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Scienze geologiche, provvedimento incardinato in Commissione Cultura e Istruzione

geologia

Dopo il via libera del Senato, è tornata alla Camera la proposta di legge sul sostegno alle Scienze geologiche di cui sono relatrice, un provvedimento importante in un Paese caratterizzato da un grave e persistente dissesto idro-geologico, reso ancora più attuale e urgente dalle continue scosse che stanno devastando il Centro-Italia. Oggi abbiamo incardinato il provvedimento in Commissione Cultura e Istruzione dove tutti i gruppi stanno dimostrando spirito di collaborazione. L’auspicio è quello di un iter rapido che possa, magari, concludersi con l’approvazione già in Commissione in sede legislativa. In allegato, il testo della relazione che ho presentato in Commissione in mattinata e che spiega il valore del provvedimento.

Nella seduta del 26 ottobre 2016, il Senato ha licenziato, apportandovi alcune modifiche, il progetto di legge che alla Camera era stato approvato in sede legislativa il 22 aprile 2015 per sostenere gli studi delle Scienze geologiche e le ricerca nel medesimo ambito, anche attraverso la possibilità di istituire nuovi e specifici dipartimenti universitari.

La necessità di tale intervento derivava – e oggi si conferma – dalla considerazione che l’Italia è il Paese con il più alto rischio idrogeologico e sismico d’Europa e con le più diffuse condizioni di dissesto del territorio. Eppure, sia la norma contenuta nella legge n. 240 del 2010 relativa alla istituzione di dipartimenti, sia il mancato investimento nella diffusione e nell’affermazione di una cultura della tutela ambientale e del territorio stanno mettendo a repentaglio le competenze e le professionalità qualificate in ambito geologico. Il contrasto al dissesto idrogeologico e il contenimento degli effetti disastrosi dei terremoti passa anche attraverso la difesa del patrimonio di conoscenza e dell’identità di una disciplina che oggi si trova in grande difficoltà nelle università italiane.

Come ebbe a dire nell’illustrazione del progetto di legge in questa stessa aula, nell’8 ottobre 2014 (due anni fa), l’Italia rischia di cancellare il lavoro di Ardito Desio, che impiegò la sua vita di scienziato per affrancare la geologia dal generico ambito delle Scienze naturali, mettendo l’Italia al passo con i paesi sviluppati. Nel frattempo, sono purtroppo accaduti fatti che consolidano le nostre convinzioni sull’utilità di questo provvedimento e – se mi è concesso – suscitano anche qualche rammarico per non essere arrivati prima a introdurre queste disposizioni.

Si riferisce, evidentemente a tre terremoti del 24 agosto, del 26 ottobre e del 30 ottobre 2016 che hanno colpito il Centro Italia. Non intende fare alcuna polemica, ma affermo che le conoscenze geologiche, sismologiche e di morfologia idro-geologica nel nostro Paese sono di fondamentale importanza e necessitano, pertanto, di avere un sostegno convinto perché si trasformino in cultura diffusa. Le specializzazioni in quelle materie, poi, devono essere messe nella condizione di fare sistema e di poter formare solide scuole scientifiche, affinché il nostro Paese faccia davvero i conti con la sua natura di territorio esposto a fenomeni sismici e di dissesto idro-geologico.

In riferimento alle calamità naturali che hanno colpito il nostro Paese nell’ultimo secolo, gli effetti disastrosi provocati da terremoti di elevata energia si sono verificati in aree sismogenetiche attive, concentrate prevalentemente lungo la dorsale appenninica, ma con riflessi notevoli anche su grandi aree urbane. Molto più diffusi, anche in alcune aree metropolitane, sono gli effetti provocati da esondazioni e fenomeni di mancata regimazione idraulica ed idrogeologica.

