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“Pillola dei 5 giorni dopo. Da lunedì arriva in Italia nonostante le polemiche”, di Mariagrazia Gerina

Arriva anche in Italia, da lunedì, la pillola dei cinque giorni dopo. Per acquistarla in farmacia servirà una ricetta non ripetibile. Il medico dovrà certificare che la paziente non è incinta attraverso l’apposito test. Ci sono voluti due anni per il via libera. Da lunedì, però, la pillola dei «cinque giorni dopo» EllaOne sarà in vendita in farmacia, anche in Italia. L’Organizzazione mondiale della Sanità la classifica «anticoncezionale d’emergenza». Come la pillola del «giorno dopo». Ma, diversamente da quella, può essere assunta fino a 120 ore dopo il rapporto a rischio. E, in generale, rispetto alla contraccezione d’emergenza utilizzata finora, a base di Levonorgestrel, è molto più efficace anche se utilizzata nelle prime ore: il doppio nelle prime 72 ore, fino a tre volte di più nelle prime 24 ore. Da noi, però, ci vorrà la ricetta per acquistarla. E il test di gravidanza per accertare che la donna a cui viene prescritta non sia incinta. Costerà 34,89 euro e, inserita tra i farmaci di categoria C, non rimborsabili, la spesa sarà tutta a carico di chi vorrà farne uso.
I PALETTI DELL’AIFA
È la via italiana a questa «nuova» forma di contraccezione d’emergenza, in realtà già commercializzata in 28 paesi e autorizzata in 39 paesi (europei ma anche africani, come il Gabon e il Djibouti, negli Stati Uniti come in Israele, Singapore, Corea del Sud). L’ok, a livello europeo, siglato dalla European Medicines Agency, risale al maggio del 2009. In Italia, ci sono voluti altri due anni perché l’Agenzia per il farmaco (Aifa) ne autorizzasse la vendita. Via libera accordato lo scorso novembre. Non senza polemiche (c’è anche un ricorso al Tar, ancora pendente, presentato dal Movimento per la Vita, ad approvazione già avvenuta). E paletti, imposti dalla stessa Agenzia: ricetta medica non ripetibile e test per accertare che non ci sia una gravidanza già in corso.
«Basta anche un test delle urine», assicurano dall’azienda produttrice, la Hra Pharma, citando la delibera dell’Aifa che parla di «test di gravidanza a esito negativo basato sul dosaggio delle beta Hcg» come esame propedeutico alla prescrizione della EllaOne. In risposta a chi, specie tra i ginecologi, aveva obiettato che un esame del sangue allungherebbe notevolmente i tempi.
L’Aifa ha operato con molta «attenzione», rivendica il ministro Balduzzi, preoccupato di rassicurare chi invece avrebbe voluto scongiurare la commercializzazione dell’EllaOne: «Se le indicazioni dell’Aifa saranno rispettate» spiega il ministro «credo si possa evitare che questi strumenti diventino un’occasione di pericolo e di rischio per la salute».
In ogni caso, test o meno, polemicche o no, dal 2 aprile la «pillola dei cinque giorni dopo» sarà in farmacia. «Avremo uno strumento in più per evitare l’aborto», osserva da ginecologa Anna Pompili. Prezioso, a suo avviso, soprattutto in Italia. Vi-
sto che il fattore tempo è fondamentale per la contraccezione d’emergenza. E invece: «Purtroppo per molte donne italiane, per via della diffusione dell’obiezione di coscienza anche tra i farmacisti, accedere alla contraccezione d’emergenza diventa un calvario». In questo contesto, «avere un farmaco che permette di agire con tempi un po’ più lunghi può essere d’aiuto, proprio per evitare l’aborto», suggerisce la dottoressa Pompili, autrice per altro, insieme a Carlo Flamigni, di un libro divulgativo sulla contraccezione.
Quanto al meccanismo di funzionamento di EllaOne, spiega: «A base di Ulipistral, la pillola agisce fondamentalmente sull’equilibrio ormonale, ovvero sposta in avanti il momento dell’ovulazione o, in qualche caso la inibisce, rendendo impossibile la fecondazione». C’è però il dubbio «non completamente chiarito aggiunge , che essendo un modulatore selettivo dell’inibitore del progesterone, potrebbe anche produrre una azione di inibizione dell’impianto qualora l’ovulo fosse già fecondato». Come avviene per esempio, quando dopo un rapporto a rischio viene impiantata la spirale. «Un tipo di contraccezione d’emergenza che esiste già osserva e che già oggi permette di intervenire entro 5 giorni».

l’Unità 31.03.12

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“Uno strumento clinico. La morale non c’entra
Su questo farmaco c’è stato un dibattito aspro: serve un passo indietro per la salute delle donne”, di Ignazio Marino

