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"Monotonia del posto fisso", Pd critica Monti

Casini: “Il premier ha voluto aprire il dibattito”. I democratici non digeriscono l’intervento del premier a Matrix. Bersani: “Posto fisso monotono per chi ce l’ha”. Camusso: “Più che battute, dia risposte”. Di Pietro: “Prova a fare il furbo”. Vendola: “Variante sgraziata della destra”. Brunetta: “Ha detto una coraggiosa ovvietà”. Fli: “Monti crudo, ma il posto fisso non c’è più”

ROMA – Per la prima volta dall’avvento dell’esecutivo “tecnico”, il Pd critica apertamente il premier Mario Monti, che alla vigilia del secondo incontro tra governo e parti sociali al tavolo della riforma del lavoro ha definito “monotono” il posto fisso intervenendo a Matrix. Al di là della polemica, le parole di Monti suonano come un messaggio ai sindacati: per quanto si voglia tener fuori dalla trattativa l’articolo 18, la flessibilità in uscita è al centro del progetto di riforma. La decisione del governo si rispecchia anche nelle parole con cui il ministro Elsa Fornero apre il secondo incontro con i rappresentanti del mondo del lavoro: “Ok al dialogo, ma il governo farà la riforma, con o senza accordo”. Ma intanto battuta, gaffe o frutto della semplice osservazione della realtà, le parole di Monti sulla “noia del posto fisso” innescano l’acceso dibattito tra, e dentro, le forze politiche.

VIDEO Monti a Matrix: “Monotonia del posto fisso”

Al termine dell’incontro con il ministro Fornero, i leader sindacali commentano l’uscita del premier a Matrix. Il segretario
generale della Cgil Susanna Camusso invita Monti a non fare battute, indichi piuttosto “quale strada il Paese intende intraprendere”. “In questo momento in Italia ci sono migliaia di persone che sarebbero felici di annoiarsi e non possono perché stanno disperatamente cercando un posto di lavoro”. Raffaele Bonanni della Cisl: “Chiediamo al governo maggiore cautela nelle dichiarazioni”, aggiungendo che pensare di abolire un simbolo come l’articolo 18 “sia un modo per coprire le inefficienze del sistema” con “effetto devastante sulla gente”. Il segretario della Uil, Luigi Angeletti: “Monotonia del posto fisso? Io penso allo stress di chi non ha lavoro”.

Difende il premier la leader degli industriali, Emma Marcegaglia: “Credo che il presidente Monti lo dicesse in una logica che, soprattutto per un giovane, fare più esperienze è utile, arricchisce, crea più professionalità”. Ma, aggiunge il presidente di Confindustria, “non è che il posto di lavoro fisso sia monotono: in questa situazione il posto fisso come tale non c’è più”.

Pesa le parole il premier il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. “Il posto fisso diventa monotono quando uno ce l’ha, quando e può guardarsi attorno. Quando uno non ce l’ha, il posto fisso è desiderabile”. Il segretario del Pd chiarisce: “Ma il pensiero di Monti – dice il leader dei democratici -, che conosco, è un po’ più articolato. Non Inchiodiamo Monti a una battuta”.

“Una delle peggiori performance televisive del presidente del Consiglio Monti, lo dico col rispetto dovuto”. Così Nicola Latorre, vicepresidente dei senatori democratici, autore del primo, netto giudizio di un esponente Pd sulle frasi del presidente del Consiglio. “Teorizzare che la società non è dinamica perché c’è l’articolo 18, perché c’è il posto fisso, è una sciocchezza. Teorizzare che il posto fisso è noioso credo sia discutibile e io non la penso proprio così”. Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, rincara su facebook e twitter. “Il posto fisso è una noia? – scrive – Battuta infelice. Credo che la vera tragedia in Italia sia la disoccupazione e il lavoro precario”.

Per Anna Finocchiaro “il mondo del lavoro è cambiato”, ma “un posto sicuro bisogna averlo, su cui contare per un’esistenza libera e dignitosa, che ti consenta di fare qualche progetto per la tua vita, e mi riferisco soprattutto alle ragazze e ai ragazzi italiani. E’ una questione troppo importante per essere banalizzata”.

Il senatore Pd Marco Follini pone il partito di fronte a un bivio per la “nettezza con la quale Monti ha posto ieri il problema dell’articolo 18”. “Se si troverà una mediazione saremo tutti più felici – osserva Follini -, se invece non ci si riuscirà, non potremo dirci così infelici da non prendere una posizione chiara e netta. Assumendocene la responsabilità”.

Il senatore del Pd ed ex ministro del Lavoro Tiziano Treu cerca di ridimensionare la polemica: “Credo che Monti volesse dire che il posto fisso non esiste più, e questo lo si sa, e che la necessità di cambiamento del posto di lavoro, se questo è volontario ed è legato a un arricchimento professionale, è una dinamica già presente in molti altri Paesi”. Quello che però “è veramente importante – conclude l’ex ministro – non sono le parole, ma i fatti: stiamo a vedere cosa si farà nell’ambito della riforma del mercato del lavoro”.

Pier Ferdinando Casini invita invece a leggere “cosa c’è dietro” la frase di Monti, che “è fra virgolette
provocatoria”. “Mira ad aprire un grande dibattito su questo tema nel Paese – dichiara il leader Udc -. Chi fa finta di non vedere i mutamenti in atto in tutte le società può scandalizzarsi. Ci sono sepolcri imbiancati che si scandalizzano, ma bisogna guardare alla sostanza” e “rispondere ai mutamenti con leggi adeguate”.

“Nessuno scandalo” per l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, secondo cui Monti “ha correttamente constatato che nelle economie moderne cambiano velocemente i modi di produrre e organizzare i beni e i servizi cambiando conseguentemente i rapporti di lavoro”. “Ed ha ancora ragione – aggiunge Sacconi – quando indica ai nostri giovani il diritto e il dovere di cogliere tutte le opportunità che questi cambiamenti inducono”.

