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Lavoro, il Pd incalza il premier «Vanno ascoltate le parti sociali», di Simone Collini

Preoccupazione nel Pd per le esternazioni di Monti sull’articolo 18. Fassina: «Molto sbilanciato verso il Pdl, serve maggiore equilibrio». Tensione anche su liberalizzazioni, Rai e giustizia. Sulla riforma del mercato del lavoro Monti si è sbilanciato troppo verso le posizioni del Pdl, ora ritrovi il necessario equilibrio e ascolti le parti sociali altrimenti tutto si complica. È questo il ragionamento che si fa ai vertici del Pd dopo le ultime uscite del presidente del Consiglio sull’articolo 18 e anche del ministro del Lavoro Elsa Fornero sulla «flessibilità buona».
TONI BASSI MA LA PREOCCUPAZIONE C’È
Pier Luigi Bersani ha suggerito ai suoi di tenere bassi i toni: «È il momento del silenzio, ora lasciamo lavorare governo e parti sociali». Ma la preoccupazione per esternazioni che rischiano di far partire con il piede sbagliato il confronto c’è. E nel Pd qualcuno già dice che senza un accordo con i sindacati verranno presentati in Parlamento precisi emendamenti, altrimenti non ci potrà essere un voto favorevole. Per questo lo stesso leader dei Democratici ha preventivamente consegnato a Monti alla cena dell’altra sera a Palazzo Chigi con anche Alfano e Casini ma non solo un paio di messaggi piuttosto chiari. Il primo: «Si ascoltino le parti sociali perché cambiamento e coesione devono andare insieme, altrimenti il Paese non si salva». Il secondo: «Il problema è come dare lavoro e non come licenziare, ci sono le nostre proposte e dimostrano che si può innovare senza toccare l’articolo 18» (il riferimento è al documento approvato all’ultima riunione del Forum lavoro del Pd, che prevede un contratto prevalente d’ingresso che può durare da sei mesi a tre anni dopo il quale scatterebbe il tempo indeterminato con tutte le tutele oggi esistenti, compreso l’articolo 18).
MONTI SBILANCIATO
Ovviamente nel Pd nessuno pensa sia ipotizzabile far cadere il governo (sulla riforma del lavoro o su altro), e poi nel partito c’è una buona fetta di dirigenti e parlamentari (da Pietro Ichino a Walter Veltroni al vicesegretario Enrico Letta) che vede di buon occhio il modello di “flexicurity” a cui più di una volta ha fatto riferimento Monti. E nessuno aspira a provocare lacerazioni interne. Ma le ultime esternazioni del presidente del Consiglio preoccupano.
«Monti sta esprimendo posizioni molto sbilanciate verso il Pdl e questo è un problema perché noi abbiamo idee diametralmente opposte a quelle della destra», dice Stefano Fassina. Il responsabile Economia e lavoro del Pd auspica «maggiore equilibrio» nelle parole, anche se è vero che è soprattutto nei fatti che ci si aspetta una correzione di rotta. È per questo che Bersani evita di commentare pubblicamente le esternazioni governative e insiste nel dire che quel che conta è quanto succederà al tavolo tra esecutivo e parti sociali, con l’auspicio che il governo ascolti i sindacati. «Altrimenti esplicita Fassina se arriva in Parlamento un documento non condiviso sarà molto molto complicato».
GLI ALTRI FRONTI APERTI
Ma non è solo sul fronte del mercato del lavoro che il Pd teme cedimenti verso il Pdl, che per Bersani si sta muovendo in modo «non leale». Anche sulle liberalizzazioni pesa il tentativo di frenata in atto nel centrodestra rispetto al testo uscito dal Consiglio dei ministri di due settimane fa. E non sono affatto piaciute ai Democratici le nomine Rai decise dai consiglieri Pdl-Lega: «Il governo è azionista della Rai e ha il diritto e il dovere di liberarla dai partiti e di garantirne il funzionamento», dice il responsabile Cultura del Pd Matteo Orfini rispondendo a Maurizio Gasparri.
Per non parlare di quanto avvenuto alla Camera sulla norma che riguarda la responsabilità civile dei giudici, su cui il governo aveva espresso parere contrario e che invece è stata approvata con i voti di Pdl e Lega. Dice Anna Finocchiaro in vista della votazione al Senato: «Chiediamo a chi sostiene questo governo un comportamento politico responsabile. Il tempo della propaganda è finito. Non è solo sulle spalle di qualcuno la sostenibilità di un quadro politico che deve aiutare il nostro Paese ad uscire da una difficoltà enorme».