In un mondo ideale la contraccezione di emergenza, così come l’aborto, non dovrebbero esistere. Ma sappiamo tutti che la realtà in cui viviamo è fatta per lo più di scelte difficili e dolorose, di dubbi e di fragilità. Viviamo in un Paese in cui manca purtroppo un progetto nazionale organico e strutturato di educazione alla sessualità responsabile, alla salute riproduttiva e alla contraccezione nelle scuole.
A ciò si aggiunga la debolezza della medicina del territorio, sulla quale non si investe abbastanza: manca, nei fatti, da troppi anni una politica di potenziamento dei consultori che sono ormai poco più di 2000, circa 0,7 ogni 20.000 abitanti, mentre dovrebbero essere almeno 1 ogni 20.000. Elementi che rendono più incerta l’assistenza alle donne; elementi essenziali da considerare quando si tratta della contraccezione di emergenza e della pillola dei cinque giorni dopo.
Prima di tutto, è bene sottolineare che la diffusione di questo nuovo strumento è stata autorizzata dopo una valutazione scientifica responsabile e rigorosa da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Il farmaco richiede una ricetta medica non ripetibile. Prima della prescrizione, inoltre, il medico è tenuto a verificare l’assenza di una gravidanza.
Si tratta di due regole ispirate dalla cautela e dalla necessità di porre al centro della decisione clinica il rapporto tra il medico e la sua paziente. Eppure il dibattito su questa pillola è stato rovente e ancora c’è chi dichiara di voler ostacolare la sua diffusione. Sui nuovi farmaci, tuttavia, le decisioni debbono essere di natura clinica e non orientate dalla morale. La pillola dei cinque giorni dopo non è un farmaco per donne «poco attente», ma una soluzione per chi ha vissuto un evento ad alto rischio e chiede quindi aiuto al medico.
Proprio il rapporto tra la donna e il proprio medico è una ulteriore garanzia che, con un confronto sincero e intimo, saranno vagliate tutte le possibilità e sarà assunta la decisione migliore dal punto di vista clinico e psicologico. Il medico dovrà parlare con franchezza ed esporre i percorsi che esistono. Ecco perché, a mio avviso, su questo farmaco non è accettabile alcun appello all’obiezione di coscienza e sarebbe un gravissimo errore cercare di manomettere il dibattito, tentando di insinuare che questa pillola sia abortiva e non anticoncezionale. Io credo davvero che dovremmo fare tutti un passo indietro, per il rispetto dovuto alla salute delle donne che non possono e non devono subire discriminazioni su temi così delicati. Sarebbe invece importante concentrare gli sforzi di tutti, a partire dalla politica, per potenziare una assistenza territoriale che possa essere davvero degna di questo nome. I ginecologi territoriali hanno un ruolo centrale, si deve smettere di parlare di medicina del territorio senza investirci e crederci.
Il ministro della Salute Renato Balduzzi è un esperto della materia e sa assai bene quanto sia necessario avere a cuore la sanità pubblica. Bisogna affrontare un problema chiaro nei numeri: se a 36 anni dalla istituzione dei consultori, l’ottanta per cento delle donne in gravidanza si rivolge alla sanità privata un problema esiste e deve assolutamente essere risolto.

l’Unità 31.03.12

“Pillola dei 5 giorni dopo. Da lunedì arriva in Italia nonostante le polemiche”, di Mariagrazia Gerina

Arriva anche in Italia, da lunedì, la pillola dei cinque giorni dopo. Per acquistarla in farmacia servirà una ricetta non ripetibile. Il medico dovrà certificare che la paziente non è incinta attraverso l’apposito test. Ci sono voluti due anni per il via libera. Da lunedì, però, la pillola dei «cinque giorni dopo» EllaOne sarà in vendita in farmacia, anche in Italia. L’Organizzazione mondiale della Sanità la classifica «anticoncezionale d’emergenza». Come la pillola del «giorno dopo». Ma, diversamente da quella, può essere assunta fino a 120 ore dopo il rapporto a rischio. E, in generale, rispetto alla contraccezione d’emergenza utilizzata finora, a base di Levonorgestrel, è molto più efficace anche se utilizzata nelle prime ore: il doppio nelle prime 72 ore, fino a tre volte di più nelle prime 24 ore. Da noi, però, ci vorrà la ricetta per acquistarla. E il test di gravidanza per accertare che la donna a cui viene prescritta non sia incinta. Costerà 34,89 euro e, inserita tra i farmaci di categoria C, non rimborsabili, la spesa sarà tutta a carico di chi vorrà farne uso.
I PALETTI DELL’AIFA
È la via italiana a questa «nuova» forma di contraccezione d’emergenza, in realtà già commercializzata in 28 paesi e autorizzata in 39 paesi (europei ma anche africani, come il Gabon e il Djibouti, negli Stati Uniti come in Israele, Singapore, Corea del Sud). L’ok, a livello europeo, siglato dalla European Medicines Agency, risale al maggio del 2009. In Italia, ci sono voluti altri due anni perché l’Agenzia per il farmaco (Aifa) ne autorizzasse la vendita. Via libera accordato lo scorso novembre. Non senza polemiche (c’è anche un ricorso al Tar, ancora pendente, presentato dal Movimento per la Vita, ad approvazione già avvenuta). E paletti, imposti dalla stessa Agenzia: ricetta medica non ripetibile e test per accertare che non ci sia una gravidanza già in corso.
«Basta anche un test delle urine», assicurano dall’azienda produttrice, la Hra Pharma, citando la delibera dell’Aifa che parla di «test di gravidanza a esito negativo basato sul dosaggio delle beta Hcg» come esame propedeutico alla prescrizione della EllaOne. In risposta a chi, specie tra i ginecologi, aveva obiettato che un esame del sangue allungherebbe notevolmente i tempi.
L’Aifa ha operato con molta «attenzione», rivendica il ministro Balduzzi, preoccupato di rassicurare chi invece avrebbe voluto scongiurare la commercializzazione dell’EllaOne: «Se le indicazioni dell’Aifa saranno rispettate» spiega il ministro «credo si possa evitare che questi strumenti diventino un’occasione di pericolo e di rischio per la salute».
In ogni caso, test o meno, polemicche o no, dal 2 aprile la «pillola dei cinque giorni dopo» sarà in farmacia. «Avremo uno strumento in più per evitare l’aborto», osserva da ginecologa Anna Pompili. Prezioso, a suo avviso, soprattutto in Italia. Vi-
sto che il fattore tempo è fondamentale per la contraccezione d’emergenza. E invece: «Purtroppo per molte donne italiane, per via della diffusione dell’obiezione di coscienza anche tra i farmacisti, accedere alla contraccezione d’emergenza diventa un calvario». In questo contesto, «avere un farmaco che permette di agire con tempi un po’ più lunghi può essere d’aiuto, proprio per evitare l’aborto», suggerisce la dottoressa Pompili, autrice per altro, insieme a Carlo Flamigni, di un libro divulgativo sulla contraccezione.
Quanto al meccanismo di funzionamento di EllaOne, spiega: «A base di Ulipistral, la pillola agisce fondamentalmente sull’equilibrio ormonale, ovvero sposta in avanti il momento dell’ovulazione o, in qualche caso la inibisce, rendendo impossibile la fecondazione». C’è però il dubbio «non completamente chiarito aggiunge , che essendo un modulatore selettivo dell’inibitore del progesterone, potrebbe anche produrre una azione di inibizione dell’impianto qualora l’ovulo fosse già fecondato». Come avviene per esempio, quando dopo un rapporto a rischio viene impiantata la spirale. «Un tipo di contraccezione d’emergenza che esiste già osserva e che già oggi permette di intervenire entro 5 giorni».

