Latest Posts

"Tangetopoli non è mai finita", di Grazia Mannozzi

Nonostante le richieste sopranazionali di sanzioni proporzionate, adeguate e dissuasive nei confronti della corruzione, l’Italia non sembra aver intrapreso finora un’azione di contrasto efficace. Rispetto a un fenomeno apparso come dilagante già ai tempi di Tangentopoli, pur in carenza di rilevazioni sistematiche, la risposta sanzionatoria è stata incerta e improntata ad assoluta mitezza.
La lotta alla corruzione e ai reati che normalmente si pongono con essa in rapporto di interdipendenza funzionale (falso in scritture contabili e riciclaggio) costituisce uno degli obiettivi politico-criminali prioritari a livello europeo ed internazionale.
Dalle principali convenzioni in materia emerge la preoccupazione per gli effetti generati da pratiche corruttive diffuse: cattiva allocazione delle risorse pubbliche, alterazione delle regole sulla concorrenza, innesco di sistemi fiscali regressivi, riduzione degli investimenti diretti esteri. (1) Fattori tali da esercitare, a loro volta, una funzione frenante sullo sviluppo economico. (2)
Del resto, la convenzione di Merìda, adottata nel 2003, sottolinea come la corruzione amministrativa, saldandosi alla criminalità organizzata, diventi il grimaldello con cui l’impresa mafiosa riesce a passare dalla gestione dei mercati illegali alla gestione dei mercati legali.
Ma la corruzione non soltanto ostacola lo sviluppo economico, creando frizione con i principi di buon governo e di etica della politica: specie se di livello «sistemico», essa finisce col costituire una minaccia per lo Stato di diritto, la democrazia, il principio di uguaglianza e i diritti dell’uomo.

QUANTO È DIFFUSA LA CORRUZIONE?

Nonostante la molteplicità delle ragioni che inducono a intensificare il contrasto alla corruzione, la necessità di dare risposte alle richieste sopranazionali di criminalizzazione e la dura «lezione» ricevuta dalla Tangentopoli dei primi anni Novanta – quando la corruzione è affiorata nella sua dimensione «sistemica» – il legislatore italiano non sembra aver compiuto significativi passi avanti per «contenere» tale fenomeno criminoso. (3)
Anzitutto non vi è un’accurata rilevazione quantitativa, indispensabile per verificare l’andamento della corruzione nel tempo ed individuare i settori su cui maggiormente essa incide.
Neppure il Servizio anticorruzione e trasparenza istituito nel 2008 all’interno del Dipartimento della funzione pubblica) sembra aver offerto, attraverso il primo rapporto al Parlamento, una piattaforma conoscitiva adeguata. I dati sui delitti denunciati per l’arco temporale 2004-2008 (riportati nella tabella seguente), essendo aggregati, non consentono di «isolare» il fenomeno della corruzione nella sua specificità criminologica.

Sono infatti stati riportati cumulativamente, sotto l’etichetta fuorviante di «reati connessi al fenomeno corruttivo», due categorie di illeciti tra cui corrono differenze sostanziali: i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (tra cui corruzione, concussione, abuso d’ufficio, peculato) e i delitti dei privati contro la Pa o il suo patrimonio (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, truffa, turbata libertà degli incanti). I primi possono essere commessi soltanto da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, perciò da colui ha speciali doveri di fedeltà verso la Pa, desumibili dall’art. 54 della Costituzione, sicché è la condotta di un soggetto interno alla Pa a ledere gli interessi propri di quest’ultima (buon andamento, imparzialità, corretto adempimento dei doveri istituzionali).
I secondi sono invece commessi da privati, soggetti che non hanno obblighi di fedeltà verso la Pa, e pertanto costituiscono una aggressione che proviene dall’«esterno», diretta prevalentemente al patrimonio pubblico.
Tale rilevazione statistica altera il quadro della distribuzione geografica del fenomeno: il Rapporto del SAeT assegna infatti alle regioni meridionali (tra cui Calabria e Puglia) il più alto tasso di denunce di reati genericamente «collegati alla corruzione». Ma se la corruzione viene considerata isolatamente da frodi e truffe, come sarebbe corretto fare in ragione delle sue peculiarità, la distribuzione geografica appare del tutto diversa: la corruzione emerge poco e comunque ancor meno nelle regioni (soprattutto quelle meridionali) in cui è più presente la criminalità organizzata. (4)
Muovendo da quest’ultima chiave di lettura, le politiche nazionali di contrasto alla corruzione (inclusa la concussione) si rivelano deboli e poco mirate. Acquisito che la corruzione è generalmente un reato a elevata «cifra nera» per il convergente interesse al silenzio di corrotto e corruttore, e lo è ancor di più quando è gestita dalla criminalità organizzata, ci si può chiedere come mai il legislatore non abbia scelto, come proposto già nel cosiddetto «Progetto Cernobbio», di incentivare la propensione alla denuncia attraverso l’introduzione di un meccanismo, simile a quello del cosiddetto «dilemma del prigioniero», volto a spezzare dall’interno il vincolo di omertà tra corrotto e corruttore. (5)
In concreto, il «Progetto Cernobbio» proponeva l’introduzione di una causa di non punibilità per chiunque avesse denunciato spontaneamente e per primo un episodio di corruzione entro tre mesi dalla realizzazione dell’illecito e prima che la notizia di reato fosse stata iscritta nel registro generale a suo nome, fornendo indicazioni utili per la individuazione degli altri responsabili. Tale causa di non punibilità risultava condizionata dalla restituzione del prezzo della tangente da parte del corrotto o dalla messa a disposizione di una somma pari all’importo della tangente versata da parte del corruttore.

