Non dovrebbe essercene bisogno, ma chiedo a ministri e sottosegretari di fare una semplice prova. Prendano in mano un libro di storia che parli dell’Italia contemporanea. Non ho preferenze.
Che l’autore sia Melograni o Ginzborg, Perfetti o Agosti, De Rosa o Scoppola basta andare con gli occhi alle note per vedere quante volte ricorrono le testate dei giornali di partito, protagonisti del dibattito politico fino a diventare documenti, fonti vere e proprie per chi voglia studiare e capire la nostra storia.
La mia non è una digressione. So bene quanto sia cambiato l’universo della comunicazione, quanto pesino oggi altri media, altri strumenti, voci diverse. Eppure credo che ancora oggi per capire l’Italia non si possa prescindere da queste voci, dal dibattito che vi si svolge, dallo sguardo così particolare con cui leggono i fenomeni. Per questo credo che la battaglia per garantire la loro sopravvivenza non sia solo una difesa di interessi di parte ma una questione generale. In ballo ci sono un gran numero di testate e anche quattromila posti di lavoro, tra giornalisti e poligrafici. Ma – lo dico sapendo bene quanto contino quei posti di lavoro e anche quelle imprese editoriali – da uomo politico, da presidente dei parlamentari del Pd credo che il punto che deve esser chiaro ai cittadini è quello delle libertà.
Il direttore di Europa ha parlato, da parte del governo, di una sorta di selezione darwiniana delle idee. Temo che nella testa di qualcuno non ci sia neppure la voglia di giungere a una selezione, ma invece la speranza che tutto questo patrimonio di idee finisca nel dimenticatoio. Spero di essere smentito e forse l’occasione si presenterà prestissimo. In parlamento abbiamo lanciato un appello bipartisan e finora a sottoscriverlo sono stati 345 deputati di tutti i gruppi (ho visto con soddisfazione che anche gli ultimi dubbi sono caduti). Insomma c’è una maggioranza che nelle prossime ore potrà ancora allargarsi. La richiesta è quella di sospendere per uno o due anni il blocco dei finanziamenti, che deriva dalla cancellazione nella Finanziaria del diritto soggettivo delle testate cooperative e di partito a percepire i fondi pubblici.
Si tratta di una misura tampone, che permetta al parlamento anche di operare per eliminare sprechi, per selezionare (non in maniera darwiniana, ma distinguendo i casi di testate fasulle da quelle vere). E credo che un compito di questo genere possa assumerlo solo il parlamento, assieme al governo per fugare ogni dubbio di parzialità. Sarebbe anche un buon segnale per dimostrare che quando si tratta di libertà d’espressione e di possibilità di circolazione delle idee si può lavorare insieme. Anche perché, statene certi, nei prossimi libri di storia, quando si parlerà dei primi decenni del ventunesimo secolo, ci saranno sempre le testate dei giornali (magari non più di carta) a raccontarci e a farci capire l’Italia.
Europa quotidiano 20.02.10
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"Superiori ancora senza regole. Iscrizioni al buio per 500mila", di Salvo Intravaia
Scelta al buio per un milione e mezzo di studenti italiani. Le iscrizioni al primo e agli anni successivi delle scuole superiori targate Gelmini inizieranno il 26 febbraio, ma i Regolamenti che giustificano la riforma, definita “epocale” dallo stesso ministro dell’Istruzione, misteriosamente non sono ancora stati pubblicati. E senza Regolamenti, gli studenti non sapranno cosa e come studieranno, gli insegnanti non sapranno cosa e dove insegneranno, le scuole e gli enti locali (le province e le regioni) non potranno formulare i loro piani dell’offerta formativa. Si va avanti in questi giorni a forza di bozze non ufficiali, che possono cambiare da un momento all’altro, di voci provenienti dalla capitale e di indiscrezioni. Ma di certo c’è poco, solo una circolare sulle iscrizioni che la Flc Cgil definisce piena di “contraddizioni”.
