientamento”, quello in cui le scuole devono tentare di attirare il maggior numero di iscritti, specie ora che la soglia dei mille alunni decide sopravvivenza o accorpamento. Le iscrizioni sono chiuse.
Una domenica, in genere, con la scuola aperta, per accogliere potenziali utenti che possono così prendere contatto con struttura, Piano dell’offerta formativa, attività svolte durante l’anno; accompagnati da insegnanti – che accolgono, spiegano, illustrano – talvolta coadiuvati dagli studenti più grandi. Una lettera al Corriere vi individua «una sorta di campagna promozionale della scuola, in cui si mostrano i locali, si illustrano le attività ed i progetti e si conosce parte del corpo docente della scuola presso la quale si vorrebbe iscrivere il proprio figlio». Il “responsabile dell’orientamento” (l’insegnante affidatario dell’incarico) si dedica soprattutto a organizzare gli eventi e a girare per le scuole medie del proprio bacino di utenti potenziali per magnificare ai genitori le attività della propria scuola ed invitarli alla kermesse casalinga.
Ma i ragazzi delle medie che passeggiano tra i corridoi dei vari istituti vengono davvero orientati? E, soprattutto, la loro scelta sarà frutto di un autentico orientamento o il confluire spontaneo di rendimenti e destini sociali già determinati: i bravi-ricchi ai licei, i somari-poveri-migranti al professionale (o, al più, al tecnico)? Nei programmi del ’79 si afferma che la scuola media è formativa ed è orientativa, perché promuove le condizioni affinché i ragazzi compiano scelte personali e realistiche in un mondo in continua trasformazione, consolidando il proprio processo identitario e capacità decisionali fondate su una verificata conoscenza di sé. Non sono, dunque, “orientativi” gli edifici, la maggiore o minore ospitalità degli insegnanti, il numero dei progetti sviluppati. E invece si è rinunciato a scandagliare il necessario rapporto tra orientamento reale (inseparabile da una collaborazione serrata tra ordini di scuola) e didattica: non solo orientare, ma promuovere le condizioni per orientarsi, dando allo studente l’opportunità di partecipare al processo che rende possibile il formarsi del sapere.
Ancora una volta la pratica sconfessa la teoria: a vincere è invece, nella sede idealmente più lontana, la scuola, una visione mercificante, che ha reso l’autonomia scolastica sbiadita controfigura dell’idea originale. Un intero sistema scolastico davvero orientante non dovrebbe fare dell’orientamento un fatto occasionale, frettoloso e sintetico giudizio a conclusione della scuola media, che caldeggia studi liceali o tecnico-professionali, ma costante azione interna del processo educativo, al di là di automatismi e rapporti di causa-effetto tra quota di benessere economico e sociale e attitudini individuali. Do-vrebbe, insomma, concretizzare la funzione emancipante dell’istruzione.
La scuola-vetrina può forse abbagliare il “cliente”, ma certamente impedisce al cittadino di valutare in modo critico se stesso e i percorsi formativi che la comunità educante gli offre.

da Adista 9/12

"Scoperto un milione di immobili fantasma lo Stato potrebbe incassare 2 miliardi", di Valentina Conte

Un tesoretto inaspettato da 2 miliardi di euro, ben nascosto in un milione e 82 mila immobili fantasma, scovati e riportati alla luce del Catasto (e del Fisco) da un´azione capillare e super-tecnologica dell´Agenzia del territorio. Mille persone, otto mesi di lavoro sul campo, per indagare 818 mila particelle, ovvero pezzetti di terreno su cui negli anni si è costruito in totale libertà, a cui aggiungere quelle relative ai contribuenti che si sono autodenunciati entro lo scorso aprile. Risultato: individuati oltre un milione di fabbricati totalmente sconosciuti che valgono 817 milioni di euro di rendita catastale e 472 milioni di tasse per l´anno in corso (tra Imu, cedolare secca, imposta di registro). Considerati gli arretrati (fino a 5 anni di retroattività per le tasse non pagate), il tesoretto potrebbe davvero centrare quota 2 miliardi di euro. Entro giugno, poi, il lavoro sarà completato, fino alla quota record di 2,2 milioni di particelle resuscitate. Tasse comprese.