Per Renato Brunetta, Monti “ha detto un’ovvietà, ma ha avuto coraggio: questo Paese, la stampa soprattutto, ha dei tassi di ipocrisia spaventosi”. Giorgia Meloni, ex ministro delle Poltiche giovanili nel governo Berlusconi, si rivolge al premier via facebook. “Caro Monti – scrive la deputata Pdl -, da tempo i giovani si sono emancipati dal mito del posto fisso. Il problema è che non lo hanno fatto le banche e la società. Niente mutuo se sei precario, niente finanziamento per un’auto senza la garanzia dei genitori, nessuna considerazione finché non trovi un posto a tempo indeterminato. In Italia sono soprattutto le banche a essere monotone”. “Il problema non è la mobilità, ma l’instabilità del posto di lavoro, che rende la maggior parte dei giovani figli di un Dio minore”, conclude Meloni.

Il premier, secondo il capogruppo di Fli alla Camera Benedetto Della Vedova, ha “offerto un pretesto a quanti vogliono in realtà impedire a Monti e al ministro Fornero di realizzare” la riforma del mercato del lavoro. “L’articolo 18 non è una garanzia – aggiunge Della Vedova – , ma causa di precarietà e abuso dei contratti atipici. E un ammortizzatore sociale improprio e discriminatorio”. “In un mercato del lavoro giusto – conclude -, tutti i lavoratori hanno le stesse condizioni di partenza, gli stessi incentivi all’innovazione e alla produttività e tutti hanno le stesse garanzie in caso di disoccupazione. Esattamente il contrario del modello italiano, che fa perno sull’articolo 18”. Italo Bocchino, vicepresidente di Fli: “Dobbiamo fare i conti con la realtà e prendere atto che il posto fisso non esiste più”.

Per Antonio Di Pietro, Monti “prova a fare il furbo ai danni di milioni di ragazzi. E’ come dire a uno che non mangia da giorni che la dieta fa bene”. “E’ molto sgradevole” scrive il leader Idv sul suo blog, perché il premier “non lo dice a professionisti che possono scegliere tra un lavoro ben pagato e un altro” ma a “ragazzi e disoccupati”.

Nichi Vendola non si stupisce. “Lo ripetiamo da tempo: Monti è la variante colta della destra europea. Questa volta è però anche la variante sgraziata di quella destra” afferma in una nota il leader di Sinistra Ecologia Libertà. “I milioni di giovani e meno giovani – prosegue – che hanno a che fare con quella vera piaga sociale che si chiama precarietà, non si meritano certo tale considerazione da parte delle Istituzioni. Una cosa è chiara – conclude Vendola – un’Italia migliore non la si può certo costruire su questi propositi”.

“Parole esecrabili” attacca il leghista Marco Reguzzoni su facebook, “soprattutto perché vengono da chi rappresenta categorie protette. Perché non si parla di precariato per i dipendenti ministeriali o per i professori universitari? In un Paese in cui la ricerca nelle università funziona bene il professore non è garantito a vita, ma viene messo periodicamente in discussione, premiando cosi il merito e non il posto fisso. La riforma delle pensioni ha poi messo una pietra tombale sulle speranze dei nostri giovani”.

“Sgradevole” è anche l’aggettivo scelto da Roberto Formigoni. “Non avrei usato quelle parole” dichiara il presidente della Regione Lombardia, “certo, il posto fisso è legato a un processo di sviluppo dei decenni passati. C’è una maggiore mobilità di lavoro e quindi è giusto dire ai giovani che bisogna essere pronti a cambiare lavoro tre, quattro, cinque volte nella vita”. Gianfranco Rotondi, membro dell’ufficio di presidenza del Pdl: “Sul posto fisso da Monti un luogo comune irrispettoso di una generazione che fa del precariato la sua definizione e la sua nevrosi. Questi giovani sono conservatori se preferiscono la monotonia dei padri?”.

I verdi paventano addirittura il ritorno alle urne. Dicendosi allibito, il leader Angelo Bonelli, rileva “nelle parole di Monti una distanza siderale tra la sofferenza di chi vive le difficoltà e chi interpreta il governo del Paese in maniera ragionieristica e quasi asettica. Se per uscire dalla crisi finanziaria il prezzo – come si evince dalla parole di ministri Passera e Fornero – deve essere la rinuncia alle tutele e ai diritti sociali e la totale deregulation ambientali, come è accaduto con il decreto sulle liberalizzazioni, forse è il caso che la parola torni ai cittadini”.

da www.repubblica.it

“Monotonia del posto fisso”, Pd critica Monti

Casini: “Il premier ha voluto aprire il dibattito”. I democratici non digeriscono l’intervento del premier a Matrix. Bersani: “Posto fisso monotono per chi ce l’ha”. Camusso: “Più che battute, dia risposte”. Di Pietro: “Prova a fare il furbo”. Vendola: “Variante sgraziata della destra”. Brunetta: “Ha detto una coraggiosa ovvietà”. Fli: “Monti crudo, ma il posto fisso non c’è più”

ROMA – Per la prima volta dall’avvento dell’esecutivo “tecnico”, il Pd critica apertamente il premier Mario Monti, che alla vigilia del secondo incontro tra governo e parti sociali al tavolo della riforma del lavoro ha definito “monotono” il posto fisso intervenendo a Matrix. Al di là della polemica, le parole di Monti suonano come un messaggio ai sindacati: per quanto si voglia tener fuori dalla trattativa l’articolo 18, la flessibilità in uscita è al centro del progetto di riforma. La decisione del governo si rispecchia anche nelle parole con cui il ministro Elsa Fornero apre il secondo incontro con i rappresentanti del mondo del lavoro: “Ok al dialogo, ma il governo farà la riforma, con o senza accordo”. Ma intanto battuta, gaffe o frutto della semplice osservazione della realtà, le parole di Monti sulla “noia del posto fisso” innescano l’acceso dibattito tra, e dentro, le forze politiche.

