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“Occasione da non perdere”, di Stefano Lepri

La recessione in cui l’economia italiana si trova non durerà a lungo: le parole del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco a Parma non annunciano nuove avversità, temperano invece il forte pessimismo con cui il 2012 era iniziato. Meno di un mese fa, il Fondo monetario internazionale aveva pronosticato al nostro Paese due anni di arretramento, e più grave nelle cifre.

Nel frattempo sui mercati i rendimenti dei titoli del Tesoro sono scesi. Al momento, ci spiega la Banca d’Italia, ci troviamo fuori pericolo: la nostra finanza pubblica «è comunque su un sentiero sostenibile». Ciò non toglie che si debba fare di tutto per attenuare le difficoltà a cui andremo incontro in questa prima metà dell’anno. In questo momento, è cruciale il ruolo delle banche; più di quanto non appaia.

Lo strumento principale con cui l’area dell’euro è stata tenuta insieme, e a parte la Grecia prende a rinsaldarsi, è l’operazione con cui la Banca centrale europea ha rifinanziato le banche per tre anni al tasso dell’1%, nelle cifre da loro desiderate.

Secondo estremisti e populisti di varie tendenze è stato un regalo immeritato a chi aveva già causato gravi danni; secondo i tedeschi più ostili verso l’Europa del Sud, invece, un trucco per aggirare il divieto di finanziare gli Stati.

Nella visione della Bce e della Banca d’Italia si è trattato di una misura necessaria per fronteggiare il cattivo funzionamento dei mercati. Tuttavia sui banchieri ricade una grande responsabilità: usare bene di questo vantaggio nell’interesse di tutti, e non soltanto nel loro. Ignazio Visco li ha difesi dalle accuse più spicce e demagogiche; però non è stato tenero. Quel denaro a buon mercato non dovrà essere usato per nascondere inefficienze, evitare innovazioni utili, foraggiare equilibri di potere superati; tanto meno, per speculare su mercati lontani.

In breve, la prima operazione di rifinanziamento a tre anni è servita in gran parte a fronteggiare la mancanza di liquidità causata dal panico dei mercati a fine 2011. Non è giusto, secondo il governatore, accusare i banchieri di aver occultato quei soldi chissà dove. Però la seconda operazione dello stesso tipo, in programma per la fine del mese, dovrà poter fornire credito al sistema produttivo.

È esagerato affermare, come qualcuno ha fatto, che gli italiani abbiano all’improvviso smesso di risparmiare. Risparmiano meno, ma non c’è stato nessun crollo. Le nostre banche sono state messe in difficoltà dai mercati internazionali, dove non riuscivano più a finanziarsi. Sono venute in evidenza loro debolezze di lunga data: altro che profittare della crisi, hanno guadagnato poco nel 2011, e poco guadagneranno, continuando così, anche quest’anno.
Resta la tentazione di restringere le banche pur di conservare il potere dei vecchi gruppi dirigenti, pur se la scelta del Monte dei Paschi di aprirsi è una novità importante.

L’esperienza della crisi mostra che non è tanto importante crescere di dimensione, quanto oltrepassare le frontiere, per alleggerire il circolo vizioso fra affidabilità di un Paese dell’area euro ed affidabilità delle sue aziende di credito.

In questi giorni i banchieri ribattono di essere prudenti nel concedere prestiti proprio perché c’è la recessione e cresce il rischio di non riavere i soldi indietro. Ignazio Visco li esorta a uno sforzo in più di iniziativa e di intelligenza: andare a cercare le imprese promettenti, capaci di crescere.

Resa inevitabile dalle incapacità dei governi, la scelta di sostenere l’euro attraverso le banche richiede che i banchieri se ne mostrino all’altezza. Altrimenti dovremo concludere che il moral hazard – il rischio di incentivare comportamenti sbagliati – tolto ai politici, è solo spostato altrove.

La Stampa 19.02.12

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“L´Italia è in recessione Pil giù dell´1,5% nel 2012 le banche evitino la stretta”, di Elena Polidori

Il governatore: bene la legge sullo stop agli incarichi incrociati nei cda degli istituti. “Con lo spread a 300 e un avanzo del 5% riduzione debito superiore alle regole Ue”. Una certezza e una speranza. «Il 2012 sarà un anno di recessione», con una flessione media del Pil dell´1,5%, annuncia Ignazio Visco. Ma «bisogna guardare avanti» per poter tornare ad una espansione del reddito nel 2013. E´ «possibile» stabilizzare l´attività produttiva già nella seconda metà di quest´anno.
IL PRIMO APPUNTAMENTO PUBBLICO
Al suo primo appuntamento pubblico, davanti ai cambisti del Forex, il nuovo governatore della Banca d´Italia individua le due condizioni-chiave per tornare a crescere. La prima riguarda la politica economica: «Vanno decise rapidamente e rese operative le riforme volte a rendere l´assetto normativo e amministrativo favorevole e non ostile allo sviluppo economico». La seconda riguarda le banche: «Dovranno dimostrare di saper svolgere bene la loro funzione di allocazione del credito». Significa che devono tornare a finanziare famiglie e imprese. I prestiti alle aziende sono scesi di 20 miliardi a dicembre – un record nel confronto storico – e sono calati pure a gennaio: «E´ cruciale» che l´economia non entri «in asfissia creditizia, deperendo e trascinando con sé anche le prospettive del sistema bancario».
In queste ultime settimane, Visco è stato in stretto contatto con il premier Mario Monti, alle prese con manovra, liberalizzazioni e riforma del lavoro: anche lui, per le faccende di sua competenza, ha «fatto sistema», come ripetono a via Nazionale. Così adesso, davanti ad una platea di banchieri, tecnici dei cambi e specialisti degli spread, dà atto alla politica economica del governo di aver compiuto «in questi mesi progressi prima ritenuti impensabili in direzione della sostenibilità finanziaria». Con uno spread a 300 e un avanzo primario (al netto degli interessi) del 5% come atteso nel 2013, ci sarà una riduzione del debito-Pil superiore alle regole Ue.
I FRONTI DECISIVI
Ma attenzione: «Progressi altrettanto coraggiosi» sono attesi su altri fronti «decisivi»: l´efficienza del sistema tributario e la lotta all´evasione; una «sistematica rivisitazione di tutte le voci della spesa pubblica»; la «razionalizzazione» di norme, istituzioni e prassi che «tengono imbrigliate le energie del paese, comprimono la competitività delle imprese, mortificano le attese dei giovani». Ancora più nel dettaglio: perché si crei quell´ambiente «favorevole e non ostile allo sviluppo» vanno liberalizzati i servizi e semplificati gli atti amministrativi. Deve funzionare meglio il mercato del lavoro con «attenzione al capitale umano e all´innovazione». Occorre rendere più rapide le risposte del sistema giudiziario. E bisogna far presto: rispetto ai livelli del 2007, prima della crisi, il Pil è ancora inferiore di 5 punti percentuali, il reddito disponibile reale procapite delle famiglie di 7 punti, la produzione industriale di un quinto. Perciò, il paese «deve essere rimesso in grado di crescere stabilmente a tassi sostenuti».
IL MONDO CREDITIZIO
Fondamentale è il ruolo delle banche. Evitato il rischio di un «credit crunch» grazie alla liquidità della Bce di Mario Draghi, il suo predecessore, Visco sprona gli istituti. Dice che i criteri dell´Authority Eba sul rafforzamento del patrimonio possono essere soddisfatti senza contrarre le risorse all´economia perché un irrobustimento del capitale «è alla loro portata». Riconosce che le banche «sono solide», ma le sollecita a fare «interventi incisivi sui costi», semplificando «gli assetti di governo societario». Annuncia così un «tavolo tecnico» con il Tesoro per vietare il cumulo degli incarichi nei consigli di amministrazione e l´arrivo di «indicazioni» su dividendi e remunerazioni dei manager.
Come sempre al Forex, che per la Banca d´Italia è l´occasione più importante dopo le Considerazioni Finali, il governatore ripercorre i fatti dell´economia. Ricorda che «le inquietudini degli investitori sui titoli di stato italiano sono oggi attenuate ma non dissipate». Avverte che le tensioni sui mercati «restano alte», anche per via del caso Grecia, da risolvere in fretta. In compenso, oltre alla Bce e al rigore nei bilanci, gioca in positivo l´intesa Ue sul cosiddetto «fiscal compact», cui va data «rapida attuazione . Visco critica le agenzie di rating che «non sempre» hanno svolto «adeguatamente» la valutazione dei rischi sovrani.

