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Soppressa l’Agenzia per il Terzo Settore

Nel consiglio dei ministri del 24 febbraio il Governo ha deciso la chiusura dell’organismo che aveva poteri di indirizzo, promozione e vigilanza per le associazioni non lucrative di utilità sociale, per il terzo settore e per gli enti non commerciali. Il provvedimento è atteso all’esame dell’Aula che dovrà convertirlo in legge. A darne l’ufficialità è stato Danilo Giovanni Festa, direttore generale per il volontariato, l’associazionismo e le formazioni sociali del Ministero Politiche Sociali. “Le sue funzioni passeranno al Ministero”
E’ ufficiale: l’Agenzia per il Terzo Settore sarà cancellata. A confermarlo, a Villaggio Solidale, il salone del volontariato italiano, è stato Danilo Giovanni Festa, direttore generale per il volontariato, l’associazionismo e le formazioni sociali del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali. “Il Consiglio dei Ministri ha approvato l’abrogazione dell’Agenzia del Terzo settore – ha annunciato Festa – e le sue funzioni passeranno quindi al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. E’ vero, solo un anno fa avevamo fatto un intervento sull’Agenzia. Ma da allora tante cose sono cambiate nel nostro Paese…”.
Mentre il Consiglio dei Ministri stava varando la manovra fiscale, sempre nel corso del salone del volontariato italiano organizzato a Lucca dal Centro Nazionale per Volontariato in collaborazione con la Fondazione Volontariato e Partecipazione e il Cesvot, Emanuele Rossi, consigliere dell’Agenzia, aveva dichiarato di non conoscere “le ragioni” della chiusura. “Nessuno – ha aggiunto Rossi – ha mai spiegato nulla. Né a me né agli altri consiglieri dell’Agenzia. Forse si vogliono risparmiare quei 15 mila euro annui che rappresentano il ‘costo’ dell’Agenzia”. Rossi, inoltre, ha chiesto maggiore coerenza. “Lo scorso anno, dopo un lungo e laborioso iter, è stato varato un decreto che ha rivisto l’attività dell’Agenzia. Oggi, a distanza di appena un anno – ha aggiunto – si parla di chiusura. Ci vorrebbero un minimo di coerenza e di serietà”.
Danilo Giovanni Festa risponde a Rossi a distanza di un giorno dal palco del convegno sulla legge 266 e la normativa regionale organizzato a Villaggio Solidale. “Il bilancio dell’Agenzia non era particolarmente significativo, ma in questa fase era importante dare un segnale in questa fase difficile per l’Italia”.
Festa, nel convegno di Lucca in cui si è discusso sui possibili sviluppi per il volontariato italiano in questa fase sospesa tra federalismo e prospettive di riforma, è inoltre intervenuto dicendo che la legge quadro sul volontariato andrebbe rivista. “Dal 1991, anno della sua approvazione, si sono alternati molti governi – commenta il direttore generale del Ministero -. Ci sarebbe stato tutto il tempo per cambiare la legge 266, ma ciò non è avvenuto. Anche perché – aggiunge Festa – c’erano forti resistenze da parte dello stesso mondo del volontariato. Comunque al momento non è un argomento al tavolo di questo Governo, anche se la forza per cambiarla l’avrebbe, visto che è intervenuto in ambiti ben più difficili”.
Festa ritiene che l’esigenza di modificare la legge sia una naturale conseguenza. “E’ cambiata parte della normativa e sono cambiati anche i nostri orizzonti culturali, ma ci sono degli aspetti della legge – precisa Festa – sui quali esistono ancora dei ritardi. E’ ad esempio il caso dei Registri regionali”. Festa ha poi osservato che un altro aspetto importante sul quale bisognerebbe intervenire è il sistema dei Coge, i Comitati di gestione dei fondi per il volontariato. “Un sistema che va rivisto e migliorato perché – dichiara il direttore generale per il volontariato – bisogna fare i conti con la realtà e con la mancanza di risorse che durerà almeno per i prossimi cinque anni. Per la direttiva 266 dovremo avere 2milioni e 7 milioni per la 383. Ma tutti noi sappiamo che non saranno sufficienti. L’utilizzo dei fondi Coge, perché possa essere davvero un aiuto fondamentale al volontariato, andrebbe definito meglio”.

Comunicato di Cecilia Carmassi del 28 gennaio: “Ridurre i costi ma non chiudere agenzia”

No a chiusura Agenzia Terzo Settore. E’ strumento necessario per dialogo con istituzioni di Cecilia Carmassi

Su Youdem “La fine del Terzo Settore” con le interviste a Stefano Zamagni e Andrea Olivero, in studio Cecilia Carmassi

