Tutti gli articoli relativi a: memoria

"Fossoli, qui dove la memoria è un lavoro incessante", di Maria Grazia Gerina

Ci sono delle foto bellissime di Fossoli», si commuove a pensarci, Marzia Luppi, direttrice “part-time” della Fondazione ex campo Fossoli, e per il resto del tempo insegnante. «Si vedono questi bambini, i piccoli orfani di don Zeno che qui vissero dal ’47 al ’52 che abbattono i segni più evidenti di un campo di concentramento: il filo spinato, le torrette di guardia. Sono foto molto toccanti che danno l’idea di una volontà di ripresa della vita portata avanti anche riutilizzando delle strutture legate a un progetto di morte». Bisogna immaginarsi quei gesti per capire cosa è stato Fossoli e cosa è la memoria: qualcosa di vivo, tutto tranne che una strada a senso unico. Di fatto Fossoli diventa molto tardi un luogo di memoria? Vede, nel 1955, Fossoli è abitato da 150 famiglie giuliano-dalmate costrette ad abbandonare l’Istria, ospitate a Fossoli risistemano le baracche, le dividono in piccole abitazioni, le casette ripitturate all’interno e i frutteti risalgono a quel periodo. Il 1955 però è anche l’anno in cui si tiene a Carpi una mostra sulla …

"Quella bambina in camicia nera costretta a subire una lezione di odio", di Goffredo Buccini

GIULINO DI MEZZEGRA (Como) – Quest’anno si sono tirati dietro i bambini. Come alla gita fuoriporta. Davanti al cancello della fucilazione, a Villa Belmonte, c’è uno scricciolo con la maglietta gialla, a stento arriva al muretto di cinta. Punta verso la croce dove c’è scritto «Benito Mussolini, 28 aprile 1945» l’obiettivo del suo Nintendo DS, quello con cui gioca normalmente a Super Mario. E c’è lei, che avrà sei anni scarsi: le hanno infilato una camicetta nera, calzato in testa il basco della Repubblica sociale, con il gladio e l’alloro per stemma. Pure lei scatta foto, con una macchinetta digitale. Pare di sentirla. «Dai zio, alza il braccio e sorridi, eja-eja». Alle sue spalle una coppia attempata (papà e mamma? nonni?), teschi sul cappello come comparse sbrindellate del «Salò» di Pasolini, con accanto un bamboccione occhialuto coperto di gladi che pare un puntaspilli (fratello maggiore?). Nella marmellata pop della pacificazione nazionale, tra coriandoli d’identità dove le t-shirt della Rsi vanno via online a nove euro «con logo prestampato», eccoci quindi alla scampagnata di famiglia repubblichina. …

"Papà Cervi e la giacca di Parri", di Goffredo Fofi

Ritorna, stavolta nei Tascabili Einaudi, la storia di I miei sette figli raccontata tramite altri da Alcide Cervi, il vecchio contadino emiliano che vide i figli trucidati dai repubblichini perché antifascisti, perché oppositori, perché resistenti. Queste memorie hanno una storia singolare, in qualche modo “sovietica”, ispirata da alcuni articoli del giovane giornalista comunista Italo Calvino, che aveva scritto da poco le sue memorie partigiane in un esordio letterario singolare perché a cavallo tra realtà e fiaba, Il sentiero dei nidi di ragno. Calvino visitò più di una volta la casa dei Cervi, dove il vecchio Alcide aveva ripreso con la moglie Genoeffa, dopo il lutto, a guidare una famiglia di nuore e di nipoti bambini o adolescenti. Sulla storia dei Cervi, coronata da medaglie al valore, esaltata dal presidente De Nicola e da Piero Calamandrei, il Partito comunista pensò di costruire una narrazione esemplare che Togliatti indirizzò secondo le linee del partito di allora: recupero di una tradizione nazionale, per una forte vicenda che esaltasse la Resistenza come base su cui costruire la nuova Italia. …