l’Unità 05.02.12

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“Senza accordo i democratici devono votare no”, di Sergio D’Antoni

È un’occasione imperdibile quella offerta dalla riconquistata unità del fronte sociale. Una opportunità che il governo Monti deve saper cogliere fino in fondo, dando il via a un confronto concertativo che abbia l’ambizione di riformare i pilastri del nostro welfare e di portare a compimento il lavoro iniziato con il decreto salva Italia. Significa cooperare per ridefinire dalle fondamenta il sistema di ammortizzatori sociali, garantendo tutela a tutte le tipologie contrattuali. Significa onorare il lavoro iniziato a dicembre con la riforma del sistema pensionistico e porre le basi di un grande patto generazionale a favore delle giovani leve.
Con coraggio e responsabilità il Partito democratico ha approvato quel provvedimento, che è il più coerente che si trovi in Europa. Il governo deve ora fare il passo decisivo, portando a compimento un tavolo di reale cooperazione su obiettivi strategici comuni. In poco tempo si può fare molto. Basta puntare i riflettori sui problemi giusti. Mantenere lo sguardo sui reali obiettivi strategici ed evitare di perdere tempo con sterili referendum sull’articolo 18 e sul posto fisso. Un falso problema vecchio di venti anni. Nel mare in tempesta in cui si trova l’Italia l’ultima cosa che dobbiamo fare è ascoltare il canto delle sirene neoliberiste. Sirene che, c’è da dirlo, abitano anche nel nostro partito.
La sfida, oggi, non è quella di rivedere le regole che tutelano i lavoratori. Non si tratta di tagliare, ma anzi di allargare i diritti del lavoro, trovando il modo di coniugare questo allargamento al necessario aumento della produttività e della competitività.
Un’utopia? Niente affatto. Non in Germania, almeno, dove si sono registrati nel 2011 livelli di occupazione record dalla riunificazione del 1990. Guardare a Berlino significa ispirarsi ai due principali cardini del suo sviluppo: integrazione e democrazia economica, che rispondono rispettivamente all’esigenza della crescita e della competitività.
Sul versante dell’integrazione socio-economica è sufficiente rievocare un dato: la locomotiva d’Europa ha investito (bene) nelle zone deboli dell’Est l’equivalente odierno di oltre 1500 miliardi di euro. Circa 75 miliardi l’anno, poco meno del 5 per cento del suo Pil annuo. L’Italia ha invece speso (male) nel Mezzogiorno 360 miliardi in 60 anni. Meno dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo.
Quello di cui il Paese ha bisogno è un grande patto per la crescita e la coesione nazionale. Un accordo che ponga come obiettivo strategico della politica di sviluppo nazionale una più equa distribuzione delle risorse tra aree geografiche e ceti sociali.
Bisogna avere il coraggio di ridisegnare i pilastri di un welfare e di un capitalismo più solidali, stabili e responsabili. mettere sul tavolo alcuni dei più importanti capitoli che compongono il nostro attuale modello di sviluppo.
In tema di relazioni industriali va assolutamente colta l’opportunità di introdurre la questione della partecipazione dei lavoratori alle decisioni strategiche d’impresa.
Significa aprire un cantiere sulla democrazia economica e su un modello industriale che preveda strumenti di reale cogestione da parte del mondo del lavoro. Dobbiamo muoverci verso un paradigma italo-tedesco che coniughi la nostra tradizione concertativa e la grande forza del nostro corpo sociale a un modello istituzionale stabile, capace di affrancare il rapporto tra capitale e lavoro dalla mera logica dei rapporti di forza.
È questo il momento di agire insieme, in un contesto di responsabile cooperazione e di totale rispetto della autonomia delle parti sociali. Per questo, in materia di riforma delle regole e del mercato del lavoro, è necessario che la politica e le istituzioni riconoscano la massima sovranità decisionale delle rappresentanze, rimettendosi al frutto della trattativa secondo il faro dell’accordo interconfederale del 28 giugno.
Ecco perché il Partito democratico deve impegnarsi in questa fase a votare solo una riforma pienamente condivisa dalle parti sociali. In caso contrario, a mio giudizio, non bisogna esitare, e votare contro.

