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«Edili molto flessibili Ma con la crisi è inutile», di Laura Matteucci

L’edilizia è la dimostrazione vivente che l’erosione dei diritti non porta ad alcuno sviluppo. Semmai è il contrario. È il settore più flessibile che c’è, eppure sta attraversando la crisi peggiore del dopoguerra». Di fatto l’art. 18 per voi non esiste. «Figuriamoci. La dimensione media d’impresa è di nemmeno due addetti, e in più è previsto il licenziamento per fine cantiere. Eppure da anni non si vede uno straccio di investimento. Dal 2008 ad oggi sono andati persi 300mila posti di lavoro, le imprese hanno chiuso a migliaia, il valore degli appalti pubblici si è ridotto del 40%, e di un quarto nel mercato privato. In tutto questo, è esplosa l’irregolarità, e riesploso il caporalato: stimiamo oltre 400mila lavoratori in nero. Con il governo Berlusconi le regole sono state considerate un impaccio allo sviluppo: i risultati sono questi, e nonostante il cambio di governo non se ne vede l’uscita ». Parla il segretario della Fillea- Cgil, Walter Schiavella: l’edilizia, in ginocchio nella sua intera filiera, scende in piazza a Roma sabato 3 marzo, con una manifestazione unitaria di Fillea, Feneal-Uil e Filca-Cisl e una piattaforma articolata che va dal rilancio del settore – attraverso politiche di innovazione nella direzione della green economy e ad un piano straordinario per il Mezzogiorno – alle pensioni, dai lavori usuranti agli ammortizzatori sociali, per arrivare a legalità e regolarità, trasparenza, sostenibilità ambientale e risparmio energetico. Ricordate i fischi e le urla «vergogna» all’allora ministro alle Infrastrutture, Matteoli, all’assemblea dei costruttori, dopo anni di annunci e promesse senza conseguenze? Era settembre scorso, da allora la crisi si è fatta più pesante, le sofferenze del settore più gravi, e col nuovo governo ancora non c’è stato alcun contatto.
Il ministro Passera ha appena annunciato la disponibilità di20miliardi di opere, da aggiungere ai 20 già sbloccati dal Cipe e ad altri 20 destinati ad autostrade e aeroporti. «Le uniche risorse sbloccate sono quelle del Cipe, che per quanto ci riguarda ammontano a 5 miliardi circa, uno sblocco di cui peraltro ad oggi non si conosce la tempistica. Per il resto stiamo solo parlando di buone intenzioni. E dal governo tutto tace suunaltro punto per noi vitale: l’alleggerimento del Patto di stabilità interno, che potrebbe permettere accordi con gli Enti locali per unpiano di ristrutturazione del territorio di cui anche le ultime drammatiche vicende credo abbiano reso evidente la necessità».
Altro tema delicato, la previdenza. «I lavoratori edili sono particolarmente colpiti dalla riforma delle pensioni, anche perché è molto difficile per loro avere un’effettiva continuità contributiva. In più, il lavoro sulle impalcature non rientra in alcun modo nelle categorie di lavori usuranti. Qualcuno al governo pensa che i lavori siano tutti uguali, quando evidentemente non è affatto così. Nell’edilizia i lavoratori hanno bisogno di maggiori tutele, da inizio a fine carriera: perchè i più fortunati passano da un lavoro temporaneo alla cig, che non è di 52 settimane ma di 13, e la maggior parte al non lavoro tout-court». Infiltrazioni mafiose, illegalità e irregolarità diffuse: una piaga che non si sana mai,eppure di proposte ne circolano molte. Ultima, quella lanciata su l’Unità da Antonello Montante, vice presidente di Confindustria, di un rating antimafia alle aziende del sud. «Il problema principale è quello degli appalti al massimo ribasso che, insieme alla questione mai risolta della montagna di debiti della pubblica amministrazione, stanno distruggendo le imprese sane, regolari. Impossibile per loro vincere un solo appalto. Negli ultimi anni le regole sono state considerate un impaccio, quando invece sono una garanzia, per l’imprenditore come per il lavoratore. Un approccio alla crisi sbagliato come quello che c’è stato finora ha generato un’esplosione delle irregolarità. Il che significa impermeabilità alle infiltrazioni mafiose e criminose, e una spaventosa evasione fiscale e contributiva, che stimiamo arrivi a 20-25 miliardi. Il fatto è che o le norme di contrasto non esistono proprio, oppure non vengono applicate o adeguatamente supportate: chiediamo più controlli, soprattutto verifiche della qualità delle imprese, l’obbligo di adozione del Durc (il documento di regolarità contributiva) per congruità anche per i lavori privati. E una lotta più incisiva contro il caporalato».❖

L’Unità 07.02.12

"Dal 2013 basta governissimi sceglieremo un nuovo premier e nascerà una coalizione diversa", intervista a Pier Luigi Bersani di Goffredo De Marchis