LA CORRUZIONE IMPUNITA

Venendo alla risposta sanzionatoria, i dati sulle condanne definitive documentano la sostanziale impunitàdei delitti di corruzione: nell’87,6 per cento dei procedimenti penali sono state inflitte pene fino a due anni di reclusione (area della sospendibilità condizionale); nell’8,8 per cento dei casi, pene tra due e tre anni (area delle misure alternative, ad es. l’affidamento in prova ai servizi sociali); soltanto nel 3,5 per cento dei casi sono state irrogate pene superiori a tre anni, eseguibili in forma detentiva. (6) A quest’ultima, esigua quota di condanne è affidato l’effetto deterrente tipico della sanzione penale. Siamo dunque ben lontani dagli standard di proporzionalità, adeguatezza e dissuasività delle risposte sanzionatorie auspicati a livello sopranazionale.
Inutile dire che inasprimenti sanzionatori sulla carta costituirebbero una soluzione tutt’altro che soddisfacente, stante la generalizzata incertezza della pena connessa al rischio prescrizione e l’operatività dei benefici penali o penitenziari che livellano e opacizzano la severità delle risposte. Controindicata è poi da considerare l’opzione a favore del depotenziamento di quegli strumenti di indagine – il riferimento è alla restrizione nell’uso delle intercettazioni telefoniche – indispensabili a far emergere la corruzione dalla «cifra nera» che storicamente e strutturalmente la contraddistingue. A meno che anche il legislatore non scelga di considerare corrotti e corruttori come semplici «mariuoli» o «birbantelli».

(1) Convenzione Ocse sulla lotta alla corruzione dei pubblici funzionari stranieri nelle operazioni economiche internazionali (Parigi, 1997), Convenzione penale sulla corruzione (Strasburgo, 1999), Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione (Merìda, 2003).
(2) Tanzi, Davoodi, Road to Nowhere: How Corruption in Public Investment Hurts Growth, International monetary Fund, 1998; Mauro, Why worry About Corruption?, International Monetary Fund, 1997; Mauro, Corruption and Growth, in The Quarterly Journal of Economics, 1995, 681-712.
(3) Cfr. la Decisione-quadro 2003/568/Gai del Consiglio europeo (22 luglio 2003), contenente la richiesta di criminalizzazione della corruzione nel settore privato.
(4) I dati del Casellario giudiziale centrale sono riferiti da Davigo, Mannozzi, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Laterza, Roma-Bari, 2007.
(5) Proposte in materia di prevenzione della corruzione e dell’illecito finanziamento di partiti, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1025 ss.
(6) Davigo, Mannozzi, op. cit., 236.
lavoce.info

"Il Popolo viola torna in piazza", di Vladimiro Polchi

I viola mi sembrano persone serene, capaci di tenere insieme dai blogger ai partigiani Si parlerà di difesa della Costituzione, di libertà di stampa, di lavoro con gli operai della Fiat Hanno aderito anche i radicali: il centrosinistra sarà presente al completo “Diciamo no al legittimo impedimento Ci siamo autofinanziati”.
«Tingeremo di viola piazza del Popolo». Il tam tam sul web è terminato: con lo slogan “La legge è uguale per tutti” gli autoconvocati tornano in piazza. Forti delle 216mila adesioni on line e dell´appoggio di tutti i partiti di centrosinistra, dei Radicali, della Cgil e dell´Anpi, il Popolo Viola si dà appuntamento per oggi, dalle 14.30 alle 20.30, in piazza del Popolo a Roma. Diretta su Rainews24, YouDem tv e speciali su Repubblica.tv.
L´ultima adesione in ordine di tempo arriva dai Radicali, secondo i quali «in una democrazia nessuno può essere legibus solutus». La loro adesione si aggiunge a quella del Partito democratico, Italia dei Valori, Sinistra Ecologia e Libertà, Verdi, Federazione della Sinistra. La manifestazione – «contro il legittimo impedimento e a sostegno degli organi di garanzia» – è interamente autofinanziata. Gli organizzatori hanno infatti lanciato una sottoscrizione (su www.27febbraio2010.org) per raccogliere almeno 26mila euro. «Cifra già raggiunta e superata – fa sapere uno dei protagonisti del movimento viola, Gianfranco Mascia – per ora siamo a quota 27mila, il minimo necessario per il palco su camion, ma miriamo più in alto, ai 45mila euro per un grande palco coperto con videowall». A chi sottoscrive la cifra maggiore va in premio una colazione con Dario Vergassola. «In testa c´è Anna C. che ha versato mille euro. Vergassola ne è rimasto colpito e dalla colazione è passato ora a promettere un pranzo». Sul palco saliranno i dipendenti della Thyssen e della Merloni, i precari dei call center e gli immigrati dello sciopero del primo marzo. E poi: Oliviero Beha, Gianni Minà, Alberto Asor Rosa, Paolo Flores d´Arcais, Norma Rangeri, Gioacchino Genchi e in video Marco Travaglio, Giorgio Bocca e il giurista Carlo Chimenti. Tra le adesioni anche quelle di Mario Monicelli, Margherita Hack, Andrea Camilleri, Moni Ovadia, Francesco Guccini, Dario Fo e Franca Rame. Dal palco sarà letto l´articolo di Repubblica, in cui Roberto Saviano invita a ribellarsi alla corruzione. «Io avevo già previsto di andare domani a Massa Lombarda per il quindicesimo anniversario della morte di Davide Visani e lì non manco. Ma i nostri militanti e dirigenti andranno», ha assicurato ieri il segretario del Pd Pierluigi Bersani. «Saremo in piazza per dire no a questa vergogna», ha aggiunto Antonio Di Pietro, il leader dell´Idv. A introdurre i vari interventi, due donne: Maria Laura Carcano e Francesca Fornario. La musica sarà garantita dalla chitarra di Andrea Rivera e Edoardo De Angelis. «Chiediamo ai partiti che hanno aderito – spiega un´altra delle organizzatrici, Sara De Sanctis – di portare bandiere viola. Solo queste saranno benvenute sotto al palco, così come erano in testa al corteo del 5 dicembre».
La Repubblica 27.02.10

"Gli affari della Beni Culturali Spa così la cricca puntava sull´arte", di Alberto Statera