Ciononostante, la necessità di sostenere prioritariamente gli studi geologici (e con essi le competenze di prevenzione di dissesto ambientale e di ricostruzione antisismica) per la sicurezza e lo sviluppo delle nostre comunità, non è diventata una politica pubblica strategica, sebbene, in Italia, si siano accumulate conoscenze approfondite e avanzate sui terremoti e sull’assetto idrogeologico, grazie proprio agli sviluppi e alle ricerche della Scienze della Terra. Eppure, la pianificazione in un territorio fragile ed a rischio, come quello Italiano, richiede conoscenze, competenze ed un lavoro integrato in grado di mettere ordine e governare le istanze tra diverse discipline scientifiche, gli ordini professionali, la burocrazia e le istanze territoriali e civiche. Si sente quindi la necessità di politiche pubbliche integrate, che “aggrediscano” i temi della prevenzione (ambiti sui quali molto resta da fare), affrontino la gestione dell’emergenza, inclusiva dell’assistenza sociale in campo formativo e psicologico (nella quale abbiamo già raggiunto livelli di eccellenza) e sostengano la pianificazione urbana e territoriale e l’architettura innovativa in grado di garantire totale sicurezza. In questo senso, il Programma del Governo denominato “Casa Italia”, coordinato dal professore Azzone e che coinvolge anche il senatore a vita e architetto Renzo Piano, costituisce il primo esempio di intervento sistemico e di durata “generazionale”.

In occasione di ogni evento sismico, infatti, gli sforzi si concentrano sulla ricostruzione. E’ normale e giusto, perché restituire un tetto a chi lo ha perso è un imperativo per le politiche pubbliche. Ma, come accennava, durante le fase emergenziali le popolazioni devono essere assistite da molti punti di vista, non solo logistici. Moltissimi hanno perso la casa ma anche il lavoro, la scuola dei figli e gli altri capisaldi della vita sociale. Occorrono quindi interventi di tutela sociale a largo spettro, inclusi quelli psicologici. Ancora, occorre valorizzare gli studi – di cui esistono centri di eccellenza in Italia – per la realizzazioni di infrastrutture e di edilizia pubblica e privata che garantiscano sicurezza. E, a questo proposito, è necessario studiare il più approfonditamente possibile quanto vi è e cosa accade sotto i nostri piedi, poiché la conoscenza geologica, e segnatamente del comportamento delle faglie, è fondamentale poiché gli effetti di un sisma dipendono dalle caratteristiche del sottosuolo, a cui devono corrispondere specifiche tecniche edilizie. Si tratta di una conoscenza da cui discende la nostra sicurezza e quella dei nostri luoghi di vita.

Circa i contenuti della legge, rimanda alla discussione svolta un anno e mezzo fa e su cui i gruppi erano e – si augura – siano tuttora d’accordo, ma li richiama, comunque, in sintesi, stanti le modifiche introdotte dal Senato.

L’art. 1, come modificato dal Senato, dispone che una quota non inferiore a € 150.000 annui del Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti (art. 1, co. 1, del D.L. 105/2003), confluito dal 2014 nel Fondo per il Finanziamento Ordinario delle università (art. 60, co. 1, del D.L. 69/2013), è destinata, a decorrere dal 2017, a incentivare l’iscrizione di studenti capaci e meritevoli ai corsi di laurea della classe L-34 (scienze geologiche) e ai corsi di laurea magistrale delle classi LM-74 (scienze e tecnologie geologiche) e LM-79 (scienze geofisiche). Gli incentivi sono cumulabili con le borse di studio assegnate ai sensi del d.lgs. 68/2012.

Ricorda che il DM n. 552/2016 sui criteri di ripartizione del FFO per il 2016, destina al citato Fondo per il sostegno dei giovani € 59.200.000; tali risorse saranno da ripartire secondo i criteri definiti con il DM n. 976/2014 che, in base all’art. 3, finalizza all’obiettivo di incentivare le iscrizioni a corsi di studio il 10% delle risorse del Fondo stesso, vale a dire, per il 2016, a € 5.920.000. In particolare, la metà delle risorse (per il 2016, € 2.960.000) è attribuita in proporzione alla media tra il numero degli studenti iscritti al secondo anno che hanno acquisito almeno 30 CFU e il numero di laureati entro il primo anno oltre la durata normale del corso di specifici corsi di laurea afferenti, tra le altre classi, anche a L-34 (Scienze Geologiche). Per l’assegnazione del contributo, ogni ateneo determina i criteri e le modalità di supporto ed incentivazione rivolte agli studenti. L’altra metà delle risorse è destinata al sostegno del Piano nazionale lauree scientifiche 2014-2016, che ricomprende anche i corsi di laurea afferenti alle classi L-34 (Scienze Geologiche). In conseguenza delle novità derivanti dall’art. 1 in commento, occorrerà dunque aggiornare il contenuto del DM 976/2014.