L’Unità 05.02.12

"Né lavoro, né pensione, in 70mila appesi a governo e Parlamento", di Bianca Di Giovanni

Poche ore per salvare migliaia di persone dal vuoto assoluto: né lavoro, né pensione. Scade martedì il termine per presentare gli emendamenti al Milleproroghe in Senato, dove la norma «salva-esodati» inserita dal Pd alla Camera è stata ridimensionata dallo stop sulle coperture imposto dal ministro Elsa Fornero. Oggi il testo – peraltro molto ambiguo nella formulazione – concede un anticipo della pensione in caso di «effettiva risoluzione del rapporto di lavoro». Inoltre si includono gli accordi di esodo siglati entro il 31 dicembre 2011, ma non è affatto chiaro se questa disposizione è da attribuire a tutti gli accordi. Insomma, il combinato disposto della risoluzione dei rapporti e dell’opacità sulla platea mette a rischio migliaia di famiglie. Difficile fornire il numero preciso: sarebbero almeno 70mila i lavoratori che stanno godendo di ammortizzatori (mobilità in uscita o cassa integrazione).Ma molti altri, soprattutto nelle microaziende, restano esclusi da qualsiasi censimento. «Dai primi elenchi parziali si comprende la drammaticità della situazione – dichiara Vera Lamonica segretaria confederale Cgil – Il sindacato sosterrà la discussione degli emendamenti in Senato per salvare migliaia di famiglie ». LE CIFRE Tra le aziende metalmeccaniche spicca Fincantieri, con 1.240 lavoratori a rischio. Maè allarme rosso anche a Termini Imerese (640 unità), Alenia (747), Agile/Eutelia (386 esuberi), Selex Elsag (230), Whirpool (495). Non va meglio nel settore edile, uno dei comparti più colpiti dalla crisi economica. Si tratta di un settore dove la maggior parte delle aziende sono medio- piccole, ma tra le grandi la Rdb conta 137 lavoratori in uscita e senza garanzie per il futuro, e l’Unical una cinquantina. Ma i numeri più pesanti sono nei colossi dei servizi, già passati per diverse ristrutturazioni aziendali. In Poste italiane 2.000 dipendenti rischiano di restare nel «limbo», cioè senza alcun reddito. Quanto alle linee aeree, tra Alitalia, Meridiana e altre compagnie minori, si arriva a 5mila unità che hanno siglato un’intesa nel 2008 per 4 anni di cassa integrazione e 3 di mobilità. Infine, ci sono molte procedure ancora aperte, come ad esempio l’Alcoa con un migliaio di lavoratori coinvolti. «Abbiamo conquistato il risultato che la Camera riaprisse la discussione- continua Lamonica-Ma le modifiche non sono sufficienti. Bisogna garantire tutte le fattispecie, aumentare le risorse previste, e far riferimento non più alla risoluzione del rapporto ma alla data di sottoscrizione dell’accordo». Naturalmente spostare i «paletti» vuol dire ampliare la platea, con maggiori spese. Proprio sulle coperture alla Camera ci fu lo stop della ministra del lavoro, che non accettò la proposta Pd di aumentare l’aliquota contributiva degli autonomi. Così si sostituì la voce con l’accise sui tabacchi, provocando anche la reazione dei tabaccai. «Studieremo tutte le soluzioni possibili – dichiara il senatore Tiziano Treu (Pd) – anche quella di utilizzare i risparmi del sistema pensionistico. Su questo punto tutto il partito è in prima linea ». IMPEGNI «Le criticità sociali che derivano dalla riforma delle pensioni sono davanti ai nostri occhi – aggiunge Cesare Damiano – Non dimentichiamo quello che disse Mario Monti nella conferenza stampa di fine anno: nessun lavoratore può essere messo nella condizione di rimanere per lunghi anni senza uno stipendio o una pensione. Queste situazioni purtroppo esistono e sono il frutto delle contraddizioni che la riforma previdenziale ha prodotto e alle quali va posto riparo». «Infatti – conclude Lamonica – questo è il risultato di una riforma violenta quanto immotivata. Risultati pesanti, a cui va posto rimedio immediatamente». Il tema è in agenda anche al tavolo sul mercato del lavoro, dove le organizzazioni sindacali hanno presentato un documento unitario che affronta i temi dei lavoratori con accordi di mobilità, gli esodati e i sovrannumerari, oltre a quelli oggetto di licenziamenti individuali.