Sulla vicenda in sé il Pd non sa nulla e non c´entra nulla. Il Pd nasce senza patrimoni e senza debiti altrui. Con bilanci certificati. Ci interessa una legge che pacifichi il Paese e venga riconosciuta da molti non da pochi. Due soggetti non possono lasciare fuori gli altri. Il Pd non è disponibile. Staccare la spina? Semmai attaccarla meglio. Non vorrei che lasciando passare uno strappo dopo l´altro ci trovassimo in una situazione complicata, da cortocircuito. Gravi le ultime nomine Rai. Ed è pienamente legittimo un intervento del governo per cambiare la governance di un´azienda di proprietà totalmente pubblica. Pier Luigi Bersani non vuole staccare la spina al governo Monti. «Semmai attaccarla meglio. Non vorrei che lasciando passare uno strappo dopo l´altro ci trovassimo in una situazione complicata e ci fosse un cortocircuito». Lo preoccupa la nascita di un «nuovo sport. Quello per cui dietro la copertura di un formale sostegno all´esecutivo ci sia la convergenza tra chi insulta Monti come la Lega o Scilipoti e il Pdl. Questa è una presa in giro».
E se le prese in giro continuano?
«Ribadiamo a tutti gli interlocutori la nostra scelta di appoggiare un governo che abbiamo voluto in nome dell´Italia prima di tutto. Anzi, anticipo il nostro nuovo slogan: Italia bene comune. Non pretendiamo che assuma il 100 per cento delle nostre proposte. Ma il punto è non aprire un fossato tra l´esecutivo e l´opinione pubblica. Se passa l´idea che si può allungare l´età pensionabile di un infermiere di 4 anni ma non si possono toccare notai, banche e titolari di farmacie si crea un problema serio. Lo dico per dare forza al governo non per indebolirlo. Stia attento alle trappole».
Rai, responsabilità civile dei giudici e liberalizzazioni. Sono questi i temi?
«La vicenda della Rai è grave non solo per le ultime nomine ma anche per certe frasi che sento pronunciare ad autorevoli esponenti del Pdl. Del tipo “un intervento del governo sull´azienda sarebbe illegittimo”. Ma scherziamo? È surreale. Una società interamente pubblica può e deve essere sottoposta a un intervento legittimo del governo. Per cambiare la governance di un´azienda oggi ingestibile».
Giustizia.
«Si parte con una posizione formale del governo e una del Pdl che dice di essere d´accordo. Poi vedo applausi a scena aperta per un emendamento della Lega su un tema delicatissimo come quello della responsabilità civile. A quel voto va posto rimedio. E aggiungo: siccome abbiamo le orecchie lunghe sento che attorno al decreto liberalizzazioni si muovono meccanismi della vecchia maggioranza Pdl-Lega per indebolirlo. Invece noi vogliamo rafforzarlo perché l´effetto sulla vita dei cittadini risulti visibile».
Troppe carezze di Monti al Pdl visto che sono la maggioranza uscente?
«Non credo. Se fosse così è chiaro che sarebbe un errore. Il Pdl ha molte più responsabilità delle nostre per come si è arrivati all´emergenza conclamata in cui ci troviamo. Loro, a maggior ragione, non possono ottenere il 100 per cento».
I ministri e il premier non riescono a sottrarsi dalle battute sull´articolo 18. L´ultima è del ministro Cancellieri. Le dà fastidio?
«Qualcosa si potrebbe rimproverare ai membri del governo ma so bene che alle domande si risponde. Il punto è un altro: come mai la nostra discussione pubblica è inchiodata da anni su questo punto e non si sposta il riflettore su come creare lavoro?».
Lo ha detto a Monti?
«Conosco il pensiero del presidente del Consiglio e so che per lui la questione è molto più complessa della frase sulla monotonia. Ma è vero che alcune dichiarazioni sembrano protrarre il dibattito ideologico degli ultimi anni, cioè del governo Berlusconi. E questo è un male. Guai se nei prossimi mesi ci fosse una spaccatura sulle regole che sono solo una parte del problema».
Ma all´articolo 18 ci arriverete.
«I partiti non possono permettersi di accendere fuochi. Noi stiamo zitti e non interferiamo su questo tema. C´è un tavolo del governo con le parti sociali. Accetteremo qualunque accordo nato in quella sede. Abbiamo le nostre proposte innovative che non toccano l´articolo 18. Ma non escludiamo perfezionamenti nella sua gestione a cominciare dai percorsi giurisdizionali. Ma vorremmo rivoltare l´agenda partendo dalla domanda: come si crea un po´ di lavoro?».
Siete tentati da un patto Pdl-Pd sulla legge elettorale?
«La premessa è che bisogna parlare con tutti. Le forze che sono in Parlamento e quelle fuori. Ci interessa una legge che pacifichi il Paese e venga riconosciuta da molti non da pochi. Non mi interessa invece un uso strumentale della riforma dove due soggetti lasciano fuori gli altri. Il Pd non è disponibile».
E così si possono fare legge elettorale e riforme costituzionali?
«La priorità è cancellare il Porcellum, toglierlo di mezzo. Anche qui il Pd ha la sua proposta ma è assolutamente flessibile a discutere fatti salvi alcuni paletti. Sento che Bossi dice “non si tocca nulla”. In questo modo torniamo al nuovo sport di cui parlavo prima. Se scattano istinti di vecchia maggioranza ci teniamo il Porcellum. Ma questo è un punto dirimente».
Che può mettere in discussione il governo?
«Un punto che porterebbe a un confronto politico molto acceso».
Il caso Lusi riapre la questione morale nel Pd?
«Sulla vicenda in sé il Pd non sa nulla e non c´entra nulla».
Ma Lusi è un senatore del Pd.
«Il Pd nasce senza patrimoni e senza debiti altrui. Con bilanci certificati. Di una persona iscritta al partito coinvolta in casi giudiziari si occupa la commissione di garanzia».
Troppi soldi ai partiti dal finanziamento pubblico?
«Andiamo a vedere come viene finanziata la politica negli altri Paesi europei e adeguiamoci ai migliori parametri».
Scopriremo che gira più denaro o meno?
«A occhio direi la stessa quantità. Con delle voci singole da modificare come si è fatto per i parlamentari colpendo vitalizi e rimborsi delle spese. È necessario che i bilanci siano certificati dalla Corte dei conti. Annullare i meccanismi che consentono di sopravvivere anche ai partiti estinti ed evitare che nascano gruppi parlamentari che non si sono presentati alle elezioni. Ma dai tempi di Pericle si riconosce il fatto che l´attività politica va sostenuta se si intende avere una democrazia».
Il caso Lusi viene affiancato al cosiddetto sistema Penati, al finanziamento occulto dei Ds.
«Penso solo al Pd. Le calunnie non le leggo nemmeno. Passo tutto agli avvocati per le querele».
Quando farete le primarie per il candidato premier?
«Intanto faccio notare che senza polemiche e sotto la neve stiamo organizzando le primarie per le amministrative dappertutto. Faremo anche quelle nazionali. Il percorso è il solito: il patto di coalizione e qualche mese prima dell´appuntamento elettorale, né troppo presto né troppo tardi, le primarie».
E se le riforme del governo Monti avessero bisogno di una grande coalizione per andare avanti?
«Non si può andare in campagna elettorale proponendo governissimi. Anzi. Lo stesso percorso di certe leggi che stiamo approvando adesso, ci dice che una vera opera di riforme e di ricostruzione devi farla chiedendo un impegno al corpo elettorale».