Dal Petruzzelli al San Carlo di Napoli: ricorrono sempre gli stessi nomi. E il nuovo superdirettore Mario Resca, ex ad di McDonald´s, con la società controllata Ales ora può gestire le gare come vuole. Il business messo in piedi dall´alto funzionario Angelo Balducci e dai suoi amici appaltatori avrebbe suggerito la nomina di Bertolaso a ministro, al posto di Bondi, annunciata da Berlusconi. Il deus ex machina dello Stato “in deroga” per realizzare “l´Italia del fare” di Berlusconi & Bertolaso, pronubo Letta, aprì sul campo un nuovo fronte di business miliardario: la Beni Culturali Spa. Un fronte così prodigo di soddisfazioni per i pubblici funzionari e per la cricca degli appaltatori da suggerire la nomina dell´uomo dei “decreti emergenziali” Guido Bertolaso a ministro dei Beni Culturali al posto di Sandro Bondi. Di qui l´annuncio di Berlusconi su «Bertolaso ministro» il 29 gennaio scorso, poco prima che lo scandalo deflagrasse. Poi, con l´arresto di Balducci e di altri “servitori dello Stato” la storia ha preso indirizzi diversi per l´inchiesta dei magistrati di Firenze sulla nuova Appaltopoli. Ma l´apparato predisposto è bello e pronto per intercettare “in deroga” i due miliardi e mezzo di euro (diconsi miliardi) di fondi europei per i beni e il turismo culturale. In principio furono per l´appunto i fogli d´oro che Angelo Balducci pretese invece di quelli di oro sintetico nell´apparato decorativo del teatro Petruzzelli, bruciato nel 1991, per la ricostruzione del quale fu commissario straordinario. Che volete che sia un milione di euro in più, di fronte a un costo globale cresciuto del 156 per cento? Poca cosa rispetto ai 6 milioni di aggiornamento prezzi per le poltrone. Relativamente poco anche rispetto ai 650 mila euro per le “chianche” scomparse. Cos´erano? Erano le antiche basole tipiche del borgo antico di Bari, rimosse perché non andassero rovinate. Ma i soliti ignoti scoprirono il ricovero e se le portarono via. Conto totale del commissariamento di Balducci al Petruzzelli: cinquanta milioni contro un appalto iniziale di 23, secondo il calcolo di Antonio Cantoro, che sul “Teatro degli imbrogli” ha scritto un libro che sembra un giallo. Ma pazienza perché, come disse il sindaco di Bari Michele Emiliano, «il Petruzzelli è come il Vesuvio che se erutta fa danni». Se lo si placa fa invece la fortuna di politici, pubblici funzionari, commissari straordinari e appaltatori.
Non eruttò il teatro. Fu inaugurato a fine 2009 e con esso decollò il progetto per trasformare i Beni Culturali nel grande polmone dell´Italia del fare, mondati da ogni regola della legislazione ordinaria, da ogni controllo contabile e di legittimità, in onore di una suprema deroga appaltatrice per teatri da ricostruire, zone archeologiche da ripulire, siti d´arte da mettere in sicurezza, monumenti da sbiancare, palazzi da ristrutturare, statue da rigenerare, quadri da restaurare, biblioteche da puntellare, musei da gestire, biglietterie, librerie, bar e ristoranti da dare in concessione.
La Beni Culturali Spa, un´evoluzione della specie della Protezione Civile Spa, è già pronta a partire sotto i buoni auspici di Gianni Letta se non fosse per i magistrati fiorentini che inchiodano la cricca della bertolasocrazia tutta protesa alla conquista della prateria di appalti che si apre per la valorizzazione del patrimonio storico e monumentale.
È al Petruzzelli di Bari che si fa le ossa come sub-commissario un giovanotto rampante asceso infine a capo di Gabinetto del ministro Bondi. Trentasei anni, si chiama Salvo Nastasi e dalla tolda ministeriale controlla il partito dei commissari e l´annessa galassia di appaltatori del cuore. Egli stesso è stato commissario al Maggio Fiorentino e al teatro San Carlo di Napoli, dove ai lavori di restauro ha partecipato Pierfrancesco Gagliardi, quello che sghignazzava con suo cognato Francesco Piscicelli la notte del terremoto all´Aquila. Dipendente del ministero al settimo livello, questo Nastasi stava per diventare direttore generale senza concorso, per decreto, con un emendamento ad personam del senatore Antonio D´Alì. Nell´agosto scorso passò invece come un colpo di fucile la nomina a direttore generale per la Valorizzazione del patrimonio culturale di Mario Resca, che Berlusconi aveva già proposto in tutte le salse, anche come direttore generale della Rai o presidente dell´Alitalia. Ex amministratore delegato della McDonald´s Italia, ex presidente del Casinò di Campione e della Finbieticola, il suo sogno è fare una centrale elettrica alimentata dal sorgo nell´ex zuccherificio di Voghera. Ma Berlusconi e Letta l´hanno risolutamente voluto al Patrimonio culturale, anche se non ha mai visto un museo in vita sua. «I cheeseburger – ironizzò il New York Times all´atto della nomina – entrano nel dibattito sui musei italiani». Alla Pinacoteca di Brera, di cui Resca è commissario e dove spenderà almeno 50 milioni, potremo ordinare «un McCaravaggio e una coca»? si chiedeva il NYT. E spiegava che il governo italiano «al mandato costituzionale di proteggere il patrimonio culturale sembra voler sostituire un modello imprenditoriale finalizzato allo sfruttamento». Al genio stile McDonald´s dobbiamo lo spot pubblicitario che sull´immagine del Colosseo recita: «Se non lo visitate ve lo portiamo via». In che senso? Come in “TotòTruffa”, il film del 1962 nel quale il principe De Curtis vende la Fontana di Trevi a un turista.
Regnante Berlusconi, il conflitto d´interessi, si sa, è un concetto desueto. Ma le società di gestione museale riunite nella Confcultura, aderente alla Confindustria e presieduta da Patrizia Asproni, sono infuriate perché tra i tanti incarichi Resca, che ha accasato i suoi consulenti in un palazzetto al numero 32-33 di via dell´Umiltà di proprietà di una immobiliare berlusconiana, è anche consigliere d´amministrazione della Mondadori, che controlla la Mondadori Electa, società leader nella gestione dei punti di vendita all´interno dei musei. Magari in un soprassalto di dignità Resca si dimetterà. Ma chi potrà impedire che l´Electa si aggiudichi i pezzi più pregiati del business? Oltre alla Pinacoteca di Brera, gli Uffizi di Firenze, le aree archeologiche di Roma e Ostia Antica, l´area archeologica di Pompei, tutti i siti più importanti sono già nelle mani del partito dei commissari.
Una compagnia di giro ben sperimentata e ottimamente retribuita. A Firenze c´è Elisabetta Fabbri, un architetto veneziano nella manica di Nastasi, già commissaria per il Parco della musica, da cui sono partite le indagini della Procura di Firenze. Tra i “soggetti attuatori”, Balducci ha inserito Mauro Dellagiovanpaola, finito in galera insieme a lui. A Roma e Ostia Antica, dopo il commissariamento di Bertolaso, è subentrato Roberto Cecchi, direttore generale per il Paesaggio e in procinto di diventare segretario generale del ministero. A Pompei c´è Marcello Fiori, ex responsabile dell´Ufficio emergenze della Protezione civile, intimo di Gianni Letta. Ovunque ci siano i soldi pronti ci sono anche i commissari, che in deroga a tutte le leggi affidano i lavori e i servizi senza gare di evidenza pubblica. E non a caso nel 2009 i residui passivi del ministero, cioè i soldi non spesi, sono aumentati di 200 milioni, per dimostrare che per far funzionare le cose occorrono i commissari straordinari.
Tramite la società controllata Arcus, Resca ha affidato per 200 mila euro a due società di consulenza, la Roland Berger e la Price Waterhouse Coopers, il compito di redigere le nuove linee per le gare di concessione dei musei. Ma il gioiellino dell´uomo che vuole portar via il Colosseo è un altro. Si chiama Ales, Arte Lavoro e Servizi Spa, e serve a fare esattamente quello che Berlusconi, Letta e Bertolaso avrebbero voluto fare con la Protezione Civile Spa. Ma stavolta senza decreti, senza passaggi parlamentari, senza opposizione. Ex società per il reimpiego di lavoratori socialmente utili interamente controllata dal ministero dei Beni Culturali, la Ales ha ora la possibilità statutaria di fare quel che vuole, a cominciare dal drenaggio di fondi e dalla loro distribuzione con assoluta discrezionalità. Altro che l´Italstat, la società dell´Iri guidata da Ettore Bernabei che in epoca democristiana introdusse in Italia la concessione e l´appalto di opere di tutti i tipi, dagli uffici postali alle carceri, superando gli ostacoli burocratici e che con fondi Fio si occupò anche di beni culturali, girando gli “sfiori”, che per i grandi partiti erano troppo modesti, ai ministri socialdemocratici dell´epoca Vincenza Bono Parrino, Ferdinando Facchiano e al segretario Psdi Antonio Cariglia. Fu attraverso la consociata Italstrade che furono costituiti centinaia di miliardi di lire di fondi neri, cui attinsero in molti prima. Tra questi, proprio Gianni Letta, che incassò un miliardo e mezzo e raccontò di averlo utilizzato per salvare il quotidiano Il Tempo, di cui era direttore e amministratore delegato. Ne uscì pulito, dopo che il processo fu scippato a Milano dalla Procura di Roma, come il successivo sulla legge Mammì e le frequenze televisive di Berlusconi. La storia si ripete nell´ex porto delle nebbie, come dimostra il coinvolgimento del procuratore aggiunto di Roma Achille Toro nello scandalo Bertolaso.
Lo statuto della Ales, di fatto la Beni Culturali Spa, è un capolavoro che, senza una legge, istituisce una sorta di Iri della Cultura. «A titolo indicativo e non esaustivo», svolge per il ministero «la gestione di musei, aree archeologiche e monumentali, biblioteche, archivi, la guardiania, le visite guidate, la biglietteria, il bookshop, la gestione dei centri di ristoro (con somministrazione di alimenti e bevande rivolta ai fruitori dei luoghi della cultura)… la gestione del marchio e dei diritti d´immagine, il supporto tecnico-operativo per le attività di prestiti. L´esercizio di attività di pubblicità e promozione in tutte le sue forme, anche attraverso l´organizzazione di uffici stampa e piani di comunicazione, di mostre, convegni, fiere promozionali, spettacoli e, in generale, di eventi culturali; l´attività di editoria in generale e in particolare la pubblicazione, produzione e coedizione di libri». E via così per tre pagine fitte fitte. Ecco il gioiellino “in deroga” che era bello e pronto per Guido Bertolaso ministro dei Beni Culturali della Repubblica berlusconiana “del fare”. “Fare affari”, naturalmente. Se non ci fossero stati quei magistrati di Firenze che secondo Berlusconi «si dovrebbero vergognare». Sì, del loro Paese.
La Repubblica 27.02.10

