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Sì della Camera al reato di depistaggio, atto di giustizia per le vittime delle stragi – Manuela Ghizzoni 24.09.14
Oggi la Camera ha approvato la proposta di legge per l’introduzione del reato di depistaggio e inquinamento processuale. La norma prevede fino a quattro anni di reclusioneper chiunque distrugga o manometta prove al fine di impedire indagini o processi. con aggravanti se a depistare è un pubblico ufficiale e se il reato riguarda processi per stragi e terrorismo, mafia e associazioni segrete. Una battaglia vinta da Paolo Bolognesi, deputato e presidente del’Associazione familiari delle vittime della strage del 2 agosto, insieme alle altre associazioni di vittime e ai 30.000 cittadini che hanno firmato la petizione per portare la legge in Parlamento. Sono orgogliosa di essere stata fra i firmatari di questa proposta perché oggi, dopo ben quattro legislature di “niente di fatto”, abbiamo reso un atto di giustizia verso i familiari, verso la memoria delle vittime e verso la verità. Quella verità troppo spesso occultata dagli apparati dello Stato.
Ecco l’intervento di Paolo Bolognesi nell’Aula della Camera:
” Signor Presidente, come primo firmatario di questa proposta di legge, desidero intervenire per ricordare a quest’Aula che la sua approvazione rappresenta una svolta storica per questo Paese.
Ci sono volute ben quattro legislature perché questa legge fosse discussa. Il fatto di essere arrivati alla sua approvazione credo sia estremamente importante e rilevante. Con il nostro voto noi scegliamo di cambiare a favore di un sistema che taglia completamente con il passato, che guarda in faccia la propria storia e dice «basta» all’impunità fino ad oggi data a quelle zone grigie del potere, che per decenni hanno utilizzato il depistaggio per coprire le responsabilità di esecutori, mandanti ed ispiratori politici. Come dimostrano alcune sentenze e migliaia di atti processuali, da Piazza Fontana del 1969 alle stragi del 1993, i depistaggi, gli occultamenti, la distruzione di documenti e le complicità di alcuni apparati hanno impedito che si potesse giungere alla scoperta dei responsabili materiali e morali degli attentati, negando il diritto ai cittadini, alla società civile ed ai familiari di conoscere la completa verità su questi eccidi. Diritto di un Paese democratico deve essere, invece, difendere e garantire.
Come presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980 contro i depistaggi ed assieme alle altre associazioni di vittime, ho combattuto dal giorno della strage ed è stato uno dei miei primi obiettivi, come parlamentare, presentare e portare alla discussione dell’Aula questa proposta di legge, che, voglio ricordare, è stata sostenuta anche da circa 30 mila cittadini, che hanno firmato la petizione lanciata da change.org, perché fosse approvata dal Parlamento. Dopo anni di battaglie civili e dopo quattro legislature, in cui la proposta presentata è stata ignorata, oggi, con l’approvazione di questa legge, siamo convinti di avere dato al Paese finalmente la possibilità di garantire la verità a tutti i cittadini, liberato dal rischio di un possibile e nuovo silenzio, un nuovo depistaggio e nuove opacità di Stato.