VIDEO Monti a Matrix: “Monotonia del posto fisso”

Al termine dell’incontro con il ministro Fornero, i leader sindacali commentano l’uscita del premier a Matrix. Il segretario
generale della Cgil Susanna Camusso invita Monti a non fare battute, indichi piuttosto “quale strada il Paese intende intraprendere”. “In questo momento in Italia ci sono migliaia di persone che sarebbero felici di annoiarsi e non possono perché stanno disperatamente cercando un posto di lavoro”. Raffaele Bonanni della Cisl: “Chiediamo al governo maggiore cautela nelle dichiarazioni”, aggiungendo che pensare di abolire un simbolo come l’articolo 18 “sia un modo per coprire le inefficienze del sistema” con “effetto devastante sulla gente”. Il segretario della Uil, Luigi Angeletti: “Monotonia del posto fisso? Io penso allo stress di chi non ha lavoro”.

Difende il premier la leader degli industriali, Emma Marcegaglia: “Credo che il presidente Monti lo dicesse in una logica che, soprattutto per un giovane, fare più esperienze è utile, arricchisce, crea più professionalità”. Ma, aggiunge il presidente di Confindustria, “non è che il posto di lavoro fisso sia monotono: in questa situazione il posto fisso come tale non c’è più”.

Pesa le parole il premier il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. “Il posto fisso diventa monotono quando uno ce l’ha, quando e può guardarsi attorno. Quando uno non ce l’ha, il posto fisso è desiderabile”. Il segretario del Pd chiarisce: “Ma il pensiero di Monti – dice il leader dei democratici -, che conosco, è un po’ più articolato. Non Inchiodiamo Monti a una battuta”.

“Una delle peggiori performance televisive del presidente del Consiglio Monti, lo dico col rispetto dovuto”. Così Nicola Latorre, vicepresidente dei senatori democratici, autore del primo, netto giudizio di un esponente Pd sulle frasi del presidente del Consiglio. “Teorizzare che la società non è dinamica perché c’è l’articolo 18, perché c’è il posto fisso, è una sciocchezza. Teorizzare che il posto fisso è noioso credo sia discutibile e io non la penso proprio così”. Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, rincara su facebook e twitter. “Il posto fisso è una noia? – scrive – Battuta infelice. Credo che la vera tragedia in Italia sia la disoccupazione e il lavoro precario”.

Per Anna Finocchiaro “il mondo del lavoro è cambiato”, ma “un posto sicuro bisogna averlo, su cui contare per un’esistenza libera e dignitosa, che ti consenta di fare qualche progetto per la tua vita, e mi riferisco soprattutto alle ragazze e ai ragazzi italiani. E’ una questione troppo importante per essere banalizzata”.

Il senatore Pd Marco Follini pone il partito di fronte a un bivio per la “nettezza con la quale Monti ha posto ieri il problema dell’articolo 18”. “Se si troverà una mediazione saremo tutti più felici – osserva Follini -, se invece non ci si riuscirà, non potremo dirci così infelici da non prendere una posizione chiara e netta. Assumendocene la responsabilità”.

Il senatore del Pd ed ex ministro del Lavoro Tiziano Treu cerca di ridimensionare la polemica: “Credo che Monti volesse dire che il posto fisso non esiste più, e questo lo si sa, e che la necessità di cambiamento del posto di lavoro, se questo è volontario ed è legato a un arricchimento professionale, è una dinamica già presente in molti altri Paesi”. Quello che però “è veramente importante – conclude l’ex ministro – non sono le parole, ma i fatti: stiamo a vedere cosa si farà nell’ambito della riforma del mercato del lavoro”.

Pier Ferdinando Casini invita invece a leggere “cosa c’è dietro” la frase di Monti, che “è fra virgolette
provocatoria”. “Mira ad aprire un grande dibattito su questo tema nel Paese – dichiara il leader Udc -. Chi fa finta di non vedere i mutamenti in atto in tutte le società può scandalizzarsi. Ci sono sepolcri imbiancati che si scandalizzano, ma bisogna guardare alla sostanza” e “rispondere ai mutamenti con leggi adeguate”.

“Nessuno scandalo” per l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, secondo cui Monti “ha correttamente constatato che nelle economie moderne cambiano velocemente i modi di produrre e organizzare i beni e i servizi cambiando conseguentemente i rapporti di lavoro”. “Ed ha ancora ragione – aggiunge Sacconi – quando indica ai nostri giovani il diritto e il dovere di cogliere tutte le opportunità che questi cambiamenti inducono”.

Per Renato Brunetta, Monti “ha detto un’ovvietà, ma ha avuto coraggio: questo Paese, la stampa soprattutto, ha dei tassi di ipocrisia spaventosi”. Giorgia Meloni, ex ministro delle Poltiche giovanili nel governo Berlusconi, si rivolge al premier via facebook. “Caro Monti – scrive la deputata Pdl -, da tempo i giovani si sono emancipati dal mito del posto fisso. Il problema è che non lo hanno fatto le banche e la società. Niente mutuo se sei precario, niente finanziamento per un’auto senza la garanzia dei genitori, nessuna considerazione finché non trovi un posto a tempo indeterminato. In Italia sono soprattutto le banche a essere monotone”. “Il problema non è la mobilità, ma l’instabilità del posto di lavoro, che rende la maggior parte dei giovani figli di un Dio minore”, conclude Meloni.

Il premier, secondo il capogruppo di Fli alla Camera Benedetto Della Vedova, ha “offerto un pretesto a quanti vogliono in realtà impedire a Monti e al ministro Fornero di realizzare” la riforma del mercato del lavoro. “L’articolo 18 non è una garanzia – aggiunge Della Vedova – , ma causa di precarietà e abuso dei contratti atipici. E un ammortizzatore sociale improprio e discriminatorio”. “In un mercato del lavoro giusto – conclude -, tutti i lavoratori hanno le stesse condizioni di partenza, gli stessi incentivi all’innovazione e alla produttività e tutti hanno le stesse garanzie in caso di disoccupazione. Esattamente il contrario del modello italiano, che fa perno sull’articolo 18”. Italo Bocchino, vicepresidente di Fli: “Dobbiamo fare i conti con la realtà e prendere atto che il posto fisso non esiste più”.