E dire che dalla definitiva approvazione della riforma da parte del Consiglio dei ministri, avvenuta lo scorso 4 febbraio, sono passati ben 15 giorni. I tre Regolamenti – che verranno pubblicati in gazzetta sottoforma di decreti del Presidente della repubblica, non avrebbero ancora ottenuto il benestare dei tecnici del ministero dell’Economia, particolarmente attenti ai tagli. Il numero di ore tagliate in ogni indirizzo, come si evince dalla relazione tecnica allegata al provvedimento, sarà sufficiente a garantire la cura dimagrante (27 mila cattedre in tre anni) per gli organici del personale docente che il governo si aspetta? E’ questo il quesito che si pongono gli esperti di via XX settembre.
Intanto, gli oltre 500 mila ragazzini che frequentano la terza media sono chiamati a scegliere come proseguire gli studi, ma i dubbi sono ancora parecchi. La Flc Cgil ne cita soltanto alcuni. “La circolare sulle iscrizioni – dicono da via Leopoldo Serra – evidenzia numerose contraddizioni legate alle possibili scelte degli indirizzi”. Allo scientifico, per esempio, “manca la distinzione tra il liceo scientifico e l’opzione delle scienze applicate: quella senza il Latino”. Quali scuole potranno attivarla? E in quale misura: una classe, due classi o tutte? Le scuole non lo sanno e di conseguenza non lo sapranno neppure le famiglie. Stesso discorso per le opzioni dei licei delle scienze umane e “per l’istituto professionale per i servizi socio sanitari, per i quali – continuano dalla Cgil – non si fa nessuna distinzione rispetto alle due ulteriori articolazione di Ottico e Odontotecnico”. Ma non è tutto.
Anche i licei linguistici e quelli musicali e coreutici, di cui si sa pochissimo, viaggiano a vista. Dove saranno attivati? E con quanti posti disponibili? Il fatto è queste cose sono di competenza delle regioni e delle province, che dovrebbero predisporre i cosiddetti Piani dell’offerta formativa territoriali, ma in assenza dei Regolamenti tutto è fermo. “Risulta veramente paradossale – commenta i sindacato guidato da Mimmo Pantaleo – che l’informazione alle famiglie possa essere fornito attraverso un sistema automatico di confluenze, vedi punto 11 della circolare, in barba alle competenze delle Regioni e alle eventuali richieste delle scuole”.
I dubbi diventano enormi passando agli istituti tecnici e professionali. Sono circa un milione gli studenti delle prime, seconde e terze classi che il prossimo anno (quando diventeranno seconde, terze e quarte classi) si vedranno ridotto l’orario delle lezioni. A 32 ore oppure a 34 per le seconde e 35 ore per le terze e quarte? Una bozza di regolamento prevede tagli alle ore soltanto nelle seconde e terze, un altro anche alle quarte. Qual è quello più attendibile? E quali materie verranno sforbiciate negli istituti tecnici, quelle con il maggiore numero di ore: cioè quelle tecniche? Potrebbe essere, ma non è ancora certo.
E ancora, quali materie potranno insegnare i docenti? Ma, soprattutto, in quali indirizzi. Solo a titolo di esempio, si veda la questione della Matematica al liceo scientifico. I docenti di sola Matematica potranno continuare ad insegnarla al biennio o saranno dirottati altrove? E chi insegnerà l’Informatica negli scientifici? E le lingue straniere, è vero che col tempo si farà una sola cattedra per Inglese e Francese? Al momento, e senza documenti ufficiali, l’unica cosa certa sembra proprio l’incertezza.
Le scuole, in più, non sono ancora in grado di definire i loro piani dell’offerta formativa, anche perché, si vocifera che gli eventuali docenti che dovessero rimanere senza cattedra, visto che lo stato li pagherà ugualmente, potrebbero essere richiesti dalle stesse scuole per ampliare l’offerta formativa. Ma sarà vero? E, in ogni caso, quando si saprà? Probabilmente ad agosto quando scatteranno i trasferimenti dei docenti. Ma, in questo caso, i genitori avranno già scelto da un pezzo e ritornare sui propri passi sarà impossibile.
repubblica.it
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Iscrizioni alle scuole superiori: ma in base a quali regolamenti?