La Repubblica 19.02.12

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Ma le imprese attaccano i banchieri “Soldi con il contagocce e troppo cari”, di Valentina Conte

I tassi per i prestiti alle Pmi sono saliti al 4,98% contro il 4,29% della media Ue. Le aziende lamentano criteri sempre più stringenti sui fidi come ai tempi del crac Lehman
Asfissia o schiacciamento del credito, come lo definisce Bankitalia, è la traduzione italiana di credit crunch. Meno soldi all´economia. E dunque meno consumi, scarsi investimenti, più recessione. La spirale del 2008 torna ad agganciarsi alla nostra economia. Siamo sulla stessa barca, si difendono le banche. Pochi soldi e carissimi, attaccano le imprese, ormai a secco di liquidità e dentro un nuovo anno di recessione. La linfa ha smesso di circolare. Quasi come nel 2008. Allora fu la finanza scriteriata “made in Usa” a contagiare il mondo con la peste dei subprime e dei titoli salsiccia. Ora la crisi europea dei debiti sovrani e il default (minacciato) di paesi e moneta unica. Il risultato è simile. Credit crunch, rubinetti chiusi, meno soldi per tutti. Le banche sono sotto pressione. Si fidano poco le une delle altre, costrette a pensare ai propri bilanci, prima e più che ad irrorare l´economia. Le imprese, non ancora fallite, faticano ad ottenere fidi per investire. Le coppie, anche quelle con le garanzie giuste (il posto fisso, ad esempio), rinunciano all´avventura del mutuo, nonostante i tassi ufficiali molto bassi. Allo sportello, si sa, è tutta un´altra storia. Niente mattone, si erodono addirittura i risparmi, un record per un Paese “formica”(crollo dell´80% dei nuovi depositi nel 2011, da 130 a 24 miliardi). Così, l´economia in apnea si avvita. Meno soldi erogati, meno richiesti. Giù: consumi, investimenti, redditi. Su: recessione.

AZIENDE A SECCO
Il grido è sempre più alto. Le imprese italiane, già vessate da 70-80 miliardi di crediti verso la Pubblica amministrazione non ancora rientrati, denunciano la stretta: criteri sempre più stringenti dalle banche per prestiti e nuove linee di credito negli ultimi tre mesi del 2011, come nell´ultimo trimestre del 2008, all´indomani del crac Lehman. Bce e Bankitalia confermano. Avvertendo, come fa l´istituto europeo nell´ultima indagine presso le banche centrali dell´Eurozona (il Bank Lending Survey), che le condizioni per le grandi aziende sono peggiori di quelle applicate alle piccole. L´ultimo bollettino di via Nazionale segnalava già in dicembre la frenata nello stock di prestiti alle imprese non finanziarie: 894 miliardi di euro dai 915 del mese precedente. Due giorni fa la stessa Abi (l´associazione delle banche italiane) ha definito il quadro di gennaio dei prestiti a famiglie e imprese, cresciuti dell´1,6% sull´anno, a fronte del tendenziale di dicembre pari al 3,6%. Una scivolata non da poco. Se si considerano anche i prestiti ad assicurazioni, fondi pensione, finanziarie l´aumento è un pallido 0,6%. Nel quinquennio 2003-2008 si viaggiava a un ritmo dell´8,6% l´anno. Vero è che anche le richieste di prestiti per investimenti delle imprese sono crollate del 50% nell´ultimo trimestre del 2011. Resistono solo quelle per ristrutturazioni e consolidamento del debito. Un segnale allarmante.

LA DIFESA DELLE BANCHE
«Banche e imprese sono sulla stessa barca», spiega il presidente dell´Abi Mussari. La barca della recessione, della crisi europea, della Grecia sull´orlo del crac. Ma anche dell´Eba (l´autorità europea delle banche) che, dopo l´ennesima (e inefficace) tornata di stress test, pretende patrimoni più robusti e dunque nuove ricapitalizzazioni in capo alle banche, anche italiane. La posizione dell´Abi è chiara: non si tratta di credit crunch, ma di una domanda minore. Si chiedono (e dunque si ottengono) meno soldi. Le sofferenze, poi, esplodono (sopra i 100 miliardi) e la prudenza nell´erogare fidi, prestiti, mutui, crediti è d´obbligo. Quando poi i cordoni si allargano, il denaro costa di più, perché la sua raccolta è meno facile e dunque cara. I tassi applicati alle Pmi sui nuovi prestiti fino a un milione di euro salgono dal 4,62% di novembre al 4,98% di dicembre, sopra la media Ue (dal 4,34 al 4,29%). A cosa è servito – si chiedono però imprese e famiglie – il generoso maxi-prestito all´1% da 500 miliardi della Bce alle banche europee? Dove sono finiti quei soldi? Come sono stati utilizzati? Perché non arrivano all´economia reale? E cosa ne sarà dell´altra iniezione che a breve la Bce somministrerà ancora all´Europa malata? L´Abi non esclude, intanto, una nuova moratoria sui debiti delle imprese. «Quella del 2008 ci è costata 15 miliardi», ricorda.