l’Unità 31.03.12

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“Uno strumento clinico. La morale non c’entra
Su questo farmaco c’è stato un dibattito aspro: serve un passo indietro per la salute delle donne”, di Ignazio Marino

In un mondo ideale la contraccezione di emergenza, così come l’aborto, non dovrebbero esistere. Ma sappiamo tutti che la realtà in cui viviamo è fatta per lo più di scelte difficili e dolorose, di dubbi e di fragilità. Viviamo in un Paese in cui manca purtroppo un progetto nazionale organico e strutturato di educazione alla sessualità responsabile, alla salute riproduttiva e alla contraccezione nelle scuole.
A ciò si aggiunga la debolezza della medicina del territorio, sulla quale non si investe abbastanza: manca, nei fatti, da troppi anni una politica di potenziamento dei consultori che sono ormai poco più di 2000, circa 0,7 ogni 20.000 abitanti, mentre dovrebbero essere almeno 1 ogni 20.000. Elementi che rendono più incerta l’assistenza alle donne; elementi essenziali da considerare quando si tratta della contraccezione di emergenza e della pillola dei cinque giorni dopo.
Prima di tutto, è bene sottolineare che la diffusione di questo nuovo strumento è stata autorizzata dopo una valutazione scientifica responsabile e rigorosa da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Il farmaco richiede una ricetta medica non ripetibile. Prima della prescrizione, inoltre, il medico è tenuto a verificare l’assenza di una gravidanza.
Si tratta di due regole ispirate dalla cautela e dalla necessità di porre al centro della decisione clinica il rapporto tra il medico e la sua paziente. Eppure il dibattito su questa pillola è stato rovente e ancora c’è chi dichiara di voler ostacolare la sua diffusione. Sui nuovi farmaci, tuttavia, le decisioni debbono essere di natura clinica e non orientate dalla morale. La pillola dei cinque giorni dopo non è un farmaco per donne «poco attente», ma una soluzione per chi ha vissuto un evento ad alto rischio e chiede quindi aiuto al medico.
Proprio il rapporto tra la donna e il proprio medico è una ulteriore garanzia che, con un confronto sincero e intimo, saranno vagliate tutte le possibilità e sarà assunta la decisione migliore dal punto di vista clinico e psicologico. Il medico dovrà parlare con franchezza ed esporre i percorsi che esistono. Ecco perché, a mio avviso, su questo farmaco non è accettabile alcun appello all’obiezione di coscienza e sarebbe un gravissimo errore cercare di manomettere il dibattito, tentando di insinuare che questa pillola sia abortiva e non anticoncezionale. Io credo davvero che dovremmo fare tutti un passo indietro, per il rispetto dovuto alla salute delle donne che non possono e non devono subire discriminazioni su temi così delicati. Sarebbe invece importante concentrare gli sforzi di tutti, a partire dalla politica, per potenziare una assistenza territoriale che possa essere davvero degna di questo nome. I ginecologi territoriali hanno un ruolo centrale, si deve smettere di parlare di medicina del territorio senza investirci e crederci.
Il ministro della Salute Renato Balduzzi è un esperto della materia e sa assai bene quanto sia necessario avere a cuore la sanità pubblica. Bisogna affrontare un problema chiaro nei numeri: se a 36 anni dalla istituzione dei consultori, l’ottanta per cento delle donne in gravidanza si rivolge alla sanità privata un problema esiste e deve assolutamente essere risolto.

l’Unità 31.03.12

"L’uomo dei neutrini più veloci della luce ha lasciato l’incarico", di Pietro Greco

Antonio Ereditato si è dimesso. L’uomo dei «neutrini più veloci della luce» ha lasciato il suo incarico di coordinatore del Gruppo «Opera», l’esperimento internazionale che studia il comportamento delle elusive particelle generata al Cern di Ginevra e rivelate nei Laboratori che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare possiede sotto il Gran Sasso. Le dimissioni di Antonio Ereditato erano state chieste da alcuni componenti del Gruppo «Opera». La richiesta è stata messa in votazione. Ma è stata respinta. Sia pure con margini ristretti Ereditato vanta il consenso della maggioranza del Gruppo. Ma il fisico ha preferito lasciare. Non ha voluto commentare la sua decisione.
L’uomo ma anche il fisico merita l’onore delle armi. Per almeno due motivi. Ma prima di indicarli, conviene ricordare la sua vicenda.
Il Gruppo «Opera» studia da ormai molto tempo il comportamento dei neutrini, le più numerose ed elusive particelle conosciute. Negli anni scorsi, anche con la guida di Ereditato, il gruppo ha potuto confermare la previsione di Bruno Pontecorvo: i neutrini oscillano. Ognuno dei tre tipi viaggiando nello spazio può trasformarsi nell’altro. Il che significa che i neutrini hanno una massa. «Opera» si è così conquistata sul campo un’autorità scientifica assoluta nell’ambito della fisica di queste particelle leptoniche. Negli ultimi tre anni il Gruppo «Opera», senza volerlo in maniera specifica, ha misurato una velocità apparente dei neutrini, lungo il tragitto da Ginevra al Gran sasso, leggermente superiore a quella della luce. Un risultato anomalo, che contraddice una delle teorie fondamentali della fisica, la relatività di Einstein. I fisici per prudenza e i filosofi per approccio epistemologico sostengono che quando un fatto sperimentale è in contrasto con una teoria fondamentale, largamente validata, è il fatto che deve cedere il passo. Almeno momentaneamente. Finché nuove le misure non sono state controllate con cura e un possibile errore non è stato trovato.
Il Gruppo «Opera» ha raccolto dati e riverificato le sue misure per oltre due anni, in gran segreto. Senza trovare una qualche fonte di errore. Dopo tutto questo tempo la larga maggioranza del gruppo con Ereditato ha deciso che non si poteva più aspettare. E che occorreva rendere pubblico il dato anomalo.
È quello che hanno fatto lo scorso mese di settembre. Ereditato e «Opera» hanno puntualizzato che la loro era solo l’annuncio di una misura. E non una sua interpretazione. Che un errore era possibile. Che loro avrebbero continuato a cercarlo. E che altri, in maniera indipendente, lo avrebbero cercato. Solo alla fine del processo si sarebbe tentata un’interpretazione.
MISURE
Ma la notizia era troppo ghiotta perché i media non se ne impossessassero. E la notizia di un dato anomalo si è trasformata, malgrado la prudenza di Ereditato e del Gruppo «Opera», nella scoperta del «neutrino che va più veloce della luce». Va detto, tuttavia, che una parte del Gruppo «Opera» avrebbe preferito attendere ancora. Avrebbe preferito una verifica indipendente prima dell’annuncio. Ma va detto anche che entrambe le posizioni erano deontologicamente legittime.
Come sia andata è poi cosa nota. Lo stesso Gruppo «Opera» nelle settimane scorse ha annunciato di aver scoperto in un cavo mal funzionante la possibile causa dell’errore. Poco dopo un altro esperimento, condotto dal gruppo «Icarus» di Carlo Rubbia sul medesimo fascio di particelle, ha annunciato di aver misurato a sua volta la velocità dei neutrini in viaggio da Ginevra al gran sasso, trovando come atteso una velocità inferiore a quella della luce.
A questo punto l’ipotesi di un errore nella misura di «Opera» è diventata una certezza pressoché assoluta. Le ripercussioni interne al gruppo sono state molto forti. E si è arrivati alla conta. Ereditato ha ottenuto una riconferma di fiducia da parte della maggioranza, ma ha preferito lasciare.
Merita, appunto, due volte l’onore delle armi. Come fisico, perché si è comportato in maniera niente affatto censurabile in una situazione molto delicata, sempre in bilico tra la gloria e il ridicolo. Ereditato e la maggioranza del gruppo «Opera» hanno fatto prevalere il principio, decisivo nel modo di lavorare degli scienziati, della massima trasparenza sul principio, altrettanto importante, della prudenza e dello scetticismo sistematico. Ma non sono stati mai, in nessun caso, trionfalisti. Dunque hanno scelto una via pericolosa, ma dignitosa.
L’ONORE DELLE ARMI
Ma Antonio Ereditato merita l’onore delle armi anche per queste sua dimissioni. Aveva ancora dalla sua la maggioranza del gruppo. Sarebbe potuto restare, in attesa di ulteriori verifiche e della decantazione mediatica della vicenda. Ma nonostante questo ha preferito lasciare, anteponendo il bene di «Opera» al suo personale. Chapeau.

