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“È colpa solo della Rai”, di Nino Rizzo Nervo

Non dirò che Celentano non mi è piaciuto perché cadrei nel suo stesso errore, quello di dare enfasi ad una banalità. Su una cosa vorrei però che riflettesse: l’utilità di un giornale la possono decretare soltanto i lettori, perché se lo facessero altri ci dovremmo veramente preoccupare dello stato di degrado del paese che chiude per decreto i giornali dei quali non si condividono le idee.
Io leggevo, leggo e voglio, caro Adriano, continuare a leggere sia Avvenire che Famiglia Cristiana e non permetterò a nessuno di togliermi questa libertà. Né voglio addentrarmi in una critica a questa edizione di Sanremo. Ci penseranno altri che ne hanno più titolo. Traggo, invece, spunto da quanto è successo per sottolineare, qualora ve ne fosse ancora bisogno, la difficile stagione che sta vivendo una grande azienda come la Rai che appare ogni giorno di più fuori controllo. Di Sanremo la cosa più irritante non è stata la prima serata dell’Ariston (l’infortunio in televisione è sempre in agguato), ma quanto è avvenuto il giorno dopo a viale Mazzini. La decisione di “commissariare” una trasmissione è senza precedenti e sembra il patetico tentativo di una direzione generale che cerca di nascondere dietro una decisione apparentemente muscolare la propria incapacità di governo di una macchina complessa qual è sempre stata e continua ad essere la Rai.
Suggerisco al direttore generale di trovare il tempo, se non lo ha già fatto, di andare al cinema e gustarsi la straordinaria interpretazione di Meryl Streep. Non basta, infatti, autodefinirsi “the iron lady” in versione italiana, scoprirà che la Thatcher quell’aggettivo se lo guadagnava sul campo giorno dopo giorno perché aveva idee, competenze, visione, carattere, autorevolezza. E soprattutto coerenza nei comportamenti. Da tempo con altri consiglieri di amministrazione, senza sortire alcun effetto, avevamo messo in guardia il direttore generale del fatto che la Rai è l’unico editore espropriato del suo potere editoriale da soggetti esterni all’azienda.
Le ragioni sono tante ma la più inquietante è l’indebolimento professionale della filiera produttiva interna delle reti dovuta all’invadenza della politica nei processi di nomina. Anche sul Festival, dove la Rai ogni anno si gioca l’immagine di un’intera stagione televisiva, in più occasioni avevamo chiesto di conoscere il progetto ed i costi. A dicembre girava a viale Mazzini questa storiella: quando nella prima conferenza stampa svoltasi a Milano a fine anno Morandi e Mazzi, il direttore artistico, annunciarono la presenza di Celentano a Sanremo né Mazza, direttore di Raiuno, né la Lei, direttore generale ne sapevano nulla. Non avevo creduto a quella che ritenevo essere stata soltanto una malignità. Adesso, in verità, non ne sono più così certo. Se il consiglio non ha mai saputo nulla di Sanremo probabilmente è potuto avvenire perché anche il direttore generale poco ne sapeva.
Adriano Celentano del resto è sempre stato così. Io non sono rimasto sorpreso ma deluso perché un’ora all’interno di Sanremo è per un’artista un’occasione irripetibile e non la si può buttar via in quel modo. Non è lui, però, il problema, ma la scarsa autorevolezza dei suoi interlocutori.
Adesso la soluzione adottata (l’invio di un “commissario ad acta”) è peggiore del buco e rischia di assumere il sapore della censura preventiva. Un’azienda complicata come la Rai non si governa solo con il pugno di ferro. Fare l’editore è un mestiere difficile e complicato. Con gli autori, con gli artisti si dialoga e se c’è condivisione su un progetto comune le norme contrattuali diventano una formalità. Ma per poter dialogare bisogna essere autorevoli e non soltanto apparire tali.