La Repubblica 19.02.12

"«Salvare le tutele dei lavoratori» . Bersani e Camusso, alt a Fornero", di Simone Collini

«Non c’è dubbio che sarebbe positiva un’evoluzione in senso universalistico, generale, del sistema degli ammortizzatori, ma aggiungo: vedere cammello». Pier Luigi Bersani è preoccupato per la piega che rischia di prendere la discussione sul mercato del lavoro. Primo, perché «si sta girando ancora un po’ attorno a quello che è il tema vero, cioè come creare più occupazione». E secondo, perché il moltiplicarsi di annunci, ipotesi, proposte più o meno realistiche rischia di appesantire un confronto che invece deve essere chiuso in tempi rapidi e con il consenso tra le parti: «Il paese ha problemi serissimi e non possiamo permetterci il lusso di aprire conflitti. C’è il ‘salva-Italia’ ma l’Italia la salviamo tutti insieme».

APPLAUSI SULL’ARTICOLO 18 Il leader del Pd parla all’assemblea organizzata a Napoli dalle Democratiche. Su tutte le prime pagine dei giornali sono riportate le parole della ministra Fornero sulla possibilità di rivedere la cassa integrazione straordinaria, per estendere le tutele a chi oggi ne è privo. Bersani, intervistato da Lucia Annunziata e ascoltato con attenzione da Susanna Camusso che siede in prima fila, sottolinea il rischio che il principio, giusto di per sé, mal si concili con la realtà dei fatti. «Siamo in recessione, prima di mollare via strumenti che servono alla bisogna ci penserei molto bene. E poi come si finanzierebbe il nuovo sistema? In Europa non hanno l’anello al naso, non puoi dire che fai il modello danese e poi non dici come lo paghi». Le donne del Pd arrivate a Napoli da ogni regione applaudono il passaggio, come gli altri sull’articolo 18, che «ha poco o nulla a che fare con i problemi che ha il mercato del lavoro». Non sono tutte dipendenti o elette o funzionarie di partito. A riempire la sala Galatea della Stazione marittima, a parlare della questione tutta da risolvere della rappresentanza di genere ma soprattutto di come riscattare il Mezzogiorno, ci sono molte libere professioniste e anche imprenditrici. Raccontano le loro storie, le difficoltà che incontrano. Di tanti problemi parlano, e l’articolo 18 non è tra questi. «Non ho mai trovato un imprenditore che mi abbia detto:mi fermo ad investire per l’articolo 18», dice Bersani pur ammettendo che qualche «aggiustamento», una «manutenzione» dal punto di vista «giurisdizionale» si potrà fare («Il reintegro dopo 7o 8anni ha poco senso »). Il leader del Pd non è interessato ad aprire un duello a distanza con Berlusconi, che pure in quegli stessi minuti rilancia la necessità di modificare l’articolo 18 («io ho tolto Berlusconi dal mirino»). Piuttosto, Bersani vuole sollecitare il governo ad «avere una sua autonomia». «Ci sono dei palloni ideologici che per i mercati diventano più duri del cemento, non per il merito ma perché vogliono verificare se il governo ha la capacità di prendere di petto i problemi. Ma noi abbiamo visto ad altezza degli occhi questi famosi mercati e sappiamo come stanno le cose. A furia di dar retta ai mercati siamo finiti contro un muro ». Ecco perché il governo Monti, che pure Bersani sa non essere «di sinistra » («ma non è neanche di destra») deve dimostrare di sapersi muovere in autonomia. Così come lo farà il Pd, che pure «non intende far cadere il governo», in Parlamento quando verrà discussa la riforma del mercato del lavoro. «Se al tavolo tra governo e parti sociali si giunge a un accordo condiviso bene. Se non ci sarà giudicheremo il problema nel merito alla luce delle nostre proposte e ci comporteremo in Parlamento di conseguenza ». Ancora applausi arrivano dalla platea delle Democratiche, quando il segretario del Pd affronta la questione della rappresentanza femminile nel partito e nelle istituzioni, e spiega: «Abbiamo troppi sensi di colpa, non saremo perfetti ma siamo più avanti di altri, ma serve una legislazione ad hoc perché la parità non si fa in un partito solo». Applausi anche per Susanna Camusso, che si mostra critica con la proposta lanciata da Fornero: «In una stagione difficile è prioritario mantenere gli ammortizzatori che abbiamo. Sull’ammortizzatore universale serve che il governo decida quali risorse rendere disponibili perché sia finanziato, altrimenti è solo una riduzione delle tutele e non un ampliamento ». E poi, «a chi si agita sull’articolo 18» il segretario della Cgil manda a dire che la prima grande norma da fare è «il ripristino della legge sulle dimissioni in bianco». Norma voluta dall’ultimo governo di centrosinistra. L’esperienza dell’Unione, per Bersani, non va ripetuta, ma nel 2013si dovrà compattare un «centrosinistra di governo che faccia un accordo di legislatura con le forze moderate ». E la destra? E le operazioni al centro?«Considero poco probabile un’evoluzione europea del centrodestra dalle ceneri del berlusconismo. E novità potranno arrivare non da movimenti di centro, ma da espressioni di disaffezione della politica».

L’Unità 19.02.12

“«Salvare le tutele dei lavoratori» . Bersani e Camusso, alt a Fornero”, di Simone Collini

«Non c’è dubbio che sarebbe positiva un’evoluzione in senso universalistico, generale, del sistema degli ammortizzatori, ma aggiungo: vedere cammello». Pier Luigi Bersani è preoccupato per la piega che rischia di prendere la discussione sul mercato del lavoro. Primo, perché «si sta girando ancora un po’ attorno a quello che è il tema vero, cioè come creare più occupazione». E secondo, perché il moltiplicarsi di annunci, ipotesi, proposte più o meno realistiche rischia di appesantire un confronto che invece deve essere chiuso in tempi rapidi e con il consenso tra le parti: «Il paese ha problemi serissimi e non possiamo permetterci il lusso di aprire conflitti. C’è il ‘salva-Italia’ ma l’Italia la salviamo tutti insieme».