L’Unità 05.02.12

“Né lavoro, né pensione, in 70mila appesi a governo e Parlamento”, di Bianca Di Giovanni

Poche ore per salvare migliaia di persone dal vuoto assoluto: né lavoro, né pensione. Scade martedì il termine per presentare gli emendamenti al Milleproroghe in Senato, dove la norma «salva-esodati» inserita dal Pd alla Camera è stata ridimensionata dallo stop sulle coperture imposto dal ministro Elsa Fornero. Oggi il testo – peraltro molto ambiguo nella formulazione – concede un anticipo della pensione in caso di «effettiva risoluzione del rapporto di lavoro». Inoltre si includono gli accordi di esodo siglati entro il 31 dicembre 2011, ma non è affatto chiaro se questa disposizione è da attribuire a tutti gli accordi. Insomma, il combinato disposto della risoluzione dei rapporti e dell’opacità sulla platea mette a rischio migliaia di famiglie. Difficile fornire il numero preciso: sarebbero almeno 70mila i lavoratori che stanno godendo di ammortizzatori (mobilità in uscita o cassa integrazione).Ma molti altri, soprattutto nelle microaziende, restano esclusi da qualsiasi censimento. «Dai primi elenchi parziali si comprende la drammaticità della situazione – dichiara Vera Lamonica segretaria confederale Cgil – Il sindacato sosterrà la discussione degli emendamenti in Senato per salvare migliaia di famiglie ». LE CIFRE Tra le aziende metalmeccaniche spicca Fincantieri, con 1.240 lavoratori a rischio. Maè allarme rosso anche a Termini Imerese (640 unità), Alenia (747), Agile/Eutelia (386 esuberi), Selex Elsag (230), Whirpool (495). Non va meglio nel settore edile, uno dei comparti più colpiti dalla crisi economica. Si tratta di un settore dove la maggior parte delle aziende sono medio- piccole, ma tra le grandi la Rdb conta 137 lavoratori in uscita e senza garanzie per il futuro, e l’Unical una cinquantina. Ma i numeri più pesanti sono nei colossi dei servizi, già passati per diverse ristrutturazioni aziendali. In Poste italiane 2.000 dipendenti rischiano di restare nel «limbo», cioè senza alcun reddito. Quanto alle linee aeree, tra Alitalia, Meridiana e altre compagnie minori, si arriva a 5mila unità che hanno siglato un’intesa nel 2008 per 4 anni di cassa integrazione e 3 di mobilità. Infine, ci sono molte procedure ancora aperte, come ad esempio l’Alcoa con un migliaio di lavoratori coinvolti. «Abbiamo conquistato il risultato che la Camera riaprisse la discussione- continua Lamonica-Ma le modifiche non sono sufficienti. Bisogna garantire tutte le fattispecie, aumentare le risorse previste, e far riferimento non più alla risoluzione del rapporto ma alla data di sottoscrizione dell’accordo». Naturalmente spostare i «paletti» vuol dire ampliare la platea, con maggiori spese. Proprio sulle coperture alla Camera ci fu lo stop della ministra del lavoro, che non accettò la proposta Pd di aumentare l’aliquota contributiva degli autonomi. Così si sostituì la voce con l’accise sui tabacchi, provocando anche la reazione dei tabaccai. «Studieremo tutte le soluzioni possibili – dichiara il senatore Tiziano Treu (Pd) – anche quella di utilizzare i risparmi del sistema pensionistico. Su questo punto tutto il partito è in prima linea ». IMPEGNI «Le criticità sociali che derivano dalla riforma delle pensioni sono davanti ai nostri occhi – aggiunge Cesare Damiano – Non dimentichiamo quello che disse Mario Monti nella conferenza stampa di fine anno: nessun lavoratore può essere messo nella condizione di rimanere per lunghi anni senza uno stipendio o una pensione. Queste situazioni purtroppo esistono e sono il frutto delle contraddizioni che la riforma previdenziale ha prodotto e alle quali va posto riparo». «Infatti – conclude Lamonica – questo è il risultato di una riforma violenta quanto immotivata. Risultati pesanti, a cui va posto rimedio immediatamente». Il tema è in agenda anche al tavolo sul mercato del lavoro, dove le organizzazioni sindacali hanno presentato un documento unitario che affronta i temi dei lavoratori con accordi di mobilità, gli esodati e i sovrannumerari, oltre a quelli oggetto di licenziamenti individuali.