Zamagni attacca il governo: “Se mette la fiducia l’Agenzia è morta”
Il presidente dell’Agenzia del Terzo settore commenta dalle pagine di Famiglia Cristiana la decisione di chiuderla. Al momento è stata prorogata di altri due mesi in attesa che il decreto divenga legge. Per Zamagni il parlamento voterà contro la chiusura
ROMA – Duro attacco al Governo da parte del presidente dell’Agenzia del Terzo settore, Stefano Zamagni, sulla decisione di trasferire le competenze dell’organo da lui rappresentato al ministero del Lavoro e della Previdenza sociale. Senza mezzi termini, dalle pagine di Famiglia Cristiana il presidente dell’Agenzia non esita ad affermare che “questo Governo non capisce cosa sia il Terzo settore, non capisce cosa sono i corpi intermedi della società, non capisce la rilevanza del modello italiano di Welfare, che è la sussidiarietà”. “Questo Governo vuol far vedere che non guarda in faccia a nessuno e che taglia dove vuole –si legge nell’intervista -. Come certi chirurghi che tagliano anche dove non c’è da tagliare. Questo Governo tende a pensare che l’Italia possa rimettersi in sesto solo se si punta sullo Stato e sul mercato”.
Guardando ai fatti, il presidente dell’Agenzia si dice convinto che il Parlamento voterà contro l’articolo del decreto che predispone il passaggio di competenze al ministero, perché tutti partiti compresa la Lega non vogliono la chiusura della struttura. “Al momento l’Agenzia è stata prorogata di altri due mesi in attesa che il decreto divenga legge –aggiunge -. A questo punto delle due l’una: se il Governo mette la fiducia l’Agenzia è morta”. Secondo Zamagni la scelta del governo è sbagliata anche in termini di costi/benefici perché inglobare la struttura all’interno del ministero non comporterà di certo un risparmio per lo Stato. E ed questa una delle ragioni per cui il Parlamento voterà contro. “Un’Agenzia autonoma e indipendente costa molto di meno che non le stesse attività svolte all’interno del ministero –sostiene -.Si gioca sull’equivoco. L’agenzia attuale ha sede a Milano.
Il Comune di Milano fornisce gratuitamente la sede, la Provincia e la Regione forniscono il personale. Le Fondazioni bancarie finanziano le attività di tipo culturale e pubblicistico. Il giorno in cui queste attività vengono incorporate al ministero è ovvio che nessun Comune o ente o Fondazione darà soldi al ministero. Chi ha preso questa decisione dimostra di non conoscere le cose o di essere all’oscuro. Stiamo parlando di tagli del bilancio dello Stato. I costi di gestione sarebbero superiori”. Inoltre, secondo Zamagni, i partiti sono contraria alla chiusura perché “l’Agenzia deve essere un ente autonomo e indipendente. Nel momento in cui venisse inglobata dal ministero del Lavoro perderebbe la caratteristica della terzietà, verrebbe snaturata. Non avrebbe più una sua ragion d’essere e una sua fisionomia”. Un’altra ragione riguarda, invece, la capacità del ministero di svolgere le funzioni dell’Agenzia. “Il Lavoro può controllare la liceità degli atti degli enti non profit, ma non potrà mai controllare le meritorietà degli stessi – aggiunge -. Per farlo ci vuole un’esperienza e una conoscenza che i burocrati del ministro per quanto bravi e per quanto preparati non possono avere”.
Nelle parole di Zamagni non manca neanche una punta di amarezza nella constatazione che la chiusura dell’Agenzia è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti volti a colpire il settore. “Questi segnali dimostrano che il Governo ritiene che per far ripartire l’Italia non sia necessario intervenire sui corpi intermedi dello Stato. E’ come se dicessero: non abbiamo bisogno di voi. E sbagliano, perché il Terzo Settore è una fonte di sviluppo. E’ importante non solo perché dà da lavorare a circa un milione di persone, ma perché produce coesione sociale”.
Leggi l’intervista completa

Soppressa l’Agenzia per il terzo settore, il Forum: “Gravi conseguenze” Il portavoce Olivero: “Chiudere l’Agenzia e affidarne le competenze al ministero del Lavoro è un brutto segnale politico, significa ridurre il terzo settore al solo ambito del welfare”
ROMA – “Con l’obiettivo di ‘contenere’ la spesa pubblica, si perde uno strumento di promozione, ma anche di vigilanza e controllo, fondamentale per il terzo settore”. E’ il commento del Forum del terzo settore alla soppressione dell’Agenzia per il terzo settore, le cui competenze saranno affidate al ministero del Lavoro e delle politiche sociali.
“Siamo fortemente contrari – dichiara il portavoce del Forum, Andrea Olivero – a questa decisione presa dal governo, peraltro in totale contraddizione con i segnali di attenzione che finora ci aveva mostrato. L’Agenzia per il terzo settore, seppur ente di emanazione governativa, ha svolto un importante ruolo di ‘terzietà’ tra organizzazioni non profit e istituzioni, ruolo che le ha permesso di essere autorevole strumento di controllo, trasparenza e promozione del terzo settore in modo autonomo e non immediatamente legato all’azione di governo. Sopprimere l’Agenzia – prosegue il portavoce – per risparmi del tutto inconsistenti, è quindi una scelta miope, foriera di gravi conseguenze per tutto il terzo settore, che ne va a minare la sua articolazione organizzativa e soprattutto la sua autonomia”.
“Chiudere l’Agenzia – prosegue il portavoce – ed affidarne le competenze al ministero del Lavoro e delle politiche sociali è un brutto segnale politico; significa infatti ridurre il terzo settore al solo ambito del welfare, non riconoscerne la multiformità delle iniziative e il ruolo fondamentale di leva per la crescita del Paese. È un’iniziativa che va a sommarsi ad altri brutti segnali che il governo ha dato nell’ultimo periodo, come le contraddittorie dichiarazioni sul 5x mille, l’estensione dell’Ici e dell’Imu, e l’ulteriore inasprimento dei controlli fiscali sul terzo settore.”
“Infine – conclude il portavoce – la decisione è tanto più grave quanto il fatto che sia stata presa senza alcuna interlocuzione con il nostro mondo. Da parte nostra ci siamo sempre posti in un ottica di dialogo con il governo e da sempre abbiamo rappresentato un soggetto vocato a rappresentare il bene comune, non certo una lobby di interessi. Non ascoltare le nostre istanze è una grave scorrettezza e manifesta un’assoluta mancanza di sensibilità. Ci aspettiamo che, alle prese di posizione avverse a questa risoluzione, arrivate da parte di numerosi esponenti di tutte le forze politiche, ne seguano ulteriori e che il provvedimento venga modificato dal Parlamento. A sostegno di questa nostra richiesta attiveremo da subito azioni di sensibilizzazione e mobilitazione tra tutte le nostre associazioni e nel territorio. Al Governo chiediamo che mostri segnali di attenzione verso il terzo settore, in coerenza con quel senso di responsabilità e partecipazione che da sempre sosteniamo”.