da Europa Quotidiano 16.02.12

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“Una collettiva perdita di senso”, di CURZIO MALTESE
La bomba Celentano è esplosa anche a palazzo Chigi. Convincendo definitivamente Monti che «la Rai è ormai un´azienda nel caos», su cui intervenire con la massima urgenza.Anzi, di colossale idiozia. Accade che Adriano Celentano spari la consueta salva di baggianate e in un paese dove nulla è più indispensabile del futile si scateni un´ondata di reazioni. Gravi, indignate, plaudenti, pro o contro, ma sempre sciocche. Dai vertici Rai, dalla politica, dal giornalismo e finanche dalla Chiesa, che nella nostra ingenuità laica credevamo comunque un´organizzazione di gente seria.
Il record assoluto di apnea del pensiero è stato raggiunto dal direttore generale della Rai, incredibilmente la signora Lorenza Lei, la quale ha commissariato il festival attraverso la nomina a supervisore di Antonio Marano, braccio televisivo della Lega, uno che a non conoscerlo è inutile descrivere. Il personaggio del commissario al festival della canzonetta è una trovata che non sarebbe venuta in mente neppure agli sceneggiatori del cinema demenziale sotto effetto di funghi allucinogeni. Ora immaginate da stasera il povero Marano, si suppone dotato dello stesso impermeabile dell´ispettor Clouseau, che si aggira circospetto nei camerini, intento a censurare i copioni. Dopo averli decifrati, che già è difficile. Un´altra bordata di fesserie celentanesche e forse Morandi sarà costretto a salire sul palco scortato da due carabinieri come Pinocchio, mentre la Celere presidia le curve dell´Ariston e gli elicotteri dell´esercito sorvolano i cieli della Riviera.
Al secondo posto, per insensatezza, si piazza la reazione delle gerarchie ecclesiastiche. Il comunicato dei vescovi, il battaglione degli opinionisti cattolici e lo stesso stimabile direttore di Famiglia Cristiana, don Sciortino, che addirittura lanciano al Molleggiato una sfida sul piano della disputa teologica. Una cosa da far morire dal ridere i teologi veri, come Joseph Ratzinger. A ben pensarci, potrebbe essere anche questo l´attentato alla vita del papa di cui si favoleggia da qualche giorno.
Nella generale perdita di senso dell´umorismo e forse di senso e basta, conforta l´assenza (per ora) di repliche da parte della Consulta, altro bersaglio dell´invettiva ignorante. Almeno i giudici della Corte costituzionale avranno capito che Celentano non sapeva di cosa stava parlando. Era evidente che il trio composto dall´impagabile filosofo della via Gluck, il leggendario Pupo e Gianni Morandi, discettava della Consulta, come di tutto il resto, senza sapere bene se si trattasse di un organo istituzionale, un modello Fiat – la famosa Consulta turbo con quattro ruote motrici – o una olimpionica di sci nordico.
Ma nonostante tutto, grazie Celentano. Massì, perché sia pure attraverso uno dei più brutti pezzi di televisione della storia, il caso Celentano ha illuminato il caso Rai. La mediocrità, l´ipocrisia e l´inadeguatezza dell´attuale vertice della tv di Stato. Un governicchio da quattro soldi, ultima eredità miserabile del berlusconismo, buono a nulla e impaurito da tutto, che prima specula sulla popolarità di Celentano per risollevare un´azienda ridotta all´orlo del fallimento e poi non trova né il coraggio di difendere le proprie scelte né quello di cambiarle fino in fondo. Grazie Celentano anche per averci ricordato quanto sia stato straordinario il discorso di Roberto Benigni l´anno scorso. Perché non basta ottenere l´identico contratto per esprimere lo stesso livello artistico. L´intelligenza, la cultura, il gusto non sono la risultante di codicilli burocratici. E grazie Adriano perché, se predichi come un prete furbo, canti ancora da dio. Insomma un mestiere almeno lo sai fare alla grande. Ma il direttore generale Lei, il commissario Marano e il vice commissario Mazza, tutti questi raccomandati di partito, quando ne impareranno uno decente?

La Repubblica 16.02.12

"Partiti, la riforma del Pd: bilanci alla Corte dei conti", di Roberto Monteforte

Oggi il Pd presenta la sua proposta di legge di riforma dei partiti. Regole per garantire democrazia interna, tutela dei diritti delle minoranze, trasparenza nella gestione delle risorse. Centrale il controllo dei cittadini. Ridare forza e credibilità alla politica ridando centralità al rapporto con i cittadini, garantendo trasparenza e democrazia nella vita interna, controlli rigorosi sulla regolarità della gestione economica e dei bilanci, l’indicazione di responsabilità precise nella vita interna dei partiti, dando attuazione all’articolo 49 della Costituzione. A questo mira la proposta di legge di riforma dei partiti che verrà presentata questo pomeriggio alla stampa dal segretario generale del Pd Pier Luigi Bersani, dal tesoriere Antonio Misiani e Pier Luigi Castagnetti e da Mauro Agostini, Ugo Sposetti e Salvatore Vassallo che hanno lavorato alla proposta presso la sede del Pd in via sant’Andrea delle Fratte.
GLI ELEMENTI FONDAMENTALI
Gli elementi fondamentali sono il riconoscimento della personalità giuridica dei partiti, dando attuazione al dettato costituzionale, prevedendo anche una forma di controllo «statale». Sino ad oggi è mancata una regolazione della vita interna dei partiti. Per il Pd occorre cambiare e in fretta. Lo impone la realtà, segnata anche dal proliferare di partiti personalizzati e da una politica sempre più medializzata. Pesa anche l’esigenza di chiarezza nelle gestioni economiche-finanziarie. Troppe le zone di «opacità», per non dire altro, riscontrate anche recentemente. I fatti di cronaca impongono un cambiamento radicale. È la condizione che hanno i partiti per recuperare credibilità e la fiducia dei cittadini.
L’asse della proposta che verrà presentata oggi è mettere i cittadini e i loro diritti al centro della vita dei partiti, definendo regole precise di democrazia interna che favoriscano la partecipazione dei cittadini e tutelino i diritti degli iscritti, stabilendo al tempo stesso controlli molto rigorosi nella gestione delle risorse finanziarie, che essendo in buona parte «pubbliche» necessitano di certificazione e di controllo da parte della Corte dei Conti. Si revedono sanzioni più dure rispetto a quelle previste oggi in caso di irregolarità.
L’operazione trasparenza è affidata anche al controllo diretto dei cittadini che su Internet devono poter controllare i bilanci e l’«anagrafe degli iscritti» anche in formato «open data».
CONTROLLO DIFFUSO
Si punta a realizzare un controllo diffuso da parte dei cittadini. I partiti, secondo il progetto di riforma del Pd che oggi verrà presentato, devono rispondere a «precisi requisiti» a garanzia della democrazia interna e nella selezione delle candidature che dovranno essere recepiti nei loro statuti. Si ipotizza una disciplina delle «primarie» e un disincentivo nei rimborsi elettorali per quei partiti che decidano di non ricorrervi. Nei loro statuti i partiti devono pure prevedere precidi diritti per le minoranze interne, come pure il rispetto delle «pari opportunità» nella definizione delle candidature.
Si propone tra l’altro maggiore trasparenza nelle gestione delle risorse economiche. Oggi è previsto che vi sia l’obbligo di pubblicità nell’erogazioni liberali pubbliche solo oltre i 50 mila euro l’anno, nella proposta si prevede di abbassare questa soglia a 5 mila euro. È una delle proposte per contrastare l’«opacità» dei partiti.
A questo va affiancata un’adeguata struttura di controllo. È prevista la costituzione per tutti partiti di un «Comitato di tesoreria» che affianchi il tesoriere e di un Collegio sindacale particolarmente qualificato. Si prevede pure l’obbligo di certificazione dei bilanci da parte di società di revisione indipendenti. Sono strumenti di controllo che il Pd già ha attivato e che si propone di generalizzare.
Il tutto va sottoposto al controllo della Corte dei conti e non solo per i bilanci nazionali dei partiti. Il controllo della Corte dei conti andrebbe esteso anche ai bilanci delle strutture territoriali, come quelle politiche regionali, che percepiscono dal «centro» quote di finanziamento pubblico per i rimborsi elettorali. Nella proposta elaborata dal Pd si prevede anche un significativo rafforzamento delle norme sanzionatorie. Su proposta della Corte dei Conti le presidenze di Camera e Senato, che hanno la titolarità della erogazione dei rimborsi elettorali, in caso di irregolarità non chiarite, possono arrivare al «taglio dei rimborsi elettorali»
Una parte della legge è infine dedicata alle elezioni primarie: regolamenti, candidature, tempi.