"Quel vergognoso commercio di Predappio", di Maurizio Viroli

L’opinione pubblica deve sapere, in occasione della Festa della Liberazione, che a Predappio è fiorente da anni il commercio, alla luce del sole, di materiali di vario genere che esaltano la figura di Mussolini e il regime fascista. Sulla via principale del paese si possono acquistare busti ed effigi del duce di ogni foggia e colore, una ricchissima selezione di magliette con slogan del ventennio e ammirare divise originali della milizia fascista e bandiere, anch’esse originali, della Repubblica Sociale Italiana. Non mancano neppure i prodotti per bambini quali felpe e tovagliette con motti truculenti, naturalmente per la gioia e l’orgoglio dei genitori. La storia va avanti da tempo, come ha documentato Alberto Papuzzi in un’inchiesta che «La Stampa» ha pubblicato anni fa. Da allora il commercio fascista è diventato più fiorente, almeno a giudicare dal numero dei clienti che affollano i negozi in questa vigilia del 25 aprile. Eppure pare proprio che nessuno si preoccupi degli evidenti effetti diseducativi nei confronti di una popolazione sempre più povera culturalmente che non sa più, o non ha …

"Il significato di una festa", di Sergio Romano

Mentre onoriamo il 25 Aprile dovremmo chiederci perché questa giornata sia stata spesso faticosamente festeggiata e abbia diviso gli italiani piuttosto che unirli. Se vogliamo che la data diventi davvero nazionale, dovremmo parlarne con franchezza e senza infingimenti retorici. In primo luogo il 25 Aprile segna la fine di una guerra civile, vale a dire la conclusione di una vicenda in cui parole come patria e onore hanno avuto per molti italiani significati diversi. Sappiamo che i fascisti di Salò sbagliarono, ma non possiamo ignorare che erano anch’essi italiani e che molti fecero la loro scelta in buona fede. Era difficile immaginare che il 25 Aprile potesse venire festeggiato con lo stesso entusiasmo e la stessa partecipazione da chi aveva militato in campi diversi. In secondo luogo il Partito comunista si attribuì il merito della vittoria e divenne il maggiore e più interessato regista delle celebrazioni. Eravamo — è bene ricordarlo — negli anni della guerra fredda, quando il Pci, pur essendo alquanto diverso da quello dell’Urss, ne era pur sempre il «fratello » e …

"Il 25 aprile è Festa della Liberazione e della riunificazione d’Italia". Il discorso del Presidente Giorgio Napolitano

Signora Sindaco, Signor Presidente della Provincia, Signor Presidente della Regione, Signori rappresentanti del Comitato Antifascista e di tutte le associazioni partigiane e combattentistiche, Signor Presidente del Consiglio, Onorevoli parlamentari, Autorità, cittadini di Milano, si può facilmente comprendere con quale animo io abbia accolto l’invito a celebrare a Milano il 65° anniversario della Liberazione. Con animo grato, per la speciale occasione che mi veniva offerta, con viva emozione e con grande rispetto per quel che Milano ha rappresentato in una stagione drammatica, in una fase cruciale della storia d’Italia. E tanto più forte è l’emozione nel rivolgere questo mio discorso al paese dal palcoscenico del glorioso Teatro La Scala, che seppe risollevarsi dai colpi distruttivi della guerra per divenire espressione e simbolo, nel mondo intero, della grande tradizione musicale e culturale italiana. Si, viva e sincera è la mia emozione perché fu Milano che assunse la guida politica e militare della Resistenza. Nel gennaio del 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale lombardo venne investito dal CLN di Roma – nella prospettiva di una non lontana liberazione …

"La memoria si è fermata a Fossoli", di Maria Grazia Gerina

E all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare». Fossoli 22 febbraio 1944 data l’istantanea dell’orrore scattata da Primo Levi, un attimo prima di salire con gli altri 600 internati sul convoglio che li porterà ad Auschwitz. Sembra di vederli ancora quei pannicelli chiari che sventolano per la campagna emiliana trasformata in universo concentrazionario. Mentre si spegne il lamento che le donne tripoline avevano intonato per l’intera notte. C’era voluta la bonifica, subito dopo la Grande guerra, per strappare quelle zolle alle paludi, evento celebrato nel giugno del ’22 con tanto di visita del re. Ma, dopo la nascita della Repubblica di Salò, nel giro di poche settimane quel fazzoletto di terra nel modenese era diventato il principale campo di transito per ebrei, partigiani, prigionieri politici, operai da deportare negli altri campi di concentramento e di sterminio del Reich. Scelto per la posizione isolata e per la ferrovia che dalla vicina cittadina di Carpi puntava verso il Brennero. «Ecco che superiamo Verona, Trento, Bolzano. Ecco il Brennero: noi guardiamo …