Grazie, anche a nome dei familiari delle vittime del terrorismo, grazie ancora”
"La Gran Bretagna dice stop al nozionismo, sui banchi ora si «impara» la vita", di Nicola Barone – Scuola 24 23.09.14
L’annuncio davanti a esponenti dell’impresa e del non profit
Molte ricerche di ambito psicologico concordano sull’utilità di dare, già in età scolare, elementi di quelle conoscenze che nel mondo anglosassone vanno sotto il nome di «character-building». L’accento è soprattutto posto sulla resilienza, che nel mondo dei materiali indica la capacità di assorbire un urto senza rompersi. Traslato nel mondo degli uomini e delle donne in carne e ossa, ciò significa avere la fortuna di essere dotati per tempo degli strumenti per affrontare i colpi negativi della vita. In questo senso il Regno Unito ha fatto da battistrada nel mondo con sperimentazioni di successo soprattutto nelle scuole private. È anche per colmare il gap crescente con il settore pubblico che ieri il ministro ha annunciato la decisione partecipando a una tavola rotonda con figure chiave del mondo imprenditoriale e del non profit. Per l’avvio pronto uno stanziamento ah hoc pari a 5 milioni di sterline. «Il nostro piano è che i giovani escano dalla scuola preparati per la vita moderna in Gran Bretagna. Ciò significa non solo garantire che imparino le materie accademiche di base e le nozioni, ma anche che vengano sviluppati i valori e le abilità per avere successo nel mondo del lavoro, per andare avanti negli studi e nella vita. Ecco perché voglio che tutti gli alunni abbiano dimestichezza con il tipo di attività che accrescono il carattere e le capacità di recupero, fuori e dentro le aule», ha spiegato Nicky Morgan.
Tra i pionieri lo storico e biografo di Blair Anthony Seldon
Secondo le anticipazioni del Daily Mail le risorse saranno destinate principalmente alle scuole in zone svantaggiate e bisognerà prevedere inoltre azioni di «mentoring», pensate per aiutare i bambini nella transizione alla vita adulta. «Se è dalla pratica dello sport che arrivano il lavoro di squadra e la resilienza, se servono dedizione e perseveranza per imparare uno strumento o la fiducia e l’estroversione si possono trovare sul palco, con questi fondi ogni bambino avrà la possibilità di ricevere una formazione più ampia ed equilibrata», ha aggiunto il ministro. Per quanto non manchino esperienze del genere in giro per il mondo e alcune nel nostro stesso Paese, il Regno Unito è senza dubbio il cuore di questa rivoluzione. Esistono persino centri universitari specializzati nella formazione dei docenti. In parecchi casi l’introduzione di una vasta gamma di attività extra-scolastiche è stata determinante per il successo di alcune scuole in precedenza piazzate male nelle graduatorie nazionali. Tra i pionieri dell’approccio orientato alla crescita personale ai valori un posto di primo piano è occupato da Anthony Seldon. Storico, autore di numerose e apprezzate biografie di Tony Blair (una in corso d’opera riguarderà il premier David Cameron). A lui si deve ilFestival of education , un’iniziativa realizzata in collaborazione con il Sunday Times che richiama ogni anno nei dintorni di Londra una platea internazionale di esperti, docenti e policy-maker.
"Dalla ricerca di base al mercato: l'Erc finanzia 50 progetti, tre sono italiani", di Marzio Bartoloni – Scuola 24 23.09.14
Assegnati i primi fondi, la nuova “call” scade il 1° ottobre
I 50 scienziati che riceveranno i fondi – fino a 150mila euro – dal programma «Proof of concept» li potranno utilizzare per provare a dare un risvolto “pratico” alle loro ricerche: le risorse potranno infatti essere impiegate a esempio per difendere i diritti brevettuali di una scoperta oppure per mettere in piedi una start up o ancora per realizzare un prototipo o effettuare dei test clinici di una terapia. Complessivamente sono arrivate a Bruxelles 182 richieste di finanziamento, tra queste ne sono state scelte 50 (28% di successo). I fondi saranno assegnati a ricercatori che operano in 12 Paesi, tra questi c’è anche l’Italia. Il budget complessivo messo a disposizione dall’Erc per «Proof of concept» è di 15 milioni di euro: circa la metà è stato distribuito ieri con questo primo “round” di progetti finanziati. Il secondo round è invece ancora aperto e c’è tempo fino al prossimo 1° ottobre per partecipare. Per il prossimo anno il Consiglio europeo di ricerca conta di aumentare le risorse a disposizione per questa iniziativa portandole a 20 milioni.