L'appello de l'Unità: "Salviamo Melevisione"

La RAI ha deciso che dall’ottobre 2010 la Melevisione, e con lei l’intera Fascia Bambini di Rai Tre, non andrà più in onda. I genitori, gli insegnanti, gli abbonati alla TV del “servizio pubblico” hanno reagito chiedendo, con diecimila firme su Facebook e una valanga di mail, che la Melevisione viva ancora. La RAI ha risposto con un comunicato che promette vaghe “offerte più mirate” ed evita di rispondere a ciò che gli italiani le chiedono: cosa farà del Fantabosco.
La Melevisione è un piccolo frutteto che ha resistito per undici anni in mezzo all’espandersi delle colture intensive e transgeniche della TV, produttrici di programmi tutti forti e tutti uguali. Eppure oggi molti paesi cominciano a preoccuparsi per i loro bambini obesi, a vietare per legge merendine chimiche studiate per educare il palato a sapori più forti del reale, che fanno sentire insipide le mele. Ma questa preoccupazione non tocca i genitori “decisori” d’Italia. O non per i figli loro: i figli di chi potrà, nei canali a pagamento, troveranno cibi più sani per la mente, se li desiderano. Ai figli di tutti gli altri, invece che ingrandirlo e porlo più in vista, toglieranno anche quel cestino di Mele posato in un angolo, a cui tuttavia qualcuno attingeva. Non hanno ancora capito, e rischiano di capire a loro e nostre spese, che i bambini non sono figli nostri o altrui, ma del paese.
Chiediamo che la Melevisione continui a vivere, a produrre nuove serie, a restare visibile a tutti i bambini d’Italia che vogliono vederla. Chiediamo che rimanga su Rai Tre almeno finché il digitale terrestre non avrà completato una reale ed efficace copertura nazionale.

