Tutti gli articoli relativi a: lavoro

"Non perdete altro tempo", di Pier Paolo Baretta e Cesare Damiano

Era Marchionne che doveva convocare il governo? Viste le iniziali incertezze dell’esecutivo (ma sabato Monti vedrà l’ad Fiat) poteva venire questo sospetto. L’annuncio da parte del Lingotto dell’abbandono del piano Fabbrica Italia, che prevedeva 20 miliardi di investimento nel nostro paese, non è stato nient’altro che la conferma di una preoccupazione presente tra le forze politiche e sociali. Le conseguenze di questa scelta non sono immaginabili, perché si può andare dal ridimensionamento della presenza del settore auto nel nostro paese, alla sua tendenziale scomparsa. Per questo, come Partito democratico, abbiamo chiesto da tempo di passare dai tavoli di crisi aperti al ministero delle attività produttive, ad interventi veri e propri di politica industriale. Per comprendere la situazione, non rinchiudiamoci all’interno di una visione esclusivamente nazionale od europea del problema e domandiamoci se c’è un crollo del mercato dell’auto a livello mondiale. Si deve innanzitutto registrare come l’andamento dei principali mercati europei non sia uniforme. Infatti, mentre la Germania ed il Regno Unito segnano rispettivamente un +0,7% ed un +2,7%, la recessione riguarda l’Italia (-20%), la …

"Primo, vedere le carte in mano al Lingotto", di Massimo D'Antoni

Ora che Fiat ha palesato l’intenzione di non tener fede ai programmi di investimento, e si fa strada addirittura il timore di un abbandono dell’Italia da parte dell’impresa manifatturiera nazionale per eccellenza, le reazioni prevalenti dosano in varie combinazioni indignazione e preoccupazione. Indignazione carica di conferme per coloro che possono rivendicare di aver indovinato le intenzioni di Sergio Marchionne fin dall’inizio, a partire da quel grave indizio che fu la mancata presentazione di un piano di investimenti; indignazione mista a imbarazzo per chi con troppa fretta ha concesso credito alle promesse fatte e si sente ora tradito nella propria fiducia. L’indignazione è comprensibile e giustificata: nonostante le note dichiarazioni di Marchionne, la Fiat ha un debito storico verso l’Italia, che va oltre i contributi a fondo perduto (ora cessati ma copiosi in passato), e chiama in causa la politica dei trasporti (sarà un caso se l’Italia ha avuto per lungo tempo la più estesa rete di autostrade mentre ha sviluppato in modo limitato la rotaia?) o le tornate di incentivi alla rottamazione, a vantaggio di …

"Primo, vedere le carte in mano al Lingotto", di Massimo D'Antoni

Ora che Fiat ha palesato l’intenzione di non tener fede ai programmi di investimento, e si fa strada addirittura il timore di un abbandono dell’Italia da parte dell’impresa manifatturiera nazionale per eccellenza, le reazioni prevalenti dosano in varie combinazioni indignazione e preoccupazione. Indignazione carica di conferme per coloro che possono rivendicare di aver indovinato le intenzioni di Sergio Marchionne fin dall’inizio, a partire da quel grave indizio che fu la mancata presentazione di un piano di investimenti; indignazione mista a imbarazzo per chi con troppa fretta ha concesso credito alle promesse fatte e si sente ora tradito nella propria fiducia. L’indignazione è comprensibile e giustificata: nonostante le note dichiarazioni di Marchionne, la Fiat ha un debito storico verso l’Italia, che va oltre i contributi a fondo perduto (ora cessati ma copiosi in passato), e chiama in causa la politica dei trasporti (sarà un caso se l’Italia ha avuto per lungo tempo la più estesa rete di autostrade mentre ha sviluppato in modo limitato la rotaia?) o le tornate di incentivi alla rottamazione, a vantaggio di …