Per Antonio Di Pietro, Monti “prova a fare il furbo ai danni di milioni di ragazzi. E’ come dire a uno che non mangia da giorni che la dieta fa bene”. “E’ molto sgradevole” scrive il leader Idv sul suo blog, perché il premier “non lo dice a professionisti che possono scegliere tra un lavoro ben pagato e un altro” ma a “ragazzi e disoccupati”.

Nichi Vendola non si stupisce. “Lo ripetiamo da tempo: Monti è la variante colta della destra europea. Questa volta è però anche la variante sgraziata di quella destra” afferma in una nota il leader di Sinistra Ecologia Libertà. “I milioni di giovani e meno giovani – prosegue – che hanno a che fare con quella vera piaga sociale che si chiama precarietà, non si meritano certo tale considerazione da parte delle Istituzioni. Una cosa è chiara – conclude Vendola – un’Italia migliore non la si può certo costruire su questi propositi”.

“Parole esecrabili” attacca il leghista Marco Reguzzoni su facebook, “soprattutto perché vengono da chi rappresenta categorie protette. Perché non si parla di precariato per i dipendenti ministeriali o per i professori universitari? In un Paese in cui la ricerca nelle università funziona bene il professore non è garantito a vita, ma viene messo periodicamente in discussione, premiando cosi il merito e non il posto fisso. La riforma delle pensioni ha poi messo una pietra tombale sulle speranze dei nostri giovani”.

“Sgradevole” è anche l’aggettivo scelto da Roberto Formigoni. “Non avrei usato quelle parole” dichiara il presidente della Regione Lombardia, “certo, il posto fisso è legato a un processo di sviluppo dei decenni passati. C’è una maggiore mobilità di lavoro e quindi è giusto dire ai giovani che bisogna essere pronti a cambiare lavoro tre, quattro, cinque volte nella vita”. Gianfranco Rotondi, membro dell’ufficio di presidenza del Pdl: “Sul posto fisso da Monti un luogo comune irrispettoso di una generazione che fa del precariato la sua definizione e la sua nevrosi. Questi giovani sono conservatori se preferiscono la monotonia dei padri?”.

I verdi paventano addirittura il ritorno alle urne. Dicendosi allibito, il leader Angelo Bonelli, rileva “nelle parole di Monti una distanza siderale tra la sofferenza di chi vive le difficoltà e chi interpreta il governo del Paese in maniera ragionieristica e quasi asettica. Se per uscire dalla crisi finanziaria il prezzo – come si evince dalla parole di ministri Passera e Fornero – deve essere la rinuncia alle tutele e ai diritti sociali e la totale deregulation ambientali, come è accaduto con il decreto sulle liberalizzazioni, forse è il caso che la parola torni ai cittadini”.

da www.repubblica.it

Difendere, accelerare, rinforzare. La linea del PD sulle Liberalizzazioni

La battaglia delle liberalizzazioni. In Parlamento arriva il decreto del Governo. Il PD difende e punta ad ampliare in molti settori

Dopo l’approvazione del mille proroghe arriva in Parlamento il decreto sulle liberalizzazioni. Il Pd difende il decreto e prepara l’offensiva per rafforzare le liberalizzazioni. Ecco la sintesi informativa redatta a cura dell’Ufficio Stampa, con l’aiuto del dipartimento economia e dei gruppi parlamentati del Pd.

Le leggi più importanti le ha fatte il centrosinistra. Berlusconi ha fermato tutto. Con Monti finalmente si riparte

A cinque anni dalle ultime lenzuolate in favore del cittadino-consumatore approvate dal governo Prodi, e dopo le innumerevoli marce indietro a favore di lobby e corporazioni varie da parte del governo di Silvio Berlusconi, è positivo che si torni, con il decreto “Cresci Italia”, a riaprire il cantiere delle liberalizzazioni. Questo cantiere non si deve più chiudere, anche perché non basta approvare alcune norme per aver risolto la questione. Come insegna l’esperienza e il metodo seguito per dare attuazione alle liberalizzazioni varate dai governi di centro-sinistra, le norme pro-concorrenziali devono essere anche accompagnate, monitorate e se serve corrette per garantire che si realizzino i loro benefici a favore dei consumatori. Il varo del pacchetto Monti, al di là delle proteste corporative, ha riscosso un notevole gradimento da parte dell’opinione pubblica, suscitato un grande interesse e una plateale approvazione da parte dei media. Queste decisioni hanno fatto seguito all’impegno e alle pressioni che negli anni ha profuso il Partito democratico su questo tema. E va rimarcato che troppo spesso in queste settimane ci si è dimenticati che le liberalizzazioni nei settori del commercio, dell’elettricità (compreso lo spacchettamento dell’Enel), del gas, dei trasporti, delle telecomunicazioni (eliminazione delle spese di ricarica, delle spese di recesso nella telefonia), delle banche (per esempio gli accordi per l’estinzione anticipata dei mutui, via i costi fissi per la chiusura dei conti correnti), dei professionisti ( niente obblighi di tariffe minime), dei farmaci (via il monopolio per la vendita dei medicinali da banco), dei notai (niente notaio per la compravendita di veicoli o la cancellazione di ipoteca) sono state promosse e attuate dall’ex ministro Pier Luigi Bersani durante i governi centro-sinistra, dal 1996 al 2001 e poi dal 2006 al 2008. Negli ultimi tre anni il governo Berlusconi ha fatto marcia indietro, ha lavorato per smontare quanto era stato fatto. Mentre il Pd, anche in questi ultimi tre anni, ha sempre cercato di rilanciare l’iniziativa legislativa sul terreno delle liberalizzazioni. Basti ricordare che nel marzo 2011 il Partito democratico invio una proposta all’ex ministro Tremonti per approvare in modo bipartisan una serie di norme a favore della concorrenza e dei consumatori, all’interno del Piano nazionale per le riforme (PNR), che tutti i Paesi della area Euro devono ogni anno presentare a alla Commissione europea (il Pd proposte oltre 30 interventi specifici nelle diverse aree, come si può leggere nei testi che si possono trovare anche sul sito del partito). Oggi dunque il decreto Monti segna una riapertura positiva di quel cantiere e il pacchetto varato va nella direzione giusta della crescita economica, stimolando la concorrenza con interventi di liberalizzazione.