L’Unità 16.02.12

“Partiti, la riforma del Pd: bilanci alla Corte dei conti”, di Roberto Monteforte

Oggi il Pd presenta la sua proposta di legge di riforma dei partiti. Regole per garantire democrazia interna, tutela dei diritti delle minoranze, trasparenza nella gestione delle risorse. Centrale il controllo dei cittadini. Ridare forza e credibilità alla politica ridando centralità al rapporto con i cittadini, garantendo trasparenza e democrazia nella vita interna, controlli rigorosi sulla regolarità della gestione economica e dei bilanci, l’indicazione di responsabilità precise nella vita interna dei partiti, dando attuazione all’articolo 49 della Costituzione. A questo mira la proposta di legge di riforma dei partiti che verrà presentata questo pomeriggio alla stampa dal segretario generale del Pd Pier Luigi Bersani, dal tesoriere Antonio Misiani e Pier Luigi Castagnetti e da Mauro Agostini, Ugo Sposetti e Salvatore Vassallo che hanno lavorato alla proposta presso la sede del Pd in via sant’Andrea delle Fratte.
GLI ELEMENTI FONDAMENTALI
Gli elementi fondamentali sono il riconoscimento della personalità giuridica dei partiti, dando attuazione al dettato costituzionale, prevedendo anche una forma di controllo «statale». Sino ad oggi è mancata una regolazione della vita interna dei partiti. Per il Pd occorre cambiare e in fretta. Lo impone la realtà, segnata anche dal proliferare di partiti personalizzati e da una politica sempre più medializzata. Pesa anche l’esigenza di chiarezza nelle gestioni economiche-finanziarie. Troppe le zone di «opacità», per non dire altro, riscontrate anche recentemente. I fatti di cronaca impongono un cambiamento radicale. È la condizione che hanno i partiti per recuperare credibilità e la fiducia dei cittadini.
L’asse della proposta che verrà presentata oggi è mettere i cittadini e i loro diritti al centro della vita dei partiti, definendo regole precise di democrazia interna che favoriscano la partecipazione dei cittadini e tutelino i diritti degli iscritti, stabilendo al tempo stesso controlli molto rigorosi nella gestione delle risorse finanziarie, che essendo in buona parte «pubbliche» necessitano di certificazione e di controllo da parte della Corte dei Conti. Si revedono sanzioni più dure rispetto a quelle previste oggi in caso di irregolarità.
L’operazione trasparenza è affidata anche al controllo diretto dei cittadini che su Internet devono poter controllare i bilanci e l’«anagrafe degli iscritti» anche in formato «open data».
CONTROLLO DIFFUSO
Si punta a realizzare un controllo diffuso da parte dei cittadini. I partiti, secondo il progetto di riforma del Pd che oggi verrà presentato, devono rispondere a «precisi requisiti» a garanzia della democrazia interna e nella selezione delle candidature che dovranno essere recepiti nei loro statuti. Si ipotizza una disciplina delle «primarie» e un disincentivo nei rimborsi elettorali per quei partiti che decidano di non ricorrervi. Nei loro statuti i partiti devono pure prevedere precidi diritti per le minoranze interne, come pure il rispetto delle «pari opportunità» nella definizione delle candidature.
Si propone tra l’altro maggiore trasparenza nelle gestione delle risorse economiche. Oggi è previsto che vi sia l’obbligo di pubblicità nell’erogazioni liberali pubbliche solo oltre i 50 mila euro l’anno, nella proposta si prevede di abbassare questa soglia a 5 mila euro. È una delle proposte per contrastare l’«opacità» dei partiti.
A questo va affiancata un’adeguata struttura di controllo. È prevista la costituzione per tutti partiti di un «Comitato di tesoreria» che affianchi il tesoriere e di un Collegio sindacale particolarmente qualificato. Si prevede pure l’obbligo di certificazione dei bilanci da parte di società di revisione indipendenti. Sono strumenti di controllo che il Pd già ha attivato e che si propone di generalizzare.
Il tutto va sottoposto al controllo della Corte dei conti e non solo per i bilanci nazionali dei partiti. Il controllo della Corte dei conti andrebbe esteso anche ai bilanci delle strutture territoriali, come quelle politiche regionali, che percepiscono dal «centro» quote di finanziamento pubblico per i rimborsi elettorali. Nella proposta elaborata dal Pd si prevede anche un significativo rafforzamento delle norme sanzionatorie. Su proposta della Corte dei Conti le presidenze di Camera e Senato, che hanno la titolarità della erogazione dei rimborsi elettorali, in caso di irregolarità non chiarite, possono arrivare al «taglio dei rimborsi elettorali»
Una parte della legge è infine dedicata alle elezioni primarie: regolamenti, candidature, tempi.