Il metodo è quasi banale: sovrapporre le ortofoto aeree ad alta risoluzione del territorio italiano alla cartografia catastale. E poi segnare con un puntino rosso i tetti che prima non c´erano. Scovare i fantasmi del mattone è nient´altro che il frutto di questa operazione. Nella pratica, un enorme lavoro. Tecnologico, innanzitutto: la Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) ha messo a disposizione, gratis, le foto all´Agenzia del territorio, che però ha dovuto adeguare la propria cartografia, un tempo solo cartacea, ora “vettorializzata”, ovvero digitalizzata ad altissima risoluzione. E lavoro pratico, poi: mille uomini dell´Agenzia in giro a svelare le incongruenze dei due scatti.

I RISULTATI
Nel mirino sono entrate oltre 2,2 milioni di particelle (pezzetti di terreno), identificate nel 2011 come sospette, di cui 1,8 milioni già controllate (le restanti lo saranno entro giugno), anche grazie a più di un milione di contribuenti che si sono autodenunciati al 30 aprile dello scorso anno. Se si escludono le particelle che non richiedono di essere accatastate (spianate, ruderi, case in corso di costruzione) e quelle che i tecnici dell´Agenzia non sono riusciti a controllare perché inaccessibili (costruzioni con mura di cinta alte, parchi, cancelli, alberi), l´intera operazione ha portato alla luce un milione e 81 mila immobili fantasmi, inesistenti per la banca dati del Catasto e a Fisco zero. I proprietari non hanno mai versato un euro di tasse.

TIPOLOGIE DI IMMOBILI
Un terzo delle nuove strutture (34%) è costituito da abitazioni e quasi un terzo (31%) da magazzini. Il resto si divide tra autorimesse (18%) e “altro” (17%). La categoria “altro” è molto interessante anche perché ad essa fa capo il 72% della nuova rendita catastale rilevata (tra definitiva, in quanto autodenunciata, e presunta), ovvero 585 su 817 milioni totali. Un importo rilevante, spiegabile proprio perché dentro “altro” ci sono stabilimenti industriali, uffici e negozi.

CHI NASCONDE DI PIÙ
Nella classifica delle Province e Regioni con più “fantasmi” vince Bari per i magazzini (13.003), Cosenza per le abitazioni (18.801), Cuneo per “altro” (12.817), Perugia per le autorimesse (6.502), Napoli come Provincia sul totale (37.519), la Sicilia come Regione (153.276), Trapani come rendita catastale totale (88,5 milioni di cui 85 in “altro”), Salerno per le particelle ancora da verificare (42.788). Un´Italia che appare spaccata in due: al Nord più capannoni e negozi, al Sud più case.

LE PREVISIONI DI GETTITO
Il Dipartimento delle Finanze stima che la maggiore rendita catastale, ora regolarmente iscritta (817,39 milioni), determinerà per quest´anno un gettito aggiuntivo di circa 472 milioni di euro, così diviso: 356 milioni ai fini Imu (anche sulla prima casa), 110 milioni da Irpef e cedolare secca (affitti), 6 milioni dall´imposta di registro su canoni di locazione. A questo importo, quasi mezzo miliardo, vanno aggiunte le somme recuperabili in modo retroattivo, fino a 5 anni, a meno che il proprietario non dimostri che l´immobile ex-fantasma esiste da meno tempo. La cifra di 2 miliardi totali, un vero e proprio tesoretto, non è considerata del tutto peregrina.