Malgrado i regolamenti della scuola superiore non siano ancora stati pubblicati (ma cosa ha approvato il consiglio dei Ministri?), il Miur ha emanato la circolare per le iscrizioni previste dal 26 febbraio al 26 marzo 2010.
La C.M. 17 del 18 febbraio 2010 (con i relativi allegati), propone i nuovi percorsi nella sola versione nota: quella dei piani orario disponibili sul sito dell’INDIRE, omettendo qualunque informazione sulle opzioni e su possibili confluenze che possono essere definite solo con i piani provinciali dell’offerta formativa.
Da una prima lettura della circolare si evidenziano numerose contraddizioni legate alle possibili scelte degli indirizzi, mancando anche qualsiasi riferimento al ruolo delle Regioni nella definizione dei piani dell’offerta formativa.
A titolo di esempio possiamo citare la mancata distinzione tra il liceo scientifico e l’opzione delle scienze applicate che hanno percorsi differenziati fin dalla prima classe.
Analoga situazione si determina per il liceo delle scienze sociali e l’opzione economico-sociale e per l’istituto professionale per i servizi socio sanitari per i quali non si fa nessuna distinzione rispetto alle due ulteriori articolazione di Ottico e Odontotecnico.
Risulta veramente paradossale che l’informazione alle famiglie possa essere fornito attraverso un sistema automatico di confluenze (vedi punto 11 della circolare), in barba alle competenze delle Regioni e alle eventuali richieste delle scuole.
da http://www.flcgil.it/
"Il governo impugna i Dico di Errani", di Eleonora Capelli
Contestata la norma che equipara famiglie e “altre forme di convivenza”. Il governo impugna i Dico all’emiliana davanti alla corte costituzionale. Nel mirino, l’articolo 48 dell’ultima legge finanziaria della Regione. Poche righe che sanciscono da viale Aldo Moro la «parità di trattamento» nell’accesso ai servizi, estesa non solo alle persone e alle famiglie ma anche alle «forme di convivenza». La notizia del ricorso alla corte costituzionale è arrivata ieri sera dalla Regione che subito harisposto per bocca del presidente, Vasco Errani.
«Si tratta con ogni evidenza-ha dichiarato in unanotail governatore -di una scelta po litica».
Il governo ha impugnato un articolo «rivolto esclusivamente a garantire l’accesso alla generalità dei servizi del sistema regionale e locale atutti i cittadini, senza discriminazione».
«Siamo convinti delle nostre buone ragioni e le sosterremo davanti alla corte costituzionale insiste Erranisiamo certi di avere ragione e della piena costituzionalità della norma».
Il riconoscimento delle coppie di fatto, che già da qualche tempo è previsto ad esempio per l’assegnazione delle casepopolari, aveva attirato le critiche della Curia e di alcuni esponenti cattolici del Pd come Mauro Bosi che non votò l’articolo per «timore di ricorsi». Il Cardinale Carlo Caffarra aveva definito la legge «un attentato alle clausole di cittadinanza, una legge gravemente ingiusta che non merita di essere rispettata». Sul delicato tema ci fu anche un incontro «chiarificatore» tra Errani e Caffarra, ma i vertici di via Altabella si sono sempre schierati contro «norme che discriminano la famiglia». Accolta con entusiasmo dalle associazioni per i diritti degli omosessuali e ferocemente criticata dal centro destra, che aveva annunciato «una crociata cattolica contro Errani» con Giancarlo Mazzuca, la legge era poi stata votata con un piccolo emendamento per sostituire la parola «individui» con «persone».
La Repubblica – Bologna
"Slitta la legge anticorruzione i ministri frenano Berlusconi", di Liana Milella
Ufficialmente è stato «soltanto» rinviato al consiglio dei ministri della prossima settimana. Per mettere assieme un testo che punisce con pene più severe, ma anche che previene, i più gravi reati contro la pubblica amministrazione. Ma, ufficiosamente, più d’uno sostiene che il ddl sulla corruzione, dato per certo da Berlusconi appena 24 ore prima, si avvii su una strada difficile, in fondo alla quale ci potrebbe essere il vicolo cieco del dimenticatoio parlamentare. Per ora il dato certo è lo stop subito nella riunione a palazzo Chigi. Con un imbarazzo che trapela perfino nell’incertezza su come definire cos’è veramente successo nelle due ore della riunione. Il consiglio finisce e c’è chi parla subito di un ddl che «è già stato approvato “salvo intese”», la formula usata per i testi che ottengono il pieno via libera dei ministri, ma hanno bisogno di essere rimaneggiati.