Tre i progetti italiani selezionati tra i 50 vincitori
Dallo sviluppo di terapie per bambini con problemi cardiaci congeniti al monitoraggio in tempo reale della qualità dell’acqua fino a un tool per aiutare chi vuole acquistare una casa a scegliere nel modo migliore e più informato . Sono alcuni dei 50 progetti scientifici che riceveranno i fondi per passare dai laboratori al mercato. Nella lista dell’Erc ce ne sono anche tre che saranno sviluppati in Italia: uno presso il Consorzio interuniversitario per le telecomunicazioni, il secondo all’università di Padova e il terzo nell’ateneo di Udine. Qui in particolare un docente italiano, Giacinto Scoles, da 40 anni impegnato nella ricerca scientifica e negli ultimi anni nelle nanotecnologie proverà grazie ai fondi dell’Erc a realizzare un nuovo metodo investigativo per l’individuazione precoce dei fattori responsabili della disseminazione delle cellule tumorali. Scoles ha già ricevuto nel 2010 un finanziamento di 3 milioni dall’Erc per sviluppare la sua ricerca di base . Per il presidente del Consiglio europeo della ricerca, Jean-Pierre Bourguignon, questo programma rappresenta per chi ha già vinto un grant di avere «un supporto extra per investigare l’innovazione potenziale contenuta nelle loro buone idee».

"Giovani, competenti e occupati: ecco il ritratto della generazione Erasmus" di Eugenio Bruno – Scuola 24 23.09.14
I giovani che studiano o si formano all’estero non acquisiscono soltanto conoscenze specifiche, ma consolidano anche le competenze trasversali fondamentali. Due circostanze molto apprezzate dai datori di lavoro come dimostrano i tassi disoccupazione che risultano infatti dimezzati rispetto ai loro coetanei che restano all’interno dei confini nazionali. A confermarlo è un nuovo studio dell’Unione europea sull’impatto di Erasmus che ha visto quasi 80 000 partecipanti tra cui studenti e imprese ed è stato presentato ieri.
L’impatto sul mercato del lavoro
Lo studio sull’impatto dell’Erasmus mostra come i laureati con esperienza internazionale se la cavino meglio degli altri sul mercato del lavoro. Come dimostrano i tassi disoccupazione di lunga durata dimezzati rispetto a chi non ha studiato né si è formato all’estero. A cinque anni dalla laurea, inoltre, il loro tasso di disoccupazione è più basso del 23 per cento. Lo stesso paper evidenzia come il 92% delle aziende ricerchi nei candidati proprio i tratti della personalità che sono potenziati dal programma Erasmus: la tolleranza, la fiducia in se stessi, le abilità di problem solving, la curiosità, la consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, e la risolutezza. Una volta rientrati in patria gli studenti interessati dimostrano valori in questi campi più alti in media del 42 per cento.
L’importanza dei tirocini
La relazione dell’Ue rivela che a più di un tirocinante Erasmus su tre viene offerto un posto nell’azienda dove si è svolto il tirocinio. I tirocinanti in questione hanno anche più attitudini imprenditoriali rispetto a chi è rimasto a casa: uno su dieci avvia una propria azienda e più di tre su quattro prevedono, o non escludono, di farlo. Anche gli avanzamenti di carriera dovrebbero essere più veloci: il 64% dei datori di lavoro attribuisce maggiori responsabilità al personale con esperienza internazionale.
Un orizzonte più ampio
Erasmus non si limita a migliorare le prospettive professionali, ma allarga anche gli orizzonti degli studenti e la loro rete di relazioni. Il 40% cambia il paese di residenza o di lavoro almeno una volta dopo la laurea, quasi il doppio di quelli che non hanno fatto un’esperienza di mobilità durante gli studi. Il 93% degli studenti con esperienza internazionale può concepire di vivere all’estero nel futuro mentre per chi resta a studiare all’interno dei confini nazionali questa percentuale scende al 73 per cento. Ma il programma di scambio dell’Ue ha effetti anche sulle scelte familiari: il 33% degli ex studenti Erasmus ha un partner di un’altra nazionalità, a fronte del 13% di chi non ha fatto quest’esperienza; nel 27% dei casi la scintilla è scoccata proprio durante l’Erasmus. In base a questi dati, la Commissione stima che dal 1987 in poi siano nati circa un milione di bambini figli di coppie Erasmus.