IL RUOLO DEI COMUNI
Pagate le tasse dovute, spetterà ai Comuni esprimersi sulla regolarità delle nuove costruzioni e decidere se abbattere o condonare le irregolari. A Roma, scovate 32 mila strutture in tutto (di cui 12.711 case), a Milano 12 mila (3.701 case), a Napoli 37 mila (17.849 case). Questi «straordinari risultati», ha commentato Gabriella Alemanno, direttore dell´Agenzia del territorio, «sono stati resi possibili per effetto di soluzioni organizzative e tecnologie innovative mai utilizzate prima».

La Repubblica 06.03.12

******

Più di 7 miliardi dalla lotta all´evasione incremento del 22,7% in un solo anno

Piccolo balzo delle entrate tributarie. Nel periodo gennaio-dicembre sono arrivati nelle casse dello Stato 411,7 miliardi (+4,8 miliardi rispetto al 2010) segnando una crescita dell´1,2 per cento. Il 2012 invece parte per il Fisco con un vero e proprio sprint, anche se il dato di un solo mese dell´anno «non è particolarmente significativo», come fa sapere lo stesso Dipartimento delle Finanze: le entrate tributarie erariali registrate nel mese di gennaio 2012 ammontano a 32,6 miliardi in crescita del 4,5 per cento (+1,4 miliardi) rispetto allo stesso mese dell´anno precedente.
Nel 2011 si è comunque rischiato il peggio perché a partire dalla seconda metà dell´anno, come spiega il ministero dell´Economia che ieri ha diffuso le cifre, «il peggioramento del quadro congiunturale dell´economia italiana, conseguente all´aggravarsi della crisi del debito sovrano, ha determinato un´attenuazione del ritmo sostenuto di crescita delle entrate tributarie registrato nei primi mesi dell´anno». La caduta, a partire dall´estate, è stata dunque frenata dalle misure delle manovre correttive di finanza pubblica. Così, in uno degli anni più difficili per l´economia e la finanza pubblica italiana, gli incassi chiudono con il segno più.
Nel dettaglio, diminuiscono gli introiti dell´Ire, l´imposta sul reddito delle persone, quella che una volta si chiamava Irpef: -0,3 per cento. Ma la crisi si è sentita ancora di più sul gettito delle imprese e infatti l´Ires ha perso il 2,9 per cento. Continua ad andare forte il gettito dei giochi che non sembrano risentire della congiuntura. Anzi, le entrate totali relative alle scommesse in generale sono risultate pari a 13,7 miliardi (+1 miliardo rispetto all´anno precedente, pari a +8,4 per cento).
Crescita a due cifre per i risultati della lotta all´evasione. Il 2011 «chiude con un risultato molto positivo degli incassi da ruoli relativi ad attività di accertamento e controllo che hanno generato incassi per 7,3 miliardi, facendo registrare un incremento del 22,7 per cento rispetto al 2010 (pari a +1,3 miliardi)», rileva il ministero dell´Economia. «L´Italia ha fatto molto per combattere l´evasione fiscale – commenta da Bruxelles il commissario alla Fiscalità Algirdas Semeta – ma il problema resta ancora molto grande».

La Repubblica 06.03.12

“Scoperto un milione di immobili fantasma lo Stato potrebbe incassare 2 miliardi”, di Valentina Conte

Un tesoretto inaspettato da 2 miliardi di euro, ben nascosto in un milione e 82 mila immobili fantasma, scovati e riportati alla luce del Catasto (e del Fisco) da un´azione capillare e super-tecnologica dell´Agenzia del territorio. Mille persone, otto mesi di lavoro sul campo, per indagare 818 mila particelle, ovvero pezzetti di terreno su cui negli anni si è costruito in totale libertà, a cui aggiungere quelle relative ai contribuenti che si sono autodenunciati entro lo scorso aprile. Risultato: individuati oltre un milione di fabbricati totalmente sconosciuti che valgono 817 milioni di euro di rendita catastale e 472 milioni di tasse per l´anno in corso (tra Imu, cedolare secca, imposta di registro). Considerati gli arretrati (fino a 5 anni di retroattività per le tasse non pagate), il tesoretto potrebbe davvero centrare quota 2 miliardi di euro. Entro giugno, poi, il lavoro sarà completato, fino alla quota record di 2,2 milioni di particelle resuscitate. Tasse comprese.