APPLAUSI SULL’ARTICOLO 18 Il leader del Pd parla all’assemblea organizzata a Napoli dalle Democratiche. Su tutte le prime pagine dei giornali sono riportate le parole della ministra Fornero sulla possibilità di rivedere la cassa integrazione straordinaria, per estendere le tutele a chi oggi ne è privo. Bersani, intervistato da Lucia Annunziata e ascoltato con attenzione da Susanna Camusso che siede in prima fila, sottolinea il rischio che il principio, giusto di per sé, mal si concili con la realtà dei fatti. «Siamo in recessione, prima di mollare via strumenti che servono alla bisogna ci penserei molto bene. E poi come si finanzierebbe il nuovo sistema? In Europa non hanno l’anello al naso, non puoi dire che fai il modello danese e poi non dici come lo paghi». Le donne del Pd arrivate a Napoli da ogni regione applaudono il passaggio, come gli altri sull’articolo 18, che «ha poco o nulla a che fare con i problemi che ha il mercato del lavoro». Non sono tutte dipendenti o elette o funzionarie di partito. A riempire la sala Galatea della Stazione marittima, a parlare della questione tutta da risolvere della rappresentanza di genere ma soprattutto di come riscattare il Mezzogiorno, ci sono molte libere professioniste e anche imprenditrici. Raccontano le loro storie, le difficoltà che incontrano. Di tanti problemi parlano, e l’articolo 18 non è tra questi. «Non ho mai trovato un imprenditore che mi abbia detto:mi fermo ad investire per l’articolo 18», dice Bersani pur ammettendo che qualche «aggiustamento», una «manutenzione» dal punto di vista «giurisdizionale» si potrà fare («Il reintegro dopo 7o 8anni ha poco senso »). Il leader del Pd non è interessato ad aprire un duello a distanza con Berlusconi, che pure in quegli stessi minuti rilancia la necessità di modificare l’articolo 18 («io ho tolto Berlusconi dal mirino»). Piuttosto, Bersani vuole sollecitare il governo ad «avere una sua autonomia». «Ci sono dei palloni ideologici che per i mercati diventano più duri del cemento, non per il merito ma perché vogliono verificare se il governo ha la capacità di prendere di petto i problemi. Ma noi abbiamo visto ad altezza degli occhi questi famosi mercati e sappiamo come stanno le cose. A furia di dar retta ai mercati siamo finiti contro un muro ». Ecco perché il governo Monti, che pure Bersani sa non essere «di sinistra » («ma non è neanche di destra») deve dimostrare di sapersi muovere in autonomia. Così come lo farà il Pd, che pure «non intende far cadere il governo», in Parlamento quando verrà discussa la riforma del mercato del lavoro. «Se al tavolo tra governo e parti sociali si giunge a un accordo condiviso bene. Se non ci sarà giudicheremo il problema nel merito alla luce delle nostre proposte e ci comporteremo in Parlamento di conseguenza ». Ancora applausi arrivano dalla platea delle Democratiche, quando il segretario del Pd affronta la questione della rappresentanza femminile nel partito e nelle istituzioni, e spiega: «Abbiamo troppi sensi di colpa, non saremo perfetti ma siamo più avanti di altri, ma serve una legislazione ad hoc perché la parità non si fa in un partito solo». Applausi anche per Susanna Camusso, che si mostra critica con la proposta lanciata da Fornero: «In una stagione difficile è prioritario mantenere gli ammortizzatori che abbiamo. Sull’ammortizzatore universale serve che il governo decida quali risorse rendere disponibili perché sia finanziato, altrimenti è solo una riduzione delle tutele e non un ampliamento ». E poi, «a chi si agita sull’articolo 18» il segretario della Cgil manda a dire che la prima grande norma da fare è «il ripristino della legge sulle dimissioni in bianco». Norma voluta dall’ultimo governo di centrosinistra. L’esperienza dell’Unione, per Bersani, non va ripetuta, ma nel 2013si dovrà compattare un «centrosinistra di governo che faccia un accordo di legislatura con le forze moderate ». E la destra? E le operazioni al centro?«Considero poco probabile un’evoluzione europea del centrodestra dalle ceneri del berlusconismo. E novità potranno arrivare non da movimenti di centro, ma da espressioni di disaffezione della politica».