La Repubblica 07.02.12

“Dal 2013 basta governissimi sceglieremo un nuovo premier e nascerà una coalizione diversa”, intervista a Pier Luigi Bersani di Goffredo De Marchis

Sulla vicenda in sé il Pd non sa nulla e non c´entra nulla. Il Pd nasce senza patrimoni e senza debiti altrui. Con bilanci certificati. Ci interessa una legge che pacifichi il Paese e venga riconosciuta da molti non da pochi. Due soggetti non possono lasciare fuori gli altri. Il Pd non è disponibile. Staccare la spina? Semmai attaccarla meglio. Non vorrei che lasciando passare uno strappo dopo l´altro ci trovassimo in una situazione complicata, da cortocircuito. Gravi le ultime nomine Rai. Ed è pienamente legittimo un intervento del governo per cambiare la governance di un´azienda di proprietà totalmente pubblica. Pier Luigi Bersani non vuole staccare la spina al governo Monti. «Semmai attaccarla meglio. Non vorrei che lasciando passare uno strappo dopo l´altro ci trovassimo in una situazione complicata e ci fosse un cortocircuito». Lo preoccupa la nascita di un «nuovo sport. Quello per cui dietro la copertura di un formale sostegno all´esecutivo ci sia la convergenza tra chi insulta Monti come la Lega o Scilipoti e il Pdl. Questa è una presa in giro».
E se le prese in giro continuano?
«Ribadiamo a tutti gli interlocutori la nostra scelta di appoggiare un governo che abbiamo voluto in nome dell´Italia prima di tutto. Anzi, anticipo il nostro nuovo slogan: Italia bene comune. Non pretendiamo che assuma il 100 per cento delle nostre proposte. Ma il punto è non aprire un fossato tra l´esecutivo e l´opinione pubblica. Se passa l´idea che si può allungare l´età pensionabile di un infermiere di 4 anni ma non si possono toccare notai, banche e titolari di farmacie si crea un problema serio. Lo dico per dare forza al governo non per indebolirlo. Stia attento alle trappole».
Rai, responsabilità civile dei giudici e liberalizzazioni. Sono questi i temi?
«La vicenda della Rai è grave non solo per le ultime nomine ma anche per certe frasi che sento pronunciare ad autorevoli esponenti del Pdl. Del tipo “un intervento del governo sull´azienda sarebbe illegittimo”. Ma scherziamo? È surreale. Una società interamente pubblica può e deve essere sottoposta a un intervento legittimo del governo. Per cambiare la governance di un´azienda oggi ingestibile».
Giustizia.
«Si parte con una posizione formale del governo e una del Pdl che dice di essere d´accordo. Poi vedo applausi a scena aperta per un emendamento della Lega su un tema delicatissimo come quello della responsabilità civile. A quel voto va posto rimedio. E aggiungo: siccome abbiamo le orecchie lunghe sento che attorno al decreto liberalizzazioni si muovono meccanismi della vecchia maggioranza Pdl-Lega per indebolirlo. Invece noi vogliamo rafforzarlo perché l´effetto sulla vita dei cittadini risulti visibile».
Troppe carezze di Monti al Pdl visto che sono la maggioranza uscente?
«Non credo. Se fosse così è chiaro che sarebbe un errore. Il Pdl ha molte più responsabilità delle nostre per come si è arrivati all´emergenza conclamata in cui ci troviamo. Loro, a maggior ragione, non possono ottenere il 100 per cento».
I ministri e il premier non riescono a sottrarsi dalle battute sull´articolo 18. L´ultima è del ministro Cancellieri. Le dà fastidio?
«Qualcosa si potrebbe rimproverare ai membri del governo ma so bene che alle domande si risponde. Il punto è un altro: come mai la nostra discussione pubblica è inchiodata da anni su questo punto e non si sposta il riflettore su come creare lavoro?».
Lo ha detto a Monti?
«Conosco il pensiero del presidente del Consiglio e so che per lui la questione è molto più complessa della frase sulla monotonia. Ma è vero che alcune dichiarazioni sembrano protrarre il dibattito ideologico degli ultimi anni, cioè del governo Berlusconi. E questo è un male. Guai se nei prossimi mesi ci fosse una spaccatura sulle regole che sono solo una parte del problema».
Ma all´articolo 18 ci arriverete.
«I partiti non possono permettersi di accendere fuochi. Noi stiamo zitti e non interferiamo su questo tema. C´è un tavolo del governo con le parti sociali. Accetteremo qualunque accordo nato in quella sede. Abbiamo le nostre proposte innovative che non toccano l´articolo 18. Ma non escludiamo perfezionamenti nella sua gestione a cominciare dai percorsi giurisdizionali. Ma vorremmo rivoltare l´agenda partendo dalla domanda: come si crea un po´ di lavoro?».
Siete tentati da un patto Pdl-Pd sulla legge elettorale?
«La premessa è che bisogna parlare con tutti. Le forze che sono in Parlamento e quelle fuori. Ci interessa una legge che pacifichi il Paese e venga riconosciuta da molti non da pochi. Non mi interessa invece un uso strumentale della riforma dove due soggetti lasciano fuori gli altri. Il Pd non è disponibile».
E così si possono fare legge elettorale e riforme costituzionali?
«La priorità è cancellare il Porcellum, toglierlo di mezzo. Anche qui il Pd ha la sua proposta ma è assolutamente flessibile a discutere fatti salvi alcuni paletti. Sento che Bossi dice “non si tocca nulla”. In questo modo torniamo al nuovo sport di cui parlavo prima. Se scattano istinti di vecchia maggioranza ci teniamo il Porcellum. Ma questo è un punto dirimente».
Che può mettere in discussione il governo?
«Un punto che porterebbe a un confronto politico molto acceso».
Il caso Lusi riapre la questione morale nel Pd?
«Sulla vicenda in sé il Pd non sa nulla e non c´entra nulla».
Ma Lusi è un senatore del Pd.
«Il Pd nasce senza patrimoni e senza debiti altrui. Con bilanci certificati. Di una persona iscritta al partito coinvolta in casi giudiziari si occupa la commissione di garanzia».
Troppi soldi ai partiti dal finanziamento pubblico?
«Andiamo a vedere come viene finanziata la politica negli altri Paesi europei e adeguiamoci ai migliori parametri».
Scopriremo che gira più denaro o meno?
«A occhio direi la stessa quantità. Con delle voci singole da modificare come si è fatto per i parlamentari colpendo vitalizi e rimborsi delle spese. È necessario che i bilanci siano certificati dalla Corte dei conti. Annullare i meccanismi che consentono di sopravvivere anche ai partiti estinti ed evitare che nascano gruppi parlamentari che non si sono presentati alle elezioni. Ma dai tempi di Pericle si riconosce il fatto che l´attività politica va sostenuta se si intende avere una democrazia».
Il caso Lusi viene affiancato al cosiddetto sistema Penati, al finanziamento occulto dei Ds.
«Penso solo al Pd. Le calunnie non le leggo nemmeno. Passo tutto agli avvocati per le querele».
Quando farete le primarie per il candidato premier?
«Intanto faccio notare che senza polemiche e sotto la neve stiamo organizzando le primarie per le amministrative dappertutto. Faremo anche quelle nazionali. Il percorso è il solito: il patto di coalizione e qualche mese prima dell´appuntamento elettorale, né troppo presto né troppo tardi, le primarie».
E se le riforme del governo Monti avessero bisogno di una grande coalizione per andare avanti?
«Non si può andare in campagna elettorale proponendo governissimi. Anzi. Lo stesso percorso di certe leggi che stiamo approvando adesso, ci dice che una vera opera di riforme e di ricostruzione devi farla chiedendo un impegno al corpo elettorale».

