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"Solo il 56,9% ha un lavoro. Tornati ai livelli del 2001", di Massimo Franchi

Alla vigilia del vero avvio sulla riforma del lavoro, arrivano dati sempre più scoraggianti sull’occupazione. Il nostro Paese si conferma fanalino di coda in Europa sul tasso di occupati che ha toccato a dicembre quota il56,9% conun calo 0,1% rispetto a dicembre 2010. Il quadro è desolante per l’occupazione femminile: siamo l’unico Paese europeo dove il tasso di occupazione è più basso di quello di inattività: 46,8% contro 48,2%. In pratica sono più le donne che non hanno un lavoro e neanche lo cercano, di quelle che hanno un’attività. IL TOP DA 7 ANNI L’Istat continua a certificare la vera tragedia italiana. La disoccupazione tocca il picco e non va meglio per i giovani: uno su tre è senza lavoro. Con un aumento dello 0,1% rispetto a novembre e dello 0,8% su un anno fa, la disoccupazione si attesta all’8,9%. Le persone alla ricerca di un impiego sono aumentate in un solo mese di 20 mila unità e su base annua di 221 mila. Si tratta del dato più alto da quando, nel 2004, sono iniziate le serie dell’Istat. E se ci si riferisce alle serie trimestrali si torna ai livelli del 2001 tornando a 2,2 milioni di disoccupati. Il tasso di disoccupazione giovanile (persone tra i 15 e i 24 anni) è pari al 31%, in diminuzione di 0,2% rispetto a novembre ma in aumento de 3% rispetto a dicembre 2010 (era al 28%). E intanto in Germania le cose vanno molto diversamente: nell’ultimo anno la disoccupazione è scesa dal 6,7% (mentre in Francia è salita dal 9,7% al 9,9%, la media europea è al 10,4%, ai massimi dall’introduzione della moneta unica). Magari è quello il modello a cui guardare. I dati comunque sono allarmanti. E la Cgil li “lavora” per darne di ancora più tragici, soprattutto rispetto alle possibili riforme annunciate dal governo. «Prima della crisi – attacca il segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni – gli occupati erano 700 mila in più, se non ci fosse stata la cassa integrazione e in particolare la Cig straordinaria e la deroga, i disoccupati sarebbero oggi più di 3 milioni. Questo – continua Fammoni – sarebbe già avvenuto e avverrà se la cassa integrazione sarà ridotta e se si punterà solo sulla disoccupazione e su un reddito minimo per il quale però non c’è alcuna risorsa». Ma Fammoni rilancia soprattutto il problema dei giovani. «Al 31% di giovani disoccupati (che in realtà sono di più perché anche una parte dei giovani è in cassa integrazione), che prospettiva si dà? Un lavoro con meno diritti e sempre più ricattabile? Una mobilità da un lavoro precario in un’azienda a un lavoro temporaneo in un’altra? Ricordo che la teoria del “meglio un lavoro qualunque”, ha portato proprio a questa situazione di lavoro per i giovani ». Per la Cgil dunque dai dati Istat arriva un messaggio preciso per la trattativa che parte domani: «Servono tutele straordinarie e uno straordinario Piano per il lavoro per ridurre il precariato – conclude il segretario Cgil – e dare ammortizzatori universali a tutti i lavoratori mantenendo la possibilità di non rompere il rapporto con l’impresa in tutti i casi possibili e dando una tutela maggiore alla disoccupazione. Dire invece che occorre facilitare il licenziamento per più occupabilità è il contrario dei dati reali». Il segretario generale aggiunto della Cisl Giorgio Santini, sottolinea che «è necessario un intervento organico di sostegno alle assunzioni dei giovani, delle donne, degli over 50 e per il reimpiego dei lavoratori in cassa integrazione e dei disoccupati, valorizzando in primo luogo l’apprendistato, il contratto di inserimento, il part-time lungo, mettendo in campo ulteriori incentivi al loro utilizzo». INCONTRO SINDACATI-CONFINDUSTRIA Dopo gli annunci dei giorni scorsi, ieri è stato ufficializzato l’incontro tra le parti sociali preparativo al tavolo con il governo di domani. Confindustria, Cgil, Cisl, Uil e Ugl si incontreranno alle 9,30 alla foresteria dell’associazione degli industriali in via Veneto a Roma. L’incontro tra Emma Marcegaglia, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti e Giovanni Centrella punta a definire una posizione comune sulle possibili proposte del governo. Come anticipato lunedì, non ci sarà però nessun documento scritto. In più al tavolo mancheranno ReteImprese, Abi (che doveva ospitare il vertice nella sua sede) e Ania, che invece saranno a palazzo Chigi domani. Nessuna frattura tra le parti sociali, solo differenti tattiche rispetto ad un tavolo che rappresenta un punto interrogativo per tutti. Rimasti spiazzati dall’atteggiamento e conduzione del ministro Fornero nella prima riunione, le parti sociali rimangono assai guardinghe. E si aspettano ancora sorprese.