L’Unità 19.02.12

"Perchè nel paese si continua a rubare", di Eugenio Scalfari

Vent’anni dopo Tangentopoli la Corte dei conti, ripetendo una denuncia più volte portata all´attenzione del governo, del Parlamento e della pubblica opinione, ha segnalato che la corruzione è il male più diffuso nella società italiana e l´ha quantificata in 60 miliardi annui. Sommandola all´effetto tributario di minori entrate derivanti dall´evasione (quantificabile in 120 miliardi), si ha una cifra complessiva di 180 miliardi.
C´è una differenza tra il 1992 ed oggi, è stato chiesto a Gerardo D´Ambrosio che fu uno dei protagonisti della stagione di Mani pulite? Ha risposto: «Sì, allora si rubava per il partito, oggi si ruba per se stessi». Comunque si continua a rubare. Abbiamo un primato sugli altri Paesi dell´Occidente, in fatto di corruzione li superiamo largamente ed invece siamo largamente in coda alla classifica per quanto riguarda la competitività. Evidentemente esiste un nesso tra quei due fenomeni.
Ci sono poi altri aspetti della nostra società che fanno riflettere: la disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è del 31 per cento (nel Sud molto di più); il precariato è alto in tutte le fasce di età (fino ai 50 anni) e rappresenta ormai un quarto della forza-lavoro; la criminalità organizzata accresce il suo peso delinquenziale e il suo reddito, ha ormai invaso anche il Nord e fa parte di una vasta rete internazionale con propri codici di comportamento, propri valori, proprie istituzioni. Insomma quasi uno Stato nello Stato.
Tutti questi elementi non fanno che creare un clima di corruttela generale. Non a caso l´inizio di Mani pulite coincise con l´assassinio di Falcone e Borsellino.
Ha detto D´Ambrosio rispondendo ad una domanda dell´Avvenire: «Emerse un sistema generalizzato che aveva contribuito ad una spesa pubblica fuori controllo. Si arrivava perfino a bandire appalti inesistenti pur di ottenere denaro per i partiti. Gli imprenditori sapevano che non c´era altra possibilità di ottenere lavoro se non quella di trovarsi padrini politici, con ripercussioni deleterie nella pubblica amministrazione».
I partiti dal canto loro partecipavano collegialmente al ladrocinio; esistevano percentuali di ripartizione stabilite di comune accordo; la Dc e il Psi incassavano dal 10 al 15 per cento del valore dei lavori appaltati, gli altri decrescevano secondo il peso elettorale e politico; l´opposizione, più che denari contanti, otteneva quote di lavoro per le cooperative ed erano poi queste a trasferire una parte del ricavato al Pci.
Mani pulite rivelò che lo Stato era corrotto fino al midollo perché la partitocrazia aveva occupato le istituzioni. Di qui partì la questione morale denunciata da Enrico Berlinguer. Interrogati oggi su Tangentopoli, alcuni degli esponenti del “pool” di Mani pulite, rispondendo alla domanda del perché le Procure si siano mosse soltanto nel 1992 mentre il fenomeno era in atto dai primi anni Ottanta, hanno risposto che non sapevano nulla fino a quando scoppiò il caso Chiesa e le mazzette del Pio Albergo Trivulzio. Forse non leggevano i giornali quei procuratori, o almeno non leggevano Repubblica. Noi denunciammo sistematicamente la corruttela di Stato a partire dal 1985. Nel ´87 denunziammo anche il corrotto sodalizio Craxi-Berlusconi.
Conclusione: Mani pulite fu una benedizione. L´effetto di quell´inchiesta fu l´affondamento della partitocrazia. Ma purtroppo non bastò.
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Non bastò per tre ragioni. La prima: non vi fu una lotta continuativa, sistemica come ora si usa dire, contro la corruzione. Una legge in proposito fu varata da Giuliano Amato ma era solo un inizio che non ebbe alcun seguito.
La seconda ragione fu il berlusconismo che era caratterizzato da una polemica di alta intensità contro la magistratura inquirente e giudicante e da leggi che indebolirono fortemente le sanzioni contro i reati tipici della corruzione, a cominciare da quelli sul falso in bilancio.
La terza fu l´ischeletrirsi dei partiti che si preoccupavano sempre meno del loro rapporto con gli elettori e si rattrappirono su se stessi. L´antipolitica – da sempre latente nello spirito degli italiani – tornò ad essere un fenomeno di massa alimentato dal populismo, dalla demagogia e dal pessimo esempio fornito dalla classe dirigente.
Il solo punto di riferimento positivo e in controtendenza fu la presidenza della Repubblica durante i settennati di Ciampi e di Napolitano. Quest´ultimo – ancora in corso fino al maggio del 2013 – si trovò a dover affrontare la più grave crisi economica dopo quella del ´29, ancora in pieno svolgimento. Se il Quirinale non fosse stato e tuttora non sia in mani sicure ed efficienti dal punto di vista della democrazia e dell´economia sociale di mercato, navigheremmo in mari assai più tempestosi di quelli pur agitati che il governo Monti sta affrontando.
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Il nostro circuito mediatico ha dato in questi giorni molta evidenza alla notizia dell´Istat che negli ultimi due trimestri del 2011 l´Italia è entrata in recessione e all´altra notizia di ottantamila giovani che hanno perso il posto di lavoro nei nove mesi dello scorso anno.
Sono due notizie molto spiacevoli ma erano note da tempo anche se l´Istat ha dato loro il crisma dell´ufficialità; sicché il clamore mediatico è francamente eccessivo. Il vero tema da porre oggi è quello di capire se la recessione continuerà, fino a quando e con quale intensità.
Continuerà, non c´è dubbio, non solo in Italia ma anche in Europa. In Usa sembrerebbe invece che sia in vista una moderata ripresa, ma non tale da far da locomotiva al convoglio. La durata dipende da vari fattori: provvedimenti di crescita adottati dall´Unione europea, provvedimenti di crescita nei singoli Paesi dell´Unione, definitiva soluzione della questione greca, politica monetaria della Bce.
Sui provvedimenti di crescita dell´Unione europea non c´è da farsi molte illusioni, anche se le ultime vicende politico-costituzionali della Germania hanno cambiato sostanzialmente il quadro. Lo si è visto all´evidenza nelle telefonate Merkel-Sarkozy con le quali la Cancelliera ha dovuto motivare con le dimissioni del presidente della Repubblica Wulff la sua impossibilità di abbandonare Berlino. Da quello che è trapelato la Merkel si trova ora in uno stato di notevole difficoltà e le ragioni ne sono ampiamente spiegate nelle nostre pagine dedicate a questo tema. La sua debolezza politica comporta di pari passo un´accresciuta capacità di negoziato da parte di quegli europei che puntano sulla crescita e su una più costruttiva pietas nei confronti del governo e soprattutto del popolo greco. Questi uomini hanno un nome e vedi caso il nome è il medesimo e si tratta di due italiani, Monti e Draghi. Al punto in cui siamo, per fugare ogni dubbio sulla ripresa dell´Europa occorrerebbe il trasferimento, sia pur parziale, dei debiti sovrani dagli Stati all´Unione. Finora la Germania non è stata d´accordo; sarà possibile una resipiscenza dopo quanto sopra detto? In alternativa ci vorrebbero trasferimenti più corposi dall´Unione agli Stati per aiutare le politiche di sviluppo dei medesimi, ma bisognerebbe stabilire un´imposta europea per rimpinguarne il bilancio; per esempio un´Iva europea, provvedimento peraltro non privo di effetti depressivi e/o inflazionistici.
Ma stimolare la domanda nei singoli Stati è un´impresa necessaria. Il governo Monti ci sta pensando ed è auspicabile che dai pensieri si passi ai fatti. Dal recupero dell´evasione e dal taglio delle agevolazioni fiscali inutili (spending review) ci si possono attendere una ventina di miliardi. La riforma delle pensioni e le liberalizzazioni ne possono dare almeno altri dieci e forse più, ma non prima del 2013-14.
Per quella data si può dunque prevedere una massa d´urto di 40 miliardi strutturali e con un bilancio in pareggio un saldo positivo delle partite correnti di 5 punti di Pil da destinare alla graduale diminuzione del debito sempre che lo spread diminuisca sotto quota 200 o più.
La massa d´urto dovrebbe finanziare sgravi fiscali alle fasce di reddito medio-basse, ai contributi delle imprese sugli stipendi dei dipendenti, agli ammortizzatori sociali. Concludendo: nel 2013 la recessione dovrebbe esser finita e nel 2014 il reddito italiano dovrebbe poter crescere del 2 per cento annuo.
Alla base di questi miglioramenti è prevedibile, anzi è sicura perché già in atto (e se ne stanno infatti vedendo i primi positivi effetti) una politica monetaria espansiva da parte della Bce.
Il temuto default del debito greco sarà certamente tamponato fin da domani, ma lascia quel Paese in condizioni drammatiche. Sappiamo quali sono stati gli errori colposi e per certi aspetti perfino dolosi dei governi greci degli ultimi dieci anni (compreso il dispendio per le Olimpiadi). Ma la responsabilità dell´Europa tedesca in questa triste vicenda è stata gravissima.
Non si può commissariare un Paese solo per tutelare la propria ricchezza nazionale. Non si può giocare con i bisogni primari di un popolo sovrano. Non si può provocare una quasi guerra civile per una manciata di spiccioli lesinati. Non si può mettere a rischio il sistema bancario internazionale.
Due parole ancora sulla Germania. È il nostro principale alleato europeo ma nessuno può dimenticare che la Germania è responsabile di due guerre mondiali e di un genocidio. Dovrebbe tener presente questi dati della sua recente storia e operare con estrema cautela prima di assumersi altre altrettanto gravose responsabilità. Mettere a rischio non solo la Grecia ma il destino stesso dell´Europa è un pericolo che – se non segnalato in tempo – può creare una situazione politicamente invivibile nel nostro continente e nella sua pubblica opinione che finirebbe con l´additare la Germania per la quarta volta in un secolo come il nemico pubblico numero uno.
Forse è venuto il momento che le voci autorevoli dell´Europa politica, culturale e mediatica lancino questo avvertimento alla Germania democratica. Bloccato il default a durissime condizioni, la Grecia deve essere aiutata a ritrovare un minimo di prosperità alla quale i suoi cittadini, che sono anche cittadini europei, hanno anch´essi diritto.
Post scriptum. Bene Elsa Fornero e bene i sindacati confederali. Il negoziato è cominciato costruttivamente e ci si augura che così possa concludersi togliendo al mercato del lavoro tante inutili ingessature che favoriscono la precarietà e impediscono la necessaria flessibilità in tempi di globalizzazione. Lascino da parte l´articolo 18. La sua esistenza è utile soltanto per impedire licenziamenti discriminatori che vanno comunque bloccati e sanzionati. Per il resto è un numero che non ha alcun significato, sia che rimanga sia che venga abolito.