La Repubblica 07.02.12

"Partiti, una buona legge non è rinviabile", di Pino Pisicchio

La brutta storia del boy scout che prende sottobraccio la fiduciosa nonnina (Margherita) per poi spingerla sotto l’auto in corsa e rubarle la borsetta con tredici milioni di euro, rischia di soffocare con l’eclatanza della sua drammatizzazione – e l’avvelenato stupore delle parti lese, oggetto dei retropensieri più torvi da parte della pubblica opinione – gli aspetti per così dire “di struttura” della vicenda. Oltre il giudizio morale, ovviamente di condanna, per il latrocinio che, peraltro, arriva proprio nel momento di più bassa reputazione della politica e dei suoi attori, a nulla valendo i recenti sforzi di autodecurtazione delle indennità parlamentari, cancellati in un amen, nell’immaginario sociale, dall’amministratore della Margherita, resta il tema del “cosa fare”. Con l’aggiunta temporale: “subito”.
E torna sotto i riflettori l’antico mantra della regolazione giuridica del partito politico, recitato, addirittura, fin dai tempi della Costituente. Alleluia! Sono tre legislature che torniamo a ripresentare proposte di legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, per porre paletti seri e meno volatili delle scarne foglie di fico che l’attuale normativa sui rimborsi elettorali mette davanti alle pudende della forma-partito, rammentando che l’attuale imprendibile liquidità dei partiti personali impedisce l’utilizzo pleno iure, per questa “strana” forma di associazione politica, del termine democrazia.
E puntualmente il dibattito si avvia nelle commissioni parlamentari e poi, inesplicabilmente, svapora, si perde sotto le onerose carte delle urgenze legislative. Come se stessimo parlando di un fastidioso rovello che investe qualche maniaco della regolamentazione ad ogni costo. Oggi, dunque, il dibattito riparte e spero anche le decisioni legislative. Perché bisogna capirsi: sono forse vent’anni che continuiamo a parlare di partiti politici – e continuiamo ad attribuire ai partiti le fondamentali decisioni della vita pubblica – avendo di fronte, però, qualcosa di molto diverso dai partiti di massa del secolo scorso, attraversati da una dialettica democratica interna assai intensa, partecipati da una militanza che arrivava negli anni ottanta a registrare quattro milioni e mezzo di iscritti, a fronte di un corpo elettorale di 37 milioni di cittadini, dotati di una classe parlamentare che veniva selezionata col voto dal basso. Quelli che chiamiamo ancora partiti oggi sono una cosa tutta diversa, circuiti chiusi costruiti attorno alla figura del leader, cerchi magici, spesso garantiti da strutture statutarie addomesticate, che nessuno può permettersi di spezzare, appannaggi personali, dal lato della politica e da quello dei patrimoni, dei capi, club di cooptati al servizio del fondatore. Sospinti, dunque, non dalla militanza, solo da una forza mediatica.
E, naturalmente, quei partiti continuano a svolgere le funzioni fondamentali che l’ordinamento costituzionale e la prassi han loro consegnato, dalla formazione delle liste per lo svolgimento delle elezioni politiche, necessarie per rinnovare la rappresentanza, alle nomine negli enti pubblici e a molto altro ancora. Occorre, dunque, mettere mano ad una buona legge sui partiti politici. Ma anche ad una buona riforma della legge elettorale, ricordando che ogni regime elettorale che tende ad escludere gli elettori dalla scelta della rappresentanza, oltre che essere “intrinsecamente” anticostituzionale, agevola la tendenza alla gestione “occulta” degli affari di partito, poiché consegna tutte le decisioni nelle mani di pochi. Che talvolta, come si è visto, possono essere raggirati anche da un boy scout. Infedele.