L’Unità 31.03.12

******

“La scienza deve essere libera”, di Umberto Guidoni

Voglio prendere spunto dal caso dei «neutrini più veloci della luce» per riflettere sul ruolo della scienza nella società moderna. La notizia delle dimissioni di Antonio Ereditato – responsabile dell’esperimento «Opera» che ha dato notizia di un risultato dimostratosi falso – riporta alla ribalta il tema dei condizionamenti della ricerca. Negli ultimi decenni, la scienza è apparsa sempre più condizionata dalla dimensione economica: una tendenza che porta a favorire la ricerca applicata rispetto a quella di base, lo sviluppo di nuove tecnologie piuttosto che la scoperta di nuove teorie scientifiche. Secondo uno studio dell’Onu: «la ricerca scientifica e tecnologica è sempre più mirata alla ricerca del profitto, piuttosto che alla soluzione dei problemi fondamentali per l’umanità… Soltanto il 10% della spesa per la ricerca è dedicata ad affrontare il 90% dei problemi più urgenti nel mondo». La comunità scientifica ha tentato di resistere ai tentativi di ingabbiarla. Gli scienziati hanno creato una comunità globalizzata, che ha reso possibile quella grande circolazione di idee che ha portato allo straordinario sviluppo di conoscenze del secolo scorso. Ma proprio grazie a questi successi, la tecnologia è entrata sempre più nei processi produttivi e la ricerca ha finito per essere percepita come un elemento di natura economica, a cui applicare le leggi del mercato. Dietro l’affanno a pubblicare i risultati ancor prima di una verifica tra la comunità scientifica c’è, forse, la pressione del «mercato», la necessità di ottenere risultati «visibile» per giustificare i costi della ricerca o per ottenere nuovi finanziamenti dagli sponsor. In questo modo si cercano i sentieri più facili, quelli che portano direttamente sulle pagine dei quotidiani e sui set televisivi, tralasciando cammini più impervi che richiedono anni di «oscuro» lavoro di elaborazione e di studio. Così si rischia di stravolgere la vera missione della ricerca scientifica: la creazione di nuovo sapere. Il rapporto fra ricerca, innovazione e sviluppo economico è certamente reale, ma va articolata su livelli di maggiore complessità. La scienza, infatti, è un lavoro collettivo di individui e gruppi, in un delicato equilibrio fra competizione e collaborazione. Alterare questa complessa alchimia, favorendo la competizione a danno della diffusione della conoscenza, fa inaridire la creatività e rischia di rallentare il progresso scientifico. Viceversa, quando il frutto della ricerca produce nuove idee diventa un palestra per preparare le persone a risolvere «problemi complessi» e contribuisce all’evoluzione complessiva della società. Ma per farlo, deve mantenere la sua libertà di azione, senza vincoli politici od economici, condizione che può essere garantita solo dall’intervento pubblico. E qui veniamo al caso specifico del nostro Paese: il taglio drastico ai fondi pubblici per la ricerca sta costringendo le Università e gli Epr a cercare risorse private con il rischio di mettere in discussione l’autonomia stessa della scienza!