Agenzia per il Terzo settore cancellata. Guerra: “Due mesi per il passaggio”
Le competenze passano alla Direzione per il volontariato del Ministero del Welfare. Il sottosegretario: “Organizzeremo un sostegno di tipo collaborativo sulle cose pratiche. E lavoreremo sul rapporto con altre amministrazioni e con l’Agenzia delle Entrate
LUCCA – “Ci sentiamo caricati di una forte responsabilità e abbiamo il giusto entusiasmo per poter metterci al servizio. Ora inizia un percorso importante”. Sulla chiusura dell’Agenzia per il Terzo settore, al salone del volontariato italiano “Villaggio Solidale” che si è chiuso ieri a Lucca, è intervenuta anche Maria Cecilia Guerra, sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. “Il Consiglio dei Ministri – ha affermato la Guerra – ha effettivamente preso la decisione di trasferire le competenze dell’Agenzia alla Direzione per il volontariato e l’associazionismo insediata nel nostro Ministero”. Per il sottosegretario, a seguito della soppressione dell’Agenzia saranno avviati due percorsi. “Da un lato – spiega Guerra – organizzeremo un sostegno di tipo consulenziale e collaborativo sulle cose pratiche. Cominceremo con la conoscenza del settore, che approfondiremo anche dal punto di vista fiscale e giuridico. Ma lavoreremo anche sul rapporto con altre amministrazioni e con l’Agenzia delle Entrate. Sappiamo che questi sono temi delicati”.
Il Ministero desidera poi “proseguire con l’analisi delle ispezioni”, ha aggiunto il sottosegretario. “Vorremo capire e definire bene il mondo delle associazioni di promozione sociale e delle onlus per difenderlo dalle ‘false onlus’. Nello stesso tempo – precisa – potenzieremo, anche attraverso gli Osservatori, le funzioni di conoscenza, promozione e interlocuzione”. Per Maria Cecilia Guerra questo processo “parte da subito” anche se il passaggio di consegne “avrà bisogno di un paio di mesi al massimo”. Poi Guerra ha confessato: “Onestamente avevamo già cominciato a fare un piano di lavoro. Avevamo già pensato a come far fronte agli adempimenti necessari”.
Il sottosegretario, che ha partecipato al salone di Lucca per il convegno dal titolo “Il volontariato e il terzo settore, tra crisi economica e trasformazione del modello di welfare”, ha parlato anche del rapporto tra istituzioni e associazioni. “Il sostegno che le istituzioni possono dare al volontariato è fondamentale. Dobbiamo sostenerlo con i fatti – ha precisato Guerra – non con le parole. Il rischio è che venga scaricato sul volontariato una responsabilità che dev’essere anche pubblica. Insieme devono però creare sinergie. Perché gli obiettivi sono comuni, prioritari e difesi da entrambi”.

Agenzia per il Terzo settore cancellata, un percorso iniziato già da anni
L’analisi del direttore Gabrio Quattropani: “Ci sono state varie tappe che sono andate in questa direzione, di certo ci vuole a monte un pensiero politico forte, che è rimasto tra le righe”. Ccontributo pubblico diminuito negli ultimi due anni
ROMA – La chiusura dell’Agenzia del Terzo settore è la diretta conclusione di un percorso iniziato già da anni, con un investimento sempre più decrescente in questo settore. Ne è convinto il direttore dell’Agenzia Gabrio Quattropani. “Ci sono state varie tappe che sono andate in questa direzione – afferma – di certo ci vuole a monte un pensiero politico forte, che è rimasto tra le righe. A volte c’era l’intenzione che non era poi sostenuta nel concreto”. Nel tracciare un bilancio dell’attività svolta in questi anni Quattropani sottolinea in particolare la costruzione di Linee guida per regolare il settore e orientare i comportamenti delle organizzazioni. Negli ultimi anni sono in cinque gli atti di indirizzo, elaborati da gruppi di esperti interni ed esterni approvati in via preliminare dal Consiglio dell’Agenzia e poi sottoposti al confronto con le organizzazioni e infine approvati in via definitiva. Tra questi le Linee guida per la redazione del bilancio sociale degli enti non profit, che hanno visto la luce nel 2009, così come quelle per la tenuta dei registri del volontariato e per il sostegno a distanza di minori e giovani. Nel 2011, invece, sono state elaborate le Linee guida per la redazione del bilancio sociale delle organizzazioni non profit e quelle per la raccolta fondi.
Quanto ai costi dell’Agenzia, anche se la legge n.133 del 1999 stabilisce un finanziamento annuo fino a 2.585.285 euro (pari a 5 miliardi di vecchie lire) il contributo pubblico è andato diminuendo soprattutto negli ultimi due anni. Negli anni 2002/2005 il finanziamento è stato pari al tetto massimo stabilito, mentre nel 2006 sono stati erogati 2.091.651 euro; nel 2007 1.398.535euro più un finanziamento straordinario di un milione di euro; nel 2008 1.547.860euro , integrato con la quota ex cinque per mille del 2007, pari a 1.250.000; nel 2009 846.510 euro più un finanziamento straordinario di 3.250.000. Mentre nel 2010 il sostegno è stato pari a 1.160.313 euro e nel 2011 726.000. Il volume di spesa degli anni più recenti è stato di 3.016.723 euro nel 2007, di 2.765.976 euro nel 2009 e di 2.495.023 euro nel 2010. “Abbiamo operato in funzione della capacità finanziaria che avevamo a disposizione – afferma Quattropani – potevamo curare altri compiti che ci sono attribuiti per legge ma con le capacità che avevamo a disposizione non era possibile. La situazione è sempre stata precaria”.

Chiusura Agenzia Terzo settore, l’Auser: “Grave colpo al mondo del non profit”
Il presidente Mangano: “Siamo in presenza di una scelta autoritaria ed unilaterale che non tiene conto delle serie motivazioni che la stragrande maggioranza delle associazioni del Terzo settore avevano evidenziato contro una tale decisione”
ROMA – “Nonostante le ripetute proteste, il Consiglio dei Ministri ha deciso di chiudere l’Agenzia per il Terzo Settore affidandone le competenze al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Siamo in presenza di una scelta autoritaria ed unilaterale che non tiene conto delle serie motivazioni che la stragrande maggioranza delle associazioni del Terzo settore avevano evidenziato contro una tale decisione”. Così Michele Mangano, presidente nazionale dell’Auser, secondo cui “con questa scelta burocratica si assesta un grave colpo al mondo del Terzo Settore che con la chiusura dell’Agenzia perde una interlocuzione competente e qualificata sulle tematiche che investono il complesso mondo dell’associazionismo”.
E conclude: “Registriamo, ancora una volta, la indisponibilità al dialogo ed al confronto che non lascia intravedere un futuro costruttivo e sereno nelle relazioni tra Governo e Terzo Settore. Le forze politiche che sostengono questo Governo non possono rimanere insensibili e tacere di fronte a questa scelta arbitraria e contraddittoria”.