da EuropaQuotidiano 07.02.12

“Partiti, una buona legge non è rinviabile”, di Pino Pisicchio

La brutta storia del boy scout che prende sottobraccio la fiduciosa nonnina (Margherita) per poi spingerla sotto l’auto in corsa e rubarle la borsetta con tredici milioni di euro, rischia di soffocare con l’eclatanza della sua drammatizzazione – e l’avvelenato stupore delle parti lese, oggetto dei retropensieri più torvi da parte della pubblica opinione – gli aspetti per così dire “di struttura” della vicenda. Oltre il giudizio morale, ovviamente di condanna, per il latrocinio che, peraltro, arriva proprio nel momento di più bassa reputazione della politica e dei suoi attori, a nulla valendo i recenti sforzi di autodecurtazione delle indennità parlamentari, cancellati in un amen, nell’immaginario sociale, dall’amministratore della Margherita, resta il tema del “cosa fare”. Con l’aggiunta temporale: “subito”.
E torna sotto i riflettori l’antico mantra della regolazione giuridica del partito politico, recitato, addirittura, fin dai tempi della Costituente. Alleluia! Sono tre legislature che torniamo a ripresentare proposte di legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, per porre paletti seri e meno volatili delle scarne foglie di fico che l’attuale normativa sui rimborsi elettorali mette davanti alle pudende della forma-partito, rammentando che l’attuale imprendibile liquidità dei partiti personali impedisce l’utilizzo pleno iure, per questa “strana” forma di associazione politica, del termine democrazia.
E puntualmente il dibattito si avvia nelle commissioni parlamentari e poi, inesplicabilmente, svapora, si perde sotto le onerose carte delle urgenze legislative. Come se stessimo parlando di un fastidioso rovello che investe qualche maniaco della regolamentazione ad ogni costo. Oggi, dunque, il dibattito riparte e spero anche le decisioni legislative. Perché bisogna capirsi: sono forse vent’anni che continuiamo a parlare di partiti politici – e continuiamo ad attribuire ai partiti le fondamentali decisioni della vita pubblica – avendo di fronte, però, qualcosa di molto diverso dai partiti di massa del secolo scorso, attraversati da una dialettica democratica interna assai intensa, partecipati da una militanza che arrivava negli anni ottanta a registrare quattro milioni e mezzo di iscritti, a fronte di un corpo elettorale di 37 milioni di cittadini, dotati di una classe parlamentare che veniva selezionata col voto dal basso. Quelli che chiamiamo ancora partiti oggi sono una cosa tutta diversa, circuiti chiusi costruiti attorno alla figura del leader, cerchi magici, spesso garantiti da strutture statutarie addomesticate, che nessuno può permettersi di spezzare, appannaggi personali, dal lato della politica e da quello dei patrimoni, dei capi, club di cooptati al servizio del fondatore. Sospinti, dunque, non dalla militanza, solo da una forza mediatica.
E, naturalmente, quei partiti continuano a svolgere le funzioni fondamentali che l’ordinamento costituzionale e la prassi han loro consegnato, dalla formazione delle liste per lo svolgimento delle elezioni politiche, necessarie per rinnovare la rappresentanza, alle nomine negli enti pubblici e a molto altro ancora. Occorre, dunque, mettere mano ad una buona legge sui partiti politici. Ma anche ad una buona riforma della legge elettorale, ricordando che ogni regime elettorale che tende ad escludere gli elettori dalla scelta della rappresentanza, oltre che essere “intrinsecamente” anticostituzionale, agevola la tendenza alla gestione “occulta” degli affari di partito, poiché consegna tutte le decisioni nelle mani di pochi. Che talvolta, come si è visto, possono essere raggirati anche da un boy scout. Infedele.

da EuropaQuotidiano 07.02.12

"Decreto semplificazioni: il Tesoro impone la riformulazione dell'articolato sull'autonomi. Per il prossimo anno non possono essere previsti nuovi oneri", di Alessandra Ricciardi

