"Fossoli, qui dove la memoria è un lavoro incessante", di Maria Grazia Gerina
Ci sono delle foto bellissime di Fossoli», si commuove a pensarci, Marzia Luppi, direttrice “part-time” della Fondazione ex campo Fossoli, e per il resto del tempo insegnante. «Si vedono questi bambini, i piccoli orfani di don Zeno che qui vissero dal ’47 al ’52 che abbattono i segni più evidenti di un campo di concentramento: il filo spinato, le torrette di guardia. Sono foto molto toccanti che danno l’idea di una volontà di ripresa della vita portata avanti anche riutilizzando delle strutture legate a un progetto di morte». Bisogna immaginarsi quei gesti per capire cosa è stato Fossoli e cosa è la memoria: qualcosa di vivo, tutto tranne che una strada a senso unico. Di fatto Fossoli diventa molto tardi un luogo di memoria? Vede, nel 1955, Fossoli è abitato da 150 famiglie giuliano-dalmate costrette ad abbandonare l’Istria, ospitate a Fossoli risistemano le baracche, le dividono in piccole abitazioni, le casette ripitturate all’interno e i frutteti risalgono a quel periodo. Il 1955 però è anche l’anno in cui si tiene a Carpi una mostra sulla …