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La Gelmini e il nucleare: gli studenti devono conoscerlo
Gli studenti dovrebbero avere gli strumenti e le informazioni di base per conoscere una fonte di energia come il nucleare. L’obiettivo di far cadere nelle scuole il tabu del nucleare, tema impopolare soprattutto tra i giovani, è stato annunciato dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. «Bisogna fare una corretta informazione sui rischi, che sono davvero limitati—ha dichiarato durante la presentazione di un progetto europeo sulla conservazione e sicurezza del patrimonio culturale —. Riteniamo che il nucleare debba entrare a pieno titolo anche nelle conoscenze dei ragazzi ».
«Insieme al ministro della Salute Fazio—ha aggiunto—stiamo costituendo un tavolo con esperti di medicina, con il coinvolgimento degli enti di ricerca competenti, per offrire al Paese conoscenze approfondite su un tema propedeutico a scelte politiche ». Per la senatrice del Pd Mariangela Bastico l’iniziativa annunciata dal ministro è semplicemente «sconcertante». «In scuole dagli edifici fatiscenti — sostiene l’esponente dell’opposizione — le cui casse sono ridotte sul lastrico, la prima urgenza che si avvertiva era proprio una bella ora di centrale nucleare». «Indottrinare gli studenti sulla scelta del nucleare — conclude la Bastico — è un’operazione propagandistica che nulla ha a che vedere con la sostenibilità ambientale e tanto meno con la didattica». È polemica anche sui licei musicali e coreutici: a settembre, secondo quando prevede la riforma Gelmini, dovrebbero partire fino a quaranta sezioni dei primi e fino a 10 sezioni dei secondi, un numero comunque destinato a lasciare insoddisfatta la domanda in molte province. La Cgil scuola ha annunciato che al momento sarebbe certa l’apertura di 11 sezioni soltanto per la mancanza di un’intesa tra ministero e regioni. Ma al Miur sostengono che saranno almeno il doppio.
Il Corriere della Sera 26.02.10
"Sorpresa, salta liceo musicale l'annuncio della Gelmini ai sindacati", di Salvo Intravaia
Prima ancora di vedere la luce, cade il primo pezzo della riforma Gelmini. E una delle novità in assoluto annunciate dal governo in pompa magna rimane per il prossimo anno al palo. I licei musicali e i licei coreutici saranno attivati col contagocce: 11 classi in tutta Italia. Quanto basta per comprendere che da domani, 26 febbraio, i 500 mila studenti delle terze medie potranno di fatto scegliere soltanto fra 5 licei (classico, scientifico, delle scienze umane, linguistico e artistico) e non più sei.
Ad annunciarlo, dopo l’incontro tra i tecnici del ministero dell’Istruzione e i sindacati di ieri, è la Fcl Cgil. “Avevamo capito male!”, commentano sarcasticamente da via Leopoldo Serra. “Nell’incontro che si è tenuto ieri presso il ministero dell’Istruzione, l’amministrazione – spiegano – ha formalmente comunicato alle organizzazioni sindacali che l’anno prossimo saranno attivati non 40 classi di liceo musicale e 10 di liceo coreutico, ma, rispettivamente, dieci e una”. Non è esattamente la stessa probabilità di vincere 500 mila euro col Gratta e vinci, ma la probabilità di entrare in una di quelle classi per il mezzo milione di ragazzini in procinto di scegliere come proseguire gli studio è davvero risicata: una su 2 mila. Saranno infatti 250/300 i fortunatissimi.
La ragione della marcia indietro è legata ad una questione tecnica: “Alla ripartizione delle classi si provvede in sede di intesa con la Conferenza unificata sul dimensionamento della rete scolastica”, ma “l’intesa non è stata stipulata”. Così, il ministero ha deciso di partire con le sperimentazioni di liceo musicale e coreutico già “attivate con decreto ministeriale” in 11 scuole. L’elenco delle scuole che potranno attivare i licei musicali e i licei coreutica sarà diffuso su internet il primo marzo. Edc è facile comprendere che coloro che vorranno frequentarlo, visto che sarà a numero chiuso, dovranno sobbarcarsi una costosa trasferta. Oppure, rinunciarvi.