L’art. 2, comma 1, come modificato dal Senato, dispone che, per il 2016, l’1% del Fondo per la prevenzione del rischio sismico (destinato, tra l’altro, a studi di microzonazione sismica e a interventi strutturali di rafforzamento locale o di miglioramento sismico) è riservato al finanziamento dell’acquisto, da parte delle università e degli enti pubblici di ricerca, della strumentazione tecnica necessaria per attività di ricerca finalizzate alla previsione e alla prevenzione dei rischi geologici. Le risorse sono assegnate a seguito di “appositi bandi pubblici emanati, con cadenza annuale” (da emanare entro il primo trimestre 2017) dal Dipartimento della protezione civile. Si segnala che, a fronte di un finanziamento che riguarda solo il 2016, si fa riferimento a bandi da emanare “con cadenza annuale”: si tratta di un “residuo” del testo approvato alla Camera che prevedeva il finanziamento a “regime”, a far data dal 2015.

A questo proposito, segnala che l’art. 21 del disegno di legge di bilancio 2017 prevede l’istituzione del Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale e industriale, destinato, fra l’altro, a specifiche misure nel settore della prevenzione del rischio sismico; si potrebbe ipotizzare – in sede di esame della legge di bilancio – di includere in dette misure di prevenzione – il finanziamento a regime della previsione disposta dal comma 1 .

Il comma 2 del medesimo articolo non è stato sostanzialmente modificato dal Senato, se non per aggiornare il periodo di validità della previsione e per includere gli enti pubblici di ricerca tra i beneficiari, al pari della disposizione del comma precedente; ricordo, pertanto, che esso autorizza una spesa di € 1 mln per il 2016 ed € 2 mln per ciascuno degli anni 2017 e 2018, da destinare al finanziamento di progetti di ricerca presentati dalle università e dagli enti pubblici di ricerca, finalizzati alla previsione e alla prevenzione dei rischi geologici. Il finanziamento è attribuito a seguito di appositi bandi pubblici emanati, con cadenza annuale, per ciascuno degli anni del triennio, dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

L’art. 3 non è stato modificato dal Senato. Ricorda, quindi, che esso novella l’art. 2, co. 2, lett. b), della legge n. 240 del 2010 al fine di consentire la costituzione dei dipartimenti con un numero minimo di 20 unità tra professori, ricercatori di ruolo e a tempo determinato, purché gli stessi costituiscano almeno l’80 per cento di tutti i professori, ricercatori di ruolo e a tempo determinato dell’università, appartenenti ad una stessa area disciplinare. La disposizione consentirà pertanto la costituzione dei dipartimenti di Scienze della terra che, dall’approvazione della L. 240, hanno subito una notevolissima riduzione e l’accorpamento con altre discipline non appartenenti alla medesima area disciplinare, come, ad esempio, Fisica (afferente all’Area 02 – Scienze fisiche), Botanica (afferente all’Area 05 – Scienze biologiche) o Chimica (Area 03 – Scienze chimiche).