L’Unità 31.03.12

“L’uomo dei neutrini più veloci della luce ha lasciato l’incarico”, di Pietro Greco

Antonio Ereditato si è dimesso. L’uomo dei «neutrini più veloci della luce» ha lasciato il suo incarico di coordinatore del Gruppo «Opera», l’esperimento internazionale che studia il comportamento delle elusive particelle generata al Cern di Ginevra e rivelate nei Laboratori che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare possiede sotto il Gran Sasso. Le dimissioni di Antonio Ereditato erano state chieste da alcuni componenti del Gruppo «Opera». La richiesta è stata messa in votazione. Ma è stata respinta. Sia pure con margini ristretti Ereditato vanta il consenso della maggioranza del Gruppo. Ma il fisico ha preferito lasciare. Non ha voluto commentare la sua decisione.
L’uomo ma anche il fisico merita l’onore delle armi. Per almeno due motivi. Ma prima di indicarli, conviene ricordare la sua vicenda.
Il Gruppo «Opera» studia da ormai molto tempo il comportamento dei neutrini, le più numerose ed elusive particelle conosciute. Negli anni scorsi, anche con la guida di Ereditato, il gruppo ha potuto confermare la previsione di Bruno Pontecorvo: i neutrini oscillano. Ognuno dei tre tipi viaggiando nello spazio può trasformarsi nell’altro. Il che significa che i neutrini hanno una massa. «Opera» si è così conquistata sul campo un’autorità scientifica assoluta nell’ambito della fisica di queste particelle leptoniche. Negli ultimi tre anni il Gruppo «Opera», senza volerlo in maniera specifica, ha misurato una velocità apparente dei neutrini, lungo il tragitto da Ginevra al Gran sasso, leggermente superiore a quella della luce. Un risultato anomalo, che contraddice una delle teorie fondamentali della fisica, la relatività di Einstein. I fisici per prudenza e i filosofi per approccio epistemologico sostengono che quando un fatto sperimentale è in contrasto con una teoria fondamentale, largamente validata, è il fatto che deve cedere il passo. Almeno momentaneamente. Finché nuove le misure non sono state controllate con cura e un possibile errore non è stato trovato.
Il Gruppo «Opera» ha raccolto dati e riverificato le sue misure per oltre due anni, in gran segreto. Senza trovare una qualche fonte di errore. Dopo tutto questo tempo la larga maggioranza del gruppo con Ereditato ha deciso che non si poteva più aspettare. E che occorreva rendere pubblico il dato anomalo.
È quello che hanno fatto lo scorso mese di settembre. Ereditato e «Opera» hanno puntualizzato che la loro era solo l’annuncio di una misura. E non una sua interpretazione. Che un errore era possibile. Che loro avrebbero continuato a cercarlo. E che altri, in maniera indipendente, lo avrebbero cercato. Solo alla fine del processo si sarebbe tentata un’interpretazione.
MISURE
Ma la notizia era troppo ghiotta perché i media non se ne impossessassero. E la notizia di un dato anomalo si è trasformata, malgrado la prudenza di Ereditato e del Gruppo «Opera», nella scoperta del «neutrino che va più veloce della luce». Va detto, tuttavia, che una parte del Gruppo «Opera» avrebbe preferito attendere ancora. Avrebbe preferito una verifica indipendente prima dell’annuncio. Ma va detto anche che entrambe le posizioni erano deontologicamente legittime.
Come sia andata è poi cosa nota. Lo stesso Gruppo «Opera» nelle settimane scorse ha annunciato di aver scoperto in un cavo mal funzionante la possibile causa dell’errore. Poco dopo un altro esperimento, condotto dal gruppo «Icarus» di Carlo Rubbia sul medesimo fascio di particelle, ha annunciato di aver misurato a sua volta la velocità dei neutrini in viaggio da Ginevra al gran sasso, trovando come atteso una velocità inferiore a quella della luce.
A questo punto l’ipotesi di un errore nella misura di «Opera» è diventata una certezza pressoché assoluta. Le ripercussioni interne al gruppo sono state molto forti. E si è arrivati alla conta. Ereditato ha ottenuto una riconferma di fiducia da parte della maggioranza, ma ha preferito lasciare.
Merita, appunto, due volte l’onore delle armi. Come fisico, perché si è comportato in maniera niente affatto censurabile in una situazione molto delicata, sempre in bilico tra la gloria e il ridicolo. Ereditato e la maggioranza del gruppo «Opera» hanno fatto prevalere il principio, decisivo nel modo di lavorare degli scienziati, della massima trasparenza sul principio, altrettanto importante, della prudenza e dello scetticismo sistematico. Ma non sono stati mai, in nessun caso, trionfalisti. Dunque hanno scelto una via pericolosa, ma dignitosa.
L’ONORE DELLE ARMI
Ma Antonio Ereditato merita l’onore delle armi anche per queste sua dimissioni. Aveva ancora dalla sua la maggioranza del gruppo. Sarebbe potuto restare, in attesa di ulteriori verifiche e della decantazione mediatica della vicenda. Ma nonostante questo ha preferito lasciare, anteponendo il bene di «Opera» al suo personale. Chapeau.

L’Unità 31.03.12

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“La scienza deve essere libera”, di Umberto Guidoni

Voglio prendere spunto dal caso dei «neutrini più veloci della luce» per riflettere sul ruolo della scienza nella società moderna. La notizia delle dimissioni di Antonio Ereditato – responsabile dell’esperimento «Opera» che ha dato notizia di un risultato dimostratosi falso – riporta alla ribalta il tema dei condizionamenti della ricerca. Negli ultimi decenni, la scienza è apparsa sempre più condizionata dalla dimensione economica: una tendenza che porta a favorire la ricerca applicata rispetto a quella di base, lo sviluppo di nuove tecnologie piuttosto che la scoperta di nuove teorie scientifiche. Secondo uno studio dell’Onu: «la ricerca scientifica e tecnologica è sempre più mirata alla ricerca del profitto, piuttosto che alla soluzione dei problemi fondamentali per l’umanità… Soltanto il 10% della spesa per la ricerca è dedicata ad affrontare il 90% dei problemi più urgenti nel mondo». La comunità scientifica ha tentato di resistere ai tentativi di ingabbiarla. Gli scienziati hanno creato una comunità globalizzata, che ha reso possibile quella grande circolazione di idee che ha portato allo straordinario sviluppo di conoscenze del secolo scorso. Ma proprio grazie a questi successi, la tecnologia è entrata sempre più nei processi produttivi e la ricerca ha finito per essere percepita come un elemento di natura economica, a cui applicare le leggi del mercato. Dietro l’affanno a pubblicare i risultati ancor prima di una verifica tra la comunità scientifica c’è, forse, la pressione del «mercato», la necessità di ottenere risultati «visibile» per giustificare i costi della ricerca o per ottenere nuovi finanziamenti dagli sponsor. In questo modo si cercano i sentieri più facili, quelli che portano direttamente sulle pagine dei quotidiani e sui set televisivi, tralasciando cammini più impervi che richiedono anni di «oscuro» lavoro di elaborazione e di studio. Così si rischia di stravolgere la vera missione della ricerca scientifica: la creazione di nuovo sapere. Il rapporto fra ricerca, innovazione e sviluppo economico è certamente reale, ma va articolata su livelli di maggiore complessità. La scienza, infatti, è un lavoro collettivo di individui e gruppi, in un delicato equilibrio fra competizione e collaborazione. Alterare questa complessa alchimia, favorendo la competizione a danno della diffusione della conoscenza, fa inaridire la creatività e rischia di rallentare il progresso scientifico. Viceversa, quando il frutto della ricerca produce nuove idee diventa un palestra per preparare le persone a risolvere «problemi complessi» e contribuisce all’evoluzione complessiva della società. Ma per farlo, deve mantenere la sua libertà di azione, senza vincoli politici od economici, condizione che può essere garantita solo dall’intervento pubblico. E qui veniamo al caso specifico del nostro Paese: il taglio drastico ai fondi pubblici per la ricerca sta costringendo le Università e gli Epr a cercare risorse private con il rischio di mettere in discussione l’autonomia stessa della scienza!