Il decreto tocca molti temi, non sempre e’ soddisfacente, ma va difeso dal boicottaggio in parlamento. e bisogna anche rafforzarlo

Se si vuole esprimere un giudizio sui contenuti del provvedimento bisogna fare un’attenta verifica, perché spesso la difficoltà applicativa si nasconde nei dettagli e nei termini temporali, eccessivi e spesso solo di tipo ordinatorio. In prima analisi, va detto che il decreto tocca tutti i “titoli”, gli ambiti di intervento, chiesti dal Pd. Ma non sempre in modo soddisfacente. Il Pd, dunque, in sede di conversione parlamentare del decreto si adopererà per estendere la portata delle misure per rafforzare gli effetti delle norme in favore del Paese, dei lavoratori, delle imprese e dei consumatori, oltre che per difendere l’impianto normativo da possibili attacchi di tipo corporativo. In particolare, secondo quanto è emerso dal lavoro avviato dal Dipartimento Economia e Lavoro del Partito in stretto raccordo con i Gruppi parlamentari di Camera e Senato, andrebbero estese le norme in materia bancaria e assicurativa per consentire benefici immediati agli utenti di questi servizi. In seconda analisi, va specificato che nel decreto “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” sono stati aggiunti una cinquantina di articoli che contengono norme eterogenee (che vanno dal pagamento dei debiti della PA ai siti nucleari). In ogni caso, le misure sulle liberalizzazioni dovranno essere rafforzate e che poi andranno adeguatamente seguite nella fase di applicazione per evitare l’effetto boomerang: molte di esse non determineranno con molta probabilità effetti immediati, sia dal lato dei benefici per i consumatori, sia da quello dello sviluppo degli investimenti e dell’occupazione; se dunque non daranno risultati nel tempo prestabilito, si rischia che la grande aspettativa suscitata nell’opinione pubblica sul decreto possa essere facilmente disattesa.

I punti positivi e ciò che non convince

I principali interventi previsti dal decreto-legge per la parte che riguarda le liberalizzazioni vanno nella direzione di quanto auspicato dal Pd, con l’avvertenza di evitare che tutto si scarichi alla fine solo sulle condizioni del lavoro. È positiva l’istituzione dell’Autorità di settore sui trasporti, e il fatto che rientri tra le competenze previste anche quelle sul comparto dei servizi autostradali, seppur in modo parziale. Non è invece apprezzabile che, in attesa della costituzione dell’Autorità di settore, le funzioni e le competenze di regolazione dei rispettivi mercati vengano, seppur temporaneamente, assegnate all’Autorità per l’energia e il gas che vigila in tutt’altro ambito di mercato e che non ha ancora reso funzionante le sue nuove attribuzione nel campo dei servizi idrici. Positiva la decisione sulla separazione proprietaria della rete di trasporto del gas, anche se l’iter previsto per la separazione di Snam rete gas da Eni prevede, entro sei mesi, l’adozione di un provvedimento specifico. Si doveva invece intervenire in tempi più rapidi visto che la separazione di Snam da Eni era già prevista fin dalla Finanziaria 2007 del governo Prodi. Anche la decisione di modificare i parametri di riferimento delle tariffe del gas, tenendo conto dell’andamento dei prezzi europei, al fine di contenere i prezzi per i clienti vulnerabili è da ritenersi soddisfacente. Sui carburanti è positiva l’abolizione del vincolo di esclusiva nell’approvvigionamento di carburanti da parte dei gestori delle stazioni di servizio, anche se la norma così come è prevista inciderà solo su pochi impianti e quindi rischia di produrre scarsi effetti per gli automobilisti. Non tutto quello che veniva chiesto dal Pd e dalla stessa Autorità Antitrust è stato recepito dal decreto. Inoltre alcune norme risultano essere ridondanti rispetto a provvedimenti precedenti e altre ancora vengono presentate per nuove, come ad esempio l’abolizione delle tariffe per i servizi professionali, mentre invece erano state oggetto di interventi precedenti.

Alcuni degli emendamenti possibili

Chiariti questi punti, l’impegno del Pd sarà quello di difendere il provvedimento, ma anche di lavorare con degli emendamenti per rafforzare la portata delle misure e per renderle pienamente applicabili. Banche, assicurazioni, farmaci, tutela dei consumatori, professioni, carburanti, ferrovie, sono i “titoli” che necessitano di uno svolgimento più ampio e incisivo. Ecco alcune delle ipotesi di intervento che sono emerse dal lavoro degli esperti e dei parlamentari del Pd.

Farmaci. La pura e semplice rivisitazione della pianta organica delle farmacie, senza la liberalizzazione dei farmaci di fascia C, rischia di far saltare il secondo canale, quello delle parafarmacie. Con un duplice rischio: senza la fascia C in parafarmacia non ci sarà concorrenza e quindi sconti sui medicinali pagati completamente dai cittadini; la mancata liberalizzazione, rischia di mettere in grave difficoltà più di 3mila esercizi farmaceutici che assicurano dal 2006 occupazione ad oltre 7mila farmacisti. Per quanto riguarda invece i concorsi previsti per l’apertura di nuove farmacie nel rispetto del nuovo parametro di una farmacia ogni 3mila abitanti, occorre vigilare affinché i concorsi vengano svolti davvero, entro tempi ragionevoli, visto che, dal 1993 ad oggi, non è stato mai indetto un nuovo concorso, pur essendo disponibili una migliaio di sedi di farmacia.