"Più di un giovane su tre non fa il lavoro che voleva", di Enrico Marro

Tra i principali Paesi europei, l’Italia è la più arretrata nell’affiancare scuola e lavoro. Solo il 10% dei giovani associa allo studio una qualche esperienza lavorativa, contro il 60% della Danimarca e il 50% di Germania e Regno Unito. E uno su 3 ha occupazioni inferiori al proprio livello di istruzione. Fondamentale per la crescita dell’economia è «il capitale umano», come dicono quelli che vogliono fare bella figura. L’americano Gary Becker, dimostrandolo con i suoi studi, ci ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 1992. Ma il concetto è comprensibile a chiunque: più è alto il livello di istruzione e formazione dei lavoratori più ciò andrà a vantaggio del sistema produttivo, a patto di utilizzarlo. Bene, da noi il capitale umano non è né elevato né ben impiegato. Una costante nella storia d’Italia, che spiega non poco della perdita di competitività del 20% negli ultimi dieci anni rispetto alle altre economie dell’area euro. Lo sottolinea il Rapporto sul mercato del lavoro che verrà presentato oggi al Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, presieduto …

"Più di un giovane su tre non fa il lavoro che voleva", di Enrico Marro

Tra i principali Paesi europei, l’Italia è la più arretrata nell’affiancare scuola e lavoro. Solo il 10% dei giovani associa allo studio una qualche esperienza lavorativa, contro il 60% della Danimarca e il 50% di Germania e Regno Unito. E uno su 3 ha occupazioni inferiori al proprio livello di istruzione. Fondamentale per la crescita dell’economia è «il capitale umano», come dicono quelli che vogliono fare bella figura. L’americano Gary Becker, dimostrandolo con i suoi studi, ci ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 1992. Ma il concetto è comprensibile a chiunque: più è alto il livello di istruzione e formazione dei lavoratori più ciò andrà a vantaggio del sistema produttivo, a patto di utilizzarlo. Bene, da noi il capitale umano non è né elevato né ben impiegato. Una costante nella storia d’Italia, che spiega non poco della perdita di competitività del 20% negli ultimi dieci anni rispetto alle altre economie dell’area euro. Lo sottolinea il Rapporto sul mercato del lavoro che verrà presentato oggi al Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, presieduto …

"Ricchi contro ricchi, con meno soldi il capitalismo va in tilt", di Ettore Livini

Miscrospie e registrazioni clandestine. Documenti riservatissimi che, come in un film di 007, finiscono dritti dritti su Indymedia, il sito dell’antagonismo tricolore. Più insulti a gogò — «arzilli vecchietti», «furbetti cosmopoliti» e «livorosa controfigura di Sgarbi» le ultime perle — e regolamenti di conti da Far West tra manager e imprenditori legati fino a poco tempo fa da sodalizi decennali. Le stanze ovattate del “salotto buono” dove per anni i Paperoni tricolori hanno scritto nel massimo riserbo (e a loro uso e consumo) la storia della finanza nazionale non esistono più. Tra i miliardari — o presunti tali — d’Italia volano gli stracci come in un’assemblea di condominio. Ricchi contro ricchi. Tutti contro tutti. In una partita destinata a ridisegnare nei prossimi mesi la mappa del potere economico (e in parte anche politico) del nostro paese. Questi scontri, intendiamoci, non sono una novità. La storia del capitalismo tricolore è stata segnata da battaglie cruente in cui non si sono fatti prigionieri. Ma in silenzio e senza titoli sui giornali se non a partita chiusa. Cesare …

"Ricchi contro ricchi, con meno soldi il capitalismo va in tilt", di Ettore Livini

Miscrospie e registrazioni clandestine. Documenti riservatissimi che, come in un film di 007, finiscono dritti dritti su Indymedia, il sito dell’antagonismo tricolore. Più insulti a gogò — «arzilli vecchietti», «furbetti cosmopoliti» e «livorosa controfigura di Sgarbi» le ultime perle — e regolamenti di conti da Far West tra manager e imprenditori legati fino a poco tempo fa da sodalizi decennali. Le stanze ovattate del “salotto buono” dove per anni i Paperoni tricolori hanno scritto nel massimo riserbo (e a loro uso e consumo) la storia della finanza nazionale non esistono più. Tra i miliardari — o presunti tali — d’Italia volano gli stracci come in un’assemblea di condominio. Ricchi contro ricchi. Tutti contro tutti. In una partita destinata a ridisegnare nei prossimi mesi la mappa del potere economico (e in parte anche politico) del nostro paese. Questi scontri, intendiamoci, non sono una novità. La storia del capitalismo tricolore è stata segnata da battaglie cruente in cui non si sono fatti prigionieri. Ma in silenzio e senza titoli sui giornali se non a partita chiusa. Cesare …