APPELLO MELEVISIONE
Hanno aderito:
Concita De Gregorio
Lidia Ravera
Loretta Napoleoni
Silvia Ballestra
Moni Ovadia
Carlo Lucarelli
Giancarlo De Cataldo
Tiziana Pomes
Roberto Alajmo e il figlio Arturo
Igiaba Scego
Beppe Sebaste

L’Unità 26.02.10

Mokbel, sequeatrato il suo "tesoro"

Opere d’arte milionarie nella villa del faccendiere della ‘ndrangheta. Intanto la maggioranza si accorge della necessità di intervenire nel caso Di Girolamo. Bersani: “Era ora, ma un anno fa furono loro a salvarlo dall’arresto”. C’è chi lo chiama già “il tesoro di Mokbel” e a ben vedere sembra difficile immaginare un altro appellativo per la scoperta fatta oggi dal Ros. Migliaia di dipinti, serigrafie, litografie e decine di sculture opere di importanti artisti contemporanei e moderni: sono solo una parte della fortuna di Gennaro Mokbel, il capo, insieme al senatore Pdl Nicola Di Girolamo, dell’organizzazione specializzata nel riciclaggio di ingentissimi capitali illegali, per una truffa ai danni dello stato pari a oltre due miliardi di euro.

Nella residenza romana di Collina Fleming, i carabinieri hanno trovato il magazzino all’interno del quale eranera custodito il tesoretto. Gli indagati, secondo gli investigatori, acquistavano le opere d’arte con il denaro guadagnato attraverso le loro operazioni illegali. Fra le opere, alcuni di De Chirico, Capogrossi, Tamburri, Schifano, Borghese, Palma, Clerici e Messina.

Intanto al Senato si continua a discutere dell’annullamento dell’elezione del senatore Pdl, accusato di aver acquistato i voti all’estero tramite conoscenze mafiose. Un insolito Renato Schifani, presidente del Senato, si erge a improbabile paladino della legalità, dimenticando che meno di una anno fa la giunta per le autorizzazioni, con la benedizione dello stesso Schifani, respinse la richiesta di arresto proprio per Di Girolamo. Se il Pdl è di memoria corta, il PD non perde occasione di ricordarglielo.

Dopo la lettera inviata ieri da Schifani al presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità, Marco Follini, quest’ultimo risponde: “Ho sottoposto oggi all’ufficio di presidenza della Giunta la sua lettera di ieri in ordine alla questione della verifica dei titoli di ammissione del senatore Di Girolamo. L’esigenza che ora ella mi rappresenta puo’ essere conseguita ovviamente stando entro i margini delineati da questi antefatti procedurali, i quali comportano le seguenti priorita’, evidenziate da tutti i componenti dell’Ufficio di presidenza integrato: evitare che la sovranita’ dell’Assemblea sia lesa. Evitare che i diritti di difesa di Di Girolamo siano conculcati. Evitare che il dovere di rispondere alla magistratura sia eluso”. A tal proposito, aggiunge Follini, “sono certo che la Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari del Senato sia la sede piu’ idonea per offrire la soluzione piu’ adeguata al conseguimento dell’esigenza da lei rappresentata alla Giunta e resa pubblica al Paese per il tramite delle agenzie di stampa. La prego di considerare che, fino all’esito della procedura d’Assemblea nessun rallentamento sara’ tollerato da questa presidenza circa la tempistica gia’ individuata dall’Ufficio di presidenza integrato per la celere definizione della richiesta di custodia cautelare in carcere, avanzata dalla magistratura penale di Roma nei confronti del senatore Nicola Di Girolamo”.

“Alla buon’ora – commenta Pier Luigi Bersani, interpellato sull’argomento a margine di una iniziativa – noi a suo tempo avevamo già lavorato per la decadenza di questo senatore ma allora la maggioranza non fu convinta”. Ora lo chiedono anche loro e il Pd è “totalmente d’accordo”.

Anna Finocchiaro, presidente dei senatori PD, afferma: “È necessario e utile accelerare i tempi per arrivare ad una decisione rapida del Senato su Di Girolamo. La Giunta per le immunità sta lavorando celermente per la richiesta di autorizzazione all’arresto. Ed è bene che i tempi di lavoro della Giunta non vengano modificati o rallentati. La decisione che riguarda la decadenza di Di Girolamo dipende dall’Assemblea di Palazzo Madama. Noi siamo ben contenti che ora, nel Pdl, a tutti i livelli anche quelli più alti, ci sia la consapevolezza e la convinzione che Di Girolamo non debba fare più il senatore. Noi eravamo di questa opinione anche un anno fa, quando la Giunta per le immunità si espresse favorevolmente per la decadenza di Di Girolamo. Fu il Pdl in Aula a volere la sospensione di quella decisione. Sbagliarono. Noi siamo della stessa opinione di allora e ci auguriamo che si giunga in fretta ad una decisione che risponda all’opinione pubblica, alla giustizia e alle regole del Parlamento. La Giunta per le immunità lavori sulla procedura per l’arresto. Perché Di Girolamo non sia più senatore serve un atto, seguendo procedure corrette, che revochi la sospensione della decadenza di un
anno fa”.

Anche Enrico Letta, vicesegretario PD, ricorda: “Di Girolamo e’ stato salvato dal voto della maggioranza lo scorso anno e soltanto perche’ sono uscite le foto, in maniera inoppugnabile, ora si interviene. Crediamo non sia giusto questo comportamento. La maggioranza deve fare pubblica ammenda e non puo’ oggi raccontare
all’Italia che non conosceva il Senatore Di Girolamo perché quella stessa maggioranza l’ha messo in lista, l’ha fatto eleggere e l’ha salvato l’hanno scorso”.