Chiusa l’Agenzia Terzo settore, l’Istituto italiano della donazione: “Scelta che il non profit non meritava”
Il presidente, Maria Guidotti: “Una scelta davvero unilaterale ed arbitraria, presa proprio nel momento in cui il non profit sta dimostrando di essere un pilastro fondamentale e di qualità per il sistema di welfare”
MILANO – Il Consiglio Direttivo dell’Istituto Italiano della Donazione (IID) esprime in una nota “vivo disappunto” per la chiusura dell’Agenzia per il Terzo Settore:
“Una scelta davvero unilaterale ed arbitraria – afferma Maria Guidotti, Presidente IID – presa proprio nel momento in cui il non profit sta dimostrando di essere un pilastro fondamentale e di qualità per il sistema di welfare territoriale e nazionale. Mi stupisce molto la contraddittorietà di tale decisione, viste le ripetute proteste da parte di tutto il Terzo Settore ed i segnali di attenzione che finora il Consiglio dei Ministri sembrava aver riservato al non profit”.
“L’Agenzia per il Terzo Settore è stata un interlocutore qualificato e competente sulle tematiche che investono il complesso mondo dell’associazionismo – continua la Guidotti -, un insostituibile punto di riferimento per le organizzazioni non profit e le istituzioni tutte grazie alla sua preziosa attività nel campo della trasparenza e della promozione di un settore complesso come il nostro”.
E conclude: “Indubbiamente questa decisione lascia un vuoto che ora il Governo è chiamato a colmare: il mio augurio è che si lavori al più presto in questa direzione, facendo tesoro del prezioso patrimonio di competenze lasciato dall’Agenzia. L’Istituto Italiano della Donazione, pur non condividendo la scelta fatta, offre la sua piena collaborazione a questa fase di transizione, nella speranza di costruire una rinnovata disponibilità al dialogo ed al confronto tra Governo e Terzo settore”.

www.partitodemocratico.it

"Chi aggredisce l'informazione", di Roberto Natale

Basta. Basta con le aggressioni ai giornalisti. È irrespirabile il
clima di attacco all’informazione che si è creato in Val di Susa, e dovrebbe essere avvertito come intollerabile in primo luogo da parte di coloro che hanno a cuore le ragioni della protesta No Tav.
La sequenza degli ultimi giorni è impressionante. Il collega Marco Accossato, del quotidiano La Stampa, allontanato lunedì a calci e
schiaffi dal pronto soccorso del Cto di Torino mentre stava raccogliendo notizie sulle condizioni di Luca Abbà. Ieri mattina l’aggressione alla troupe di H24, al lavoro per il Corriere.it. «Un malinteso», hanno provato più tardi a sostenere alcuni degli attivisti.
Ma il loro comunicato di spiegazione dell’accaduto è una toppa quasi peggiore del buco: dicono di avere scambiato gli operatori per agenti di polizia perché li avevano trovati in possesso di una «ambigua attrezzatura», e di averli invitati ad allontanarsi «per la loro incolumità». Antenne e microfoni saranno anche «ambigui», ma per fare televisione sono indispensabili; e le premure per la sicurezza altrui, espresse in certi termini, hanno un suono troppo simile alle intimidazioni.
Nel pomeriggio, poi, nuove minacce alla troupe di TgCom24: «Tira fuori il nastro e daccelo, o ti spacchiamo la telecamera. Arrivano quelli più incazzati e finisce male». Da Napoli, intanto, giungeva
la notizia della scritta comparsa sulla facciata del quotidiano Roma: «Sallusti infame come tuo nonno», firmata con una stella a cinque punte e con le parole «No Tav Luca resisti». Questo clima di
crescente tensione va dissolto. Per noi giornalisti, operatori,
fotografi: che non stiamo rivendicando privilegi di «casta», ma reclamando il sacrosanto diritto-dovere di andare sul posto di lavoro – in questo caso i cantieri di un’opera quanto mai
controversa – senza dover temere insulti, minacce, botte. Per le migliaia di cittadine e cittadini della Val di Susa, che hanno tutto il diritto e l’interesse a non vedere schiacciate le loro ragioni dalla violenza di pochi (un film già visto in troppe tristi
repliche, come quella del 15 ottobre scorso a Roma). Per l’intera opinione pubblica italiana, che sulla Torino-Lione deve essere messa in grado di conoscere molto di più dei quotidiani bollettini militari.
A questo serve il giornalismo: perché fornisce (quando lo fa) ad un Paese i dati per arrivare ad una decisione collettiva importante in modo consapevole, sulla base di un consenso – o di un dissenso – informato. Perciò, mentre rinnoviamo la solidarietà a
tutti i colleghi impegnati a raccontare i fatti, chiediamo che l’informazione produca uno sforzo in più per far comprendere la posta in gioco.
I dati sui pro e i contro dell’opera saranno forse meno spettacolari degli assalti alle recinzioni e delle cariche di polizia, ma sono indispensabili per capire. No Tav – Sì Tav, lo sventolio delle bandiere contrapposte, è una par condicio troppo povera per potersene accontentare.

*Presidente Federazione nazionale della stampa

L’Unità 01.03.12

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Fassino: “Il movimento No-Tav è cambiato nessun dialogo con gli antagonisti violenti”, di DIEGO LONGHIN