L’Unità 16.02.12

"Il papà perfetto", di Maria Novella De Luca e Anais Ginori

Cambiano i pannolini e accompagnano i figli a scuola. I nuovi padri stanno rivoluzionando la famiglia. E in Francia le aziende li agevolano. Non è soltanto questione di pannolini, di lavatrici equamente divise, o di favole da leggere pazientemente la sera, finché non arriva il sonno, i bambini dormono, la luce si abbassa e in casa entra la quiete. È tutto questo, e molto di più. Nel nostro paese è in atto da tempo, silenziosamente, una rivoluzione della paternità. E dunque della coppia. In un sentiero che dalla asimmetria conduce alla simmetria. Perché c´è una generazione di uomini – hanno tra i 30 e i 35 anni, vivono nel Centro Nord, hanno buoni titoli di studio, compagne che lavorano e figli molto piccoli – che sta scoprendo e sperimentando giorno dopo giorno un nuovo modo paritario, interscambiabile, concreto e fisico di essere padri, e naturalmente mariti e compagni. Padri “high care”, collaborativi, partecipi, insomma quasi “perfetti”, così li ha definiti in uno studio appena pubblicato sull´Osservatorio Isfol una giovane sociologa, Tiziana Canal, ricercatrice all´università Carlos III di Madrid. Tracciando un vero e proprio identikit statistico di un genitore (maschio) che per la prima volta, nell´88% dei casi non soltanto gioca con i figli, ma li accompagna a scuola, li lava, li veste, cucina per loro, li accudisce insomma, in una simmetria di ruoli finora quasi sconosciuta in Italia. E poi comunque fa la spesa (68,3%), aiuta nelle faccende domestiche (37,5%) e ogni sera mette a letto i propri bambini (25%). Dati che a leggerli bene raccontano anche quanto sono cambiati i sentimenti e le leggi dell´amore all´interno di una coppia, e quanto, anche, l´esplosione dei canoni tradizionali del lavoro stia mutando per sempre la struttura delle giovani famiglie.
«Se non c´è Veronica ci sono io, e se non ci sono io c´è Veronica – racconta Guido Forti, geologo con lavori a progetto, marito di Veronica, ricercatrice di Fisica – e soltanto così riusciamo ad occuparci, bene, di Guia, che ha 5 anni, e di Antonio che ha 24 mesi. Non ho mai pensato che i figli o la casa dovessero essere “appannaggio” di mia moglie, che in questa fase lavora e guadagna più di me. Occuparsi di Guia e Antonio è un lavoro da pazzi, senza baby sitter e con i nonni lontani, ma lo faccio fin dai loro primi giorni di vita, e per me è naturale. Questo non vuol dire che sia facile. Però è straordinario. E se non avessi vissuto le notti insonni e i cambi di pannolini, forse oggi non avrei questo rapporto così felice con i miei figli». Anche se, è il caso di dirlo, dietro questo cammino verso la “simmetria” che riguarda comunque in Italia una giovane avanguardia di coppie, c´è il costante, paziente e deciso lavoro delle donne. E questa è infatti la tesi dello studio “Paternità e cura familiare” di Tiziana Canal, che ha basato la sua indagine, e dunque il ritratto dei “padri high care” contrapposti ai “padri low care”, su seimila interviste a donne tra i 25 e i 45 anni. Dove ciò che emerge è che questi padri e mariti “high care”, sono prima di tutto compagni di donne che lavorano e hanno alti titoli di studio.
«Mi sono sempre occupata dei temi del lavoro dalla parte delle donne, ma da tempo avevo la curiosità di affacciarmi sull´altro versante, capire perché sul fronte della paternità e della cura familiare gli uomini italiani siano spesso in fondo alle statistiche europee. Perché invece, ciò che credo – dice la sociologa Tiziana Canal – è che nelle giovani coppie molto stia cambiando, e quindi, sulla base dei racconti delle donne, ho provato a descrivere quando e come un uomo si può definire “high care”. E l´elemento più forte è che un padre è tanto più partecipe e collaborativo quanto più la sua compagna è impiegata a tempo pieno, ed è socialmente ed economicamente forte. E una spinta “culturale” in questo senso potrebbe darla la legge sul congedo di paternità obbligatorio che il ministro Fornero vorrebbe introdurre anche in Italia».
Alessio A. si diverte molto a essere definito “padre high care”, anzi di sé dice, «se questo è il ritratto io sono davvero un padre perfetto». «Sono un po´ più vecchio del vostro identikit, ho 45 anni, e la paternità l´ho scoperta da adulto. Marisa e io siamo diventati genitori quando non ci speravamo più, due figli, Piero e Giorgio uno dietro l´altro. Un´esplosione di gioia, di vita e… di problemi. Marisa fa il medico, policlinico universitario, neuropsichiatria, notti, turni, guardie, io faccio l´architetto, ma il lavoro del mio studio andava male da tempo. Mi sono ritirato: oggi faccio il padre a tempo pieno e ogni tanto do una consulenza urbanistica. E Piero e Giorgio sono felici».
Quello che infatti molti padri raccontano è la scoperta del rapporto fisico con i figli, quello che passa attraverso il bagno, il cibo, la notte, l´odore, le sensazioni. Perché se le coppie sono costrette oggi a inventare nuove organizzazioni familiari, «le uniche che permetteranno loro di avere dei figli», suggerisce Alessandro Rosina, demografo, questa inedita strategia di libertà permette ai padri di sperimentare ruoli a loro finora sconosciuti. Dice Giulia Galeotti, storica, autrice del saggio In cerca del padre: «Credo che questi “padri high care” appartengano a un gruppo sociale ancora residuale. Però, come scriveva l´Economist alcuni mesi fa, i giovani padri che oggi si affacciano nel mondo del lavoro considerano la variabile della genitorialità. Proprio come da sempre fanno le madri. Ossia quando accettano o non accettano un impiego tengono conto anche di quanto potranno poi occuparsi o meno dei loro figli. E questo è davvero rivoluzionario». È quell´avvicinamento dei padri alle emozioni, come lo definisce Francesca Zajczyk, sociologa dell´università Bicocca di Milano, figlio anche del mutamento radicale dei canoni del lavoro nelle giovani coppie. «Oggi spesso i contratti sono semestrali, a volte addirittura mensili, oggi lei, domani lui, è fondamentale essere intercambiabili, le giovani famiglie sperimentano davvero un modo nuovo di essere, ma il contesto culturale, il “fuori” è invece ancora molto stereotipato, soprattutto sui modelli femminili. Le donne però – avverte Zajczyk – depositarie del potere della maternità, devono imparare a delegare e lasciare spazio ai padri e ai partner». Anche in quella fase primaria della vita di un bambino che le donne, spesso, tendono a tenere tutta per sé.