L’Unità 31.03.12

“L’uomo dei neutrini più veloci della luce ha lasciato l’incarico”, di Pietro Greco

Antonio Ereditato si è dimesso. L’uomo dei «neutrini più veloci della luce» ha lasciato il suo incarico di coordinatore del Gruppo «Opera», l’esperimento internazionale che studia il comportamento delle elusive particelle generata al Cern di Ginevra e rivelate nei Laboratori che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare possiede sotto il Gran Sasso. Le dimissioni di Antonio Ereditato erano state chieste da alcuni componenti del Gruppo «Opera». La richiesta è stata messa in votazione. Ma è stata respinta. Sia pure con margini ristretti Ereditato vanta il consenso della maggioranza del Gruppo. Ma il fisico ha preferito lasciare. Non ha voluto commentare la sua decisione.
L’uomo ma anche il fisico merita l’onore delle armi. Per almeno due motivi. Ma prima di indicarli, conviene ricordare la sua vicenda.
Il Gruppo «Opera» studia da ormai molto tempo il comportamento dei neutrini, le più numerose ed elusive particelle conosciute. Negli anni scorsi, anche con la guida di Ereditato, il gruppo ha potuto confermare la previsione di Bruno Pontecorvo: i neutrini oscillano. Ognuno dei tre tipi viaggiando nello spazio può trasformarsi nell’altro. Il che significa che i neutrini hanno una massa. «Opera» si è così conquistata sul campo un’autorità scientifica assoluta nell’ambito della fisica di queste particelle leptoniche. Negli ultimi tre anni il Gruppo «Opera», senza volerlo in maniera specifica, ha misurato una velocità apparente dei neutrini, lungo il tragitto da Ginevra al Gran sasso, leggermente superiore a quella della luce. Un risultato anomalo, che contraddice una delle teorie fondamentali della fisica, la relatività di Einstein. I fisici per prudenza e i filosofi per approccio epistemologico sostengono che quando un fatto sperimentale è in contrasto con una teoria fondamentale, largamente validata, è il fatto che deve cedere il passo. Almeno momentaneamente. Finché nuove le misure non sono state controllate con cura e un possibile errore non è stato trovato.
Il Gruppo «Opera» ha raccolto dati e riverificato le sue misure per oltre due anni, in gran segreto. Senza trovare una qualche fonte di errore. Dopo tutto questo tempo la larga maggioranza del gruppo con Ereditato ha deciso che non si poteva più aspettare. E che occorreva rendere pubblico il dato anomalo.
È quello che hanno fatto lo scorso mese di settembre. Ereditato e «Opera» hanno puntualizzato che la loro era solo l’annuncio di una misura. E non una sua interpretazione. Che un errore era possibile. Che loro avrebbero continuato a cercarlo. E che altri, in maniera indipendente, lo avrebbero cercato. Solo alla fine del processo si sarebbe tentata un’interpretazione.
MISURE
Ma la notizia era troppo ghiotta perché i media non se ne impossessassero. E la notizia di un dato anomalo si è trasformata, malgrado la prudenza di Ereditato e del Gruppo «Opera», nella scoperta del «neutrino che va più veloce della luce». Va detto, tuttavia, che una parte del Gruppo «Opera» avrebbe preferito attendere ancora. Avrebbe preferito una verifica indipendente prima dell’annuncio. Ma va detto anche che entrambe le posizioni erano deontologicamente legittime.
Come sia andata è poi cosa nota. Lo stesso Gruppo «Opera» nelle settimane scorse ha annunciato di aver scoperto in un cavo mal funzionante la possibile causa dell’errore. Poco dopo un altro esperimento, condotto dal gruppo «Icarus» di Carlo Rubbia sul medesimo fascio di particelle, ha annunciato di aver misurato a sua volta la velocità dei neutrini in viaggio da Ginevra al gran sasso, trovando come atteso una velocità inferiore a quella della luce.
A questo punto l’ipotesi di un errore nella misura di «Opera» è diventata una certezza pressoché assoluta. Le ripercussioni interne al gruppo sono state molto forti. E si è arrivati alla conta. Ereditato ha ottenuto una riconferma di fiducia da parte della maggioranza, ma ha preferito lasciare.
Merita, appunto, due volte l’onore delle armi. Come fisico, perché si è comportato in maniera niente affatto censurabile in una situazione molto delicata, sempre in bilico tra la gloria e il ridicolo. Ereditato e la maggioranza del gruppo «Opera» hanno fatto prevalere il principio, decisivo nel modo di lavorare degli scienziati, della massima trasparenza sul principio, altrettanto importante, della prudenza e dello scetticismo sistematico. Ma non sono stati mai, in nessun caso, trionfalisti. Dunque hanno scelto una via pericolosa, ma dignitosa.
L’ONORE DELLE ARMI
Ma Antonio Ereditato merita l’onore delle armi anche per queste sua dimissioni. Aveva ancora dalla sua la maggioranza del gruppo. Sarebbe potuto restare, in attesa di ulteriori verifiche e della decantazione mediatica della vicenda. Ma nonostante questo ha preferito lasciare, anteponendo il bene di «Opera» al suo personale. Chapeau.