Nel 2005 chiedevano di fare la Tav in un altro modo, ora di non farla e basta, andando verso l´estremismo radicale. «Non si vuole negare il confronto. Lo dimostra la stessa storia della Tav. Ma il dialogo con il movimento è possibile se la Torino-Lione non si trasforma in un totem ideologico da abbattere e se si accantonano gli estremismi». Il sindaco di Torino, Piero Fassino, lancia un appello: chi vuole aprire un confronto isoli le frange estreme.
La Valle di Susa da lunedì è ostaggio della protesta. I sindaci hanno proposto di sospendere i lavori in cambio di uno stop ai blocchi. Cosa risponde?
«Intanto è una richiesta di alcuni sindaci, e non di tutti. E poi se ci fermiamo cosa succede? Quando riprenderanno i lavori rimetteranno i blocchi? Bisogna cambiare registro. Non può esserci un confronto positivo se si continuano a erigere barricate sulle strade, impedendo alle persone di muoversi, se si manifesta con i passamontagna sul volto e si fanno scritte di morte sui muri e ovunque. Devo dire che in questi anni si è assistito a una degenerazione del movimento No-Tav».
Prima era diverso?
«Il movimento nel 2005 aveva un consenso popolare in Val di Susa, un´area che per dieci anni ha dovuto fare i conti con i cantieri dell´autostrada e temeva altri dieci anni di cantieri ferroviari. La protesta è stata ascoltata. Si è arrivati, attraverso l´Osservatorio sulla Torino-Lione, a un progetto del tutto nuovo con un impatto contenuto: il tracciato in pianura coincide con quello esistente e in alta valle è tutto in galleria. Risultati raggiunti grazie al contributo di molti sindaci».
Oggi a non volere la linea ad alta velocità sono rimasti soltanto gli estremisti?
«I No-Tav hanno un consenso molto più contenuto tra gli abitanti e all´identità popolare si è sovrapposto un antagonismo ideologico contro la Tav e contro qualsiasi opera pubblica, attirando in Valle i gruppi che si oppongono al rigassificatore di Livorno, all´aeroporto Dal Molin, al ponte sullo stretto e ad ogni altra infrastruttura. La Torino-Lione si è trasformata, per queste persone, nella “madre di tutte le battaglie”».
In questi giorni Lei ha evocato il rischio di un ritorno agli anni Settanta. È reale?
«In quegli anni io c´ero, me lo ricordo. A Torino si è cominciato con le scritte e si è finito sparando. Oggi si rivedono metodi che abbiamo già conosciuto e chi li sottovaluta sbaglia. Si sta scivolando verso il radicalismo. In questo momento sarebbe meglio far prevalere la ragionevolezza e il confronto».
Dopo l´incidente di lunedì anche da una parte della politica, in testa il leader di Sel, Vendola, arriva la richiesta di una pausa di riflessione. Richiesta che va accolta?
«Il dialogo, su come realizzare l´opera, non si è mai interrotto. Oggi però stiamo assistendo ad una rappresentazione lontana dal vero. Non si vuole costruire la Torino-Lione perché “tanto ormai si è aperto un cantiere e non si può tornare indietro”, come scrive Adriano Sofri, ma perché è strategica per il Paese. Nel 2005 si chiedeva di fare la Tav in un altro modo, ora si chiede di non farla e basta. Questo non si può accettare».
Ci sono studi che sostengono che la Tav sia inutile rispetto alle necessità reali di trasporto. Analisi che non vi convince?
«Qualunque grande opera prevede una saturazione sul medio-lungo termine. La Val di Susa è intasata dai Tir diretti al Frejus, tant´è che si ipotizza di trasformare la galleria di servizio in costruzione in una seconda canna per il traffico, ma non ho visto nessuna protesta. Perché? In Francia sono già iniziati i lavori, possibile che i francesi siano così sciocchi da non aver valutato attentamente i problemi di sicurezza e quelli per la salute?».

La Repubblica 01.03.12

“Chi aggredisce l’informazione”, di Roberto Natale

Basta. Basta con le aggressioni ai giornalisti. È irrespirabile il
clima di attacco all’informazione che si è creato in Val di Susa, e dovrebbe essere avvertito come intollerabile in primo luogo da parte di coloro che hanno a cuore le ragioni della protesta No Tav.
La sequenza degli ultimi giorni è impressionante. Il collega Marco Accossato, del quotidiano La Stampa, allontanato lunedì a calci e
schiaffi dal pronto soccorso del Cto di Torino mentre stava raccogliendo notizie sulle condizioni di Luca Abbà. Ieri mattina l’aggressione alla troupe di H24, al lavoro per il Corriere.it. «Un malinteso», hanno provato più tardi a sostenere alcuni degli attivisti.
Ma il loro comunicato di spiegazione dell’accaduto è una toppa quasi peggiore del buco: dicono di avere scambiato gli operatori per agenti di polizia perché li avevano trovati in possesso di una «ambigua attrezzatura», e di averli invitati ad allontanarsi «per la loro incolumità». Antenne e microfoni saranno anche «ambigui», ma per fare televisione sono indispensabili; e le premure per la sicurezza altrui, espresse in certi termini, hanno un suono troppo simile alle intimidazioni.
Nel pomeriggio, poi, nuove minacce alla troupe di TgCom24: «Tira fuori il nastro e daccelo, o ti spacchiamo la telecamera. Arrivano quelli più incazzati e finisce male». Da Napoli, intanto, giungeva
la notizia della scritta comparsa sulla facciata del quotidiano Roma: «Sallusti infame come tuo nonno», firmata con una stella a cinque punte e con le parole «No Tav Luca resisti». Questo clima di
crescente tensione va dissolto. Per noi giornalisti, operatori,
fotografi: che non stiamo rivendicando privilegi di «casta», ma reclamando il sacrosanto diritto-dovere di andare sul posto di lavoro – in questo caso i cantieri di un’opera quanto mai
controversa – senza dover temere insulti, minacce, botte. Per le migliaia di cittadine e cittadini della Val di Susa, che hanno tutto il diritto e l’interesse a non vedere schiacciate le loro ragioni dalla violenza di pochi (un film già visto in troppe tristi
repliche, come quella del 15 ottobre scorso a Roma). Per l’intera opinione pubblica italiana, che sulla Torino-Lione deve essere messa in grado di conoscere molto di più dei quotidiani bollettini militari.
A questo serve il giornalismo: perché fornisce (quando lo fa) ad un Paese i dati per arrivare ad una decisione collettiva importante in modo consapevole, sulla base di un consenso – o di un dissenso – informato. Perciò, mentre rinnoviamo la solidarietà a
tutti i colleghi impegnati a raccontare i fatti, chiediamo che l’informazione produca uno sforzo in più per far comprendere la posta in gioco.
I dati sui pro e i contro dell’opera saranno forse meno spettacolari degli assalti alle recinzioni e delle cariche di polizia, ma sono indispensabili per capire. No Tav – Sì Tav, lo sventolio delle bandiere contrapposte, è una par condicio troppo povera per potersene accontentare.