”Il caso Di Girolamo fa emergere chiaramente limiti e inadeguatezze del sistema elettorale per il voto all’estero e la necessita’ di una riforma”. Lo dice il senatore Pietro Marcenaro, capogruppo del Pd nella Commissione
Esteri del Senato. La questione della rappresentanza deve essere rivista in particolare su tre punti. Il primo e’ quello relativo all’anagrafe degli aventi diritto. La legge così com’e’ riconosce il diritto al voto anche a persone che non hanno più alcuna relazione con il nostro Paese. Il secondo punto e’ quello del meccanismo elettorale che, e’ ormai palese, espone a rischi di brogli e non garantisce il rispetto del principio costituzionale del ‘voto personale, libero e segreto’. Il terzo riguarda il disegno delle circoscrizioni elettorali. Siamo invece contrari a togliere agli emigrati italiani il diritto al voto che da poco gli e’ stato riconosciuto : sarebbe un danno non solo per loro ma per l’Italia”.

Eugenio Marino, responsabile nazionale del Pd all’estero spiega: “Nel nostro Paese c’è l’abitudine a intervenire in casi di emergenza senza preoccuparsi dei problemi né fare prevenzione fino a quando non scoppiano le tragedie: il caso Di Girolamo e del voto all’estero ne sono un esempio. Che il sistema di voto per corrispondenza presentasse una serie di problemi lo denunciammo prima della sua introduzione e dai tempi del referendum sull’articolo 18, la prima volta che votarono i nostri connazionali con questo sistema. Basti rivedere le conferenze stampa organizzate dai dirigenti de L’Ulivo nel mondo di quei tempi per verificare dove e quando si dovesse intervenire. Ma tranne alcuni aggiustamenti non risolutivi (e di emergenza) durante l’ultimo governo Prodi, nessuno si è mai preoccupato davvero della questione. Oggi, che la magistratura ha palesato comportamenti e infiltrazioni mafiose fanno tutti a gara a chi la spara più grossa sul voto all’estero, non per migliorarlo, come si conviene in un Paese democratico e civile, o per ridurne al minimo i rischi, ma per abolirlo. Scoppiata la tragedia, si interviene sull’onda emotiva quando invece occorrerebbe prendere la palla al balzo per ragionare con lucidità su come garantire un diritto costituzionalmente riconosciuto già dal 1948, ma nella pratica negato per mezzo secolo. Ci sono molte strade per rendere quel voto più sicuro, ma serve sgomberare il campo dalle furbizie politiche di chi lo avversa in maniera ideologica e trovare una volontà trasversale per perseguirle e trasformarle in legge”.
www.partitodemocratico.it

Inchiesta G8: PD, mani della cricca su beni archelogici a Roma? Ghizzoni: fare piena luce su scavi a Piazza Vittorio

Le mani della ”cricca” sui beni archeologici di Roma? L’interrogativo viene rilanciato alla Camera dalla capogruppo Pd in commissione Cultura Manuela Ghizzoni, che aveva presentato nei giorni scorsi un’interrogazione sul ruolo di Angelo Balducci nell’accelerazione dei lavori per la costruzione del palazzo dell’Empam a Piazza Vittorio, in un’area ad alto valore archeologico dove sono stati ritrovati resti degli Horti Lamiani che potrebbero addirittura riguardare una villa appartenuta all’imperatore Caligola. ”La risposta del ministero dei Beni culturali alla nostra
interrogazione sugli scavi archeologici connessi alla realizzazione di un immobile a Piazza Vittorio destinato alla nuova sede dell’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri (Enpam) – dice la parlamentare – e’ per la sua banalita’ allarmante”. ”Avevamo chiesto al ministero dei beni culturali – spiega la Ghizzoni – di fare chiarezza sul coinvolgimento della cosiddetta ‘cricca della Ferratella’ nello scavo archeologico e di verificare se il ruolo di Angelo Balducci, Claudio Rinaldi e Enrico Bentivoglio, in questo caso consulenti dell’Enpam, possa aver contribuito ad ottenere ‘corsie preferenziali’ e scavalcare di fatto la Soprintendenza Archeologica che aveva espresso forti riserve sull’intera operazione”. ”Nella sua risposta – prosegue la deputata – il ministero non e’ stato in grado di chiarire nessuna delle questioni da noi poste e ha omesso completamente questi aspetti, dimostrando di non aver accertato se questi soggetti abbiano speso il proprio ruolo pubblico al servizio di interessi privati. Crediamo che su questa vicenda si debba fare piena luce, per ora la risposta del ministero e’ gravemente insufficiente e mostra un quadro di allarmante opacita’ nella gestione di uno scavo archeologico di cosi’ grande rilevanza per la Capitale”.
Nella risposta del ministero si sottolineava che visti gli stop and go negli scavi dovuti anche ai ritrovamenti, nel novembre dello scorso anno la New Esquilino srl (societa’ proprietaria) ha allontanato lo staff degli archeologi motivando la decisione ”con l’estrema lentezza” degli scavi ”rispetto agli obiettivi prefissati” In seguito, sia la societa’ chel’Alta Sorveglianza ”hanno ritenuto opportuno affidare il prosieguo delle operazioni di indagine del sito alla Societa’ Land”.