Il metodo è quasi banale: sovrapporre le ortofoto aeree ad alta risoluzione del territorio italiano alla cartografia catastale. E poi segnare con un puntino rosso i tetti che prima non c´erano. Scovare i fantasmi del mattone è nient´altro che il frutto di questa operazione. Nella pratica, un enorme lavoro. Tecnologico, innanzitutto: la Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) ha messo a disposizione, gratis, le foto all´Agenzia del territorio, che però ha dovuto adeguare la propria cartografia, un tempo solo cartacea, ora “vettorializzata”, ovvero digitalizzata ad altissima risoluzione. E lavoro pratico, poi: mille uomini dell´Agenzia in giro a svelare le incongruenze dei due scatti.

I RISULTATI
Nel mirino sono entrate oltre 2,2 milioni di particelle (pezzetti di terreno), identificate nel 2011 come sospette, di cui 1,8 milioni già controllate (le restanti lo saranno entro giugno), anche grazie a più di un milione di contribuenti che si sono autodenunciati al 30 aprile dello scorso anno. Se si escludono le particelle che non richiedono di essere accatastate (spianate, ruderi, case in corso di costruzione) e quelle che i tecnici dell´Agenzia non sono riusciti a controllare perché inaccessibili (costruzioni con mura di cinta alte, parchi, cancelli, alberi), l´intera operazione ha portato alla luce un milione e 81 mila immobili fantasmi, inesistenti per la banca dati del Catasto e a Fisco zero. I proprietari non hanno mai versato un euro di tasse.

TIPOLOGIE DI IMMOBILI
Un terzo delle nuove strutture (34%) è costituito da abitazioni e quasi un terzo (31%) da magazzini. Il resto si divide tra autorimesse (18%) e “altro” (17%). La categoria “altro” è molto interessante anche perché ad essa fa capo il 72% della nuova rendita catastale rilevata (tra definitiva, in quanto autodenunciata, e presunta), ovvero 585 su 817 milioni totali. Un importo rilevante, spiegabile proprio perché dentro “altro” ci sono stabilimenti industriali, uffici e negozi.

CHI NASCONDE DI PIÙ
Nella classifica delle Province e Regioni con più “fantasmi” vince Bari per i magazzini (13.003), Cosenza per le abitazioni (18.801), Cuneo per “altro” (12.817), Perugia per le autorimesse (6.502), Napoli come Provincia sul totale (37.519), la Sicilia come Regione (153.276), Trapani come rendita catastale totale (88,5 milioni di cui 85 in “altro”), Salerno per le particelle ancora da verificare (42.788). Un´Italia che appare spaccata in due: al Nord più capannoni e negozi, al Sud più case.

LE PREVISIONI DI GETTITO
Il Dipartimento delle Finanze stima che la maggiore rendita catastale, ora regolarmente iscritta (817,39 milioni), determinerà per quest´anno un gettito aggiuntivo di circa 472 milioni di euro, così diviso: 356 milioni ai fini Imu (anche sulla prima casa), 110 milioni da Irpef e cedolare secca (affitti), 6 milioni dall´imposta di registro su canoni di locazione. A questo importo, quasi mezzo miliardo, vanno aggiunte le somme recuperabili in modo retroattivo, fino a 5 anni, a meno che il proprietario non dimostri che l´immobile ex-fantasma esiste da meno tempo. La cifra di 2 miliardi totali, un vero e proprio tesoretto, non è considerata del tutto peregrina.

IL RUOLO DEI COMUNI
Pagate le tasse dovute, spetterà ai Comuni esprimersi sulla regolarità delle nuove costruzioni e decidere se abbattere o condonare le irregolari. A Roma, scovate 32 mila strutture in tutto (di cui 12.711 case), a Milano 12 mila (3.701 case), a Napoli 37 mila (17.849 case). Questi «straordinari risultati», ha commentato Gabriella Alemanno, direttore dell´Agenzia del territorio, «sono stati resi possibili per effetto di soluzioni organizzative e tecnologie innovative mai utilizzate prima».