Banche. Il decreto interviene in maniera sbagliata sulle polizze-vita che le banche richiedono per l’accensione di un mutuo. Prevede che gli istituti che richiedono tale assicurazione debbano presentare almeno due preventivi. Una norma facilmente aggirabile da parte degli istituti che inoltre vanifica il provvedimento Isvap in vigore dal prossimo 2 aprile che vieta alla banca di vendere una polizza di cui ne è contemporaneamente “distributrice” (venditrice) e beneficiaria. Il Pd intende presentare delle modiche al decreto per riassumere in un’unica norma il provvedimento Isvap (la fine del conflitto di interesse per le banche venditrici e beneficiarie della copertura assicurativa) e quanto prevede la legge francese in materia, ovvero qualora la banca richieda un’ulteriore garanzia alla concessione del mutuo, il mutuatario deve essere libero di contrarre sul libero mercato la polizza al miglior prezzo. Per le banche il Pd intende intervenire per una riduzione dei costi per e-money e carte di credito.

Rc-auto. Norme parziali e di dubbio impatto sulla reale esigenza di far scendere i premi annuali pagati dagli automobilisti, richiedono di essere modificate durante l’esame parlamentare del decreto. In particolar modo ci si concentrerà sulla riforma del sistema bonus-malus in modo tale da concedere a chi è già nelle prime tre classi di merito (più del 90% degli assicurati) di poter ottenere sconti in assenza di incidenti, valorizzando il sistema della patente a punti. In secondo luogo dovranno essere approfondite le misure per favorire la confrontabilità delle offerte e l’indipendenza degli agenti assicurativi dalle compagnie, anche perché la norma del decreto che obbliga gli agenti che vendono esclusivamente le polizze di una sola compagnia a presentare al cliente il preventivo di almeno tre diverse compagnie sarà difficilmente applicabile sul piano pratico.

Ferrovie. È certamente da correggere la deroga al contratto nazionale nel settore dei trasporti. La concorrenza non si deve fare sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici.

Carburanti. Occorre creare maggiori occasioni di con concorrenza all’ingrosso e al dettaglio nella vendita dei carburati per favorire la discesa dei prezzi a favore dei consumatori. Separazione tra Eni e Snam. Come si è detto, la separazione andrebbe realizzata nel minor tempo possibile.

Notai. Ai notai i democratici vorrebbero chiedere di rinunciare all’esclusiva su alcuni atti, a cominciare dalla compravendita di abitazioni civili fino a un determinato ammontare. Queste stipule entrerebbero nel mercato aperto di altri professionisti come commercialisti e avvocati.

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Leggi il decreto sulle liberalizzazioni

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Leggi la scheda tecnica sulle liberalizzazioni

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da www.partitodemocratico.it

"Pronti 615 milioni per la ricerca", di Eugenio Bruno

In arrivo due bandi del Miur: 415 milioni per i distretti tecnologici e 200 per le «smart cities». La parte più cospicua delle risorse finirà a distretti e laboratori del Centro-Nord: 375 milioni a cui se ne aggiungeranno 40 per il Sud. Buone notizie per la ricerca. In attesa di verificare sul campo l’impatto delle semplificazioni contenute nel decreto «semplifica Italia» approvato dal Consiglio dei ministri di venerdì scorso e in attesa della firma del capo dello Stato, stanno per arrivare due bandi del ministero dell’Istruzione che sbloccano 615 milioni di euro per l’innovazione. Si tratta di risorse provenienti da diverse fonti: comunitarie, nazionali e residui di stanziamenti precedenti.
Distretti tecnologici
I due documenti sono ormai pronti e per il loro avvio manca solo la firma del ministro Francesco Profumo. Il primo avrà un valore complessivo di 415 milioni è sarà destinato a distretti e laboratori. Di questi, 375 milioni – interamente a carico del Fondo per le agevolazioni alla ricerca (Far) – riguarderanno il Centro-Nord. I restanti 40 – in arrivo dal Pon (programma operativo nazionale) Ricerca e competività 2007-2013 dell’Ue – finanzieranno i progetti realizzati in tandem con le quattro Regioni dell’obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia).
L’obiettivo di viale Trastevere è realizzare, sul sostegno a distretti e laboratori pubblico-privati, la stessa «osmosi Nord-Sud» sperimentata con il bando Pon sulla ricerca industriale da 465 milioni (poi diventati 1,1 miliardi) del 2010. Ma stavolta in direzione contraria. All’epoca la maggior parte delle risorse era andata ai territori della convergenza con una fiche aggiuntiva di 165 milioni per le azioni nel resto d’Italia. Stavolta la “fetta” più ampia andrà al Centro-nord.
l bando ha una doppia finalità. Da un lato, potenziare alcuni dei 23 distretti già esistenti sulla base di piani di sviluppo strategico volti a incentivare sinergie tra atenei, centri di ricerca e imprese e magari formare personale tecnico altamente specializzato. Dall’altro, favorire nuove aggregazioni. A tal proposito, dovrebbero essere sei gli studi di fattibilità finanziati, di cui tre sui distretti tecnologici e tre sui laboratori pubblico-privati.
Smart cities
Più o meno in contemporanea dovrebbe arrivare un secondo bando sulle “smart cities”. Cioè quelle città interconnesse, sostenibili ed ecocompatibili “caldeggiate” dall’Ue. Alla cui diffusione il Miur dovrebbe destinare 200 milioni provenienti dalle azioni integrate per il Pon 2007-2013. Si tratta di risorse originariamente affidate alla Funzione pubblica. Ma dopo che il Governo Monti ha scorporato da Palazzo Vidoni il dipartimento dell’Innovazione portandolo a viale Trastevere anche i fondi in dotazione hanno seguito lo stesso percorso. Destinatarie dello stanziamento anche in questo caso saranno le quattro regioni della convergenza. Ma sulle “smart cities” gli interventi non dovrebbero finire qui visto che se ne parlerà nell’agenda digitale a cui lavoreranno Istruzione e Sviluppo economico (su questo si veda altro articolo in pagina).
Una volta completato l’iter dei due bandi citati, il Miur avrà movimentato quasi tutte le risorse per la ricerca a sua disposizione. Dei 3,2 miliardi complessivi ne resterebbe da allocare meno del 10 per cento. Nella speranza che tutti i fondi vengano poi distribuiti. Ma su questo un ruolo fondamentale potrebbero giocarlo le novità contenute nel Dl semplificazioni che puntano a snellire tempi e procedure delle fasi di partecipazione ai bandi, valutazione dei progetti e prestazione delle garanzie da parte degli aggiudicatari.