La Repubblica 19.02.12

“Perchè nel paese si continua a rubare”, di Eugenio Scalfari

Vent’anni dopo Tangentopoli la Corte dei conti, ripetendo una denuncia più volte portata all´attenzione del governo, del Parlamento e della pubblica opinione, ha segnalato che la corruzione è il male più diffuso nella società italiana e l´ha quantificata in 60 miliardi annui. Sommandola all´effetto tributario di minori entrate derivanti dall´evasione (quantificabile in 120 miliardi), si ha una cifra complessiva di 180 miliardi.
C´è una differenza tra il 1992 ed oggi, è stato chiesto a Gerardo D´Ambrosio che fu uno dei protagonisti della stagione di Mani pulite? Ha risposto: «Sì, allora si rubava per il partito, oggi si ruba per se stessi». Comunque si continua a rubare. Abbiamo un primato sugli altri Paesi dell´Occidente, in fatto di corruzione li superiamo largamente ed invece siamo largamente in coda alla classifica per quanto riguarda la competitività. Evidentemente esiste un nesso tra quei due fenomeni.
Ci sono poi altri aspetti della nostra società che fanno riflettere: la disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è del 31 per cento (nel Sud molto di più); il precariato è alto in tutte le fasce di età (fino ai 50 anni) e rappresenta ormai un quarto della forza-lavoro; la criminalità organizzata accresce il suo peso delinquenziale e il suo reddito, ha ormai invaso anche il Nord e fa parte di una vasta rete internazionale con propri codici di comportamento, propri valori, proprie istituzioni. Insomma quasi uno Stato nello Stato.
Tutti questi elementi non fanno che creare un clima di corruttela generale. Non a caso l´inizio di Mani pulite coincise con l´assassinio di Falcone e Borsellino.
Ha detto D´Ambrosio rispondendo ad una domanda dell´Avvenire: «Emerse un sistema generalizzato che aveva contribuito ad una spesa pubblica fuori controllo. Si arrivava perfino a bandire appalti inesistenti pur di ottenere denaro per i partiti. Gli imprenditori sapevano che non c´era altra possibilità di ottenere lavoro se non quella di trovarsi padrini politici, con ripercussioni deleterie nella pubblica amministrazione».
I partiti dal canto loro partecipavano collegialmente al ladrocinio; esistevano percentuali di ripartizione stabilite di comune accordo; la Dc e il Psi incassavano dal 10 al 15 per cento del valore dei lavori appaltati, gli altri decrescevano secondo il peso elettorale e politico; l´opposizione, più che denari contanti, otteneva quote di lavoro per le cooperative ed erano poi queste a trasferire una parte del ricavato al Pci.
Mani pulite rivelò che lo Stato era corrotto fino al midollo perché la partitocrazia aveva occupato le istituzioni. Di qui partì la questione morale denunciata da Enrico Berlinguer. Interrogati oggi su Tangentopoli, alcuni degli esponenti del “pool” di Mani pulite, rispondendo alla domanda del perché le Procure si siano mosse soltanto nel 1992 mentre il fenomeno era in atto dai primi anni Ottanta, hanno risposto che non sapevano nulla fino a quando scoppiò il caso Chiesa e le mazzette del Pio Albergo Trivulzio. Forse non leggevano i giornali quei procuratori, o almeno non leggevano Repubblica. Noi denunciammo sistematicamente la corruttela di Stato a partire dal 1985. Nel ´87 denunziammo anche il corrotto sodalizio Craxi-Berlusconi.
Conclusione: Mani pulite fu una benedizione. L´effetto di quell´inchiesta fu l´affondamento della partitocrazia. Ma purtroppo non bastò.
***
Non bastò per tre ragioni. La prima: non vi fu una lotta continuativa, sistemica come ora si usa dire, contro la corruzione. Una legge in proposito fu varata da Giuliano Amato ma era solo un inizio che non ebbe alcun seguito.
La seconda ragione fu il berlusconismo che era caratterizzato da una polemica di alta intensità contro la magistratura inquirente e giudicante e da leggi che indebolirono fortemente le sanzioni contro i reati tipici della corruzione, a cominciare da quelli sul falso in bilancio.
La terza fu l´ischeletrirsi dei partiti che si preoccupavano sempre meno del loro rapporto con gli elettori e si rattrappirono su se stessi. L´antipolitica – da sempre latente nello spirito degli italiani – tornò ad essere un fenomeno di massa alimentato dal populismo, dalla demagogia e dal pessimo esempio fornito dalla classe dirigente.
Il solo punto di riferimento positivo e in controtendenza fu la presidenza della Repubblica durante i settennati di Ciampi e di Napolitano. Quest´ultimo – ancora in corso fino al maggio del 2013 – si trovò a dover affrontare la più grave crisi economica dopo quella del ´29, ancora in pieno svolgimento. Se il Quirinale non fosse stato e tuttora non sia in mani sicure ed efficienti dal punto di vista della democrazia e dell´economia sociale di mercato, navigheremmo in mari assai più tempestosi di quelli pur agitati che il governo Monti sta affrontando.
***
Il nostro circuito mediatico ha dato in questi giorni molta evidenza alla notizia dell´Istat che negli ultimi due trimestri del 2011 l´Italia è entrata in recessione e all´altra notizia di ottantamila giovani che hanno perso il posto di lavoro nei nove mesi dello scorso anno.
Sono due notizie molto spiacevoli ma erano note da tempo anche se l´Istat ha dato loro il crisma dell´ufficialità; sicché il clamore mediatico è francamente eccessivo. Il vero tema da porre oggi è quello di capire se la recessione continuerà, fino a quando e con quale intensità.
Continuerà, non c´è dubbio, non solo in Italia ma anche in Europa. In Usa sembrerebbe invece che sia in vista una moderata ripresa, ma non tale da far da locomotiva al convoglio. La durata dipende da vari fattori: provvedimenti di crescita adottati dall´Unione europea, provvedimenti di crescita nei singoli Paesi dell´Unione, definitiva soluzione della questione greca, politica monetaria della Bce.
Sui provvedimenti di crescita dell´Unione europea non c´è da farsi molte illusioni, anche se le ultime vicende politico-costituzionali della Germania hanno cambiato sostanzialmente il quadro. Lo si è visto all´evidenza nelle telefonate Merkel-Sarkozy con le quali la Cancelliera ha dovuto motivare con le dimissioni del presidente della Repubblica Wulff la sua impossibilità di abbandonare Berlino. Da quello che è trapelato la Merkel si trova ora in uno stato di notevole difficoltà e le ragioni ne sono ampiamente spiegate nelle nostre pagine dedicate a questo tema. La sua debolezza politica comporta di pari passo un´accresciuta capacità di negoziato da parte di quegli europei che puntano sulla crescita e su una più costruttiva pietas nei confronti del governo e soprattutto del popolo greco. Questi uomini hanno un nome e vedi caso il nome è il medesimo e si tratta di due italiani, Monti e Draghi. Al punto in cui siamo, per fugare ogni dubbio sulla ripresa dell´Europa occorrerebbe il trasferimento, sia pur parziale, dei debiti sovrani dagli Stati all´Unione. Finora la Germania non è stata d´accordo; sarà possibile una resipiscenza dopo quanto sopra detto? In alternativa ci vorrebbero trasferimenti più corposi dall´Unione agli Stati per aiutare le politiche di sviluppo dei medesimi, ma bisognerebbe stabilire un´imposta europea per rimpinguarne il bilancio; per esempio un´Iva europea, provvedimento peraltro non privo di effetti depressivi e/o inflazionistici.
Ma stimolare la domanda nei singoli Stati è un´impresa necessaria. Il governo Monti ci sta pensando ed è auspicabile che dai pensieri si passi ai fatti. Dal recupero dell´evasione e dal taglio delle agevolazioni fiscali inutili (spending review) ci si possono attendere una ventina di miliardi. La riforma delle pensioni e le liberalizzazioni ne possono dare almeno altri dieci e forse più, ma non prima del 2013-14.
Per quella data si può dunque prevedere una massa d´urto di 40 miliardi strutturali e con un bilancio in pareggio un saldo positivo delle partite correnti di 5 punti di Pil da destinare alla graduale diminuzione del debito sempre che lo spread diminuisca sotto quota 200 o più.
La massa d´urto dovrebbe finanziare sgravi fiscali alle fasce di reddito medio-basse, ai contributi delle imprese sugli stipendi dei dipendenti, agli ammortizzatori sociali. Concludendo: nel 2013 la recessione dovrebbe esser finita e nel 2014 il reddito italiano dovrebbe poter crescere del 2 per cento annuo.
Alla base di questi miglioramenti è prevedibile, anzi è sicura perché già in atto (e se ne stanno infatti vedendo i primi positivi effetti) una politica monetaria espansiva da parte della Bce.
Il temuto default del debito greco sarà certamente tamponato fin da domani, ma lascia quel Paese in condizioni drammatiche. Sappiamo quali sono stati gli errori colposi e per certi aspetti perfino dolosi dei governi greci degli ultimi dieci anni (compreso il dispendio per le Olimpiadi). Ma la responsabilità dell´Europa tedesca in questa triste vicenda è stata gravissima.
Non si può commissariare un Paese solo per tutelare la propria ricchezza nazionale. Non si può giocare con i bisogni primari di un popolo sovrano. Non si può provocare una quasi guerra civile per una manciata di spiccioli lesinati. Non si può mettere a rischio il sistema bancario internazionale.
Due parole ancora sulla Germania. È il nostro principale alleato europeo ma nessuno può dimenticare che la Germania è responsabile di due guerre mondiali e di un genocidio. Dovrebbe tener presente questi dati della sua recente storia e operare con estrema cautela prima di assumersi altre altrettanto gravose responsabilità. Mettere a rischio non solo la Grecia ma il destino stesso dell´Europa è un pericolo che – se non segnalato in tempo – può creare una situazione politicamente invivibile nel nostro continente e nella sua pubblica opinione che finirebbe con l´additare la Germania per la quarta volta in un secolo come il nemico pubblico numero uno.
Forse è venuto il momento che le voci autorevoli dell´Europa politica, culturale e mediatica lancino questo avvertimento alla Germania democratica. Bloccato il default a durissime condizioni, la Grecia deve essere aiutata a ritrovare un minimo di prosperità alla quale i suoi cittadini, che sono anche cittadini europei, hanno anch´essi diritto.
Post scriptum. Bene Elsa Fornero e bene i sindacati confederali. Il negoziato è cominciato costruttivamente e ci si augura che così possa concludersi togliendo al mercato del lavoro tante inutili ingessature che favoriscono la precarietà e impediscono la necessaria flessibilità in tempi di globalizzazione. Lascino da parte l´articolo 18. La sua esistenza è utile soltanto per impedire licenziamenti discriminatori che vanno comunque bloccati e sanzionati. Per il resto è un numero che non ha alcun significato, sia che rimanga sia che venga abolito.