La Repubblica 06.03.12

******

Più di 7 miliardi dalla lotta all´evasione incremento del 22,7% in un solo anno

Piccolo balzo delle entrate tributarie. Nel periodo gennaio-dicembre sono arrivati nelle casse dello Stato 411,7 miliardi (+4,8 miliardi rispetto al 2010) segnando una crescita dell´1,2 per cento. Il 2012 invece parte per il Fisco con un vero e proprio sprint, anche se il dato di un solo mese dell´anno «non è particolarmente significativo», come fa sapere lo stesso Dipartimento delle Finanze: le entrate tributarie erariali registrate nel mese di gennaio 2012 ammontano a 32,6 miliardi in crescita del 4,5 per cento (+1,4 miliardi) rispetto allo stesso mese dell´anno precedente.
Nel 2011 si è comunque rischiato il peggio perché a partire dalla seconda metà dell´anno, come spiega il ministero dell´Economia che ieri ha diffuso le cifre, «il peggioramento del quadro congiunturale dell´economia italiana, conseguente all´aggravarsi della crisi del debito sovrano, ha determinato un´attenuazione del ritmo sostenuto di crescita delle entrate tributarie registrato nei primi mesi dell´anno». La caduta, a partire dall´estate, è stata dunque frenata dalle misure delle manovre correttive di finanza pubblica. Così, in uno degli anni più difficili per l´economia e la finanza pubblica italiana, gli incassi chiudono con il segno più.
Nel dettaglio, diminuiscono gli introiti dell´Ire, l´imposta sul reddito delle persone, quella che una volta si chiamava Irpef: -0,3 per cento. Ma la crisi si è sentita ancora di più sul gettito delle imprese e infatti l´Ires ha perso il 2,9 per cento. Continua ad andare forte il gettito dei giochi che non sembrano risentire della congiuntura. Anzi, le entrate totali relative alle scommesse in generale sono risultate pari a 13,7 miliardi (+1 miliardo rispetto all´anno precedente, pari a +8,4 per cento).
Crescita a due cifre per i risultati della lotta all´evasione. Il 2011 «chiude con un risultato molto positivo degli incassi da ruoli relativi ad attività di accertamento e controllo che hanno generato incassi per 7,3 miliardi, facendo registrare un incremento del 22,7 per cento rispetto al 2010 (pari a +1,3 miliardi)», rileva il ministero dell´Economia. «L´Italia ha fatto molto per combattere l´evasione fiscale – commenta da Bruxelles il commissario alla Fiscalità Algirdas Semeta – ma il problema resta ancora molto grande».