L’Unità 31.03.12

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“La scienza deve essere libera”, di Umberto Guidoni

Voglio prendere spunto dal caso dei «neutrini più veloci della luce» per riflettere sul ruolo della scienza nella società moderna. La notizia delle dimissioni di Antonio Ereditato – responsabile dell’esperimento «Opera» che ha dato notizia di un risultato dimostratosi falso – riporta alla ribalta il tema dei condizionamenti della ricerca. Negli ultimi decenni, la scienza è apparsa sempre più condizionata dalla dimensione economica: una tendenza che porta a favorire la ricerca applicata rispetto a quella di base, lo sviluppo di nuove tecnologie piuttosto che la scoperta di nuove teorie scientifiche. Secondo uno studio dell’Onu: «la ricerca scientifica e tecnologica è sempre più mirata alla ricerca del profitto, piuttosto che alla soluzione dei problemi fondamentali per l’umanità… Soltanto il 10% della spesa per la ricerca è dedicata ad affrontare il 90% dei problemi più urgenti nel mondo». La comunità scientifica ha tentato di resistere ai tentativi di ingabbiarla. Gli scienziati hanno creato una comunità globalizzata, che ha reso possibile quella grande circolazione di idee che ha portato allo straordinario sviluppo di conoscenze del secolo scorso. Ma proprio grazie a questi successi, la tecnologia è entrata sempre più nei processi produttivi e la ricerca ha finito per essere percepita come un elemento di natura economica, a cui applicare le leggi del mercato. Dietro l’affanno a pubblicare i risultati ancor prima di una verifica tra la comunità scientifica c’è, forse, la pressione del «mercato», la necessità di ottenere risultati «visibile» per giustificare i costi della ricerca o per ottenere nuovi finanziamenti dagli sponsor. In questo modo si cercano i sentieri più facili, quelli che portano direttamente sulle pagine dei quotidiani e sui set televisivi, tralasciando cammini più impervi che richiedono anni di «oscuro» lavoro di elaborazione e di studio. Così si rischia di stravolgere la vera missione della ricerca scientifica: la creazione di nuovo sapere. Il rapporto fra ricerca, innovazione e sviluppo economico è certamente reale, ma va articolata su livelli di maggiore complessità. La scienza, infatti, è un lavoro collettivo di individui e gruppi, in un delicato equilibrio fra competizione e collaborazione. Alterare questa complessa alchimia, favorendo la competizione a danno della diffusione della conoscenza, fa inaridire la creatività e rischia di rallentare il progresso scientifico. Viceversa, quando il frutto della ricerca produce nuove idee diventa un palestra per preparare le persone a risolvere «problemi complessi» e contribuisce all’evoluzione complessiva della società. Ma per farlo, deve mantenere la sua libertà di azione, senza vincoli politici od economici, condizione che può essere garantita solo dall’intervento pubblico. E qui veniamo al caso specifico del nostro Paese: il taglio drastico ai fondi pubblici per la ricerca sta costringendo le Università e gli Epr a cercare risorse private con il rischio di mettere in discussione l’autonomia stessa della scienza!

L’Unità 31.03.12

"Un super-prefetto per salvare Pompei vigilerà contro le infiltrazioni della camorra", di Francesco Erbani

Bruxelles ha sbloccato 105 milioni per i restauri: una figura ad hoc controllerà come saranno spesi. Non solo archeologi. E neanche solo architetti. Per salvare Pompei arriverà anche un prefetto. Avrà il compito di vigilare che vengano ben spesi i tanti soldi che l´Europa ha destinato per il restauro e la salvaguardia del sito. E di assicurare che sui 105 milioni appena approvati dalla Commissione di Bruxelles non possa mettere le mani la camorra. Si conosce anche il suo nome: Fernando Guida, attualmente viceprefetto, responsabile dell´ufficio che al ministero dell´Interno si occupa dello scioglimento dei consigli comunali condizionati dalla criminalità.
L´annuncio verrà dato giovedì prossimo a Napoli in un incontro al quale parteciperanno tre ministri, Lorenzo Ornaghi, Fabrizio Barca e Anna Maria Cancellieri, oltre al prefetto del capoluogo campano, Andrea De Martino, e alla Soprintendente Teresa Cinquantaquattro. La quale, però, assicura di non sapere nulla della decisione. E cade letteralmente dalle nuvole. «Giovedì firmerò con il prefetto di Napoli un protocollo d´intesa sulla legalità», dice Cinquantaquattro, «ma di prefetti ad hoc per Pompei nessuno mi ha mai detto niente».
La voce di un prefetto che controllasse gare d´appalto, procedure di assegnazione dei fondi e sicurezza dei cantieri circolava da tempo. Si era parlato anche di un coordinamento fra alti funzionari. Ma la conferma che l´orientamento sia invece quello di designare un prefetto con competenze specifiche su Pompei arriva da fonti molto autorevoli del governo. Troppi appetiti potrebbero scatenarsi intorno a quei soldi e l´Europa non tollererebbe che su una questione del genere la camorra possa prevalere. Quando alcuni mesi fa ha visitato Pompei, il Commissario europeo Johannes Hahn è stato esplicito: eserciteremo un monitoraggio costante sul modo in cui verranno spesi i soldi.
La Soprintendenza di Napoli e Pompei è stata tenuta fuori dalla decisione. E non è questione di poco conto, visto che sarà comunque quell´ufficio a dirigere i restauri e a gestire gli appalti. L´esclusione della Soprintendenza pesa anche per l´esperienza del passato. Nel sito archeologico si sono infatti succeduti prima una serie di direttori amministrativi, definiti anche city manager, e poi alcuni commissari. Il primo commissario fu proprio un prefetto, Renato Profili, al quale è succeduto Marcello Fiori, che proveniva dalla Protezione civile e le cui iniziative hanno lasciato una scia di polemiche e di inchieste giudiziarie. Fra questi funzionari e la Soprintendenza i rapporti non sono mai stati semplici. L´allora soprintendente Piero Guzzo arrivò al punto di presentare le dimissioni per i contrasti insanabili con il direttore amministrativo Luigi Crimaco.
Ora la partita è delicatissima. E lo sblocco dei fondi, già annunciato nei mesi scorsi, non scioglie i nodi, che invece si aggrovigliano. Pompei vive in una condizione di perenne emergenza. Gran parte di via dell´Abbondanza, sulla quale si affacciano le domus colpite da crolli, è chiusa. E in questa zona persiste il pericolo che cedano i muri sui quali preme un terrapieno. Nel frattempo prosegue lo stillicidio di danni alle strutture e di distacchi di intonaco.
Nelle scorse settimane sono stati messi a punto cinque bandi di gara per altrettanti progetti di restauro. Ma il ministro Ornaghi, in visita agli scavi, ha detto che i primi cantieri si apriranno soltanto in autunno. A Pompei sono arrivati anche nuovi funzionari, sia archeologi che architetti. Ma il loro inserimento non è stato semplice, a causa del fatto che pochi di essi avevano approfondite conoscenze del sito.
Mentre Pompei rischia di perdere pezzi ogni giorno che passa, fioccano i progetti nelle aree fuori dello scavo. L´ultimo è patrocinato dal sindaco Claudio D´Angelo. È una specie di archeo-park, la ricostruzione fedele di alcuni edifici pompeiani, il foro, le terme, le domus. Una Pompei finta, una patacca estesa su oltre un chilometro quadrato nella zona a nord del sito, verso il Vesuvio, una zona che nel rapporto stilato tempo fa dall´Unesco veniva indicata come assolutamente inedificabile. D´Alessio è andato anche in America a raccogliere fondi (sembra ci vogliano 15 milioni). Così se Pompei crolla è pronto il suo clone.