La Repubblica 26.02.10
"Il quoziente familiare serve a pochi", di Ruggero Paladini
Gli interventi a favore delle famiglie rappresentano una quota non piccola delle spese di welfare dei paesi sviluppati; dal lato della spesa possiamo distinguerli in trasferimenti monetari e in servizi. I trasferimenti monetari riguardano in genere sovvenzioni o sussidi per i figli o le persone anziane, mentre i servizi possiamo simmetricamente dividerli in asili nido (pubblici) e assistenza agli anziani. In mezzo, tra erogazioni monetarie o di servizi, vi sono anche gli aiuti per spese specifiche, per esempio per l’affitto della casa d’abitazione. Esistono poi gli interventi dal lato delle imposte, generalmente una riduzione dell’imposta sul reddito per familiari a carico; anche i risparmi d’imposta sono sia generici che collegati ad alcune spese specifiche.
In paesi diversi si osservano dei mix di interventi diversi, che riflettono tradizioni ed impostazioni culturali; gli stati che agiscono più sul lato della spesa presentano quote sul Pil più elevate, cui corrispondono quote di prelievo anch’esse più alte. W. Adema e M. Ladaique, hanno calcolato l’intervento di welfare dei vari paesi, considerando simultaneamente sia il lato della spesa che quello del prelievo fiscale; il risultato è che i paesi scandinavi, che presentano una quota di spesa per welfare superiore di vari punti percentuali a quelli dell’Europa nord-continentale (Francia, Germania ecc..), si trovano invece allineati allo stesso livello una volta che si consolidino i due settori. Il punto è che Francia e Germania operano in maggior misura dal lato del prelievo. La stessa cosa è vera anche per l’Italia, avendo quest’ultima una quota netta di intervento di welfare significativamente minore. Due esempi: la spesa lorda svedese è del 34,6% (sul Pil) mentre quella francese del 33,8%, ma quella netta svedese scende a 29,3%, mentre quella francese rimane praticamente invariata (33,6%). UK ha la quota lorda a 24,3% mentre l’Italia la ha a 28,8%, ma al netto la situazione si capovolge: 29,5% UK, 26,6% Italia.
Tuttavia guardando nel dettaglio emergono differenze significative; nei paesi scandinavi ad esempio in sede di imposta personale non sono previste detrazioni né per il coniuge né per i figli; la visione dei rapporti tra individuo e società è tale che, se uno dei coniugi sceglie di non lavorare, non si vede perché la società dovrebbe intervenire in questa scelta. Se invece decide di lavorare e non trova lavoro, allora la società interviene attraverso politiche attive del lavoro, ed anche con sostegni monetari. La stessa cosa vale per i figli; non si interviene per la decisione di mettere al mondo un figlio, ma si interviene fornendo servizi (dall’asilo nido in su), e sussidi monetari in varie circostanze (redditi bassi, ragazze madri ecc…), favorendo così la possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro.
Nel resto d’Europa invece vi sono interventi di sgravi per coniugi e figli, con caratteristiche diverse, a fronte di una minore fornitura di servizi. Nei paesi a tassazione individuale vi sono deduzioni dall’imponibile o detrazioni d’imposta; la Germania, dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 1958) usa lo splitting, mentre per i figli ci sono delle detrazioni fisse; in Francia invece c’è il sistema del quoziente; su quest’ultimo sistema in particolare si vedano le giuste notazioni di D’Ippoliti .
In Italia l’Irpef era nata (1974) con il cumulo dei redditi nella dichiarazione del capo-famiglia (all’epoca il diritto di famiglia prevedeva questo ruolo per l’uomo); ma nel 1976 la nostra Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittimo il cumulo (l’anno prima era cambiato il diritto di famiglia e scomparsa la figura del capo-famiglia) e aveva indicato, a differenza della Corte tedesca, la tassazione individuale come metodo di imposizione. Va notato che inizialmente la detrazione per il coniuge era molto più alta di quella dei figli; rivalutando le lire ai prezzi correnti e convertendo in euro la detrazione per il coniuge era sui 200 euro, mentre quella per un figlio sui 40 euro. Nel corso del tempo la distanza tra le detrazioni per il coniuge e quella per i figli si è sostanzialmente annullata; inoltre l’ammontare (per tutti i familiari a carico) è cresciuto significativamente; la detrazione più tipica è sugli 800 euro. Le nostre detrazioni non sono fisse (cioè indipendenti dal livello del reddito) ma decrescono fino ad annullarsi a livelli di redditi alti. I dati delle dichiarazioni 2007 ci dicono che l’ammontare delle detrazioni spettanti sono state pari a 11,681 miliardi, pari al 5,9% dell’imposta lorda (al netto cioè di tutte le varie forme di detrazioni). Tuttavia si può stimare che circa un quinto non sia stato usufruito dai contribuenti perché incapienti, cioè con un reddito troppo basso per poter sfruttare pienamente le detrazioni.