Pochi minuti, e la verità trapela: niente ok, ma solo «l’avvio» della discussione. Se ne riparlerà, assicurano Alfano, Frattini, Brunetta, Ghedini, la prossima settimana. Altri sono scettici.
Per certo cambierà l’impostazione, studiata dal Guardasigilli Alfano, dall’avvocato Ghedini, dalla finiana Bongiorno.
L’articolato che entra in consiglio è composto di due articoli: il primo modifica il testo unico sugli enti locali di dieci anni fa e integra la lista dei reati per cui un cittadino con una condanna definitiva non può correre alle elezioni amministrative. Tutte le fattispecie del terrorismo e degli attentati allo Stato, in più la turbata libertà degli incanti. Poi il secondo articolo, quello che modifica le pene per i crimini contro la pubblica amministrazione.I tempi di prescrizione restano invariati per evitare comunque sorprese, visto che la corruzione è uno dei reati ricorrenti nella vita del premier. Poi le aggravanti per i pubblici funzionari infedeli.
Nella maggioranza le voci a favore del ddl sono poche. Il più esplicito è il piemontese Osvaldo Napoli («Sono stato sindaco e amministratore locale per un quarto di secoloe di una cosa sono convinto, troppe autorizzazioni non fanno bene»). Non ha dubbi Margherita Boniver («Basta “bande bassotti”»), ma neppure gli ex An Maurizio Gasparri e Domenico Nania. Non temono il tam tam nel Pdl che accusa Berlusconi di «svolta giustizialista». Un ministro come Raffaele Fitto, trattenuto in Puglia da impegni elettorali, e pur alle prese con inchieste giudiziarie, dice che «il governo ha dato un segnale chiaro».
Ma l’opposizione è scettica.
Udc, Pd, Idv, tutti. Pier Ferdinando Casini: «La lotta alla corruzione farà la fine del piano casa, è un ennesimo spot». Pier Luigi Bersani: «Vorrei capire di che stiamo parlando. Norme anticorruzione? Ma se siamo stati noi a far togliere di mezzo lo scudo per i commissari… Berlusconi prima fermi il processo breve». Anna Finocchiaro: «È l’ennesimo annuncio inutile, un bluff. La verità è che il centrodestra è in difficoltà di fronte all’opinione pubblica». Donatella Ferranti: «È solo fumo negli occhi». Antonio Di Pietro: «Questa è l’ennesima truffa elettorale di Berlusconi. Faccia un decreto, come ha fatto per far passare le sue mostruose leggi ad personam». Luigi De Magistris: «Una pantomima. La lotta alla corruzione si fa lasciando i magistrati liberi di indagare». Massimo Donadi: «Il premier, plurindagato per corruzione, che si impegna a varare una legge per porle un freno, è forse la sua barzelletta più riuscita».
La Repubblica 20.02.10
"L'Aquila 10 mesi dopo tra bugie e interventi", di Riccardo Iacona
È da ottobre che Presadiretta sta seguendo la ricostruzione all’Aquila e domani sera vi faremo vedere quello che abbiamo trovato e quello che abbiamo scoperto. Vi dico subito che il quadro non è per niente positivo. Del PROGETTO C.A.S.E. – le famose «case di Berlusconi» che abbiamo visto nelle decine di consegne in diretta televisiva, corredate di tutto quello che serve per riprendere a vivere, dalla lavastoviglie al televisore al plasma – a quasi un anno dal terremoto ne mancano ancora 250 da consegnare. Per quelle centinaia di persone che sono ancora in attesa che i lavori finiscano il famoso slogan «dalle tende alle case!» non ha funzionato. Presadiretta vi farà vedere anche quanto sono costate: dai 2400 ai 2700 euro a metro quadro, una fortuna! E infatti quasi tutto il miliardo di euro messo in campo dal governo per la prima emergenza se n’è andato per costruirle. Poi ci sono i soldi per mantenerle, che nessuno calcola mai.