Erano stati in molti a contarci. A sperare che attraverso la riforma dell’organico funzionale si potessero trasformare a tempo indeterminato molti più posti di quelli che saranno lasciati liberi con i pensionamenti già il prossimo anno. A farlo credere le prime versioni del decreto legge di semplificazione e sviluppo. Che venerdì scorso è ritornato per l’approvazione finale al consiglio dei ministri, modificato rispetto al primo via libera, tra l’altro, nella parte riguardante la scuola e l’università. Tra le norme riscritte, c’è infatti l’articolo 50 del decreto, intitolato inizialmente all’ «Autonomia responsabile» e ora all’ «Attuazione dell’autonomia». Un cambio di titolo a cui corrisponde anche un cambio sostanziale di quei contenuti che lasciavano intravedere la stabilizzazione di 70 mila unità. Non è così. Il testo finale del decreto legge, che è atteso tra oggi e domani in Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione, attenua la portata delle disposizioni sull’organico funzionale. E soprattutto ridà peso al decreto legge 112/2008, la prima manovra correttiva del governo Berlusconi IV, con cui l’allora ministro dell’economia, Giulio Tremonti, avviò la riforma della scuola di Mariastella Gelmini, con un taglio di 110 mila posti e 8 miliardi di risparmio. Un «organico dell’autonomia, funzionale all’ordinaria attività didattica, educativa e amministrativa, tecnica e ausiliaria, alle esigenze di sviluppo elle eccellenze, di recupero di integrazione e sostegno ai diversamente abili e di programmazione dei fabbisogni di personale scolastico» e anche «la definizione di un organico di rete», da costituirsi attraverso intesa con la conferenza unificata stato-regioni, potranno essere realizzati «nei limiti previsti dall’articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008/112». É il tetto agli organici sui quali fare assunzioni anche a tempo indeterminato, il tetto fissato da Tremonti, al netto dei tagli fatti, e che per il prossimo anno corrisponde a quello che si è riscontrato nell’organico di diritto nell’anno scolastico 2011/2012. Il personale della scuola dovrà infatti garantire come prevede il decreto 112, che a decorrere dal 2012 ci siano risparmi per 3.188 milioni di euro annui. Sparito poi dall’articolo finale il riferimento ai 10 mila posti in più proprio per l’organico funzionale da istituire a seguito di trattativa con i sindacati. Se il rigore della clausola sarà rispettato, il ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, avrà ben pochi i margini di manovra per una ampia stabilizzazione con contratti a tempo indeterminato del personale sui posti effettivamente necessari, potendo invece solo agire per una stabilizzazione a tempo, ovvero triennale, al servizio della scuola, e comunque «fatte salve le esigenze che ne determinino la rimodulazione annuale». Il sottosegretario all’istruzione, Elena Ugolini, spiega nel suo intervento in pagina che, «in un momento di grandi ristrettezze», il governo farà del suo meglio per garantire stabilità al personale e continuità alla didattica. Un impegno importante, che dovrà confrontarsi con il controllo sempre attento del Tesoro. E che per essere declinato attende che l’articolo 50 del decreto semplificazione sia attuato. Si tratta delle linee guida, da adottarsi con decreto interministeriale (Istruzione, Economia, sentita la conferenza delle regioni) entro i 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, recita il dl. Il decreto ministeriale potrebbe dunque essere emanato verso la metà di giugno, fuori tempo massimo perché produca effetti dal prossimo anno scolastico. Le stesse linee guida dovranno infine avviare «un progetto sperimentale da attuare nel rispetto della vigente legislazione contabile, anche attraverso l’eventuale ridefinizione degli aspetti connessi ai trasferimenti delle risorse». I trasferimenti diretti di tutti fondi alle scuole, di cui parlava la prima versione del decreto, con tanto di elenco delle voci di bilancio, sono anch’essi spariti.

da ItaliaOggi 07.02.12

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“Garantiremo maggiore stabilità al personale e continuità didattica”, di Elena Ugolini

Il sottosegretario all’istruzione, Ugolini, SPIEGA IL
Con l’attenzione tutta rivolta all’emergenza neve, ai treni cancellati e alle code, il decreto di semplificazione e sviluppo approvato la scorsa settimana in consiglio dei ministri è passato quasi inosservato per quegli articoli che riguardano la scuola. Sono articoli che intervengono su quattro temi centrali per lo sviluppo della scuola e del Paese: autonomia degli istituti, valutazione, istruzione tecnica- professionale, edilizia scolastica.