Riforma costituzionale: perché rimangono il divieto di mandato e le immunità (art. 67 e art. 68)

La revisione costituzionale lascia inalterate le disposizioni che, per deputati e senatori, riguardano il divieto di mandato imperativo e le immunità. Vediamone i motivi.
Dall’art. 67 della Costituzione la riforma espunge la previsione che ogni membro del Parlamento rappresenti la Nazione, in coerenza con il nuovo art. 55 che assegna questa funzione di rappresentanza ai deputati in quanto membri della sola Camera “politica”, ma resta invece in vigore per tutti i parlamentari l’esercizio della propria funzione senza vincolo di mandato, tanto per i deputati quanto per i senatori.
Perché questa scelta e, soprattutto, cosa significa non dover sottostare ad un mandato imperativo? Come decise l’Assemblea costituente, significa garantire ai parlamentari una tutela da possibili condizionamenti o vincoli, tanto dagli elettori dai quali riceve un mandato generale, quanto dal partito di appartenenza. Il divieto del vincolo di mandato è un tratto comune nelle democrazie liberali, con un’unica eccezione, che riguarda il Bundesrat, che è stata spesso richiamata in comparazione con la natura del nuovo Senato. Nel caso tedesco i membri del Bundesrat provenienti dal medesimo Land devono votare in modo unitario (con vincolo alle direttive impartite dai singoli Esecutivi regionali ai propri rappresentanti). In seguito alla differenziazione del bicameralismo, sono state mosse obiezioni alla esclusione dei senatori dal vincolo di mandato, in quanto rappresentanti delle istituzioni territoriali. Ma, in realtà, se i nuovi senatori fossero sottoposti ad un mandato imperativo in analogia a quello tedesco, si istituirebbe un vantaggio per la rappresentanza degli esecutivi, e non dell’ente di provenienza, complessivamente inteso.
Completano le disposizioni sullo status giuridico dei senatori (mentre per i deputati non è prevista alcuna modifica) quelle relative alla insindacabilità e alle immunità (come disciplinate dalla riforma del 1993), in virtù del mantenimento del testo vigente dell’articolo 68 della Costituzione, che le riconosce a tutti i parlamentari. Insindacabilità e immunità sono prerogative che accumunano tutte le costituzioni liberali, come garanzia del legislatore rispetto agli altri poteri, esecutivo e giudiziario.
In realtà, il disegno di legge originario del Governo interveniva in profondità sull’art. 68 per differenziare le prerogative di deputati e senatori. Ai primi erano riconosciute le prerogative di insindacabilità delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio della propria funzione, e di garanzie processuali, per cui senza autorizzazione della Camera il deputato non può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, ad arresto o altra privazione della libertà personale (salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza), nonché a intercettazioni e a sequestro di corrispondenza; ai senatori era riconosciuta la sola insindacabilità.
Tale proposta è stata eliminata durante la prima lettura del Senato e il testo del vigente art. 68 della Costituzione non è più stato modificato, così che permane il riconoscimento ai senatori del medesimo regime di immunità previsto per i deputati. La ragione è stata espressa dalla relatrice Finocchiaro, con lo stesso spirito utilizzato per la conferma dell’art. 66, cioè l’autonomia del Senato in termini di assoluta indipendenza e di reciproca parità con gli organi che partecipano del potere sovrano dello Stato e, in particolare, ravvisando come, nel testo del Governo, non apparisse adeguatamente giustificata e sistematicamente coerente la differenziazione tra deputati e senatori.
In particolare, il mantenimento delle prerogative anche ai senatori si giustifica con le funzioni che restano comuni tra Camera e Senato e di cui si parlerà in altri approfondimenti.

photo credit: Palazzochigi Il Senato approva la riforma costituzionale (13/10/2015) via photopin (license)

Vicinanza ai terremotati, condanna per chi specula

Nelle ore in cui la terra continua a tremare e le scosse fortissime e ripetute stremano la resistenza dei cittadini coinvolti, c’è bisogno di solidarietà e di vicinanza per chi soffre, c’è necessità di informazioni scientifiche su quanto sta accadendo, si sente l’urgenza di analizzare i fatti. Non si sente il bisogno, invece, di opinioni demagogiche, scorrette e di inutile polemica politica: NON ESISTE alcuna legge che collega il risarcimento del danno subito alla magnitudo del sisma, come afferma la sen. Blundo del M5S.