La Repubblica 31.03.12

“Un super-prefetto per salvare Pompei vigilerà contro le infiltrazioni della camorra”, di Francesco Erbani

Bruxelles ha sbloccato 105 milioni per i restauri: una figura ad hoc controllerà come saranno spesi. Non solo archeologi. E neanche solo architetti. Per salvare Pompei arriverà anche un prefetto. Avrà il compito di vigilare che vengano ben spesi i tanti soldi che l´Europa ha destinato per il restauro e la salvaguardia del sito. E di assicurare che sui 105 milioni appena approvati dalla Commissione di Bruxelles non possa mettere le mani la camorra. Si conosce anche il suo nome: Fernando Guida, attualmente viceprefetto, responsabile dell´ufficio che al ministero dell´Interno si occupa dello scioglimento dei consigli comunali condizionati dalla criminalità.
L´annuncio verrà dato giovedì prossimo a Napoli in un incontro al quale parteciperanno tre ministri, Lorenzo Ornaghi, Fabrizio Barca e Anna Maria Cancellieri, oltre al prefetto del capoluogo campano, Andrea De Martino, e alla Soprintendente Teresa Cinquantaquattro. La quale, però, assicura di non sapere nulla della decisione. E cade letteralmente dalle nuvole. «Giovedì firmerò con il prefetto di Napoli un protocollo d´intesa sulla legalità», dice Cinquantaquattro, «ma di prefetti ad hoc per Pompei nessuno mi ha mai detto niente».
La voce di un prefetto che controllasse gare d´appalto, procedure di assegnazione dei fondi e sicurezza dei cantieri circolava da tempo. Si era parlato anche di un coordinamento fra alti funzionari. Ma la conferma che l´orientamento sia invece quello di designare un prefetto con competenze specifiche su Pompei arriva da fonti molto autorevoli del governo. Troppi appetiti potrebbero scatenarsi intorno a quei soldi e l´Europa non tollererebbe che su una questione del genere la camorra possa prevalere. Quando alcuni mesi fa ha visitato Pompei, il Commissario europeo Johannes Hahn è stato esplicito: eserciteremo un monitoraggio costante sul modo in cui verranno spesi i soldi.
La Soprintendenza di Napoli e Pompei è stata tenuta fuori dalla decisione. E non è questione di poco conto, visto che sarà comunque quell´ufficio a dirigere i restauri e a gestire gli appalti. L´esclusione della Soprintendenza pesa anche per l´esperienza del passato. Nel sito archeologico si sono infatti succeduti prima una serie di direttori amministrativi, definiti anche city manager, e poi alcuni commissari. Il primo commissario fu proprio un prefetto, Renato Profili, al quale è succeduto Marcello Fiori, che proveniva dalla Protezione civile e le cui iniziative hanno lasciato una scia di polemiche e di inchieste giudiziarie. Fra questi funzionari e la Soprintendenza i rapporti non sono mai stati semplici. L´allora soprintendente Piero Guzzo arrivò al punto di presentare le dimissioni per i contrasti insanabili con il direttore amministrativo Luigi Crimaco.
Ora la partita è delicatissima. E lo sblocco dei fondi, già annunciato nei mesi scorsi, non scioglie i nodi, che invece si aggrovigliano. Pompei vive in una condizione di perenne emergenza. Gran parte di via dell´Abbondanza, sulla quale si affacciano le domus colpite da crolli, è chiusa. E in questa zona persiste il pericolo che cedano i muri sui quali preme un terrapieno. Nel frattempo prosegue lo stillicidio di danni alle strutture e di distacchi di intonaco.
Nelle scorse settimane sono stati messi a punto cinque bandi di gara per altrettanti progetti di restauro. Ma il ministro Ornaghi, in visita agli scavi, ha detto che i primi cantieri si apriranno soltanto in autunno. A Pompei sono arrivati anche nuovi funzionari, sia archeologi che architetti. Ma il loro inserimento non è stato semplice, a causa del fatto che pochi di essi avevano approfondite conoscenze del sito.
Mentre Pompei rischia di perdere pezzi ogni giorno che passa, fioccano i progetti nelle aree fuori dello scavo. L´ultimo è patrocinato dal sindaco Claudio D´Angelo. È una specie di archeo-park, la ricostruzione fedele di alcuni edifici pompeiani, il foro, le terme, le domus. Una Pompei finta, una patacca estesa su oltre un chilometro quadrato nella zona a nord del sito, verso il Vesuvio, una zona che nel rapporto stilato tempo fa dall´Unesco veniva indicata come assolutamente inedificabile. D´Alessio è andato anche in America a raccogliere fondi (sembra ci vogliano 15 milioni). Così se Pompei crolla è pronto il suo clone.

La Repubblica 31.03.12