Il sistema del quoziente alla francese trova da tempo appassionati sostenitori. Si può osservare che l’amore per il quoziente è molto diffuso nel mondo cattolico, probabilmente per l’aggettivo “familiare” che lo accompagna. La mia personale impressione è che i sostenitori del quoziente abbiano in mente gli effetti che questo sistema produrrebbe su coloro che, come loro, hanno redditi elevati, coniuge casalingo, e numerosi figli. Hanno invece molta difficoltà a capire che per tutte le famiglie con redditi medio-bassi (non parliamo neppure di quelle con redditi bassi) il passaggio al quoziente, sostituendo il sistema attuale, porterebbe ad un aggravio di imposta. Bisognerebbe allora introdurre un sistema a scelta, con il risultato di un costo che arriverebbe facilmente a superare un punto di Pil, per non parlare del fatto che la gestione del sistema sarebbe mostruosamente complicata; in Italia l’Irpef infatti funziona con i sostituti d’imposta, tipicamente il datore di lavoro, e dipende dal carattere individuale dell’imposta. Sarebbe comunque bene che i sostenitori del quoziente familiare sapessero che in Francia il quoziente si applica anche alle coppie (etero o meno) sottoscrittrici dei Pacs; non si applica ai maggiorenni (salvo il periodo dell’università), e quindi i”bamboccioni” non fanno numero.
Alcuni sostenitori del quoziente di area c.d. “teodem”, hanno in effetti la percezione che il quoziente alla francese consista in sgravi fiscali per redditieri con redditi alti; prova ne è il fatto che hanno presentato, nella scorsa legislatura, un disegno di legge (a firma Bobba et al.) che poneva un limite al reddito da “quozientare” (pari a tre volte il reddito medio “di specie”). Si trattava di una soluzione cervellotica prima ancora che illegittima costituzionalmente. Tuttavia ipotesi più sofisticate possono venire alla mente: ad esempio pensare che il divisore del quoziente non sia un numero fisso (per data famiglia) ma continuamente decrescente fino ad arrivare ad 1 per redditi altissimi. Proposta raffinata, non c’è dubbio, ma basta riflettere un attimo, per rendersi conto che quello che si sta cercando di ottenere è un sistema che dia dei risparmi d’imposta sostanzialmente uguali per tutti. Se è così allora c’è un metodo molto più semplice per ottenere il risultato, ed è quello di rendere fisse le detrazioni.
Eliminare la decrescenza delle detrazioni rispetto al reddito sarebbe in effetti una proposta ragionevole che gli animi sensibili alle difficoltà delle famiglie potrebbero sostenere, e che comporterebbe una perdita di gettito di entità molto più limitata: circa un miliardo e mezzo. Rimarrebbe però il problema delle famiglie a basso reddito che già oggi non riescono a usufruire pienamente delle detrazioni esistenti; volendo trasformare l’incapienza in imposta negativa, cioè in trasferimento monetario, il costo crescerebbe di altri due miliardi. Alcune famiglie usufruiscono degli assegni al nucleo familiare, ma altre no. Il Libro Bianco del Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze e del MEF del 2008 (consultabile sul sito della SSEF) propone una “dote fiscale” che unifica detrazioni ed assegni, generalizzando i trasferimenti monetari a tutte le famiglie. Per una sistemazione dell’Irpef che coniughi equità ed efficienza le detrazioni “piatte” dovrebbero essere applicate non solo ai carichi familiari, ma anche alle detrazioni da lavoro. In questo caso però il costo in termini di gettito salirebbe ad oltre un punto di Pil. Una riduzione di tre punti della prima aliquota, e di un paio di punti della terza, completerebbero i ritocchi all’Irpef; il costo complessivo arriverebbe a due punti di Pil. Ma queste proposte possono essere sviluppate in un successivo articolo.
Per concludere: mentre il quoziente “alla francese” agevolerebbe solo alcune famiglie, quelle con redditi più alti, un ridisegno complessivo del sistema delle detrazioni e dei trasferimenti monetari sarebbe auspicabile, non per favorire alcune famiglie rispetto ad altre ma per dare maggiore razionalità ed equità al sistema. Ma tale riforma avrebbe un costo tutt’altro che trascurabile – circa due punti di Pil – , e richiederebbe dunque ingenti risorse da reperire in qualche modo.
Fonti e riferimenti bibliografici:
W. Adema e M. Ladaique: “How Expensive is the Welfare State?: Gross and Net Indicators in the OECD Social Expenditure Database”, OECD Social Employment and Migration Working Papers n. 92, 2009.