La Repubblica 06.03.12

"AAA. Cercasi tesoretto per gli ammortizzatori sociali", di Gianmaria Pica

Dove trovare le risorse per estendere gli ammortizzatori sociali anche alle categorie oggi non coperte? Lo Stato è in grado di accollarsi il costo del sussidio di disoccupazione per i precari? E a quanto ammonta questo onere? Ecco tutte le ricette di politici, giuslavoristi e sindacalisti.
La trattativa della riforma del lavoro è sospesa. Il dialogo tra parti sociali e governo riprenderà la prossima settimana, in attesa del rientro da New York del segretario della Cgil Susanna Camusso – che parteciperà all’assemblea dell’Onu sulle donne – e della manifestazione nazionale organizzata dalla Fiom contro la Fiat, l’esecutivo Monti e l’ipotesi di modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ma il tavolo di discussione si è arenato anche per dar tempo al ministro del Lavoro, Elsa Fornero, di trovare le risorse da destinare agli ammortizzatori sociali. Senza soldi è difficile portare a termine la riforma. Dunque, dove trovare i fondi? Le soluzioni sono diverse. Vediamo.
Naturalmente le ricette tracciate da politici – anche appartenenti allo stesso schieramento -, giuslavoristi e sindacalisti sono contrastanti. E se il Popolo della libertà non ha ancora preso una posizione, il Partito democratico ne ha addirittura troppe. Per esempio, il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, propone di sfruttare la crisi per riformare gli ammortizzatori. Letta non entra nel merito sul reperimento delle risorse, ma invita il governo a pronunciarsi celermente sulla questione. Invece, non lascia dubbi la teoria del responsabile economico del Pd Stefano Fassina. La sua tesi è chiara: si può «mettere da parte un po’ degli ingentissimi risparmi generati dalla riforma delle pensioni». Un proposta sostenuta anche da Tiziano Treu, giuslavorista e senatore democrat. Treu, però, va oltre: «Sì alla destinazione agli ammortizzatori delle maggiori risorse derivanti dalla riforma delle pensioni, ma – spiega al Riformista – altri fondi si possono reperire facendo pagare un po’ di più gli enti bilaterali di formazione», cioè quegli strumenti aziendali, fondamentali del sistema delle relazioni sindacali, con l’obiettivo di risolvere le problematiche collegate al mondo del lavoro. Il Pdl non ha suggerimenti da fornire alla Fornero, anche se tra qualche giorno Maurizio Sacconi, ex ministro del Welfare nell’ultimo governo Berlusconi, proporrà di destinare i soldi risparmiati con la riforma previdenziale come incentivo per un’assicurazione pensionistica complementare obbligatoria.
L’ipotesi di destinare il “tesoretto pensionistico” – circa 20 miliardi all’anno – a cassa integrazione e sussidi di disoccupazione trova l’ok di Raffaele Bonanni, leader della Cisl. Ma per Uil e Cgil i fondi si possono cercare altrove. Secondo la Camusso, considerando anche la resistenza dello Spi-Cgil, le risorse per un paracadute sociale universale si possono trovare con «una patrimoniale e con le maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione fiscale». Anche Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, afferma che si potrebbe «attingere dai soldi recuperati dall’evasione fiscale, passati dai 10 miliardi di euro del 2010 ai 12 del 2011».
Troppe ipotesi in campo? Per l’economista Carlo Dell’Aringa, docente all’università Cattolica di Milano, è comunque «inevitabile l’apporto di maggiori contenuti» per realizzare la riforma degli ammortizzatori, e quindi «che vengano dai risparmi della riforma delle pensioni, o dalla patrimoniale, o da altre strade ancora, l’importante è che fonti alternative vengano trovate». «Per una riforma efficace e di medio-lungo periodo -sottolinea il professore – non si può caricare ulteriormente il costo del lavoro, che va diminuito per concorrere con gli altri partner europei, e vanno trovate fonti alternative». E riformare gli ammortizzatori sociali serve «per mantenere la coesione sociali, necessaria per la sfida della crescita -conclude- che il governo Monti deve affrontare».