Il Comune dell’Aquila, che è praticamente senza un euro in cassa, dovrà sobbarcarsi le spese di gestione delle 19 new town volute dal governo, dagli autobus, alla raccolta dell’immondizia, oltre a tutte le spese di manutenzione ordinaria e straordinarie di case che sono state costruite in pochissimi mesi e che non sono proprio perfette. Siamo entrati per esempio con le telecamere nelle case di Cese di Preturo, uno dei diciannove insediamenti che si trova a una quindicina di chilometri dal centro dell’Aquila. Il cantiere non era ancora terminato ma mano a mano che venivano finiti gli appartamenti venivano immediatamente consegnati: era novembre, l’inverno era già arrivato all’Aquila con le prime nevicate e c’era urgenza di tirare fuori la gente dalle tende; sì, perché anche questo abbiamo visto, la gente ancora nelle tende, con gli anziani e i bambini in pieno inverno. Abbiamo accompagnato dentro le nuove case queste persone stremate da sette mesi nelle tendopoli, con i bagni da campo, le docce da campo, la cucina da campo e lo spazio privato ridotto a quindici metri quadri di tenda, dove ci devi far entrare tutto, anche un simulacro di spazio dove far giocare i bambini. E li abbiamo visti piangere mentre prendevano possesso degli appartamenti. Ma poi ci sono venuti incontro quelli che già ci abitavano da qualche settimana e ci hanno fatto vedere il legno esterno non adeguatamente protetto.
«Questi reggono un inverno e poi bisognerà passarci sopra qualcosa altrimenti con il freddo si spacca», mentre da una delle scale interne, per la mancanza di una copertura sul tetto scendeva una cascata d’acqua che entrava persino dentro gli appartamenti. È chiaro che ci vorranno ancora tanti soldi per mantenere le nuove case e mi domando da dove usciranno visto che il Comune è al verde. Poi mancano ancora 1500 tra MAP e MAR, quasi la metà di quelli previsti, per più di 3000 persone: sono i prefabbricati leggeri in legno, che la Protezione Civile sta facendo costruire in fretta e furia perché le case di Berlusconi non bastano. Ne ho visti anche su due piani, vere e proprie palazzine in legno, anche molto belle da vedere. Sono facili da costruire, da montare, sono antisismici al cento per cento, perfettamente coibentati ed ecocompatibili e dentro hanno tutto quello che c’è negli appartamenti delle case di Berlusconi. E soprattutto una volta terminato l’uso si buttano anche giù facilmente. Le case prefabbricate in legno costano un terzo di quelle del progetto C.A.S.E.: 700 euro a metro quadro contro i 2700 che sono costate le case di Berlusconi.
L’architetto Antonio Perrotti, dirigente della regione Abruzzo ha calcolato che se all’Aquila si fosse scelto di sistemare tutti gli sfollati in questi tipi di alloggi a quest’ora sarebbero già tutti dentro i MAP e i MAR, e si sarebbe speso la metà di quello che si è speso. E invece sono ancora 10.028 gli «aquilani perduti», dispersi tra gli alberghi della costa, negli appartamenti affittati, i più fortunati nelle seconde case. Ed è del tutto evidente che è dal loro ritorno che dipende il futuro dell’Aquila. E qui entriamo nel capitolo dolente della ricostruzione: a quasi un anno dal terremoto non è stata ancora emanata l’ordinanza per la ricostruzione del centro storico e a parte qualche puntellamento niente è stato fatto dentro la città dell’Aquila. Anche se sono centinaia, come vi faremo vedere, le abitazioni che con poca spesa sarebbero potute essere oggi abitabili. Per quanto riguarda invece le case che sono fuori della zona rossa, per colpa di ordinanze contraddittorie e di una farraginosa macchina burocratica, la gran parte dei cittadini sta ancora aspettando la risposta alle richieste di finanziamento e di fatto i lavori non sono ancora cominciati. Infine mancano i soldi per sostenere l’economia aquilana: non è stato varato un piano di sostegno al commercio e neanche alla piccola e media industria. La battaglia per far tornare le persone e tenerle attaccate alla loro città, la battaglia per far rivivere l’Aquila è ancora tutta da cominciare.