screenhunter_18-oct-30-15-19Una balla che è circolata a lungo dopo il terremoto dell’Emilia, registrato a 5.9 della scala Richter e quindi, per i “gomblottisti” di professione, sospetto di essere stato declassato per non assegnare i contributi a chi ha subito danni, che una fantomatica normativa – CHE NON ESISTE – garantirebbe solo per sismi superiori a 6.1.
Tanto è vero che, come riporta tempestivamente La Stampa, la stessa Blundo ha modificato – meno male – quanto precedentemente affermato. Sempre troppo tardi, purtroppo, perché sui social media la disinformazione corre più veloce di qualsiasi smentita: le oltre 400 condivisioni al suo post, quanto contribuiranno a diffondere ancora la sua menzognera iniziale versione?
Ai signori “gomblottisti” chiedo pertanto di portare la prova di quanto affermano e quindi di indicare ai cittadini il numero e l’anno di emanazione di questa ipotetica legge sul risarcimento danni. Non potranno farlo, perché ad oggi, ciò che ha garantito il contributo ai danneggiati sono leggi specifiche, emanate in conseguenza delle diverse crisi sismiche, come per il Fruili, l’Umbria, L’Aquila, l’Emilia e ora il Centro-Italia.
Ricordo che per il terremoto emiliano, con scosse 5.9 e 5.8, con due diversi provvedimenti (di giugno 2012 e gennaio 2013) sono stati disposti risarcimenti al 100%, analogamente ha fatto il decreto governativo n. 189 di questo ottobre per affrontare il terremoto di agosto in Centro-Italia. E ora lo si farà per affrontare le conseguenze delle nuove scosse di questa settimana. Perché di fronte a tanto dolore e tanta ansia, ci siano ancora persone che continuano ad esacerbare gli animi e la polemica politica sfugge alla mia comprensione, soprattutto nelle nostre zone dove, purtroppo, è freschissimo il ricordo di cosa significhi vivere giorni di continua tensione in attesa della prossima, inevitabile, scossa. La mia vicinanza alle genti delle Marche, dell’Umbria e del Lazio. #tenetebotta.

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Riforma costituzionale: titoli, attribuzioni e incompatibilità dei nuovi senatori (artt. 63 e 66)