L’Unità 05.02.12

"Il Sindaco inconsapevole", di Dario Cresto-Dina

Non sarà un grande sindaco, si perdoni l´eufemismo, e purtroppo in tal senso di indizi ne abbiamo ormai accumulati molteplici, ma non si può non riconoscere a Alemanno il talento di una straordinaria e chissà quanto involontaria comicità. Gianni Alemanno è un comico senza sorriso, un Buster Keaton alla vaccinara ma più dolente e triste. Per quel non so che di vagamente arrogante e ottuso proprio del suo guardare di sottecchi. Ieri, nel tentativo patetico e infantile di rifugiarsi in un alibi assurdo, ha scaricato la responsabilità della figuraccia mondiale per il clamoroso fallimento del piano antineve – una macchina per altro neppure mai avviata – sui bollettini della Protezione civile e le previsioni meteo, rei a suo giudizio di non averlo messo in guardia per tempo sulla eccezionalità delle precipitazioni. Forse avrebbero dovuto avvisarlo già lo scorso Ferragosto. Sarebbe bastato? Ne dubitiamo.
Insomma, Alemanno o scherza, o la sua impudenza ha superato l´ultimo confine del principio di irrealtà o il sindaco deve avere qualche conto ideologico in sospeso con i meteorologi. Che siano tutti comunisti? Non potendo risolvere il contenzioso a manganellate, il sindaco si metta l´animo in pace. Ammetta di avere ancora una volta sbagliato. Gli esperti avevano diffuso l´allarme già all´inizio della settimana. Lo testimoniano i resoconti dei giornali, delle tv e i siti Internet. Un vaticinio scientifico di precisione quasi incredibile, tanto che fino ai primi fiocchi di venerdì mattina, riconosciamolo, molti tra di noi avevano manifestato scetticismo. Esagerano, ci dicevamo, per quel vizio indigeno di teatralità di un paese appassionato di catastrofi. Ma quali trenta centimetri in una sola notte su Roma, male che vada si tratterà di una spolverata, neve mista a pioggia che si farà fango in un batter di ciglia. Tuttavia, sotto sotto, si stava all´erta. Tutti, non Alemanno. Lui, pacifico nella sua sicumera, rimaneva fedele al suo motto: arrangiatevi. Lascio le scuole aperte, tocca a voi decidere se mandarvi o no i figli. Restate inchiodati di traverso con l´auto lungo via del Tritone? Mettete le catene, con calma. Preferireste evitare di sfracellarvi sul pavè con lo scooter? Andate a piedi. E se non volete rischiare di rompervi un femore sul marciapiede portatevi appresso un badile. Adesso, infatti, distribuisce pale. Lo faceva pure Mussolini. Che diamine, spetterà mica al Comune farvi da balia nelle incombenze quotidiane.
Così ieri mattina alle sette Roma era bellissima, silenziosa, struggente e dolorosa come in una lettera di Leopardi o nelle descrizioni di Michelangelo Antonioni. Un bowling sul Tevere. Tutto scivolava dentro la sua monumentale e imbiancata rotondità. Una ragazza bionda in body verde correva e sbuffava vapore acqueo in via del Corso, un giapponese intirizzito e commosso si fotografava sotto l´Altare della Patria, al Teatro di Marcello un ragazzo con la Punto prigioniero di un deserto bianco pietiva un consiglio: mo´ ´ndo metto ´ste catene, sulle rote davanti o su quelle de dietro? I rari lampeggianti azzurri di carabinieri e vigili urbani sfilavano impotenti, con aria di scusa. Eppure nel silenzio qualcosa stonava. C´era troppo silenzio nel silenzio della neve. Non il clangore di uno spazzaneve, non il vociare faticoso e allegro di una squadra di spalatori, non la pioggia ruvida sull´asfalto di un camion spargisale. Non un taxi di pronto soccorso, alla faccia della rivolta contro la liberalizzazione delle licenze. Chilometri e chilometri e chilometri di nulla. La città più bella del mondo abbandonata a se stessa. Tragicamente e comicamente. Costretta a scegliere tra l´abdicare alla dignità di grande capitale e l´arrangiarsi, che oggi non è più un´arte. Ma se dobbiamo arrangiarci, che bisogno abbiamo di un sindaco, viene da domandarsi. E di un sindaco come questo. Se lo chieda anche lei, gentile signor Alemanno, quando finirà la caciara. Ci rifletta su.