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“Congedi, permessi e giorni liberi in Francia la rivoluzione è iniziata”, di Anais Ginori

«Sono pionieri, un´avanguardia che ci dimostra che anche per gli uomini è possibile conciliare un serio impegno professionale con la vita di famiglia» racconta Jerome Ballarin, presidente dell´Observatoire de la parentalité en entreprise che ha raccolto alcuni casi emblematici di impiegati e dirigenti al confine tra vecchi archetipi famigliari e nuovi sistemi produttivi.
Due anni fa, insieme con sindacati e Confindustria francese, Ballarin ha fatto approvare una Carta per valorizzare la paternità nei luoghi di lavoro. Da allora ci sono state 350 società che hanno aderito. A ognuna è stato dato un bollino. Aziende “papà-compatibili” ironizza il direttore dell´Osservatorio. Nel suo ultimo rapporto, appena pubblicato, Ballarin ha stilato un primo consuntivo delle “best practices” realizzate nelle diverse imprese, presentando al governo un decalogo per generalizzare le misure di aiuto ai padri lavoratori. Dai congedi parentali equamente divisi tra uomo e donna, ai permessi per poter partecipare ai corsi preparto. Lo studio propone anche misure simboliche come l´istituzione di un “giovedì dei papà”, un giorno a settimana in cui anticipare l´uscita dall´ufficio per accudire la prole.
«Un padre che riduce ogni tanto il tempo di lavoro per stare con i figli non deve più essere guardato come un tipo strano» spiega Ballarin. Un cambio di mentalità ancora difficile da accettare. La Francia è uno dei paesi europei con il più alto tasso di occupazione femminile in Europa, quasi il 70%. Ma negli ultimi dieci anni, il tempo dedicato dai padri alla cura dei figli e alle occupazioni domestiche non è aumentato neanche di un minuto. Uno squilibrio clamoroso. Il periodo di assenza dal lavoro previsto per il parto è di 16 settimane per le donne e di soli 11 giorni per gli uomini. «Eppure c´è una nuova generazione di uomini che prova un forte desiderio di paternità». Nei sondaggi che sono alla base del rapporto la voglia di crearsi una famiglia è al primo posto delle priorità tra chi ha meno di trent´anni, davanti all´esigenza di trovare un lavoro, guadagnare soldi, frequentare gli amici. Resistono invece i pregiudizi, immarcescibili all´interno delle imprese e del management. Durante un incontro che si è svolto a dicembre, Ballarin ha incontrato padri che raccontano le battute dei colleghi quando devono andare all´appuntamento con il pediatra o al colloquio con le maestre. Ci sono dirigenti che non hanno confessato di non aver preso il congedo parentale che era dovuto nel timore di perdere autorevolezza. «Mentre una donna che accorcia il periodo di maternità è malvista – commenta l´autore del rapporto – sembra naturale che un padre si presenti in ufficio pochi giorni dopo la nascita del figlio».
Troppo spesso l´organizzazione aziendale non riesce a tenere conto di una società che si è evoluta, in cui molti genitori hanno entrambi un impiego. Le difficoltà dei padri lavoratori aumentano nei casi di coppie divorziate, con l´affidamento congiunto dei figli. «Siamo in un sistema economico e produttivo che non è umanamente sostenibile, basato su una doppia discriminazione» sostiene lo studio francese. Il 50% delle donne subisce un rallentamento di carriera dopo la nascita del figlio, contro appena il 20% degli uomini. «Giusto combattere gli stereotipi di cui sono vittime le madri ma la soluzione passa attraverso un riequilibrio in favore dei padri» aggiunge Ballarin che ha lanciato nel 2009 il Family Day nelle aziende. Il primo mercoledì di giugno i figli dei dipendenti vengono in ufficio e partecipano ad attività con degli animatori. Hanno aderito gruppi francesi come L´Oréal, Gouporama, Ppr, Alcatel. Lo studio presenta altre iniziative che hanno avuto un impatto positivo. Ad esempio, l´organizzazione di corsi di puericultura organizzati da Ernst&Young e Bayer, il numero verde per l´assistenza ai genitori di Dell. «Nessuna azienda può più chiamarsi fuori da questo cambiamento sociale» spiega Ballarin che lancia una domanda provocatoria. Perché in Francia andare via dal lavoro dopo le 19 è un segno di forte impegno professionale mentre nei paesi anglosassoni e scandinavi è una prova di inefficienza? È la vecchia logica del “presenzialismo” che premia le ore passate in ufficio e non il raggiungimento degli obiettivi. Qualche manager illuminato lo capirà? Ballarin è convinto che non ci sia alternativa. «L´emancipazione delle donne sul lavoro, quella degli uomini in famiglia» conclude, citando un proverbio svedese. Un po´ più a sud del continente europeo, la rivoluzione è solo all´inizio.