Il Riformista 06.03.12

“AAA. Cercasi tesoretto per gli ammortizzatori sociali”, di Gianmaria Pica

Dove trovare le risorse per estendere gli ammortizzatori sociali anche alle categorie oggi non coperte? Lo Stato è in grado di accollarsi il costo del sussidio di disoccupazione per i precari? E a quanto ammonta questo onere? Ecco tutte le ricette di politici, giuslavoristi e sindacalisti.
La trattativa della riforma del lavoro è sospesa. Il dialogo tra parti sociali e governo riprenderà la prossima settimana, in attesa del rientro da New York del segretario della Cgil Susanna Camusso – che parteciperà all’assemblea dell’Onu sulle donne – e della manifestazione nazionale organizzata dalla Fiom contro la Fiat, l’esecutivo Monti e l’ipotesi di modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ma il tavolo di discussione si è arenato anche per dar tempo al ministro del Lavoro, Elsa Fornero, di trovare le risorse da destinare agli ammortizzatori sociali. Senza soldi è difficile portare a termine la riforma. Dunque, dove trovare i fondi? Le soluzioni sono diverse. Vediamo.
Naturalmente le ricette tracciate da politici – anche appartenenti allo stesso schieramento -, giuslavoristi e sindacalisti sono contrastanti. E se il Popolo della libertà non ha ancora preso una posizione, il Partito democratico ne ha addirittura troppe. Per esempio, il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, propone di sfruttare la crisi per riformare gli ammortizzatori. Letta non entra nel merito sul reperimento delle risorse, ma invita il governo a pronunciarsi celermente sulla questione. Invece, non lascia dubbi la teoria del responsabile economico del Pd Stefano Fassina. La sua tesi è chiara: si può «mettere da parte un po’ degli ingentissimi risparmi generati dalla riforma delle pensioni». Un proposta sostenuta anche da Tiziano Treu, giuslavorista e senatore democrat. Treu, però, va oltre: «Sì alla destinazione agli ammortizzatori delle maggiori risorse derivanti dalla riforma delle pensioni, ma – spiega al Riformista – altri fondi si possono reperire facendo pagare un po’ di più gli enti bilaterali di formazione», cioè quegli strumenti aziendali, fondamentali del sistema delle relazioni sindacali, con l’obiettivo di risolvere le problematiche collegate al mondo del lavoro. Il Pdl non ha suggerimenti da fornire alla Fornero, anche se tra qualche giorno Maurizio Sacconi, ex ministro del Welfare nell’ultimo governo Berlusconi, proporrà di destinare i soldi risparmiati con la riforma previdenziale come incentivo per un’assicurazione pensionistica complementare obbligatoria.
L’ipotesi di destinare il “tesoretto pensionistico” – circa 20 miliardi all’anno – a cassa integrazione e sussidi di disoccupazione trova l’ok di Raffaele Bonanni, leader della Cisl. Ma per Uil e Cgil i fondi si possono cercare altrove. Secondo la Camusso, considerando anche la resistenza dello Spi-Cgil, le risorse per un paracadute sociale universale si possono trovare con «una patrimoniale e con le maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione fiscale». Anche Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, afferma che si potrebbe «attingere dai soldi recuperati dall’evasione fiscale, passati dai 10 miliardi di euro del 2010 ai 12 del 2011».
Troppe ipotesi in campo? Per l’economista Carlo Dell’Aringa, docente all’università Cattolica di Milano, è comunque «inevitabile l’apporto di maggiori contenuti» per realizzare la riforma degli ammortizzatori, e quindi «che vengano dai risparmi della riforma delle pensioni, o dalla patrimoniale, o da altre strade ancora, l’importante è che fonti alternative vengano trovate». «Per una riforma efficace e di medio-lungo periodo -sottolinea il professore – non si può caricare ulteriormente il costo del lavoro, che va diminuito per concorrere con gli altri partner europei, e vanno trovate fonti alternative». E riformare gli ammortizzatori sociali serve «per mantenere la coesione sociali, necessaria per la sfida della crescita -conclude- che il governo Monti deve affrontare».