Gli obiettivi dell’Unione europea
Da quest’anno al 2020 il nuovo programma Erasmus+ darà l’opportunità di andare all’estero a 4 milioni di persone, tra cui 2 milioni di studenti e 300.000 docenti dell’istruzione superiore. Al tempo stesso si punta a sovvenzionare 135.000 scambi di studenti e personale con paesi partner non europei. Nel commentare i risultati dello studio pubblicato ieri, la Commissaria per l’Istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, Androulla Vassiliou, ha sottolineato: «In un contesto europeo segnato da livelli inaccettabili di disoccupazione giovanile i risultati dello studio di impatto su Erasmus sono estremamente significativi. Il messaggio è chiaro: chi studia o si forma all’estero migliora le proprie prospettive lavorative».
Perché la cultura non sia un luogo comune – Manuela Ghizzoni 22.09.14
Nei dibattiti sulla “cultura”, c’è sempre il rischio di trovarsi inevitabilmente ad alimentare due opinioni, che scivolano ormai in luoghi comuni.
La prima riguarda la cultura come patrimonio che ha valore in sé in quanto somma di saperi, testimone di identità e strumento di conoscenza. Queste connaturate virtù la rendono esclusivo oggetto di finanziamento pubblico e non contaminabile dalle regole del mercato.
La seconda, più mondana, è ormai sintetizzabile in una affermazione attribuita ad un famoso ministro dell’Economia: “Con la cultura non si mangia”; si tratta, pertanto, di intrattenimento, mediamente inutile, soprattutto nei periodi di crisi.
I dati sono incontrovertibili: secondo l’Osservatorio sulle Strategie Europee per la Crescita e l’Occupazione, “in Germania le 237mila PMI culturali e creative hanno fatto crescere il Pil, al tempo della crisi, di quasi il 3% e l’occupazione di quasi il 2%. Al livello comunitario, il fatturato di settore e, in particolare, dei prodotti culturali legati all’ICT… ha superato i 600 miliardi di euro che, con margini superiori al 2,5 %, sono arrivati a contribuire più di quanto non abbiano fatto il settore immobiliare, alimentare, tessile o chimico”. Per l’Unesco, invece, “In dieci anni il commercio mondiale dei beni e dei servizi culturali è raddoppiato, superando i 620 miliardi di dollari”.
Del resto, a fronte delle innegabili intrinseche virtù della cultura, lo Stato e le altre istituzioni pubbliche del nostro Paese non investono quanto dovrebbero, e non penso alle sole risorse finanziarie, per le quali siamo – come al solito – fanalino di coda nelle classifiche internazionali. Penso all’assenza di un investimento progettuale, soprattutto all’assenza di un sistema che consenta ai tanti, tantissimi soggetti presenti in un territorio (istituzioni di cultura, operatori culturali, artisti, imprese profit e non, organizzazioni sociali e istituti finanziari) di fare massa critica, di uscire dall’autoreferenzialità, di cooperare nell’offerta e nella produzione culturale. Di essere, insieme, presidi di socialità e civiltà.
La cultura – prodotto umano per antonomasia – si ciba di idee, di talento, di curiosità e di tolleranza. E’ legata all’atto rivoluzionario e individuale della creatività. Ma affinché essa diventi motore di innovazione, di integrazione e persino di giustizia sociale deve intervenire la politica, la buona politica. L’estro personale, la custodia di un bene culturale, la preservazione di un paesaggio o il tramandare una memoria non possono restare atti isolati, pena il fallimento del senso ultimo della cultura, cioè il progresso: qui entra in gioco la capacità di chi ha responsabilità di governo per rendere possibile, vivo e fecondo il connubio tra intrattenimento e formazione, conservazione e reddito, identità e inclusione, economia e civiltà. Una “missione impossibile”? Facciamo in modo, tutti insieme, che non lo sia.