Dati delle statistiche Irpef 2007, consultabili sul sito del Dipartimento delle Finanze.
www.ingenere.it
Carpi (mo) – Cena con le donne di Cortile
In occasione della festa della donna
presso Circolo Arci Cortile di Carpi
"La prova delle menzogne", di Giuseppe D'Avanzo
David Mills è stato corrotto. È quel che conta anche se la manipolazione delle norme sulla prescrizione, che Berlusconi si è affatturato a partita in corso, lo salva dalla condanna e lo obbliga soltanto a risarcire il danno per il pregiudizio arrecato all´immagine dello Stato. Questa è la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione. Per comprenderla bisogna sapere che la corruzione è un reato «a concorso necessario»: se Mills è corrotto, il presidente del Consiglio è il corruttore. Per apprezzare la decisione, si deve ricordare che cosa ha detto, nel corso del tempo, Silvio Berlusconi di David Mills e di All Iberian, l´arcipelago di società off-shore creato dall´avvocato inglese. «Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conosco neppure l´esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario» (Ansa, 23 novembre 1999). «Non conosco David Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l´Italia» (Ansa, 20 giugno 2008). Bisogna cominciare dalle parole – e dagli impegni pubblici – del capo del governo per intendere il significato della sentenza della Cassazione.
Perché l´interesse pubblico della decisione non è soltanto nella forma giuridica che qualifica gli atti, ma nei fatti che convalida; nella responsabilità che svela; nell´obbligo che oggi incombe sul presidente del Consiglio, se fosse un uomo che tiene fede alle sue promesse.
Dunque, Berlusconi ha conosciuto Mills e, come il processo ha dimostrato e la Cassazione ha confermato (il fatto sussiste e il reato c´è stato), All Iberian è stata sempre nella sua disponibilità. Sono i due punti fermi e fattuali della sentenza (altro è l´aspetto formale, come si è detto). Da oggi, quindi, il capitolo più importante della storia del presidente del consiglio lo si può raccontare così. Con il coinvolgimento «diretto e personale» del Cavaliere, David Mills dà vita alle «64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest». Le gestisce per conto e nell´interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle «fiamme gialle» corrotte), Mills mente in aula per tener lontano il Cavaliere da quella galassia di cui l´avvocato inglese si attribuisce la paternità ricevendone in cambio «somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali» che lo ricompensano della testimonianza truccata.
Questa conclusione rivela fatti decisivi: chi è Berlusconi; quali sono i suoi metodi; che cosa è stato nascosto dalla testimonianza alterata dell´avvocato inglese. Si comprende definitivamente come è nato, e con quali pratiche, l´impero del Biscione; con quali menzogne Berlusconi ha avvelenato il Paese.
Torniamo agli eventi che oggi la Cassazione autentica. Le società offshore che per brevità chiamiamo All Iberian sono state uno strumento voluto e adoperato dal Cavaliere, il canale oscuro del suo successo e della sua avventura imprenditoriale. Anche qui bisogna rianimare qualche ricordo. Lungo i sentieri del «group B very discreet della Fininvest» transitano quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che ricompensano Bettino Craxi per l´approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi mentre, in parlamento, è in discussione la legge Mammì. In quelle società è occultata la proprietà abusiva di Tele+ (viola le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le «fiamme gialle»); il controllo illegale dell´86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l´acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche. Da quelle società si muovono le risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma (assicurano al Cavaliere il controllo della Mondadori); gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favoriscono le scalate a Standa e Rinascente. Dunque, l´atto conclusivo del processo Mills documenta che, al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c´è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.
La sentenza conferma non solo che Berlusconi è stato il corruttore di Mills, ma che la sua imprenditorialità, l´efficienza, la mitologia dell´homo faber, l´intero corpo mistico dell´ideologia berlusconiana ha il suo fondamento nel malaffare, nell´illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo.