Nel nostro viaggio all’interno della riforma costituzionale, esploriamo due articoli che regolano l’ingresso a Palazzo Madama e l’attività dei nuovi senatori: l’art. 63 e l’art. 66. Poiché rappresenterà le istituzioni territoriali, il Senato riformato sarà prevalentemente composto (95 su 100) da consiglieri regionali (ma non è esclusa la previsione che possano farvi parte anche i presidenti delle Regioni) e sindaci. Tenuto quindi conto del doppio ruolo svolto dei nuovi senatori, è stato introdotto un nuovo comma all’art. 63, che rimette al Regolamento del Senato l’individuazione specifica dei casi nei quali “l’elezione o la nomina alle cariche negli organi del Senato possono essere limitate in ragione dell’esercizio di funzioni di governo, regionali o locali”. La ragione è facilmente intuibile: per il miglior funzionamento della nuova Assemblea è bene che si eviti che una stessa persona sommi su di sé la rappresentanza di organi istituzionali monocratici di diversa natura ed estrazione. Un esempio, per capirci: il presidente di Commissione consiliare forse è bene che non diventi presidente di Commissione del Senato, poiché l’una carica potrebbe risentire negativamente dell’altra, non tanto in termini di tempo da dedicarvi, ma di priorità degli oggetti da assegnare all’esame dell’una o all’altra Commissione.
All’art. 66, invece, è stato aggiunto un nuovo comma, modificato durante l’esame parlamentare, che dispone che il Senato “prende atto” della cessazione dalla carica elettiva regionale o locale, da cui consegue la decadenza da quella di senatore. La norma acquista chiarezza se letta insieme al primo comma del medesimo articolo, secondo il quale Camera e Senato giudicano su tutti i titoli di ammissione e di permanenza (quindi anche sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità) dei propri membri. È un articolo importante perché esso costituisce il fondamento della cosiddetta “autodichia delle Camere in materia di verifica dei poteri”. Cos’è l’autodichia? Prendiamo in prestito la definizione del dizionario giuridico Simone: «L’autodichia rientra nel più ampio concetto di autonomia delle Camere, che ha come obiettivo principale quello di salvaguardare l’organo da qualsiasi ingerenza esterna e trova la sua massima espressione nel potere autoregolamentare loro attribuito». In altre parole, l’articolo che stiamo commentando attribuisce alle Camere, in coerenza con la loro indipendenza istituzionale – secondo la divisione dei poteri – la competenza ad esercitare in via definitiva la funzione giurisdizionale in materia di titoli di ammissione dei propri componenti, nonché in tema di cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Perché questa prerogativa resta attribuita anche al Senato, che pure cambia fisionomia? Perché, come ha spiegato la relatrice Finocchiaro durante la discussione al Senato, la sottrazione di tale competenza avrebbe costituito proprio la negazione di una delle forme in cui si esprime l’autodichia delle Camere, in quanto organi – come ha riconosciuto la Corte costituzionale – tra quelli «direttamente partecipi del potere sovrano dello Stato, e perciò situati al vertice dell’ordinamento, in posizione di assoluta indipendenza e di reciproca parità».
Secondo la disposizione del comma 1 e del nuovo comma 2, quindi, il Senato continuerà a giudicare su tutti i titoli di ammissione e di permanenza in carica peculiari dei suoi membri, ma si limiterà a prendere atto delle cause che impediscono lo svolgimento del mandato se legate alla carica elettiva regionale o locale (e quindi connesse ad organi estranei al Senato stesso). Se ne ricava che l’effetto della decadenza è automatico, poiché il Senato si limiterà a prendere atto della cessazione dalla carica elettiva (di sindaco o di consigliere) senza “entrare nel merito”, cioè non sarà chiamato a giudicare le cause che impediscono lo svolgimento del mandato elettivo.
Questo aspetto ha animato il dibattito circa l’applicazione, in particolare, della norma Severino che per i consiglieri regionali e gli amministratori locali prevede la sospensione di diritto dalle cariche in caso di specifiche condanne non definitive (e anche in caso di una misura di prevenzione antimafia o di applicazione di determinate misure cautelari personali con provvedimento non definitivo); quindi in sede attuativa il regolamento del Senato dovrà definire quali saranno le conseguenze sullo status di senatore determinate dalla “sospensione” dalla carica di consigliere regionale o di sindaco. Buon senso richiederebbe l’estensione della sospensione anche allo status di senatore.

Sisma, perché bisogna garantire sostegno alle Scienze geologiche

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Noi che l’abbiamo vissuto, possiamo comprendere l’angoscia, la paura e il panico che devono aver colto gli abitanti dei paesi che da ieri sera sono colpiti da una nuova significativa crisi sismica. Stavano cominciando a progettare la ricostruzione dopo le scosse di agosto e adesso sono ripiombati nella fase di emergenza. Quella durante la quale si vive alla giornata, si prova a dare un senso ad eventi che un senso pare non ce l’abbiano. Ecco, questo è un punto cruciale, perché se non diamo un senso a ciò che stiamo vivendo allora non possiamo superarlo ed anzi ne diventiamo succubi. Nasce anche da questa considerazione il mio interesse per la proposta di legge sul sostegno alle Scienze geologiche della collega Mariani, della quale sono relatrice e che speriamo di riuscire ad approvare in via definitiva (auspichiamo davvero in tempi rapidissimi) e di cui ho già parlato ieri, in occasione dell’approvazione da parte del Senato. Perché dare un sostegno alle scienze geologiche, aiutando i giovani che voglio studiare queste discipline e assegnando risorse alle ricerca in questo campo, significa anche avere maggiori strumenti per meglio comprendere i fenomeni sismici, per meglio conoscere cosa c’è sotto i nostri piedi, per meglio capire come si comporteranno le faglie attive dell’Italia e quindi poter reagire in modo conseguente, a partire dalla realizzare di edifici, e infrastrutture che non crollano sulla testa dei residenti o di chi vi si reca per lavoro o per altri mille motivi. Insomma, ci aiuterà a dare un senso a quello che sta accadendo, quindi a comprenderlo e ad affrontarlo. I terremoti fanno tanta paura, ma quello che dobbiamo temere di più – anche perché è difficile averne contezza preventiva – sono i manufatti dell’uomo realizzati come se l’eventualità di un terremoto non esistesse…