C’è chi ha subito osservato che la norma sull’autonomia delle scuole è stata depotenziata rispetto alla prima stesura. Sarebbe importante però chiedersi perché dopo dieci anni dalla promulgazione della legge sull’autonomia scolastica sia ancora necessario fare una legge che parla della necessità «di consolidare e sviluppare l’autonomia delle istituzioni scolastiche, potenziandone l’autonomia gestionale secondo criteri di flessibilità e valorizzando la responsabilità e la professionalità del personale della scuola (art 50)». Eppure è così. Non parlo solo di una diversa assegnazione e gestione dell’organico (di scuola e di rete), della possibilità di garantire la stabilità dei docenti per assicurare la continuità didattica, ma anche della modalità con cui le risorse economiche verranno destinate alle scuole. Sono cose che avremmo potuto fare da anni e che ora, in un momento di grandi ristrettezze economiche, si cercherà di fare con le linee guida che saranno promulgate da qui a 60 giorni. Nessuno ha la bacchetta magica, ma ritengo sia il momento giusto per chiedersi in che modo si possono aiutare insegnanti e dirigenti a svolgere al meglio un compito cruciale per tutto il Paese. Giovedì scorso ho avuto la possibilità di partecipare, in sostituzione del ministro Francesco Profumo, all’incontro guidato dal ministro del lavoro, Elsa Fornero, con le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro e lo sviluppo economico. Al di là di quello che emerge dai media, ho avuto l’impressione che tutti condividessero gli obiettivi di fondo e fossero impegnati a trovare strumenti concreti per raggiungerli, con un grande spirito di collaborazione. Il ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca era a quel tavolo perché i temi dell’istruzione e della formazione sono cruciali per la crescita. Senza valorizzare il capitale umano del nostro paese è impossibile uscire dalla crisi. Il tema dell’educazione è centrale a tutte le età e può costituire il motore vero della ripresa, sia per chi si affaccia alla vita sia per chi si trova in grande difficoltà perché ha perso il lavoro . Le norme presenti nel decreto semplificazione e sviluppo ( art. 52 ) che riguardano la filiera dell’istruzione tecnica e professionale sino al livello post secondario hanno questo scopo. L’obiettivo è di potenziare un’infrastruttura fondamentale per lo sviluppo del nostro Paese, facilitando l’integrazione delle risorse pubbliche e private, sostenendo la collaborazione tra sistemi formativi di istruzione, formazione e lavoro. Sono tanti i punti dell’ agenda: portare a compimento la riforma degli istituti tecnici e professionali, attuare la legge sull’apprendistato, rafforzare l’istruzione tecnica superiore, favorire la nascita dei poli tecnico-professionali. Un’altra norma presente all’interno del decreto riguarda l’ulteriore infrastruttura fondamentale del nostro Paese: il sistema nazionale di valutazione. Valutare significa conoscere, capire i propri punti di forza e di debolezza, e trovare la strada per migliorare. Perché questo accada occorre un punto esterno di paragone che aiuti a rendersi conto della propria situazione. Quando gli esiti della prima indagine internazionale PISA realizzata dall’Ocse nel 2000 dimostrarono la grande varianza di risultati tra studenti che frequentavano diverse tipologie di scuole superiori italiane e l’esistenza di un divario profondo tra Nord e Sud, non si diede il giusto peso alla notizia. Ci sono voluti anni per cominciare a costruire un sistema di rilevazione nazionale degli apprendimenti in grado di coinvolgere tutte le scuole italiane dimosrando che le differenze cominciano già nel primo ciclo di istruzione e che c’è molto da fare. L’articolo 51 del decreto semplificazione e sviluppo consegna all’Invalsi il compito di ridisegnare il modello della valutazione della dirigenza scolastica e, «nelle more del definizione di un sistema organico e integrato di valutazione delle istituzioni scolastiche, delle università, della ricerca e dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica», affida all’Invalsi il coordinamento funzionale del sistema nazionale di valutazione. Lo scopo è portare a compimento e mettere a sistema un percorso iniziato da più di dieci anni.

da ItaliaOggi 07.02.12

“Decreto semplificazioni: il Tesoro impone la riformulazione dell’articolato sull’autonomi. Per il prossimo anno non possono essere previsti nuovi oneri”, di Alessandra Ricciardi

Erano stati in molti a contarci. A sperare che attraverso la riforma dell’organico funzionale si potessero trasformare a tempo indeterminato molti più posti di quelli che saranno lasciati liberi con i pensionamenti già il prossimo anno. A farlo credere le prime versioni del decreto legge di semplificazione e sviluppo. Che venerdì scorso è ritornato per l’approvazione finale al consiglio dei ministri, modificato rispetto al primo via libera, tra l’altro, nella parte riguardante la scuola e l’università. Tra le norme riscritte, c’è infatti l’articolo 50 del decreto, intitolato inizialmente all’ «Autonomia responsabile» e ora all’ «Attuazione dell’autonomia». Un cambio di titolo a cui corrisponde anche un cambio sostanziale di quei contenuti che lasciavano intravedere la stabilizzazione di 70 mila unità. Non è così. Il testo finale del decreto legge, che è atteso tra oggi e domani in Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione, attenua la portata delle disposizioni sull’organico funzionale. E soprattutto ridà peso al decreto legge 112/2008, la prima manovra correttiva del governo Berlusconi IV, con cui l’allora ministro dell’economia, Giulio Tremonti, avviò la riforma della scuola di Mariastella Gelmini, con un taglio di 110 mila posti e 8 miliardi di risparmio. Un «organico dell’autonomia, funzionale all’ordinaria attività didattica, educativa e amministrativa, tecnica e ausiliaria, alle esigenze di sviluppo elle eccellenze, di recupero di integrazione e sostegno ai diversamente abili e di programmazione dei fabbisogni di personale scolastico» e anche «la definizione di un organico di rete», da costituirsi attraverso intesa con la conferenza unificata stato-regioni, potranno essere realizzati «nei limiti previsti dall’articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008/112». É il tetto agli organici sui quali fare assunzioni anche a tempo indeterminato, il tetto fissato da Tremonti, al netto dei tagli fatti, e che per il prossimo anno corrisponde a quello che si è riscontrato nell’organico di diritto nell’anno scolastico 2011/2012. Il personale della scuola dovrà infatti garantire come prevede il decreto 112, che a decorrere dal 2012 ci siano risparmi per 3.188 milioni di euro annui. Sparito poi dall’articolo finale il riferimento ai 10 mila posti in più proprio per l’organico funzionale da istituire a seguito di trattativa con i sindacati. Se il rigore della clausola sarà rispettato, il ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, avrà ben pochi i margini di manovra per una ampia stabilizzazione con contratti a tempo indeterminato del personale sui posti effettivamente necessari, potendo invece solo agire per una stabilizzazione a tempo, ovvero triennale, al servizio della scuola, e comunque «fatte salve le esigenze che ne determinino la rimodulazione annuale». Il sottosegretario all’istruzione, Elena Ugolini, spiega nel suo intervento in pagina che, «in un momento di grandi ristrettezze», il governo farà del suo meglio per garantire stabilità al personale e continuità alla didattica. Un impegno importante, che dovrà confrontarsi con il controllo sempre attento del Tesoro. E che per essere declinato attende che l’articolo 50 del decreto semplificazione sia attuato. Si tratta delle linee guida, da adottarsi con decreto interministeriale (Istruzione, Economia, sentita la conferenza delle regioni) entro i 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, recita il dl. Il decreto ministeriale potrebbe dunque essere emanato verso la metà di giugno, fuori tempo massimo perché produca effetti dal prossimo anno scolastico. Le stesse linee guida dovranno infine avviare «un progetto sperimentale da attuare nel rispetto della vigente legislazione contabile, anche attraverso l’eventuale ridefinizione degli aspetti connessi ai trasferimenti delle risorse». I trasferimenti diretti di tutti fondi alle scuole, di cui parlava la prima versione del decreto, con tanto di elenco delle voci di bilancio, sono anch’essi spariti.