Il Sole 24 Ore 01.02.12

“Pronti 615 milioni per la ricerca”, di Eugenio Bruno

In arrivo due bandi del Miur: 415 milioni per i distretti tecnologici e 200 per le «smart cities». La parte più cospicua delle risorse finirà a distretti e laboratori del Centro-Nord: 375 milioni a cui se ne aggiungeranno 40 per il Sud. Buone notizie per la ricerca. In attesa di verificare sul campo l’impatto delle semplificazioni contenute nel decreto «semplifica Italia» approvato dal Consiglio dei ministri di venerdì scorso e in attesa della firma del capo dello Stato, stanno per arrivare due bandi del ministero dell’Istruzione che sbloccano 615 milioni di euro per l’innovazione. Si tratta di risorse provenienti da diverse fonti: comunitarie, nazionali e residui di stanziamenti precedenti.
Distretti tecnologici
I due documenti sono ormai pronti e per il loro avvio manca solo la firma del ministro Francesco Profumo. Il primo avrà un valore complessivo di 415 milioni è sarà destinato a distretti e laboratori. Di questi, 375 milioni – interamente a carico del Fondo per le agevolazioni alla ricerca (Far) – riguarderanno il Centro-Nord. I restanti 40 – in arrivo dal Pon (programma operativo nazionale) Ricerca e competività 2007-2013 dell’Ue – finanzieranno i progetti realizzati in tandem con le quattro Regioni dell’obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia).
L’obiettivo di viale Trastevere è realizzare, sul sostegno a distretti e laboratori pubblico-privati, la stessa «osmosi Nord-Sud» sperimentata con il bando Pon sulla ricerca industriale da 465 milioni (poi diventati 1,1 miliardi) del 2010. Ma stavolta in direzione contraria. All’epoca la maggior parte delle risorse era andata ai territori della convergenza con una fiche aggiuntiva di 165 milioni per le azioni nel resto d’Italia. Stavolta la “fetta” più ampia andrà al Centro-nord.
l bando ha una doppia finalità. Da un lato, potenziare alcuni dei 23 distretti già esistenti sulla base di piani di sviluppo strategico volti a incentivare sinergie tra atenei, centri di ricerca e imprese e magari formare personale tecnico altamente specializzato. Dall’altro, favorire nuove aggregazioni. A tal proposito, dovrebbero essere sei gli studi di fattibilità finanziati, di cui tre sui distretti tecnologici e tre sui laboratori pubblico-privati.
Smart cities
Più o meno in contemporanea dovrebbe arrivare un secondo bando sulle “smart cities”. Cioè quelle città interconnesse, sostenibili ed ecocompatibili “caldeggiate” dall’Ue. Alla cui diffusione il Miur dovrebbe destinare 200 milioni provenienti dalle azioni integrate per il Pon 2007-2013. Si tratta di risorse originariamente affidate alla Funzione pubblica. Ma dopo che il Governo Monti ha scorporato da Palazzo Vidoni il dipartimento dell’Innovazione portandolo a viale Trastevere anche i fondi in dotazione hanno seguito lo stesso percorso. Destinatarie dello stanziamento anche in questo caso saranno le quattro regioni della convergenza. Ma sulle “smart cities” gli interventi non dovrebbero finire qui visto che se ne parlerà nell’agenda digitale a cui lavoreranno Istruzione e Sviluppo economico (su questo si veda altro articolo in pagina).
Una volta completato l’iter dei due bandi citati, il Miur avrà movimentato quasi tutte le risorse per la ricerca a sua disposizione. Dei 3,2 miliardi complessivi ne resterebbe da allocare meno del 10 per cento. Nella speranza che tutti i fondi vengano poi distribuiti. Ma su questo un ruolo fondamentale potrebbero giocarlo le novità contenute nel Dl semplificazioni che puntano a snellire tempi e procedure delle fasi di partecipazione ai bandi, valutazione dei progetti e prestazione delle garanzie da parte degli aggiudicatari.