*Presidente Federazione nazionale della stampa

L’Unità 01.03.12

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Fassino: “Il movimento No-Tav è cambiato nessun dialogo con gli antagonisti violenti”, di DIEGO LONGHIN

Nel 2005 chiedevano di fare la Tav in un altro modo, ora di non farla e basta, andando verso l´estremismo radicale. «Non si vuole negare il confronto. Lo dimostra la stessa storia della Tav. Ma il dialogo con il movimento è possibile se la Torino-Lione non si trasforma in un totem ideologico da abbattere e se si accantonano gli estremismi». Il sindaco di Torino, Piero Fassino, lancia un appello: chi vuole aprire un confronto isoli le frange estreme.
La Valle di Susa da lunedì è ostaggio della protesta. I sindaci hanno proposto di sospendere i lavori in cambio di uno stop ai blocchi. Cosa risponde?
«Intanto è una richiesta di alcuni sindaci, e non di tutti. E poi se ci fermiamo cosa succede? Quando riprenderanno i lavori rimetteranno i blocchi? Bisogna cambiare registro. Non può esserci un confronto positivo se si continuano a erigere barricate sulle strade, impedendo alle persone di muoversi, se si manifesta con i passamontagna sul volto e si fanno scritte di morte sui muri e ovunque. Devo dire che in questi anni si è assistito a una degenerazione del movimento No-Tav».
Prima era diverso?
«Il movimento nel 2005 aveva un consenso popolare in Val di Susa, un´area che per dieci anni ha dovuto fare i conti con i cantieri dell´autostrada e temeva altri dieci anni di cantieri ferroviari. La protesta è stata ascoltata. Si è arrivati, attraverso l´Osservatorio sulla Torino-Lione, a un progetto del tutto nuovo con un impatto contenuto: il tracciato in pianura coincide con quello esistente e in alta valle è tutto in galleria. Risultati raggiunti grazie al contributo di molti sindaci».
Oggi a non volere la linea ad alta velocità sono rimasti soltanto gli estremisti?
«I No-Tav hanno un consenso molto più contenuto tra gli abitanti e all´identità popolare si è sovrapposto un antagonismo ideologico contro la Tav e contro qualsiasi opera pubblica, attirando in Valle i gruppi che si oppongono al rigassificatore di Livorno, all´aeroporto Dal Molin, al ponte sullo stretto e ad ogni altra infrastruttura. La Torino-Lione si è trasformata, per queste persone, nella “madre di tutte le battaglie”».
In questi giorni Lei ha evocato il rischio di un ritorno agli anni Settanta. È reale?
«In quegli anni io c´ero, me lo ricordo. A Torino si è cominciato con le scritte e si è finito sparando. Oggi si rivedono metodi che abbiamo già conosciuto e chi li sottovaluta sbaglia. Si sta scivolando verso il radicalismo. In questo momento sarebbe meglio far prevalere la ragionevolezza e il confronto».
Dopo l´incidente di lunedì anche da una parte della politica, in testa il leader di Sel, Vendola, arriva la richiesta di una pausa di riflessione. Richiesta che va accolta?
«Il dialogo, su come realizzare l´opera, non si è mai interrotto. Oggi però stiamo assistendo ad una rappresentazione lontana dal vero. Non si vuole costruire la Torino-Lione perché “tanto ormai si è aperto un cantiere e non si può tornare indietro”, come scrive Adriano Sofri, ma perché è strategica per il Paese. Nel 2005 si chiedeva di fare la Tav in un altro modo, ora si chiede di non farla e basta. Questo non si può accettare».
Ci sono studi che sostengono che la Tav sia inutile rispetto alle necessità reali di trasporto. Analisi che non vi convince?
«Qualunque grande opera prevede una saturazione sul medio-lungo termine. La Val di Susa è intasata dai Tir diretti al Frejus, tant´è che si ipotizza di trasformare la galleria di servizio in costruzione in una seconda canna per il traffico, ma non ho visto nessuna protesta. Perché? In Francia sono già iniziati i lavori, possibile che i francesi siano così sciocchi da non aver valutato attentamente i problemi di sicurezza e quelli per la salute?».

La Repubblica 01.03.12

"Lo spread scende ancora adesso è sotto quota 340", di Giuliana Ferraino

Giù fino a 337 punti, un livello che non si registrava dall’inizio di settembre: lo spread tra i Btp decennali e gli analoghi Bund tedeschi continua a scendere, ieri ha toccato perfino quota 334 punti, rispetto ai 357 dell’apertura. E il rendimento è arrivato al 5,18%, in calo dal 5,37% di inizio seduta. Merito della nuova massiccia iniezione di liquidità della Banca centrale europea.
L’effetto si è visto prima sui titoli a breve, con il differenziale fra i Btp a due anni e i gemelli tedeschi scivolato sotto i 200 punti base, ai minimi dal luglio scorso, con un rendimento inferiore al 2,2% dal 2,5% del giorno prima. Poi la «fiducia» si è estesa alle altre scadenze: ai titoli a 5 anni e 10 anni. Facile capire perché. Dopo i 489 miliardi distribuiti con l’asta del 21 dicembre, la Bce ha elargito altri 530 miliardi di euro a 800 banche europee, che possono così continuare a finanziarsi all’1% con Francoforte e comprare titoli degli Stati periferici dell’eurozona ad alto rendimento. I primi a intuire la ghiotta opportunità sono stati gli hedge fund Usa, tornati in massa da gennaio sul debito sovrano dei Paesi dell’euro, compresa l’Italia. Che certamente beneficia delle aspettative sul consolidamento dei conti pubblici avviato dal governo e sulle misure per rilanciare la crescita.
L’ottimismo pare aver contagiato anche Mario Monti. «Non si può negare che l’andamento degli spread sia imprevedibile, ma nel caso dell’Italia vediamo un declino costante, sebbene graduale» e «non vedo alcun motivo perché questa tendenza dovrebbe cambiare», ha detto il premier all’agenzia Bloomberg. Semmai il premier è più distaccato circa il suo futuro politico: «Se io e i miei colleghi di governo faremo molto bene il nostro compito, non credo che sarà molto probabile che mi offrano un secondo mandato», dopo le elezioni. Monti si è poi dichiarato «fiducioso» di un accordo a marzo per rafforzare il fondo di salvataggio Ue oltre i 500 miliardi previsti, perché «le dimensioni contano». Se l’approccio al firewall è «abbastanza costruttivo, credo che ci troveremo tutti in una posizione migliore per affrontare qualsiasi effetto di contagio o qualsiasi fiammata di ritorno della crisi», ha affermato.
Non tutti condividono l’euforia. «Parlare di spread non ha più senso, perché oggi la struttura dei tassi in Italia è identica se non inferiore all’inizio del 2011, cioè prima della crisi dell’euro», sostiene il banchiere Marco Mazzucchelli. Ma non si può dire che la situazione sia migliore: il nostro debito sovrano è stato declassato dalle agenzie di rating fino a due gradini sopra il giudizio di titoli spazzatura; siamo in recessione; la Grecia di fatto è in default; c’è stata la balcanizzazione del sistema Ue. Ecco perché «quello che è rilevante è il valore assoluto dei tassi». Lo spread è ancora a 337 punti base perché sono crollati i tassi tedeschi: l’anomalia è la Germania all’1,70%, non l’Italia intorno al 5%. Un rendimento che, date le circostanze, è «la migliore delle nostre aspirazioni». Se invece continuiamo a parlare di spread, presto potremo avere «un’illusione ottica». Il rischio? «Si cominciano a denotare gli estremi di una bolla speculativa del Btp», mette in guardia il banchiere.