Il Riformista 06.03.12

"Quanta ideologia dietro il mantra della valutazione", Benedetto Vertecchi

Nelle settimane passate è stato annunciato con enfasi l’avvio del progetto Vales, il cui scopo, secondo quanto è detto nel documento illustrativo diffuso dal Ministero dell’Istruzione, è di sperimentare un modello di valutazione della scuola e della dirigenza centrato su «criteri condivisi, trasparenti, efficaci e basati su indicatori ricavati da molteplici prospettive di osservazione». Ciò in vista della diffusione di «una cultura della valutazione esterna e della rendicontazione finalizzata al miglioramento del servizio». Mi chiedo se chi ha scritto queste righe sia consapevole del concentrato d’ideologia che contengono. Mi chiedo anche se sia stato considerato che la valutazione non consiste nell’assumere dati, anche se da differenti punti di osservazione, e nell’elaborarli per ricavarne indicatori, ma nell’interpretare i fenomeni e collocarli entro dimensioni interpretative estese che considerino non solo quanto appare al momento, ma ancor più il modo in cui si sono venute a produrre determinate distribuzioni di variabili. In altre parole, la valutazione riassume in un giudizio che contiene un apprezzamento (non importa, da un punto di vista generale, se positivo o negativo) tutti gli elementi di conoscenza di cui si dispone su come si siano prodotti i fenomeni presi in considerazione. Il fatto è che ci sono più modi per affrontare la valutazione. Quello riflesso negli enunciati del progetto Vales (nei quali la condivisione, la trasparenza, eccetera, sono lustrini volti ad acquisire la benevolenza di quella che Bacone avrebbe chiamato la tribù) è un modello di valutazione che fa riferimento in massima parte a variabili dipendenti. È come dire che si costata ciò che appare in un momento determinato e che si esprime un giudizio circa la corrispondenza fra ciò che si attende e ciò che si osserva. È vero che il progetto Vales introduce una linea diacronica per rilevare quello che è stato definito valore aggiunto, ma è anche vero che si tratta pur sempre di variabili dipendenti, anche se considerate per la distribuzione che le caratterizza in momenti diversi. Se rilevo in una scuola una differenza tra la distribuzione di variabili relative all’apprendimento nel tempo t1 e quella nel tempo t2, in entrambi i tempi si tratta di variabili dipendenti, in quanto i valori che assumono devono essere posti in relazione alle condizioni in cui gli allievi hanno vissuto esperienze che in varia misura possono aver concorso a produrre certi effetti. Introdurre il concetto di valore aggiunto è una sorta di calco, che rivela però mancanza di autonomia nei confronti di una concezione totalizzante più o meno propriamente riferibile ad aspetti economici della vita sociale. Ma è proprio questo calco che rivela il significato ideologico del progetto Vales: si assume una logica orientata a interpretazioni di breve periodo (com’è, per lo più, quella che si riferisce alla produzione di beni o servizi) in sostituzione di quella orientata ai tempi lunghi propria delle interpretazioni educative. Non basta ardere i rituali granelli d’incenso nei confronti della cultura della valutazione: occorre consapevolezza della complessità del sistema educativo soprattutto a livello delle variabili indipendenti. Ma da una simile consapevolezza non potrebbero che derivare scelte del tutto difformi da quelle che da una decina d’anni si vanno effettuando. Di fronte a ciò che non soddisfa nel funzionamento del sistema educativo, si procede per eliminazione, senza chiedersi se simili interventi non peggiorino i problemi ai quali (almeno a parole) si vorrebbe dare soluzione. È un fatto che siano espressi giudizi negativi basati su variabili dipendenti (per esempio, i livelli deludenti della competenza raggiunta nella capacità di comprensione della lettura, negli apprendimenti matematici o in quelli scientifici), e s’intervenga modificando la distribuzione delle variabili indipendenti secondo criteri nominalmente di efficienza, ma nei fatti di riduzione della spesa, anche quando da tale riduzione discende un peggioramento delle condizioni in cui la scuola svolge la propria azione (perché diminuire il numero degli insegnanti o comprimere il tempo scolastico dovrebbero costituire la premessa di un competenza degli allievi?). Il progetto Vales, com’è già avvenuto per altre iniziative del Ministero dell’Istruzione, fa riferimento alle procedure e alle rilevazioni dell’Ocse per accreditare il piano delle attività. Sarebbe il caso di ricordare, una volta ancora, che l’Ocse non è un’istituzione rivolta allo sviluppo della ricerca educativa, ma alla crescita dei sistemi economici. L’educazione è considerata uno degli elementi alla base di tale crescita e la comparazione internazionale ha lo scopo di mostrare la relazione che intercorre tra la qualità dell’educazione e lo sviluppo economico. È un’ulteriore conferma che si perseguono intenti di breve periodo, che non concorrono a delineare profili di cultura capaci di sostenere il percorso di vita dei cittadini.

L’Unità 06.05.12