La Repubblica 16.02.12

“Il papà perfetto”, di Maria Novella De Luca e Anais Ginori

Cambiano i pannolini e accompagnano i figli a scuola. I nuovi padri stanno rivoluzionando la famiglia. E in Francia le aziende li agevolano. Non è soltanto questione di pannolini, di lavatrici equamente divise, o di favole da leggere pazientemente la sera, finché non arriva il sonno, i bambini dormono, la luce si abbassa e in casa entra la quiete. È tutto questo, e molto di più. Nel nostro paese è in atto da tempo, silenziosamente, una rivoluzione della paternità. E dunque della coppia. In un sentiero che dalla asimmetria conduce alla simmetria. Perché c´è una generazione di uomini – hanno tra i 30 e i 35 anni, vivono nel Centro Nord, hanno buoni titoli di studio, compagne che lavorano e figli molto piccoli – che sta scoprendo e sperimentando giorno dopo giorno un nuovo modo paritario, interscambiabile, concreto e fisico di essere padri, e naturalmente mariti e compagni. Padri “high care”, collaborativi, partecipi, insomma quasi “perfetti”, così li ha definiti in uno studio appena pubblicato sull´Osservatorio Isfol una giovane sociologa, Tiziana Canal, ricercatrice all´università Carlos III di Madrid. Tracciando un vero e proprio identikit statistico di un genitore (maschio) che per la prima volta, nell´88% dei casi non soltanto gioca con i figli, ma li accompagna a scuola, li lava, li veste, cucina per loro, li accudisce insomma, in una simmetria di ruoli finora quasi sconosciuta in Italia. E poi comunque fa la spesa (68,3%), aiuta nelle faccende domestiche (37,5%) e ogni sera mette a letto i propri bambini (25%). Dati che a leggerli bene raccontano anche quanto sono cambiati i sentimenti e le leggi dell´amore all´interno di una coppia, e quanto, anche, l´esplosione dei canoni tradizionali del lavoro stia mutando per sempre la struttura delle giovani famiglie.
«Se non c´è Veronica ci sono io, e se non ci sono io c´è Veronica – racconta Guido Forti, geologo con lavori a progetto, marito di Veronica, ricercatrice di Fisica – e soltanto così riusciamo ad occuparci, bene, di Guia, che ha 5 anni, e di Antonio che ha 24 mesi. Non ho mai pensato che i figli o la casa dovessero essere “appannaggio” di mia moglie, che in questa fase lavora e guadagna più di me. Occuparsi di Guia e Antonio è un lavoro da pazzi, senza baby sitter e con i nonni lontani, ma lo faccio fin dai loro primi giorni di vita, e per me è naturale. Questo non vuol dire che sia facile. Però è straordinario. E se non avessi vissuto le notti insonni e i cambi di pannolini, forse oggi non avrei questo rapporto così felice con i miei figli». Anche se, è il caso di dirlo, dietro questo cammino verso la “simmetria” che riguarda comunque in Italia una giovane avanguardia di coppie, c´è il costante, paziente e deciso lavoro delle donne. E questa è infatti la tesi dello studio “Paternità e cura familiare” di Tiziana Canal, che ha basato la sua indagine, e dunque il ritratto dei “padri high care” contrapposti ai “padri low care”, su seimila interviste a donne tra i 25 e i 45 anni. Dove ciò che emerge è che questi padri e mariti “high care”, sono prima di tutto compagni di donne che lavorano e hanno alti titoli di studio.
«Mi sono sempre occupata dei temi del lavoro dalla parte delle donne, ma da tempo avevo la curiosità di affacciarmi sull´altro versante, capire perché sul fronte della paternità e della cura familiare gli uomini italiani siano spesso in fondo alle statistiche europee. Perché invece, ciò che credo – dice la sociologa Tiziana Canal – è che nelle giovani coppie molto stia cambiando, e quindi, sulla base dei racconti delle donne, ho provato a descrivere quando e come un uomo si può definire “high care”. E l´elemento più forte è che un padre è tanto più partecipe e collaborativo quanto più la sua compagna è impiegata a tempo pieno, ed è socialmente ed economicamente forte. E una spinta “culturale” in questo senso potrebbe darla la legge sul congedo di paternità obbligatorio che il ministro Fornero vorrebbe introdurre anche in Italia».
Alessio A. si diverte molto a essere definito “padre high care”, anzi di sé dice, «se questo è il ritratto io sono davvero un padre perfetto». «Sono un po´ più vecchio del vostro identikit, ho 45 anni, e la paternità l´ho scoperta da adulto. Marisa e io siamo diventati genitori quando non ci speravamo più, due figli, Piero e Giorgio uno dietro l´altro. Un´esplosione di gioia, di vita e… di problemi. Marisa fa il medico, policlinico universitario, neuropsichiatria, notti, turni, guardie, io faccio l´architetto, ma il lavoro del mio studio andava male da tempo. Mi sono ritirato: oggi faccio il padre a tempo pieno e ogni tanto do una consulenza urbanistica. E Piero e Giorgio sono felici».
Quello che infatti molti padri raccontano è la scoperta del rapporto fisico con i figli, quello che passa attraverso il bagno, il cibo, la notte, l´odore, le sensazioni. Perché se le coppie sono costrette oggi a inventare nuove organizzazioni familiari, «le uniche che permetteranno loro di avere dei figli», suggerisce Alessandro Rosina, demografo, questa inedita strategia di libertà permette ai padri di sperimentare ruoli a loro finora sconosciuti. Dice Giulia Galeotti, storica, autrice del saggio In cerca del padre: «Credo che questi “padri high care” appartengano a un gruppo sociale ancora residuale. Però, come scriveva l´Economist alcuni mesi fa, i giovani padri che oggi si affacciano nel mondo del lavoro considerano la variabile della genitorialità. Proprio come da sempre fanno le madri. Ossia quando accettano o non accettano un impiego tengono conto anche di quanto potranno poi occuparsi o meno dei loro figli. E questo è davvero rivoluzionario». È quell´avvicinamento dei padri alle emozioni, come lo definisce Francesca Zajczyk, sociologa dell´università Bicocca di Milano, figlio anche del mutamento radicale dei canoni del lavoro nelle giovani coppie. «Oggi spesso i contratti sono semestrali, a volte addirittura mensili, oggi lei, domani lui, è fondamentale essere intercambiabili, le giovani famiglie sperimentano davvero un modo nuovo di essere, ma il contesto culturale, il “fuori” è invece ancora molto stereotipato, soprattutto sui modelli femminili. Le donne però – avverte Zajczyk – depositarie del potere della maternità, devono imparare a delegare e lasciare spazio ai padri e ai partner». Anche in quella fase primaria della vita di un bambino che le donne, spesso, tendono a tenere tutta per sé.