E´ la connessione con il peggiore passato della nostra storia recente che, durante gli interminabili dibattimenti del processo Mills, il capo del governo deve recidere. La radice del suo magnificato talento non può allungarsi in quel fondo fangoso perché, nell´ideologia del premier, è il suo trionfo personale che gli assegna il diritto di governare il Paese. Le sue ricchezze sono la garanzia del patto con gli elettori e dell´infallibilità della sua politica; il canone ineliminabile della «società dell´incanto» che lo beatifica. Per scavare un solco tra sé e il suo passato e farsi alfiere credibile e antipolitico del nuovo, deve allontanare da sé l´ombra di quell´avvocato inglese, il peso di All Iberian. È la scommessa che Berlusconi decide di giocare in pubblico. Così intreccia in un unico nodo il suo futuro di leader politico, responsabile di fronte agli elettori, e il suo passato di imprenditore di successo. Se quel passato risulta opaco perché legato a All Iberian, di cui non conosce l´esistenza, o di David Mills, che non ha mai incontrato, egli è disposto a lasciare la politica e addirittura il Paese. Oggi dovrebbe farlo davvero perché la decisione della Cassazione conferma che ha corrotto Mills (lo conosceva) per nascondere il dominio diretto su quella macchina d´illegalità e abusi che è stata All Iberian (la governava). Il capo del governo non lo farà, naturalmente, aggrappandosi come un naufrago al legno della prescrizione che egli stesso si è approvato. Non lascerà l´Italia, ma l´affliggerà con nuove leggi ad personam (processo breve, legittimo impedimento), utili forse a metterlo al sicuro da una sentenza, ma non dal giudizio degli italiani che da oggi potranno giudicarlo corruttore, bugiardo, spergiuro anche quando fa voto della «testa dei suoi figli».
La Repubblica 26.02.10
"Lacrime di coccodrillo", di Marcello Sorgi
Passeranno alla storia come le più classiche lacrime di coccodrillo, le dichiarazioni indignate con cui ieri il presidente del Senato Schifani si è impegnato ad espellere al più presto da Palazzo Madama, facendolo decadere dalla carica, il senatore Nicola Di Girolamo.
Parlava, appunto, come se il caso che riguarda il parlamentare truffatore – che, fingendo di aver residenza in Belgio, era riuscito ad essere inserito in lista con una raccomandazione del suo amico nazista Gennaro Mokbel, già in rapporti con la Banda della Magliana e con il potente clan calabrese Arena, e si era poi fatto eleggere come rappresentante degli italiani all’estero grazie a un’attiva collaborazione del ramo tedesco della ’ndrangheta -, non fosse già noto, nelle sue grandi linee, e rubricato dagli uffici del Senato da un anno e mezzo. Come se un altro esponente del Pdl, il senatore Augello, non avesse cercato, fin da agosto 2008, di convincere i suoi colleghi a intervenire. E come se la questione non fosse tornata all’ordine del giorno una seconda volta, quando appunto fu reiterata dal Senato la decisione di proteggere dalle sue ignominiose responsabilità il suddetto Di Girolamo.
Ora è tutto uno scaricabarile. Il presidente della Camera Fini, in aperta polemica con i senatori della sua stessa parte, dice che voterebbe per l’arresto di Di Girolamo. Il capogruppo Gasparri, che si è battuto per evitarlo, sostiene che la responsabilità è di chi accettò che un simile campione fosse messo in lista. E fa il nome di Marco Zacchera, pure lui ex An, che ha riconosciuto che la scelta fu sua.
Zacchera non è certo uno sconosciuto per Fini. E poi, andiamo, è possibile che il partito che più s’era battuto per concedere il diritto di voto agli emigrati italiani – una storica battaglia condotta per decenni, fin dall’epoca del Msi, da Mirko Tremaglia -, alla seconda occasione in cui questo genere di elezione veniva messa in pratica, non avesse un candidato migliore da proporre? Ed è credibile che un qualsiasi candidato, non solo quello da presentare all’estero, sia entrato in lista, con buone probabilità di essere eletto, senza che i leader del partito lo conoscessero e sapessero qualcosa delle ombre che si portava dietro?
Diciamo la verità, è impossibile crederlo. Ma anche ammesso che Di Girolamo, in buona o cattiva fede, fosse stato garantito al limone ai vertici del Pdl – o più precisamente dai vertici dell’ex An a Berlusconi -, con le carte che sono arrivate al Senato dopo la sua elezione, ce n’era abbastanza per capire che aveva voluto farsi eleggere per ragioni inconfessabili, forse proprio per evitare di finire in carcere. E di conseguenza, per sbatterlo fuori prima ancora che la sua vita da parlamentare cominciasse.
Invece, è andata come è andata, e adesso c’è la rincorsa a metterci una pezza. Sono tempi difficili per la Seconda Repubblica, non passa giorno che non salti fuori una storia di corruzione o di rapporti obliqui tra politici e criminalità organizzata. Combinazione, alla fine di questa settimana, dovranno anche essere presentate le liste per le regionali. Vediamo cosa s’inventano, stavolta, per convincerci che è impossibile che salti fuori un altro Di Girolamo.
La Stampa 26.02.10