La Repubblica 05.02.12

“Il Sindaco inconsapevole”, di Dario Cresto-Dina

Non sarà un grande sindaco, si perdoni l´eufemismo, e purtroppo in tal senso di indizi ne abbiamo ormai accumulati molteplici, ma non si può non riconoscere a Alemanno il talento di una straordinaria e chissà quanto involontaria comicità. Gianni Alemanno è un comico senza sorriso, un Buster Keaton alla vaccinara ma più dolente e triste. Per quel non so che di vagamente arrogante e ottuso proprio del suo guardare di sottecchi. Ieri, nel tentativo patetico e infantile di rifugiarsi in un alibi assurdo, ha scaricato la responsabilità della figuraccia mondiale per il clamoroso fallimento del piano antineve – una macchina per altro neppure mai avviata – sui bollettini della Protezione civile e le previsioni meteo, rei a suo giudizio di non averlo messo in guardia per tempo sulla eccezionalità delle precipitazioni. Forse avrebbero dovuto avvisarlo già lo scorso Ferragosto. Sarebbe bastato? Ne dubitiamo.
Insomma, Alemanno o scherza, o la sua impudenza ha superato l´ultimo confine del principio di irrealtà o il sindaco deve avere qualche conto ideologico in sospeso con i meteorologi. Che siano tutti comunisti? Non potendo risolvere il contenzioso a manganellate, il sindaco si metta l´animo in pace. Ammetta di avere ancora una volta sbagliato. Gli esperti avevano diffuso l´allarme già all´inizio della settimana. Lo testimoniano i resoconti dei giornali, delle tv e i siti Internet. Un vaticinio scientifico di precisione quasi incredibile, tanto che fino ai primi fiocchi di venerdì mattina, riconosciamolo, molti tra di noi avevano manifestato scetticismo. Esagerano, ci dicevamo, per quel vizio indigeno di teatralità di un paese appassionato di catastrofi. Ma quali trenta centimetri in una sola notte su Roma, male che vada si tratterà di una spolverata, neve mista a pioggia che si farà fango in un batter di ciglia. Tuttavia, sotto sotto, si stava all´erta. Tutti, non Alemanno. Lui, pacifico nella sua sicumera, rimaneva fedele al suo motto: arrangiatevi. Lascio le scuole aperte, tocca a voi decidere se mandarvi o no i figli. Restate inchiodati di traverso con l´auto lungo via del Tritone? Mettete le catene, con calma. Preferireste evitare di sfracellarvi sul pavè con lo scooter? Andate a piedi. E se non volete rischiare di rompervi un femore sul marciapiede portatevi appresso un badile. Adesso, infatti, distribuisce pale. Lo faceva pure Mussolini. Che diamine, spetterà mica al Comune farvi da balia nelle incombenze quotidiane.
Così ieri mattina alle sette Roma era bellissima, silenziosa, struggente e dolorosa come in una lettera di Leopardi o nelle descrizioni di Michelangelo Antonioni. Un bowling sul Tevere. Tutto scivolava dentro la sua monumentale e imbiancata rotondità. Una ragazza bionda in body verde correva e sbuffava vapore acqueo in via del Corso, un giapponese intirizzito e commosso si fotografava sotto l´Altare della Patria, al Teatro di Marcello un ragazzo con la Punto prigioniero di un deserto bianco pietiva un consiglio: mo´ ´ndo metto ´ste catene, sulle rote davanti o su quelle de dietro? I rari lampeggianti azzurri di carabinieri e vigili urbani sfilavano impotenti, con aria di scusa. Eppure nel silenzio qualcosa stonava. C´era troppo silenzio nel silenzio della neve. Non il clangore di uno spazzaneve, non il vociare faticoso e allegro di una squadra di spalatori, non la pioggia ruvida sull´asfalto di un camion spargisale. Non un taxi di pronto soccorso, alla faccia della rivolta contro la liberalizzazione delle licenze. Chilometri e chilometri e chilometri di nulla. La città più bella del mondo abbandonata a se stessa. Tragicamente e comicamente. Costretta a scegliere tra l´abdicare alla dignità di grande capitale e l´arrangiarsi, che oggi non è più un´arte. Ma se dobbiamo arrangiarci, che bisogno abbiamo di un sindaco, viene da domandarsi. E di un sindaco come questo. Se lo chieda anche lei, gentile signor Alemanno, quando finirà la caciara. Ci rifletta su.