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“Congedi, permessi e giorni liberi in Francia la rivoluzione è iniziata”, di Anais Ginori

«Sono pionieri, un´avanguardia che ci dimostra che anche per gli uomini è possibile conciliare un serio impegno professionale con la vita di famiglia» racconta Jerome Ballarin, presidente dell´Observatoire de la parentalité en entreprise che ha raccolto alcuni casi emblematici di impiegati e dirigenti al confine tra vecchi archetipi famigliari e nuovi sistemi produttivi.
Due anni fa, insieme con sindacati e Confindustria francese, Ballarin ha fatto approvare una Carta per valorizzare la paternità nei luoghi di lavoro. Da allora ci sono state 350 società che hanno aderito. A ognuna è stato dato un bollino. Aziende “papà-compatibili” ironizza il direttore dell´Osservatorio. Nel suo ultimo rapporto, appena pubblicato, Ballarin ha stilato un primo consuntivo delle “best practices” realizzate nelle diverse imprese, presentando al governo un decalogo per generalizzare le misure di aiuto ai padri lavoratori. Dai congedi parentali equamente divisi tra uomo e donna, ai permessi per poter partecipare ai corsi preparto. Lo studio propone anche misure simboliche come l´istituzione di un “giovedì dei papà”, un giorno a settimana in cui anticipare l´uscita dall´ufficio per accudire la prole.
«Un padre che riduce ogni tanto il tempo di lavoro per stare con i figli non deve più essere guardato come un tipo strano» spiega Ballarin. Un cambio di mentalità ancora difficile da accettare. La Francia è uno dei paesi europei con il più alto tasso di occupazione femminile in Europa, quasi il 70%. Ma negli ultimi dieci anni, il tempo dedicato dai padri alla cura dei figli e alle occupazioni domestiche non è aumentato neanche di un minuto. Uno squilibrio clamoroso. Il periodo di assenza dal lavoro previsto per il parto è di 16 settimane per le donne e di soli 11 giorni per gli uomini. «Eppure c´è una nuova generazione di uomini che prova un forte desiderio di paternità». Nei sondaggi che sono alla base del rapporto la voglia di crearsi una famiglia è al primo posto delle priorità tra chi ha meno di trent´anni, davanti all´esigenza di trovare un lavoro, guadagnare soldi, frequentare gli amici. Resistono invece i pregiudizi, immarcescibili all´interno delle imprese e del management. Durante un incontro che si è svolto a dicembre, Ballarin ha incontrato padri che raccontano le battute dei colleghi quando devono andare all´appuntamento con il pediatra o al colloquio con le maestre. Ci sono dirigenti che non hanno confessato di non aver preso il congedo parentale che era dovuto nel timore di perdere autorevolezza. «Mentre una donna che accorcia il periodo di maternità è malvista – commenta l´autore del rapporto – sembra naturale che un padre si presenti in ufficio pochi giorni dopo la nascita del figlio».
Troppo spesso l´organizzazione aziendale non riesce a tenere conto di una società che si è evoluta, in cui molti genitori hanno entrambi un impiego. Le difficoltà dei padri lavoratori aumentano nei casi di coppie divorziate, con l´affidamento congiunto dei figli. «Siamo in un sistema economico e produttivo che non è umanamente sostenibile, basato su una doppia discriminazione» sostiene lo studio francese. Il 50% delle donne subisce un rallentamento di carriera dopo la nascita del figlio, contro appena il 20% degli uomini. «Giusto combattere gli stereotipi di cui sono vittime le madri ma la soluzione passa attraverso un riequilibrio in favore dei padri» aggiunge Ballarin che ha lanciato nel 2009 il Family Day nelle aziende. Il primo mercoledì di giugno i figli dei dipendenti vengono in ufficio e partecipano ad attività con degli animatori. Hanno aderito gruppi francesi come L´Oréal, Gouporama, Ppr, Alcatel. Lo studio presenta altre iniziative che hanno avuto un impatto positivo. Ad esempio, l´organizzazione di corsi di puericultura organizzati da Ernst&Young e Bayer, il numero verde per l´assistenza ai genitori di Dell. «Nessuna azienda può più chiamarsi fuori da questo cambiamento sociale» spiega Ballarin che lancia una domanda provocatoria. Perché in Francia andare via dal lavoro dopo le 19 è un segno di forte impegno professionale mentre nei paesi anglosassoni e scandinavi è una prova di inefficienza? È la vecchia logica del “presenzialismo” che premia le ore passate in ufficio e non il raggiungimento degli obiettivi. Qualche manager illuminato lo capirà? Ballarin è convinto che non ci sia alternativa. «L´emancipazione delle donne sul lavoro, quella degli uomini in famiglia» conclude, citando un proverbio svedese. Un po´ più a sud del continente europeo, la rivoluzione è solo all´inizio.