Il Corriere della Sera 01.03.12

“Lo spread scende ancora adesso è sotto quota 340”, di Giuliana Ferraino

Giù fino a 337 punti, un livello che non si registrava dall’inizio di settembre: lo spread tra i Btp decennali e gli analoghi Bund tedeschi continua a scendere, ieri ha toccato perfino quota 334 punti, rispetto ai 357 dell’apertura. E il rendimento è arrivato al 5,18%, in calo dal 5,37% di inizio seduta. Merito della nuova massiccia iniezione di liquidità della Banca centrale europea.
L’effetto si è visto prima sui titoli a breve, con il differenziale fra i Btp a due anni e i gemelli tedeschi scivolato sotto i 200 punti base, ai minimi dal luglio scorso, con un rendimento inferiore al 2,2% dal 2,5% del giorno prima. Poi la «fiducia» si è estesa alle altre scadenze: ai titoli a 5 anni e 10 anni. Facile capire perché. Dopo i 489 miliardi distribuiti con l’asta del 21 dicembre, la Bce ha elargito altri 530 miliardi di euro a 800 banche europee, che possono così continuare a finanziarsi all’1% con Francoforte e comprare titoli degli Stati periferici dell’eurozona ad alto rendimento. I primi a intuire la ghiotta opportunità sono stati gli hedge fund Usa, tornati in massa da gennaio sul debito sovrano dei Paesi dell’euro, compresa l’Italia. Che certamente beneficia delle aspettative sul consolidamento dei conti pubblici avviato dal governo e sulle misure per rilanciare la crescita.
L’ottimismo pare aver contagiato anche Mario Monti. «Non si può negare che l’andamento degli spread sia imprevedibile, ma nel caso dell’Italia vediamo un declino costante, sebbene graduale» e «non vedo alcun motivo perché questa tendenza dovrebbe cambiare», ha detto il premier all’agenzia Bloomberg. Semmai il premier è più distaccato circa il suo futuro politico: «Se io e i miei colleghi di governo faremo molto bene il nostro compito, non credo che sarà molto probabile che mi offrano un secondo mandato», dopo le elezioni. Monti si è poi dichiarato «fiducioso» di un accordo a marzo per rafforzare il fondo di salvataggio Ue oltre i 500 miliardi previsti, perché «le dimensioni contano». Se l’approccio al firewall è «abbastanza costruttivo, credo che ci troveremo tutti in una posizione migliore per affrontare qualsiasi effetto di contagio o qualsiasi fiammata di ritorno della crisi», ha affermato.
Non tutti condividono l’euforia. «Parlare di spread non ha più senso, perché oggi la struttura dei tassi in Italia è identica se non inferiore all’inizio del 2011, cioè prima della crisi dell’euro», sostiene il banchiere Marco Mazzucchelli. Ma non si può dire che la situazione sia migliore: il nostro debito sovrano è stato declassato dalle agenzie di rating fino a due gradini sopra il giudizio di titoli spazzatura; siamo in recessione; la Grecia di fatto è in default; c’è stata la balcanizzazione del sistema Ue. Ecco perché «quello che è rilevante è il valore assoluto dei tassi». Lo spread è ancora a 337 punti base perché sono crollati i tassi tedeschi: l’anomalia è la Germania all’1,70%, non l’Italia intorno al 5%. Un rendimento che, date le circostanze, è «la migliore delle nostre aspirazioni». Se invece continuiamo a parlare di spread, presto potremo avere «un’illusione ottica». Il rischio? «Si cominciano a denotare gli estremi di una bolla speculativa del Btp», mette in guardia il banchiere.