La Repubblica 19.02.12

"Fornero stoppa la Cigs. Sindacati sul piede di guerra", di Luigina Venturelli

Sui tempi di discussione della riforma del mercato del lavoro, la ministra Elsa Fornero ha ribadito ai colleghi europei riuniti ieri a Bruxel- les quanto già detto alle parti sociali italiane: il governo conta di completarla «entro il mese di marzo» e «con il massimo consenso possibile». Sull’applicazione delle novità da introdurre, invece, la responsabile del Welfare ha parlato di «operatività non immediata», soprattutto per quanto riguarda la revisione degli ammortizzatori sociali, che sarebbe rimandata al dopo crisi. Gli «sgravi fiscali e nuovi servizi anche sostenuti dal fondo sociale Ue» per favorire l’occupazione femminile e al Sud, invece, sono stati già previsti nel decreto Salva-Italia di dicembre, e difficilmente si troveranno nuove risorse per introdurne di ulteriori.

CASSA E INDENNIZZO La trattativa con i sindacati e le associazioni imprenditoriali, finalmente entrata nella sua fase decisiva, sarà comunque a tutto campo. Lunedì mattina, al prossimo incontro previsto nella sede del ministero di via Veneto, si parlerà innanzitutto del riordino dei contratti di lavoro, visto che «in Italia abbiamo troppe tipologie che hanno creato molta precarietà, specialmente fra i giovani», nel cui ambito si cercherà di scegliere, valutando «quante tipologie contrattuali tenere».