La Repubblica 16.02.12

"I difensori dei privilegi", di Pietro Spataro

Quando si tratta di difendere i privilegi più assurdi riappare lo «spirito di Arcore». Il voto di ieri alla Camera è un altro cazzotto agli elettori e un colpo all’unità del Parlamento. Per salvare il doppio incarico di sette presidenti di Provincia si istituisce di fatto la figura dell’amministratore (o del deputato) part time. Un po’ l’uno e un po’ l’altro, ognuno dei magnifici sette sicuramente non svolgerà bene nessuna delle due funzioni. Concentrerà nelle proprie mani un doppoio potere (e un doppio stipendio) contro il parere della Corte Costituzionale che aveva stabilito l’incompatibilità. La sentenza della Consulta – riferita a un primo cittadino, guarda caso di Forza Italia – non faceva menzione di presidenti di Provincia anche se era del tutto logico estendere quel vincolo. Ma la scandalosa alleanza tra Pdl e Lega, con l’aggiunta di un deputato Udc, ha spazzato via la proposta «adeguativa» votata da Pd e Api. Ha prevalso l’interesse di partito visto che i presidenti in questione sono appunto tutti del
Pdl, della Lega e dell’Udc. Il danno al Parlamento e alla politica è pesante. Anche perché con il voto di ieri si crea una confusione legislativa inaccettabile. Già a dicembre al Senato l’alleanza Berlusconi-Bossi aveva rifiutato di applicare la sentenza della Consulta rendendo compatibili gli incarichi di sindaco (o presidente di Provincia) e senatore. Alla Camera siamo al paradosso per cui un sindaco non può fare il deputato ma un presidente di Provincia sì. Non c’è dubbio che occorra, al più presto e in modo chiaro, porre riparo a questo indecente doppio canale. È una battaglia di civiltà: vietare il cumulo di due cariche pubbliche, ma anche stabilire che chi viene eletto parlamentare faccia il parlamentare e sospenda il lavoro privato, sono i mattoni di una seria (e vera) riforma della politica. Che può spazzare via i veri privilegi che ancora si annidano nelle istituzioni e ridare la massima centralità al Parlamento. Quelli che sono «scesi in campo» sull’onda dell’antipolitica negli anni di
tangentopoli e quelli che ogni giorno la sparano sempre più grossa contro «Roma ladrona» si è visto di che pasta sono fatti. Massimi difensori degli interessi privati, dei doppi incarichi e delle doppie poltrone. Con loro i «guerrieri dell’antipolitica» possono dormire sonni tranquilli.

L’Unità 16.02.12

“I difensori dei privilegi”, di Pietro Spataro

Quando si tratta di difendere i privilegi più assurdi riappare lo «spirito di Arcore». Il voto di ieri alla Camera è un altro cazzotto agli elettori e un colpo all’unità del Parlamento. Per salvare il doppio incarico di sette presidenti di Provincia si istituisce di fatto la figura dell’amministratore (o del deputato) part time. Un po’ l’uno e un po’ l’altro, ognuno dei magnifici sette sicuramente non svolgerà bene nessuna delle due funzioni. Concentrerà nelle proprie mani un doppoio potere (e un doppio stipendio) contro il parere della Corte Costituzionale che aveva stabilito l’incompatibilità. La sentenza della Consulta – riferita a un primo cittadino, guarda caso di Forza Italia – non faceva menzione di presidenti di Provincia anche se era del tutto logico estendere quel vincolo. Ma la scandalosa alleanza tra Pdl e Lega, con l’aggiunta di un deputato Udc, ha spazzato via la proposta «adeguativa» votata da Pd e Api. Ha prevalso l’interesse di partito visto che i presidenti in questione sono appunto tutti del
Pdl, della Lega e dell’Udc. Il danno al Parlamento e alla politica è pesante. Anche perché con il voto di ieri si crea una confusione legislativa inaccettabile. Già a dicembre al Senato l’alleanza Berlusconi-Bossi aveva rifiutato di applicare la sentenza della Consulta rendendo compatibili gli incarichi di sindaco (o presidente di Provincia) e senatore. Alla Camera siamo al paradosso per cui un sindaco non può fare il deputato ma un presidente di Provincia sì. Non c’è dubbio che occorra, al più presto e in modo chiaro, porre riparo a questo indecente doppio canale. È una battaglia di civiltà: vietare il cumulo di due cariche pubbliche, ma anche stabilire che chi viene eletto parlamentare faccia il parlamentare e sospenda il lavoro privato, sono i mattoni di una seria (e vera) riforma della politica. Che può spazzare via i veri privilegi che ancora si annidano nelle istituzioni e ridare la massima centralità al Parlamento. Quelli che sono «scesi in campo» sull’onda dell’antipolitica negli anni di
tangentopoli e quelli che ogni giorno la sparano sempre più grossa contro «Roma ladrona» si è visto di che pasta sono fatti. Massimi difensori degli interessi privati, dei doppi incarichi e delle doppie poltrone. Con loro i «guerrieri dell’antipolitica» possono dormire sonni tranquilli.

L’Unità 16.02.12