Il Corriere della Sera 01.03.12

Troppi giochi d´azzardo "Vietiamo gli spot", di Corrado Zunino

Gioca il giusto, invito della réclame di Sisal, non basta più. Dopo l´invasione nelle ultime due stagioni di slot machine, poker on line e giochi da casinò accessibili a tutti, dopo lo sdoganamento del gioco d´azzardo (nuova frontiera del recupero tasse) da parte dei Monopoli, in Italia si sta diffondendo un sentimento di reazione contro lo Stato biscazziere. Ieri il ministro del “sociale” con delega per le dipendenze, Andrea Riccardi, ha sintetizzato la reazione diffondendo il suo pensiero: «Il fenomeno del gioco d´azzardo sta assumendo in alcuni casi i contorni di una vera e propria dipendenza psicologica», ha detto, «in un momento di difficoltà economica il miraggio di una ricchezza facile e immediata ha mandato in rovina molte persone. Particolarmente esposti sono i giovani, i disoccupati e le famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese, gli anziani soli». Quindi, il ministro, ha indicato cosa farà: «Ho chiesto ai miei uffici di studiare il problema, piuttosto complesso, e l´obiettivo è di arrivare al divieto di pubblicità, come nel caso delle sigarette o a una ferrea regolamentazione degli spot». Oggi in Senato si aprirà la discussione e il ministro si riserva «la possibilità di intervenire direttamente». Lo Stato, «che incassa molte risorse da questo settore, non può non occuparsi delle categorie più a rischio e dei drammi sociali non marginali che il gioco d´azzardo produce». Lo chiama ancora “d´azzardo”, Riccardi, anche se è tutto legale.
L´ultima relazione della Commissione antimafia ha indicato un numero impressionante di ludopatici in Italia: un milione di dipendenti che, si calcola, coinvolgono nei loro affanni sei milioni di persone. Nel paese ci sono 400 mila macchine da gioco, il 15% in più degli altri paesi europei. E spesso la criminalità «impone il controllo del territorio attraverso i gestori». In sette anni scommesse e puntate lecite hanno cavato agli italiani 309 miliardi di euro, solo nel 2012 se ne prevedono altri cento. Il Gioco italiano è una macchina da guerra, e fa vittime tutti i giorni. Il segretario generale dei Sert italiani, Fausto D´Egidio, spiega che, nonostante solo le Regioni Toscana e Veneto riconoscano la malattia da compulsione da gioco, nei piccoli paesi è questo il problema più pressante subito dopo l´occupazione. Gli italiani progressivamente hanno abbandonato le sfide sedute, lotto e lotterie, non a caso in calo, per lanciarsi nella solitudine dei video più aggressivi: le videolotteries e i casinò games.
Nel corso dell´ultima stagione gli enti locali attenti hanno preso iniziative in proprio. La Provincia di Trento ha votato, sinistra e destra insieme, la delibera “Mai più licenze vicino a scuole o centri giovanili”. A Trento città ci sono 15 mila giocatori abituali, duecento sono in cura. Alcuni gestori di bar, avvistata la profondità del problema, hanno tolto le slot machine dal locale rinunciando a un incasso annuale da 20 mila euro. Iniziative contro i videopoker sono state avviate nei comuni di Empoli e Reggio Emilia mentre Pavia si è presa la fama della Las Vegas del Nord: ogni persona, in media, nel 2011 ha puntato 2.900 euro. In questa che, ora abbracciata da un ministro cattolico, inizia a somigliare a una crociata difensiva, si è inserita anche una multi-tv su internet, Streamit. I suoi amministratori si sono schierati frontalmente: «Via la pubblicità e i canali di poker dal nostro network, sono contro i giovani e le famiglie». Gianni Armetta, presidente della browser tv, ha aggiunto: «In Italia la legalizzazione del poker cash è stato un provvedimento pericoloso, in alcuni stati l´hanno vietato: per chi ha problemi di controllo il contraccolpo finanziario può essere fortissimo, improvviso e destabilizzante». Oggi, ogni dieci spot televisivi, tre pubblicizzano giochi e scommesse.

La Repubblica 01.03.12

Troppi giochi d´azzardo “Vietiamo gli spot”, di Corrado Zunino

Gioca il giusto, invito della réclame di Sisal, non basta più. Dopo l´invasione nelle ultime due stagioni di slot machine, poker on line e giochi da casinò accessibili a tutti, dopo lo sdoganamento del gioco d´azzardo (nuova frontiera del recupero tasse) da parte dei Monopoli, in Italia si sta diffondendo un sentimento di reazione contro lo Stato biscazziere. Ieri il ministro del “sociale” con delega per le dipendenze, Andrea Riccardi, ha sintetizzato la reazione diffondendo il suo pensiero: «Il fenomeno del gioco d´azzardo sta assumendo in alcuni casi i contorni di una vera e propria dipendenza psicologica», ha detto, «in un momento di difficoltà economica il miraggio di una ricchezza facile e immediata ha mandato in rovina molte persone. Particolarmente esposti sono i giovani, i disoccupati e le famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese, gli anziani soli». Quindi, il ministro, ha indicato cosa farà: «Ho chiesto ai miei uffici di studiare il problema, piuttosto complesso, e l´obiettivo è di arrivare al divieto di pubblicità, come nel caso delle sigarette o a una ferrea regolamentazione degli spot». Oggi in Senato si aprirà la discussione e il ministro si riserva «la possibilità di intervenire direttamente». Lo Stato, «che incassa molte risorse da questo settore, non può non occuparsi delle categorie più a rischio e dei drammi sociali non marginali che il gioco d´azzardo produce». Lo chiama ancora “d´azzardo”, Riccardi, anche se è tutto legale.
L´ultima relazione della Commissione antimafia ha indicato un numero impressionante di ludopatici in Italia: un milione di dipendenti che, si calcola, coinvolgono nei loro affanni sei milioni di persone. Nel paese ci sono 400 mila macchine da gioco, il 15% in più degli altri paesi europei. E spesso la criminalità «impone il controllo del territorio attraverso i gestori». In sette anni scommesse e puntate lecite hanno cavato agli italiani 309 miliardi di euro, solo nel 2012 se ne prevedono altri cento. Il Gioco italiano è una macchina da guerra, e fa vittime tutti i giorni. Il segretario generale dei Sert italiani, Fausto D´Egidio, spiega che, nonostante solo le Regioni Toscana e Veneto riconoscano la malattia da compulsione da gioco, nei piccoli paesi è questo il problema più pressante subito dopo l´occupazione. Gli italiani progressivamente hanno abbandonato le sfide sedute, lotto e lotterie, non a caso in calo, per lanciarsi nella solitudine dei video più aggressivi: le videolotteries e i casinò games.
Nel corso dell´ultima stagione gli enti locali attenti hanno preso iniziative in proprio. La Provincia di Trento ha votato, sinistra e destra insieme, la delibera “Mai più licenze vicino a scuole o centri giovanili”. A Trento città ci sono 15 mila giocatori abituali, duecento sono in cura. Alcuni gestori di bar, avvistata la profondità del problema, hanno tolto le slot machine dal locale rinunciando a un incasso annuale da 20 mila euro. Iniziative contro i videopoker sono state avviate nei comuni di Empoli e Reggio Emilia mentre Pavia si è presa la fama della Las Vegas del Nord: ogni persona, in media, nel 2011 ha puntato 2.900 euro. In questa che, ora abbracciata da un ministro cattolico, inizia a somigliare a una crociata difensiva, si è inserita anche una multi-tv su internet, Streamit. I suoi amministratori si sono schierati frontalmente: «Via la pubblicità e i canali di poker dal nostro network, sono contro i giovani e le famiglie». Gianni Armetta, presidente della browser tv, ha aggiunto: «In Italia la legalizzazione del poker cash è stato un provvedimento pericoloso, in alcuni stati l´hanno vietato: per chi ha problemi di controllo il contraccolpo finanziario può essere fortissimo, improvviso e destabilizzante». Oggi, ogni dieci spot televisivi, tre pubblicizzano giochi e scommesse.

La Repubblica 01.03.12