attualità, cultura, pari opportunità | diritti

"Chi aggredisce l'informazione", di Roberto Natale

Basta. Basta con le aggressioni ai giornalisti. È irrespirabile il
clima di attacco all’informazione che si è creato in Val di Susa, e dovrebbe essere avvertito come intollerabile in primo luogo da parte di coloro che hanno a cuore le ragioni della protesta No Tav.
La sequenza degli ultimi giorni è impressionante. Il collega Marco Accossato, del quotidiano La Stampa, allontanato lunedì a calci e
schiaffi dal pronto soccorso del Cto di Torino mentre stava raccogliendo notizie sulle condizioni di Luca Abbà. Ieri mattina l’aggressione alla troupe di H24, al lavoro per il Corriere.it. «Un malinteso», hanno provato più tardi a sostenere alcuni degli attivisti.
Ma il loro comunicato di spiegazione dell’accaduto è una toppa quasi peggiore del buco: dicono di avere scambiato gli operatori per agenti di polizia perché li avevano trovati in possesso di una «ambigua attrezzatura», e di averli invitati ad allontanarsi «per la loro incolumità». Antenne e microfoni saranno anche «ambigui», ma per fare televisione sono indispensabili; e le premure per la sicurezza altrui, espresse in certi termini, hanno un suono troppo simile alle intimidazioni.
Nel pomeriggio, poi, nuove minacce alla troupe di TgCom24: «Tira fuori il nastro e daccelo, o ti spacchiamo la telecamera. Arrivano quelli più incazzati e finisce male». Da Napoli, intanto, giungeva
la notizia della scritta comparsa sulla facciata del quotidiano Roma: «Sallusti infame come tuo nonno», firmata con una stella a cinque punte e con le parole «No Tav Luca resisti». Questo clima di
crescente tensione va dissolto. Per noi giornalisti, operatori,
fotografi: che non stiamo rivendicando privilegi di «casta», ma reclamando il sacrosanto diritto-dovere di andare sul posto di lavoro – in questo caso i cantieri di un’opera quanto mai
controversa – senza dover temere insulti, minacce, botte. Per le migliaia di cittadine e cittadini della Val di Susa, che hanno tutto il diritto e l’interesse a non vedere schiacciate le loro ragioni dalla violenza di pochi (un film già visto in troppe tristi
repliche, come quella del 15 ottobre scorso a Roma). Per l’intera opinione pubblica italiana, che sulla Torino-Lione deve essere messa in grado di conoscere molto di più dei quotidiani bollettini militari.
A questo serve il giornalismo: perché fornisce (quando lo fa) ad un Paese i dati per arrivare ad una decisione collettiva importante in modo consapevole, sulla base di un consenso – o di un dissenso – informato. Perciò, mentre rinnoviamo la solidarietà a
tutti i colleghi impegnati a raccontare i fatti, chiediamo che l’informazione produca uno sforzo in più per far comprendere la posta in gioco.
I dati sui pro e i contro dell’opera saranno forse meno spettacolari degli assalti alle recinzioni e delle cariche di polizia, ma sono indispensabili per capire. No Tav – Sì Tav, lo sventolio delle bandiere contrapposte, è una par condicio troppo povera per potersene accontentare.

*Presidente Federazione nazionale della stampa

L’Unità 01.03.12

******

Fassino: “Il movimento No-Tav è cambiato nessun dialogo con gli antagonisti violenti”, di DIEGO LONGHIN

Nel 2005 chiedevano di fare la Tav in un altro modo, ora di non farla e basta, andando verso l´estremismo radicale. «Non si vuole negare il confronto. Lo dimostra la stessa storia della Tav. Ma il dialogo con il movimento è possibile se la Torino-Lione non si trasforma in un totem ideologico da abbattere e se si accantonano gli estremismi». Il sindaco di Torino, Piero Fassino, lancia un appello: chi vuole aprire un confronto isoli le frange estreme.
La Valle di Susa da lunedì è ostaggio della protesta. I sindaci hanno proposto di sospendere i lavori in cambio di uno stop ai blocchi. Cosa risponde?
«Intanto è una richiesta di alcuni sindaci, e non di tutti. E poi se ci fermiamo cosa succede? Quando riprenderanno i lavori rimetteranno i blocchi? Bisogna cambiare registro. Non può esserci un confronto positivo se si continuano a erigere barricate sulle strade, impedendo alle persone di muoversi, se si manifesta con i passamontagna sul volto e si fanno scritte di morte sui muri e ovunque. Devo dire che in questi anni si è assistito a una degenerazione del movimento No-Tav».
Prima era diverso?
«Il movimento nel 2005 aveva un consenso popolare in Val di Susa, un´area che per dieci anni ha dovuto fare i conti con i cantieri dell´autostrada e temeva altri dieci anni di cantieri ferroviari. La protesta è stata ascoltata. Si è arrivati, attraverso l´Osservatorio sulla Torino-Lione, a un progetto del tutto nuovo con un impatto contenuto: il tracciato in pianura coincide con quello esistente e in alta valle è tutto in galleria. Risultati raggiunti grazie al contributo di molti sindaci».
Oggi a non volere la linea ad alta velocità sono rimasti soltanto gli estremisti?
«I No-Tav hanno un consenso molto più contenuto tra gli abitanti e all´identità popolare si è sovrapposto un antagonismo ideologico contro la Tav e contro qualsiasi opera pubblica, attirando in Valle i gruppi che si oppongono al rigassificatore di Livorno, all´aeroporto Dal Molin, al ponte sullo stretto e ad ogni altra infrastruttura. La Torino-Lione si è trasformata, per queste persone, nella “madre di tutte le battaglie”».
In questi giorni Lei ha evocato il rischio di un ritorno agli anni Settanta. È reale?
«In quegli anni io c´ero, me lo ricordo. A Torino si è cominciato con le scritte e si è finito sparando. Oggi si rivedono metodi che abbiamo già conosciuto e chi li sottovaluta sbaglia. Si sta scivolando verso il radicalismo. In questo momento sarebbe meglio far prevalere la ragionevolezza e il confronto».
Dopo l´incidente di lunedì anche da una parte della politica, in testa il leader di Sel, Vendola, arriva la richiesta di una pausa di riflessione. Richiesta che va accolta?
«Il dialogo, su come realizzare l´opera, non si è mai interrotto. Oggi però stiamo assistendo ad una rappresentazione lontana dal vero. Non si vuole costruire la Torino-Lione perché “tanto ormai si è aperto un cantiere e non si può tornare indietro”, come scrive Adriano Sofri, ma perché è strategica per il Paese. Nel 2005 si chiedeva di fare la Tav in un altro modo, ora si chiede di non farla e basta. Questo non si può accettare».
Ci sono studi che sostengono che la Tav sia inutile rispetto alle necessità reali di trasporto. Analisi che non vi convince?
«Qualunque grande opera prevede una saturazione sul medio-lungo termine. La Val di Susa è intasata dai Tir diretti al Frejus, tant´è che si ipotizza di trasformare la galleria di servizio in costruzione in una seconda canna per il traffico, ma non ho visto nessuna protesta. Perché? In Francia sono già iniziati i lavori, possibile che i francesi siano così sciocchi da non aver valutato attentamente i problemi di sicurezza e quelli per la salute?».

La Repubblica 01.03.12