******

Di seguito il testo dell’Interrogazione

GHIZZONI, DE BIASI e COSCIA. – Al Ministro per i beni e le attività culturali.- Per sapere – premesso che:
dalla stampa si apprende che in piazza Vittorio, a Roma, è in corso di realizzazione un’immobile, di proprietà della New Esquilino s.r.l., destinato a nuova sede dell’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri (ENPAM), che prevede sei piani interrati;

la Soprintendenza archeologica di Roma espresse già in conferenza di servizi forti riserve sul progetto, insistendo l’immobile su un’area di eccezionale rilievo storico-topografico, ovvero all’interno dei cosiddetti Horti Lamiani, noti alla comunità scientifica internazionale per aver restituito tra i più raffinati arredi parietali e importanti apparati scultorei;

i lavori di ricostruzione del quartiere esquilino nel corso dell’800, eseguiti prima che entrasse in vigore la normativa di tutela, hanno comportato numerose demolizioni e rimozioni, cancellando per sempre rilevanti complessi archeologici di eccezionale prestigio;

nel corso dello scavo è stato messo in luce un nuovo settore degli Horti, finora sconosciuto, incentrato intorno ad un’aula di rappresentanza (400 metri quadrati), circondata da ambienti e da una fontana (alcuni dei quali riportati nella FUR di Lanciani) nonché un tratto di strada basolata e un ingresso monumentale;

il nuovo settore è incontestabilmente riferibile ai prestigiosi complessi scoperti da Lanciani, essendo stati trovati elementi marmorei in tutto identici a quelli già venuti in luce nell’800 e oggi conservati presso i Musei capitolini;

il cantiere in questione costituisce il più importante, ampio e complesso scavo di tutta la zona del rione Esquilino a partire dal 1800, estendendosi su una superficie di 1.600 metri quadrati e avendo finora prodotto una cubatura di oltre 12.000 metri cubi;

la Soprintendenza, per armonizzare la tutela dei resti con la realizzazione delle opere, ha approvato un progetto di valorizzazione che prevedeva la musealizzazione delle evidenze al piano seminterrato, destinato a funzioni compatibili e coerenti con la salvaguardia e la valorizzazione dei resti (hall, sala conferenze, biblioteche, archivi) e, in virtù di ciò, sono state autorizzate limitate rimozioni;

lo scavo archeologico, adattandosi via via alle esigenze di cantiere e alla disponibilità degli spazi, è stato fortemente condizionato dalle opere edilizie moderne che si sono continuamente intrecciate e sovrapposte alle indagini archeologiche;

in virtù delle continue pressioni dell’ENPAM e dell’Alta Sorveglianza, la soprintendenza archeologica di Roma ha elaborato e trasmesso, nel gennaio 2009, un cronoprogramma, accettato dalla proprietà e dall’Alta Sorveglianza, che prevedeva la fine delle indagini nel marzo 2010;

la Soprintendenza archeologica ha ripetutamente confermato, nel corso degli anni e specificamente per il cantiere in questione, piena soddisfazione rispetto all’operato degli archeologi che hanno finora condotto lo scavo, cui si deve gran parte delle scoperte effettuate nel quartiere negli ultimi dieci anni nonché numerose pubblicazioni di carattere storico-topografico in merito;

a pochi mesi dalla conclusione dello scavo, consta agli interroganti la proprietà abbia diffidato l’intero staff di archeologi che ha condotto finora le indagini dal proseguire lo scavo -:

se tale decisione non sia stata imposta unilateralmente e senza il parere preliminare della Soprintendenza archeologica, considerato che essa ha ripetutamente confermato pieno apprezzamento per l’operato degli archeologi e che questi ultimi hanno operato in conformità alle indicazioni fornite dagli organi del Ministero per i beni e le attività culturali;

se tale interruzione delle attività che agli interroganti appare ingiustificata non rechi pregiudizio all’interpretazione del contesto archeologico e alla prosecuzione dello scavo, che rischia di essere affidato a nuovi archeologi finora s estranei al contesto in corso di indagine e privi dei dati scientifici utili a portare a compimento lo scavo stesso, cosa che potrebbe produrre irreparabili danni al patrimonio archeologico e alle conoscenze storico-topografiche della topografia antica di Roma, con grave nocumento e per la comunità scientifica e per la collettività;

se non si corra il rischio di disattendere le prescrizioni della Soprintendenza archeologica, così come chiaramente definite nel corso degli anni, a partire dal parere a firma del Soprintendente, prof. La Regina, espresso in conferenza dei servizi del novembre 2004, in cui si richiedeva «una proposta rispettosa delle evidenze antiche individuate, le quali necessitano comunque di uno scavo esaustivo, esteso all’intera stratigrafia archeologica […] laddove la consistenza dei resti potrebbe rivelarsi anche più cospicua di quanto fin qui appena individuato».
(5-02291)