La Repubblica 05.02.12

"La colpa dei disagi è sempre degli altri", di Luca Mercalli

Cinquant’anni fa un’ondata di gelo siberiano ti colpiva alle spalle e basta, perché le previsioni erano quello che erano. Oggi la si individua con una settimana di anticipo. Mercoledì 25 gennaio, nelle città del Nord splendeva ancora il sole, ma già si pensava alla prevenzione. Comuni e viabilità avevano messo in moto la macchina per far fronte alla nevicata attesa sul Piemonte da sabato 28 e poi in estensione sull’Appennino emiliano-romagnolo. La neve a Firenze e Roma era data per certa, così come le temperature boreali, da giovedì in poi.

Nessuno è stato sfiorato dal dubbio che le previsioni meteo non fossero da prendere sul serio, tanto che nei giorni successivi si è sviluppata una vera tempesta mediatica sull’imminente irruzione dell’inverno russo, al punto che si leggevano i valori dei record meteorologici prima ancora che si fossero verificati! Sarà l’ondata di gelo peggiore dal 1985, nevicherà a Roma, ghiaccio e neve creeranno disagi ai trasporti: nemmeno un condizionale. Più di così per informare istituzioni e cittadini non si poteva fare! Poi neve e gelo sono puntualmente arrivati, e con essi i treni soppressi, le code in tangenziale, le cadute sul ghiaccio e ogni genere di polemiche. Tutto come da copione, una fotocopia di quanto avvenuto dopo il devastante nubifragio di Genova del 4 novembre, anche quello annunciato con congruo anticipo.

Ma se dunque non riusciamo ad attrezzarci di fronte agli eventi meteorologici anomali nemmeno ora che abbiamo la possibilità di prevederli con ragionevolissima affidabilità, cosa non ha funzionato? Non si può scaricare sempre la colpa sulle pubbliche amministrazioni. E’ vero che qualche locale italica manchevolezza ci sarà pur stata, è vero che il traffico ferroviario potrebbe essere migliore anche quando non nevica, ma tutti i mezzi spartineve erano in servizio, condotti da personale addestrato e disciplinato, il sale e la sabbia erano stati sparsi in tempo e la vita è andata avanti dignitosamente anche a Cesena, a Bologna, a Urbino, dove la nevicata è stata imponente, talora superiore al metro. Eppure c’era sempre chi si lamentava che la neve non era stata spazzata anche su quel marciapiede di periferia e alla fermata del bus 39 sbarrato, dimenticando che la macchina sgombraneve ha un costo molto rilevante per le pubbliche casse. Bisogna agire di compromesso privilegiando alcuni assi viari, assegnando priorità agli ospedali, non si può asportare ogni fiocco di neve appena tocca terra, si spenderebbero milioni di euro per un ben effimero risultato.

A Roma una nevicata così abbondante non la si vedeva dall’11 febbraio 1986, quando ne caddero 23 cm. Poi solo un paio di spruzzate subito fuse nel febbraio 1991 e 2010. Per una città con una così bassa frequenza di nevicate tenere in piedi un servizio di sgombero neve come quello di Torino o Milano sarebbe una follia. Una fortezza Bastiani per combattere un sol giorno in 26 anni. E se non hai le armi – e qui era giusto non averle, per ragioni economiche e di buon senso – ritirati! Ma grazie alle previsioni, che sia una ritirata ordinata e programmata.

Invece, e qui sta il nocciolo della questione, l’impressione è che ormai ognuno pensi che il mondo ruoti tutto intorno a sé. Che la bufera soffi solo sugli altri, che il coefficiente di attrito dinamico sul ghiaccio aumenti magicamente sotto le proprie gomme, che le scarpette con i tacchi non si immiseriscano nella fanghiglia gelata, che la neve fonda istantaneamente sotto i propri specialissimi passi, che si possa insomma continuare a fare tutto quello che si sarebbe fatto con il sole anche nella settimana più glaciale degli ultimi trent’anni. Senza cambiare programmi, senza adeguare comportamenti e incolpando sempre gli altri per i disagi subiti. La vera anomalia non sta nei termometri, ma nell’incapacità di leggerli.