Il Sole 24 Ore 01.02.12

"Dai tecnici per ora troppa demagogia sui giovani", di Salvo Barrano

Negli ultimi mesi abbiamo provato a gridarlo nelle piazze, a scriverlo, a dirlo persino educatamente. Che il mercato del lavoro in Italia ha molti difetti, meno che quello di un’eccessiva rigidità in uscita. Eppure non facciamo altro che sentire la teoria che da noi non si assumono i giovani perché non si possono licenziare i vecchi. Una teoria
predicata dalla Banca centrale europea, accreditata da insigni giuslavoristi, rimbalzata nei salotti televisivi. Che adesso sembra ridotta a una storiella.
Così suona a chi la flessibilità in uscita la vive sulla propria pelle da anni, ma è abituato a chiamarla più semplicemente precarietà, licenziabilità, ricattabilità.
A certificare che in Italia di flessibilità ce n’è pure troppa, sono i dati appena diffusi dall’Istat: il 71,5% dei nuovi lavoratori viene reclutato con contratti temporanei e alla
scadenza del contratto la metà rimane a casa. I dati Istat non fanno altro che
confermare quanto già diffuso negli ultimi anni dall’Osservatorio sulla Precarietà
della Sapienza: in Italia ci sono circa due milioni e trecentomila lavoratori con contratti a tempo determinato, quasi ottocentocinquantamila parasubordinati, oltre
duecentomila partite Iva a rischio precarietà. E sarebbe interessante indagare il
fenomeno della monocommittenza nell’universo dei lavoratori autonomi individuali senza dipendenti e collaboratori: un esercito di oltre tre milioni di persone. E questo sarebbe un mercato poco flessibile, dove il problema principale è l’articolo 18?
Alcune considerazioni per il governo Monti da parte di chi non ha mai avuto un contratto stabile da quando lavora: l’articolo 18 non c’entra niente con la precarietà dei giovani. Anche perché, stando alle ipotesi in circolazione, si vorrebbe introdurre la
possibilità di licenziare individualmente solo i nuovi assunti.
Ovvero, nella maggior parte dei casi, proprio i giovani. Per un giovane lavoratore il
dibattito sull’articolo 18 e sulla cassa integrazione appare stucchevole e strumentale per almeno tre motivi: perché nella maggior parte dei casi un giovane è già assunto con un contratto a termine, perché molto spesso lavora in imprese con meno di quindici dipendenti dove la licenziabilità è già consentita, perché moltissimi giovani svolgono – o almeno ci provano – attività autonome e non come dipendenti. E quindi
sono fuori da ogni garanzia, figuriamoci l’articolo 18. Un’altra considerazione:
dopo le finte partite Iva, il governo Monti eviti di incentivare il fenomeno delle finte imprese. Consentire ai giovani sotto ai 35 anni di aprire un’impresa a un euro – con la
nobile motivazione di incentivare l’imprenditoria giovanile – rischia di favorire la nascita di migliaia di nuove imprese semplicemente allo scopo di eludere alcune norme, a svantaggio dei lavoratori. Sarebbe l’ennesimo espediente per mascherare sotto forma di impresa i rapporti di lavoro dipendente, aprendo la possibilità ai nuovi soggetti di fare concorrenza alle imprese virtuose nel campo della sicurezza, dell’antiriciclaggio, del diritto del lavoro. Il governo Monti vuole incentivare l’impresa individuale, la libera iniziativa, i giovani lavoratori realmente autonomi? Bene, li valorizzi fornendo loro la possibilità di ricevere in maniera agevolata formazione di alto profilo, consulenza mirata per l’innovazione e l’export, accessibilità al credito, servizi alla famiglia e protezioni sociali in caso di difficoltà economica. È più complicato dell’impresa a un euro ma i tecnici servono proprio a questo.

*Associazione XX Maggio e promotore Comitato 9 Aprile

L’Unità 02.01.12

“Dai tecnici per ora troppa demagogia sui giovani”, di Salvo Barrano

Negli ultimi mesi abbiamo provato a gridarlo nelle piazze, a scriverlo, a dirlo persino educatamente. Che il mercato del lavoro in Italia ha molti difetti, meno che quello di un’eccessiva rigidità in uscita. Eppure non facciamo altro che sentire la teoria che da noi non si assumono i giovani perché non si possono licenziare i vecchi. Una teoria
predicata dalla Banca centrale europea, accreditata da insigni giuslavoristi, rimbalzata nei salotti televisivi. Che adesso sembra ridotta a una storiella.
Così suona a chi la flessibilità in uscita la vive sulla propria pelle da anni, ma è abituato a chiamarla più semplicemente precarietà, licenziabilità, ricattabilità.
A certificare che in Italia di flessibilità ce n’è pure troppa, sono i dati appena diffusi dall’Istat: il 71,5% dei nuovi lavoratori viene reclutato con contratti temporanei e alla
scadenza del contratto la metà rimane a casa. I dati Istat non fanno altro che
confermare quanto già diffuso negli ultimi anni dall’Osservatorio sulla Precarietà
della Sapienza: in Italia ci sono circa due milioni e trecentomila lavoratori con contratti a tempo determinato, quasi ottocentocinquantamila parasubordinati, oltre
duecentomila partite Iva a rischio precarietà. E sarebbe interessante indagare il
fenomeno della monocommittenza nell’universo dei lavoratori autonomi individuali senza dipendenti e collaboratori: un esercito di oltre tre milioni di persone. E questo sarebbe un mercato poco flessibile, dove il problema principale è l’articolo 18?
Alcune considerazioni per il governo Monti da parte di chi non ha mai avuto un contratto stabile da quando lavora: l’articolo 18 non c’entra niente con la precarietà dei giovani. Anche perché, stando alle ipotesi in circolazione, si vorrebbe introdurre la
possibilità di licenziare individualmente solo i nuovi assunti.
Ovvero, nella maggior parte dei casi, proprio i giovani. Per un giovane lavoratore il
dibattito sull’articolo 18 e sulla cassa integrazione appare stucchevole e strumentale per almeno tre motivi: perché nella maggior parte dei casi un giovane è già assunto con un contratto a termine, perché molto spesso lavora in imprese con meno di quindici dipendenti dove la licenziabilità è già consentita, perché moltissimi giovani svolgono – o almeno ci provano – attività autonome e non come dipendenti. E quindi
sono fuori da ogni garanzia, figuriamoci l’articolo 18. Un’altra considerazione:
dopo le finte partite Iva, il governo Monti eviti di incentivare il fenomeno delle finte imprese. Consentire ai giovani sotto ai 35 anni di aprire un’impresa a un euro – con la
nobile motivazione di incentivare l’imprenditoria giovanile – rischia di favorire la nascita di migliaia di nuove imprese semplicemente allo scopo di eludere alcune norme, a svantaggio dei lavoratori. Sarebbe l’ennesimo espediente per mascherare sotto forma di impresa i rapporti di lavoro dipendente, aprendo la possibilità ai nuovi soggetti di fare concorrenza alle imprese virtuose nel campo della sicurezza, dell’antiriciclaggio, del diritto del lavoro. Il governo Monti vuole incentivare l’impresa individuale, la libera iniziativa, i giovani lavoratori realmente autonomi? Bene, li valorizzi fornendo loro la possibilità di ricevere in maniera agevolata formazione di alto profilo, consulenza mirata per l’innovazione e l’export, accessibilità al credito, servizi alla famiglia e protezioni sociali in caso di difficoltà economica. È più complicato dell’impresa a un euro ma i tecnici servono proprio a questo.

*Associazione XX Maggio e promotore Comitato 9 Aprile

L’Unità 02.01.12