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Riforma costituzionale, tutela delle minoranze e partecipazione degli eletti (art. 64)

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Prosegue il nostro viaggio all’interno del testo riformato della Costituzione. Affronto, oggi, alcuni aspetti raramente oggetto di discussione pubblica, ma che introducono novità di un certo rilievo. Tra le modifiche apportate all’articolo 64 vi è la nuova disposizione, introdotta in seguito al dibattito parlamentare tra il primo esame del Senato e della Camera, che rende espressa, in Costituzione, l’attribuzione ai Regolamenti parlamentari di garantire i diritti delle minoranze e, alla Camera, di disciplinare lo statuto delle opposizioni. La prima obiezione a questa previsione – attesa, in verità, da tempo – è rivolta contro l’assenza di precise disposizioni di principio già in Costituzione in grado di orientare i Regolamenti, ma è evidente che la sede naturale (e tradizionale) per definire le modalità con le quali si rende concretamente esigibile la tutela delle minoranze è il Regolamento, che può e deve essere aggiornato per stare al passo con il contesto, che si modifica di continuo. In che modo si “garantiscono” i diritti delle minoranze, fino al limite di non farli diventare una capacità di interdizione all’iniziativa della maggioranza (ricordate l’ostruzionismo fiume degli anni Settanta ed Ottanta, che bloccava, di fatto, l’attività parlamentare?). Un paio di esempi può essere utile, anche per convenire che la sede idonea di intervento sia il Regolamento: la tutela del contraddittorio e della rappresentanza sono innanzitutto garantiti da adeguati spazi nella programmazione dei lavori di Commissione e d’Aula, in particolare grazie all’effettivo esame degli argomenti proposti dai gruppi di opposizione, in forma di proposte di legge, mozioni, atti di sindacato ispettivo. Pertanto è solo con il Regolamento – e non di certo con una norma costituzionale – che si possono disciplinare queste specifiche materie. Rispetto a questo nuovo comma, si è poi discusso dell’uso di due termini simili ma non coincidenti nel significato – minoranze e opposizioni – declinate al plurale. Significa che alla tutela delle minoranze, tradizionalmente affidata ai regolamenti parlamentari, si affianca una “ulteriore” garanzia nei confronti delle opposizioni della Camera dei deputati poiché è la sola Camera titolare ad esercitare la funzione di indirizzo politico e la sola in cui può costituirsi la “maggioranza” che sostiene l’Esecutivo perché è nella sua Aula che si voterà la fiducia al Governo.
Il nuovo sesto comma dell’art. 64 Cost., per una modifica introdotta durante la prima lettura al Senato, “costituzionalizza”, poi, quanto è già previsto da specifiche disposizioni dei Regolamenti della Camera e del Senato: l’obbligo per i parlamentari di partecipare alle sedute dell’Assemblea e ai lavori delle Commissioni. Una norma di buon senso, ma che forse non meriterebbe il rango costituzionale. Eppure… Se stiamo all’intervista rilasciata nei giorni scorsi dal sen. Ghedini (si vanta del suo 0,85% di presenze nell’Aula di Palazzo Madama) o scorriamo le presenze di molti parlamentari purtroppo ci si rende conto che per alcuni la presenza ai lavori dell’Assemblea e di Commissione non è una priorità, legittimando quindi le critiche di coloro i quali giudicano negativamente e complessivamente l’impegno dei parlamentari. Sancire questo dovere in Costituzione – promosso peraltro dalla discussione parlamentare – è forse un tentativo per attribuirgli un valore superiore e uno sprone, mi auguro, per i più assenteisti, che fino ad ora non hanno sentito la necessità di ottemperare ad un obbligo contratto con i propri elettori e con il proprio gruppo parlamentare.