L’Unità 20.02.10
Il 45% dei giovani italiani è xenofobo
Presentato uno studio alla Camera: solo il 40% manifesta apertura, e non tutti totale. Romeni, rom e albanesi sono i più discriminati. Anche le donne non tollerano gli stranieri. Il 20% ritiene che altre etnie debbano vivere fuori dall’Italia. Il razzismo non è sconfitto tra i giovani italiani: quasi la metà ha atteggiamenti di chiusura verso gli stranieri, il 20% sfociano in vera e propria xenofobia, solo il 40% manifesta apertura. E’ quanto emerge dall’indagine “Io e gli altri: i giovani italiani nel vortice dei cambiamenti”, presentata oggi (18 febbraio) alla Camera. Lo studio, promosso dalla conferenza delle assemblee delle Regioni nell’ambito delle iniziative dell’osservatorio di Montecitorio sui fenomeni di xenofobia e razzismo, è stato realizzato da Swg su un campione di 2mila giovani.
L’area fobica e xenofoba è del 45,8%, con diverse sfumature al suo interno. Lo studio indica tre gruppi, il primo quello dei “Romeno-rom-albanese fobici”, pari al 15,3% del totale degli interpellati, e manifesta la propria intolleranza soprattutto verso questi popoli. Qui la maggioranza (56%) è costituita da donne. Il secondo riunisce soggetti con comportamenti improntati al razzismo: rappresenta il 10,7% dei giovani, ma è il più estremo, perchè rifiuta e manifesta fastidio per tutti, tranne italiani e europei.
Ci sono poi gli xenofobi per elezione (20%): questo gruppo non esprime forme di odio violente, secondo l’indagine, ma ritiene che le altre etnie debbano vivere fuori dall’Italia. L’atteggiamento aperto appartiene solo al 39,6% del campione. Tra questi, si segnalano gli “inclusivi” (19,4%) con un’apertura totale e serena (55,3%); i “tolleranti” (14,7%), un po’ più freddi rispetto ai precedenti e gli “aperturisti tiepidi” (5,5%), ovvero giovani antirazzisti, ma con forme più caute e trattenute, minore interazione con gli stranieri e un riconoscimento più ridotto dell’omosessualità. Nella posizione media, infine, ci sono i “mixofobici” (14,5%): non sostengono la chiusura ma neanche il suo opposto, anzi vivono con un sentimento di fastidio ciò che li allontana dall’identità italiana.
“Bisogna educare con la forza dei buoni esempi, ma anche stigmatizzare i cattivi esempi e in modo molto fermo i comportamenti più o meno velatamente xenofobi”. Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo alla presentazione dello studio. Non basta dire che non ci sono razze superiori, a suo giudizio, “se poi non ci sono comportamenti conseguenti, se non c’è una reazione indignata e in alcuni casi, se ci sono i presupposti di legge, una punizione”.
La xenofobia va affrontata “con strumenti nuovi”, come dimostrano “la crudezza dei fatti di Rosarno e Milano”. Lo dice la vice presidente, Rosy Bindi. “Non funziona né il modello della separazione né quello che pretende di annullare le differenze – a suo avviso -. E non serve cavalcare la diffidenza verso chi è diverso da noi, ed è illusorio esorcizzare la paura del futuro scaricando sugli stranieri i nostri timori”. L’unica strada possibile, aggiunge, “è quella dell’interculturalità, della costruzione comune di una nuova patria”.
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Il Nord fermo per smog
La politica ha deciso. Domenica 28 febbraio stop al traffico in 80 Comuni della Pianura Padana. Una misura simbolica non risolutiva. Maurizio Baruffi, consigliere Pd a Milano: «Meglio un blocco che un pugno in un occhio».