da ItaliaOggi 07.02.12

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“Garantiremo maggiore stabilità al personale e continuità didattica”, di Elena Ugolini

Il sottosegretario all’istruzione, Ugolini, SPIEGA IL
Con l’attenzione tutta rivolta all’emergenza neve, ai treni cancellati e alle code, il decreto di semplificazione e sviluppo approvato la scorsa settimana in consiglio dei ministri è passato quasi inosservato per quegli articoli che riguardano la scuola. Sono articoli che intervengono su quattro temi centrali per lo sviluppo della scuola e del Paese: autonomia degli istituti, valutazione, istruzione tecnica- professionale, edilizia scolastica.

C’è chi ha subito osservato che la norma sull’autonomia delle scuole è stata depotenziata rispetto alla prima stesura. Sarebbe importante però chiedersi perché dopo dieci anni dalla promulgazione della legge sull’autonomia scolastica sia ancora necessario fare una legge che parla della necessità «di consolidare e sviluppare l’autonomia delle istituzioni scolastiche, potenziandone l’autonomia gestionale secondo criteri di flessibilità e valorizzando la responsabilità e la professionalità del personale della scuola (art 50)». Eppure è così. Non parlo solo di una diversa assegnazione e gestione dell’organico (di scuola e di rete), della possibilità di garantire la stabilità dei docenti per assicurare la continuità didattica, ma anche della modalità con cui le risorse economiche verranno destinate alle scuole. Sono cose che avremmo potuto fare da anni e che ora, in un momento di grandi ristrettezze economiche, si cercherà di fare con le linee guida che saranno promulgate da qui a 60 giorni. Nessuno ha la bacchetta magica, ma ritengo sia il momento giusto per chiedersi in che modo si possono aiutare insegnanti e dirigenti a svolgere al meglio un compito cruciale per tutto il Paese. Giovedì scorso ho avuto la possibilità di partecipare, in sostituzione del ministro Francesco Profumo, all’incontro guidato dal ministro del lavoro, Elsa Fornero, con le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro e lo sviluppo economico. Al di là di quello che emerge dai media, ho avuto l’impressione che tutti condividessero gli obiettivi di fondo e fossero impegnati a trovare strumenti concreti per raggiungerli, con un grande spirito di collaborazione. Il ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca era a quel tavolo perché i temi dell’istruzione e della formazione sono cruciali per la crescita. Senza valorizzare il capitale umano del nostro paese è impossibile uscire dalla crisi. Il tema dell’educazione è centrale a tutte le età e può costituire il motore vero della ripresa, sia per chi si affaccia alla vita sia per chi si trova in grande difficoltà perché ha perso il lavoro . Le norme presenti nel decreto semplificazione e sviluppo ( art. 52 ) che riguardano la filiera dell’istruzione tecnica e professionale sino al livello post secondario hanno questo scopo. L’obiettivo è di potenziare un’infrastruttura fondamentale per lo sviluppo del nostro Paese, facilitando l’integrazione delle risorse pubbliche e private, sostenendo la collaborazione tra sistemi formativi di istruzione, formazione e lavoro. Sono tanti i punti dell’ agenda: portare a compimento la riforma degli istituti tecnici e professionali, attuare la legge sull’apprendistato, rafforzare l’istruzione tecnica superiore, favorire la nascita dei poli tecnico-professionali. Un’altra norma presente all’interno del decreto riguarda l’ulteriore infrastruttura fondamentale del nostro Paese: il sistema nazionale di valutazione. Valutare significa conoscere, capire i propri punti di forza e di debolezza, e trovare la strada per migliorare. Perché questo accada occorre un punto esterno di paragone che aiuti a rendersi conto della propria situazione. Quando gli esiti della prima indagine internazionale PISA realizzata dall’Ocse nel 2000 dimostrarono la grande varianza di risultati tra studenti che frequentavano diverse tipologie di scuole superiori italiane e l’esistenza di un divario profondo tra Nord e Sud, non si diede il giusto peso alla notizia. Ci sono voluti anni per cominciare a costruire un sistema di rilevazione nazionale degli apprendimenti in grado di coinvolgere tutte le scuole italiane dimosrando che le differenze cominciano già nel primo ciclo di istruzione e che c’è molto da fare. L’articolo 51 del decreto semplificazione e sviluppo consegna all’Invalsi il compito di ridisegnare il modello della valutazione della dirigenza scolastica e, «nelle more del definizione di un sistema organico e integrato di valutazione delle istituzioni scolastiche, delle università, della ricerca e dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica», affida all’Invalsi il coordinamento funzionale del sistema nazionale di valutazione. Lo scopo è portare a compimento e mettere a sistema un percorso iniziato da più di dieci anni.

da ItaliaOggi 07.02.12