******

Di seguito la risposta del sottosegretario Francesco Maria Giro

5-02291 Ghizzoni: Sull’interruzione dell’attività di scavo archeologico in piazza Vittorio a Roma.
In riferimento all’interrogazione dell’On.le Ghizzoni relativa al progetto di realizzazione di un immobile presso Piazza Vittorio a Roma da destinare a nuova sede dell’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri (ENPAM), faccio presente quanto segue.
Il progetto New Esquilino prevedeva la ricostruzione integrale di un immobile in elevato e la realizzazione di sei piani interrati, originariamente come iniziativa a capitale privato e, successivamente, come opera pubblica soggetta a Conferenza dei Servizi, allo scopo di riqualificare il quartiere.
In relazione a tale progetto, la Soprintendenza archeologica del Ministero ebbe ad esprimere sin dall’inizio forti riserve in base ai dati archeologici noti che attestavano al di sotto dell’immobile la presenza di ulteriori resti degli Horti Lamiani.
La Società New Esquilino s.r.l., proprietaria dell’immobile, decise comunque di avviare il progetto, dichiarandosi disponibile ad elaborare tutte le varianti necessarie alla salvaguardia dei resti antichi. Le attività sono state sin dall’inizio dei lavori complicate da problemi strutturali, trattandosi di un palazzo pericolante, e sono state svolte in contemporanea con importanti opere di consolidamento, indispensabili per la realizzazione dei 6 piani interrati, in un settore dell’Esquilino già orograficamente accidentato, con forti e improvvisi salti di quota.
Lo scavo è stato avviato nel 2006 con un unico archeologo, scelto ed incaricato dalla proprietà e le opere edilizie moderne si sono intrecciate e spesso sovrapposte alle indagini archeologiche negli stessi spazi di cantiere, creando ostacoli e ritardi, ripetutamente segnalati dalla Soprintendenza.
Nel corso della prosecuzione dei lavori e mari mano che i diversi settori di cantiere venivano resi disponibili dall’impresa, è stato incrementato il numero degli archeologi, selezionati peraltro dalla proprietà in base a valutazioni concordate con la Soprintendenza, che tenevano conto della conoscenza della topografia dell’Esquilino documentata da lavori pregressi e da pubblicazioni scientifiche.
Nel corso degli scavi, è emerso un nuovo settore degli Horti Lamiani, finora sconosciuto. Per consentire la tutela dei resti e al contempo la realizzazione delle opere, la Soprintendenza ha approvato un progetto di tutela e valorizzazione che recuperava gli ambienti imperiali, valorizzando l’insieme anche con l’esposizione sul posto di una selezione dei reperti più significativi.
I tempi di scavo sono stati nel tempo adattati alle esigenze di cantiere, alla disponibilità degli spazi e al numero degli archeologi, mentre ostacoli alle opere moderne (verbali dei VVF, sospensione lavori, diffide dei vicini), hanno spesso dilatato i tempi programmati dalla Soprintendenza e dalla proprietà per l’intero immobile.
A fronte delle continue pressioni dell’ENPAM e delle riunioni con l’Alta Sorveglianza, nel gennaio 2009 la Soprintendenza ha elaborato e trasmesso un cronoprogramma, accettato dalla Proprietà e dall’Alta Sorveglianza, che prevedeva la fine delle indagini nel marzo 2010, sulla base di un complesso calcolo delle cubature e delle condizioni di scavo.
Alle successive richieste della proprietà, spesso in variante del progetto approvato, la Soprintendenza ha risposto accettando o rifiutando singole soluzioni – se contrarie alla tutela, ma anche da rivedere in esito ai risultati dello scavo – anche offrendo la massima disponibilità a prolungare l’orario di cantiere, anche di sabato e domenica e ad affiancare altri archeologi a quelli già incaricati.
In data 20 novembre 2009 l’attività di scavo è stata interrotta a seguito di diffida della New Esquilino S.r.l. con la quale si intimava la non prosecuzione dei lavori di scavo con il conseguente allontanamento dello staff di archeologi che fino allora aveva svolto l’attività presso il cantiere di Piazza Vittorio. Tale atto di diffida veniva motivato con l’estrema lentezza delle attività rispetto agli obiettivi prefissati.
A seguito di tale decisione, sia la Società sopracitata che l’Alta Sorveglianza hanno ritenuto opportuno affidare il prosieguo delle operazioni di indagine e di conoscenza scientifica del sito alla Società Land.
Ciò premesso, nel comunicare che attualmente le attività di scavo sono riprese, voglio rappresentare che l’affidamento ditali attività alla predetta Società Land non si ritiene pregiudizievole al contesto archeologico, in quanto essa si avvale di validi archeologi che hanno già affrontato scavi in siti di pari importanza archeologica e scientifica.
Pertanto, si assicura all’Onorevole interrogante che, oltre ad un’adeguata funzione di coordinamento, che continuerà ad essere svolta dalla Soprintendenza di settore, sarà comunque garantita la continuità scientifica, nonché l’utilizzo di idonei standard metodologici di scavo e di documentazione in rapporto alle note caratteristiche del sito.

******

La replica dell’On. Ghizzoni

Manuela GHIZZONI (PD), replicando, si dichiara insoddisfatta. Ricorda come la sua interrogazione riguardi gli scavi nell’area di Piazza Vittorio a Roma, al fine di realizzare un edificio con garage sotterraneo e multipiano. Sottolinea come nel suo atto ispettivo si chiedesse, tra l’altro, come mai gli archeologi che lavoravano a tale cantiere siano stati improvvisamente esonerati. Rammenta come quell’area, ben conosciuta ai romani, sia un’area archeologicamente rilevante, collegata con gli Orti Lamiani, a suo tempo acquisita al demanio imperiale dall’epoca di Caligola. Si tratta quindi di un’area archeologica strategica su cui si sono stratificate varie epoche. Osserva come nella questione vi siano due punti dolenti: da una parte i lavoratori coinvolti nella vicenda e dall’altra la sottovalutazione della parte storico-culturale dell’area. Ricorda come fino ad ora i lavori portati avanti da i sei archeologi titolari dello scavo, si siano realizzati nei tempi previsti dal crono programma: il coefficiente di terra prodotta dallo scavo è di gran lunga superiore ad analoghe situazioni, come dimostra la movimentazione di 12 mila metri cubi di terra smossa, e con il recupero di reperti di estremo rilievo scientifico. Stigmatizza come nonostante i risultati di efficienza e di grande produttività dimostrati agli archeologi sia stato rescisso il contratto e che all’area ora stanno lavorando altri archeologi nel numero di due, ai quali non è stato dato nessun affiancamento. Restano fortissimi dubbi e preoccupazioni come si possano assicurare le stesse tutele e le stesse garanzie dal punto di vista scientifico di fronte a un tale decurtamento nel numero e nelle competenze degli addetti allo scavo archeologico di quell’area. Sollecita il Ministero ad agire nel senso del mandato costituzionale di tutela dei beni culturali del Paese.

Sempre peggio sulla linea Carpi-Modena

L’on. Manuela Ghizzoni interviene ancora una volta sui disservizi ferroviari e sui disagi dei pendolari sulla linea Carpi-Modena. Ecco la sua dichiarazione.
Ghizzoni: “Necessario che si metta mano ai problemi dei pendolari perché il trasporto pubblico non può ridursi alla sola Alta velocità” .
Le soppressioni dei treni e i continui disagi ai pendolari sulla linea Carpi-Modena proseguono incessantemente. Rispetto a quanto già denunciato in diverse mie interrogazioni parlamentari, purtroppo nulla è cambiato, anzi, vi sono segnali ancora più preoccupanti. Circolano persino voci sulla possibilità che Ferrovie dello Stato decida la chiusura domenicale della biglietteria, il che peggiorerebbe ulteriormente il servizio.

È necessario che si metta mano ai problemi dei pendolari perché il trasporto pubblico non può ridursi alla sola Alta velocità. Confidiamo nella capacità del tavolo di confronto avviato da Regione-Provincia e Comune di intervenire sui problemi della linea, in particolare per migliorare le informazioni agli utenti e stabilire una frequenza dei convogli che ottimizzi le coincidenze con la linea di Bologna”.