La Stampa 05.02.12

“La colpa dei disagi è sempre degli altri”, di Luca Mercalli

Cinquant’anni fa un’ondata di gelo siberiano ti colpiva alle spalle e basta, perché le previsioni erano quello che erano. Oggi la si individua con una settimana di anticipo. Mercoledì 25 gennaio, nelle città del Nord splendeva ancora il sole, ma già si pensava alla prevenzione. Comuni e viabilità avevano messo in moto la macchina per far fronte alla nevicata attesa sul Piemonte da sabato 28 e poi in estensione sull’Appennino emiliano-romagnolo. La neve a Firenze e Roma era data per certa, così come le temperature boreali, da giovedì in poi.

Nessuno è stato sfiorato dal dubbio che le previsioni meteo non fossero da prendere sul serio, tanto che nei giorni successivi si è sviluppata una vera tempesta mediatica sull’imminente irruzione dell’inverno russo, al punto che si leggevano i valori dei record meteorologici prima ancora che si fossero verificati! Sarà l’ondata di gelo peggiore dal 1985, nevicherà a Roma, ghiaccio e neve creeranno disagi ai trasporti: nemmeno un condizionale. Più di così per informare istituzioni e cittadini non si poteva fare! Poi neve e gelo sono puntualmente arrivati, e con essi i treni soppressi, le code in tangenziale, le cadute sul ghiaccio e ogni genere di polemiche. Tutto come da copione, una fotocopia di quanto avvenuto dopo il devastante nubifragio di Genova del 4 novembre, anche quello annunciato con congruo anticipo.

Ma se dunque non riusciamo ad attrezzarci di fronte agli eventi meteorologici anomali nemmeno ora che abbiamo la possibilità di prevederli con ragionevolissima affidabilità, cosa non ha funzionato? Non si può scaricare sempre la colpa sulle pubbliche amministrazioni. E’ vero che qualche locale italica manchevolezza ci sarà pur stata, è vero che il traffico ferroviario potrebbe essere migliore anche quando non nevica, ma tutti i mezzi spartineve erano in servizio, condotti da personale addestrato e disciplinato, il sale e la sabbia erano stati sparsi in tempo e la vita è andata avanti dignitosamente anche a Cesena, a Bologna, a Urbino, dove la nevicata è stata imponente, talora superiore al metro. Eppure c’era sempre chi si lamentava che la neve non era stata spazzata anche su quel marciapiede di periferia e alla fermata del bus 39 sbarrato, dimenticando che la macchina sgombraneve ha un costo molto rilevante per le pubbliche casse. Bisogna agire di compromesso privilegiando alcuni assi viari, assegnando priorità agli ospedali, non si può asportare ogni fiocco di neve appena tocca terra, si spenderebbero milioni di euro per un ben effimero risultato.

A Roma una nevicata così abbondante non la si vedeva dall’11 febbraio 1986, quando ne caddero 23 cm. Poi solo un paio di spruzzate subito fuse nel febbraio 1991 e 2010. Per una città con una così bassa frequenza di nevicate tenere in piedi un servizio di sgombero neve come quello di Torino o Milano sarebbe una follia. Una fortezza Bastiani per combattere un sol giorno in 26 anni. E se non hai le armi – e qui era giusto non averle, per ragioni economiche e di buon senso – ritirati! Ma grazie alle previsioni, che sia una ritirata ordinata e programmata.

Invece, e qui sta il nocciolo della questione, l’impressione è che ormai ognuno pensi che il mondo ruoti tutto intorno a sé. Che la bufera soffi solo sugli altri, che il coefficiente di attrito dinamico sul ghiaccio aumenti magicamente sotto le proprie gomme, che le scarpette con i tacchi non si immiseriscano nella fanghiglia gelata, che la neve fonda istantaneamente sotto i propri specialissimi passi, che si possa insomma continuare a fare tutto quello che si sarebbe fatto con il sole anche nella settimana più glaciale degli ultimi trent’anni. Senza cambiare programmi, senza adeguare comportamenti e incolpando sempre gli altri per i disagi subiti. La vera anomalia non sta nei termometri, ma nell’incapacità di leggerli.

La Stampa 05.02.12