Ripensare lo stipendio dei parlamentari, ma senza demagogia

Camera

I parlamentari sono sempre più invisi ai cittadini, e per come si sta mettendo il dibattito, non si può dar loro tutti i torti. Il senatore Ghedini, avvocato a tempo pieno di Berlusconi, si vanta del suo 0,85% di presenze nell’Aula di Palazzo Madama. E’ questa la sua bislacca “risposta politica” alla proposta di agganciare l’indennità del parlamentare alle presenze in Aula avanzata dal Pd, mentre il M5s cavalca la madre di tutte le battaglie, dimezzare gli stipendi. Salvo, poi, scoprire che parlano della sola indennità (quella, cioè, su cui si pagano le tasse), mentre la diaria e il rimborso delle spese per il mandato verrebbero sottoposti a sola rendicontazione. La proposta grillina è accompagnata da una significativa mobilitazione, in piazza e nelle stesse tribune di Montecitorio, ma approda in Aula, stante il regolamento della Camera, senza che se ne sia concluso l’esame in Commissione, con il voto sugli emendamenti e il mandato al relatore.

A scanso di equivoci, faccio subito presente che, nel mio piccolo, a Montecitorio vado e ci lavoro con continuità (eccetto in caso di malattia: in 10 anni, una sola volta, proprio in queste settimane). Openparlamento certifica le mie presenze nell’ordine del 94,38%, anche se il sistema non può tenere conto appieno del lavoro in Commissione che io reputo altrettanto importante rispetto a quello dell’Aula.

Sono quindi d’accordo con la proposta di rimodulare le indennità dei parlamentari ancorandole all’attività effettivamente svolta, in Aula e in Commissione. Potrei sintetizzare che l’indennità va percepita non perché si è eletti in Parlamento, ma perché in Parlamento si svolge il proprio impegno, concretamente. Ma non si dimentichi l’articolazione della nostra attività, che comprende una vasta gamma di impegni che come parlamentari dobbiamo assumerci (ho provato a descriverlo anche sul mio sito). Penso, ad esempio, al tempo che può essere dedicato ad incontri con il Governo o con le strutture ministeriali per il buon esito di un provvedimento (mi riferisco, ad esempio, alla mozione approvata in estate sull’accesso all’università o alla discussione sulla istituzione della no tax area per gli universitari, ora inserita nella legge di bilancio). Oppure a quando si è invitati a incontri istituzionali: penso a quando, in settembre, ho partecipato al convegno sullo stato dell’edilizia scolastica organizzato da Cittadinanzattiva. Era stata la stessa associazione a chiedere di poter ascoltare la voce dei parlamentari della Commissione Istruzione impegnati su questi temi. Oltre a me era presente anche il collega Brescia del M5S.

Ecco, il lavoro parlamentare è più ampio e complesso rispetto al solo lavoro d’Aula. Ciò non toglie che chi viene eletto ha il dovere etico, non solo professionale, di svolgere tutte le mansioni che gli sono richieste.

Siamo pagati troppo, come dicono i rappresentanti del M5S? La nostra indennità è agganciata a quella del presidente di sezione della Corte di Cassazione. Si tratta di 5mila euro netti, somma a cui si aggiungono diaria e rimborsi spese. Cifre notevolmente superiori a quelle di uno stipendio medio italiano. Si può – si deve dico io – parlare di risparmi per lo Stato anche su questo fronte, stante la situazione di crisi economica. Lo si faccia, però, affrontando la questione senza demagogia come lo è, invece, prevedere solo il taglio all’indennità, su cui tutti noi versiamo il 50% di tasse, ma non quello a diaria e rimborsi spese che, per loro natura, non sono tassate. Anche il meccanismo di rendicontazione – mediante una card – andrebbe approfondito, perché se stiamo a quella dei deputati del M5S, da sito www.tirendiconto.it, non mancano i motivi di dubbio e le stranezze, finiti, peraltro, sui giornali. Tra l’altro, la trasparenza è tale quando è verificata (e non affidata all’autocertificazione): e a questo proposito bisognerà mettere in conto anche l’assunzione di personale apposito preparato e stipendiato. La trasparenza e sobrietà sono principi sacrosanti: e proprio per questo vanno affrontati con consapevolezza e non come oggetti contundenti della lotta partitica.