Ma, ha sottolineato Elsa Fornero, l’esecutivo punta anche a una «profonda revisione degli ammortizzatori sociali da attuare secondo logiche di ampliamento della platea dei potenziali beneficiari», visto che «alcune categorie sono completamente escluse, quindi il nostro principio è più universalismo nella protezione sociale».

Un criterio ispiratore che incontrerà il favore delle organizzazioni sindacali, che da tempo chiedono di ampliare la platea degli aventi diritto ai diversi strumenti di welfare. Terreno di scontro, piuttosto, si riveleranno le risorse per procedere alla riforma degli ammortizzatori – dato che, ha ripetuto il ministro, «la dobbiamo fare a parità di risorse e a parità di costi» e le modalità di riforma, se la revisione della cassa integrazione dovesse comportare la cancellazione di quella straordinaria.

In tal senso Fornero è stata conciliante: «Il governo non intende assolutamente mettere in discussione il ricorso alla cassa integrazione guadagni, anche in deroga, per l’anno corrente, considerato l’attuale grave periodo di crisi occupazionale e produttiva».

Nel futuro, però, «se facciamo il sussidio di disoccupazione, non abbiamo più bisogno della cassa straordinaria», mentre quella «ordinaria va rafforzata». Ma la ministra è consapevole che una sua abolizione troverebbe la totale contrarietà dei sindacati, mettendo a rischio tutto il negoziato: «Non ne avremmo bisogno entro certi limiti», ha poi precisato, proponendone un uso limitato a «riorganizzazioni aziendali e soluzioni di crisi credibili con un tempo definito», che tolga alla cig straordinaria la funzione impropria di anti- camera della mobilità.

DONNE E SOCIETÀ Ai colleghi di Bruxelles, infine, Elsa Fornero ha spiegato le intenzioni dell’esecutivo italiano in tema di occupazione femminile. Dopo le società private (la legge che introduce le quote rosa del 30% nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in Borsa, pena la loro decadenza, è stata adottata nel giugno 2011 e andrà a regime nel triennio 2015-2018) anche quelle a controllo pubblico dovranno garantire un’adeguata presenza di donne nei consigli di amministrazione: «Stiamo mettendo a punto un regolamento perché le regole approvate dal Parlamento per le società private siano applicate anche alle società a controllo pubblico e possibilmente anche alle istituzioni politiche».

Attualmente la presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate è inferiore alla media europea, ovvero l’8% rispetto al 12% dell’Ue. Ma le cose stanno «cambiando rapidamente» ha assicurato la ministra. Con l’ingresso delle donne «nel cuore del potere economico», Elsa Fornero non ha dubbi che si potrà ottenere «un miglioramento delle performance economiche delle società e dell’economia nel suo complesso.

l’Unità 18.02.12

“Fornero stoppa la Cigs. Sindacati sul piede di guerra”, di Luigina Venturelli

Sui tempi di discussione della riforma del mercato del lavoro, la ministra Elsa Fornero ha ribadito ai colleghi europei riuniti ieri a Bruxel- les quanto già detto alle parti sociali italiane: il governo conta di completarla «entro il mese di marzo» e «con il massimo consenso possibile». Sull’applicazione delle novità da introdurre, invece, la responsabile del Welfare ha parlato di «operatività non immediata», soprattutto per quanto riguarda la revisione degli ammortizzatori sociali, che sarebbe rimandata al dopo crisi. Gli «sgravi fiscali e nuovi servizi anche sostenuti dal fondo sociale Ue» per favorire l’occupazione femminile e al Sud, invece, sono stati già previsti nel decreto Salva-Italia di dicembre, e difficilmente si troveranno nuove risorse per introdurne di ulteriori.

CASSA E INDENNIZZO La trattativa con i sindacati e le associazioni imprenditoriali, finalmente entrata nella sua fase decisiva, sarà comunque a tutto campo. Lunedì mattina, al prossimo incontro previsto nella sede del ministero di via Veneto, si parlerà innanzitutto del riordino dei contratti di lavoro, visto che «in Italia abbiamo troppe tipologie che hanno creato molta precarietà, specialmente fra i giovani», nel cui ambito si cercherà di scegliere, valutando «quante tipologie contrattuali tenere».

Ma, ha sottolineato Elsa Fornero, l’esecutivo punta anche a una «profonda revisione degli ammortizzatori sociali da attuare secondo logiche di ampliamento della platea dei potenziali beneficiari», visto che «alcune categorie sono completamente escluse, quindi il nostro principio è più universalismo nella protezione sociale».

Un criterio ispiratore che incontrerà il favore delle organizzazioni sindacali, che da tempo chiedono di ampliare la platea degli aventi diritto ai diversi strumenti di welfare. Terreno di scontro, piuttosto, si riveleranno le risorse per procedere alla riforma degli ammortizzatori – dato che, ha ripetuto il ministro, «la dobbiamo fare a parità di risorse e a parità di costi» e le modalità di riforma, se la revisione della cassa integrazione dovesse comportare la cancellazione di quella straordinaria.

In tal senso Fornero è stata conciliante: «Il governo non intende assolutamente mettere in discussione il ricorso alla cassa integrazione guadagni, anche in deroga, per l’anno corrente, considerato l’attuale grave periodo di crisi occupazionale e produttiva».

Nel futuro, però, «se facciamo il sussidio di disoccupazione, non abbiamo più bisogno della cassa straordinaria», mentre quella «ordinaria va rafforzata». Ma la ministra è consapevole che una sua abolizione troverebbe la totale contrarietà dei sindacati, mettendo a rischio tutto il negoziato: «Non ne avremmo bisogno entro certi limiti», ha poi precisato, proponendone un uso limitato a «riorganizzazioni aziendali e soluzioni di crisi credibili con un tempo definito», che tolga alla cig straordinaria la funzione impropria di anti- camera della mobilità.

DONNE E SOCIETÀ Ai colleghi di Bruxelles, infine, Elsa Fornero ha spiegato le intenzioni dell’esecutivo italiano in tema di occupazione femminile. Dopo le società private (la legge che introduce le quote rosa del 30% nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in Borsa, pena la loro decadenza, è stata adottata nel giugno 2011 e andrà a regime nel triennio 2015-2018) anche quelle a controllo pubblico dovranno garantire un’adeguata presenza di donne nei consigli di amministrazione: «Stiamo mettendo a punto un regolamento perché le regole approvate dal Parlamento per le società private siano applicate anche alle società a controllo pubblico e possibilmente anche alle istituzioni politiche».

Attualmente la presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate è inferiore alla media europea, ovvero l’8% rispetto al 12% dell’Ue. Ma le cose stanno «cambiando rapidamente» ha assicurato la ministra. Con l’ingresso delle donne «nel cuore del potere economico», Elsa Fornero non ha dubbi che si potrà ottenere «un miglioramento delle performance economiche delle società e dell’economia nel suo complesso.

l’Unità 18.02.12