Domenica 28 febbraio nel nord Italia avverrà un evento storico. Nella pianura Padana il traffico verrà bloccato contemporaneamente da 80 comuni. Un’iniziativa simbolica, tampone, di educazione civica e sensibilizzazione dei cittadini al problema. Ma come ironizza Maurizio Baruffi, consigliere del Pd al Comune di Milano: «Meglio un blocco che un pugno in un occhio».
Ieri proprio a Palazzo Marino, sede dell’amministrazione cittadina del capoluogo lombardo, si è riunito il coordinamento dei sindaci della pianura Padana. Assenti Province e Regioni. Un incontro voluto dal sindaco di Milano Letizia Moratti e dal suo collega di Torino nonché presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), Sergio Chiamparino. È nato così il coordinamento permanente dei sindaci. Per «perseguire una politica volta a migliorare la vivibilità delle città». Chissà se ci riusciranno. Per ora una sola cosa è certa. Anche loro sanno che per combattere lo smog, servono misure strutturali e non divieti una tantum.
Tanto che chiedono al governo di «permettere ai Comuni di investire risorse escludendo dal patto di stabilità» quelle utilizzate «per la lotta ai cambiamenti climatici e per la riduzione delle emissioni inquinanti». Chiedono inoltre all’esecutivo di mantenere gli incentivi per l’efficienza energetica e le rinnovabili ma anche di prevederne altri per le città che «promuovono misure limitative ai veicoli inquinanti e l’utilizzo di veicoli idridi, elettrici, a gas e metano». E «per il rinnovo o adeguamento dei veicoli commerciali» più vecchi.
«Per rendere tutto questo concreto – spiega Maurizio Baruffi – non c’è servono anche i soldi del governo. Come del resto quelli per le metropolitane e le infrastrutture che non possiamo più rimandare. Anche in vista dell’Expo. Con le opere collegate a questo evento ci giochiamo il futuro». Sugli incentivi, il consigliere del Pd a Palazzo Marino, la pensa come Chiamparino. «Anche se più che gli incentivi – per Baruffi – servono i disincentivi, penalizzando le produzioni a più alto impatto ambientale».
Al termine dell’incontro di ieri Sergio Chiamparino aveva proposto di aumentare i pedaggi autostradali ai veicoli più inquinanti. Enrico Fedreghini, capogruppo dei Verdi al Comune di Milano, ricorda un’iniziativa simile, già attuata. «Da settembre 2009 – spiega Fedreghini – sull’Autostrada Dei Laghi, durante la settimana, viene praticato il 70 per cento di sconto alle auto che viaggiano con quattro persone a bordo. Con risultati straordinari: una persona su tre ha deciso di condividere l’auto. Una scelta di razionalità economica, presa per il troppo traffico, con la quale però si inducono cambiamenti individuali».
Ma la Moratti ha subito frenato, nonostante il road pricing venga praticato in molte aree d’Europa: «Nel documento approvato non è inserita la sovratassa ma se ci sarà un’adesione dei sindaci la inseriremo anche se poi dovrà essere discussa su tavoli di livello superiore», ha chiarito il sindaco di Milano. Al blocco del 28 febbraio, deciso da sette regioni (Trentino, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Emilia Romagna), aderirà anche Firenze. «Parteciperemo – ha annunciato il sindaco Matteo Renzi – ma sia chiaro che concretamente non serve a nulla. Perché le misure utili, sui cui stiamo lavorando, sono cambiare i bus, fare le piste ciclabili e gli investimenti su elettrico, sostenibilità, treni e tramvie».
Napoli viceversa deve ancora decidere. «Se la Capitale partecipa aderiremo anche noi», spiega l’assessore all’Ambiente del Comune di Napoli, il verde Gennaro Nasti. «A Napoli si dovrebbe intervenire lo stesso – denuncia Antonio Marfella, tossicologo e oncologo dell’ospedale Pascale – anche se non abbiamo gli stessi problemi del Nord. Perché la società italiana di chirurgia oncologica ha dichiarato che a Milano ogni giorno vengono registrati 15 nuovi casi di tumore del polmone. A Napoli nove, nonostante la differenza del numero di abitanti».
da Terranews.it