L’Unità 01.02.12

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“Giovani, disoccupazione record”, di Al. T.

Disoccupazione all’8,9 per cento, in media, e al 31 per cento per i giovani. Gli ultimi dati che arrivano dal rapporto di dicembre 2011 dell’Istat non sono rassicuranti. Il numero dei disoccupati a dicembre raggiunge quota 2,243 milioni, in aumento dello 0,9 rispetto a novembre. Il valore maggiore da gennaio 2004 e, se si fa riferimento alle serie trimestrali, in linea con i livelli record di dieci anni fa. Ma non c’è solo l’Italia: secondo Eurostat, la disoccupazione nella zona dell’euro ha raggiunto a dicembre il livello più alto dall’introduzione della moneta unica: 10,4 (con l’eccezione della Germania, ai minimi storici con il 6,7). Livello tanto alto da spingere il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, a scrivere ai primi ministri di otto paesi con tassi di disoccupazione giovanile sopra la media, Italia compresa, per spingerli ad agire per usare presto e bene i fondi europei.
Tra novembre e dicembre il livello degli occupati in Italia è rimasto sostanzialmente invariato. Ma rispetto allo scorso anno, diminuisce dello 0,1 per cento: concretamente, di 221 mila unità. Cala l’occupazione maschile, che tocca i valori minimi dal ’99, perdendo lo 0,4 su base annua. A parziale consolazione, c’è il lieve aumento dell’occupazione femminile, dello 0,3 per cento.
A preoccupare è anche, e soprattutto, il dato che riguarda i giovani tra i 15 e i 24 anni: il tasso di disoccupazione è in calo di 0,2 punti rispetto a novembre, ma in aumento di tre punti rispetto allo scorso anno, raggiungendo quota 31. Per fare un raffronto e intuire la gravità del fenomeno, nel 2007 il tasso oscillava tra il 19 e il 21 per cento. Per valutare le dimensioni del fenomeno su basi territoriali ci sono i dati della Cgia di Mestre, che individuano nella Campania la regione con il tasso di disoccupazione più alto tra i giovani: 44,2 per cento. Ma correggendo il dato in considerazione dell’incremento degli inattivi (cioè di chi ha rinunciato a cercare lavoro), il tasso reale di marginalità arriva al 51,10 per cento. Seguono, tra le Regioni con disoccupazione giovanile «reale» più alta, Basilicata, Lazio, Sicilia, Lombardia e Sardegna. Agli ultimi posti, la Liguria e l’Umbria.
Se il governo annuncia che nei primi posti dell’agenda ci saranno provvedimenti proprio sull’occupazione, sindacati e forze politiche si interrogano su come fronteggiare l’emergenza. Per Cesare Damiano, «i dati Istat sono allarmanti: non solo aumenta la disoccupazione, ma diminuisce addirittura il tasso di attività, vale a dire il numero di coloro che sono attualmente al lavoro». Secondo Damiano, «questi dati dimostrano che la cassa integrazione esercita un effetto di contenimento della disoccupazione». Sergio D’Antoni (Pd) chiede di utilizzare gli otto miliardi di fondi europei sbloccati dalla Commissione, e gli altri otto recuperati con l’abbassamento del cofinanziamento nazionale, «per dare il via a un grande piano di rilancio nazionale incentrato sul Mezzogiorno». Antonio Di Pietro e Maurizio Zipponi (Idv), in una nota congiunta, chiedono al governo di agire subito e contestano che il confronto sia partito «dalla riduzione, per i neoassunti, dei diritti previsti dall’articolo 18». Il segretario del Psi, Riccardo Nencini, vede in una patrimoniale la soluzione per finanziare l’occupazione, mentre il verde Angelo Bonelli chiede investimenti sulla green economy. Il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero chiede «come primo provvedimento necessario, il reddito sociale per i disoccupati, da trovare tassando i grandi patrimoni».
Tra i sindacati, il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, sottolinea i dati sulle grandi imprese, che vedono un aumento dei licenziamenti del 35 per cento in sei anni: «Prima della crisi gli occupati erano 700 mila in più, se non ci fosse stata la cassa integrazione e in particolare la Cig straordinaria e in deroga, i disoccupati oggi sarebbero più di tre milioni». D’accordo Luigi Angeletti, della Uil: «Se siamo ancora sotto la media europea è solo per la cassa integrazione». Giorgio Santini, segretario aggiunto della Cisl, chiede di «incentivare l’apprendistato e il contratto di inserimento». Sulla stessa linea Paolo Reboani, presidente di Italia Lavoro, l’agenzia tecnica del ministero del Lavoro: «Bisogna attuare le azioni già esistenti: apprendistato, contratti di inserimento per le donne, credito di imposta e sgravio Irap».

Il Corriere della Sera 01.02.12

“Solo il 56,9% ha un lavoro. Tornati ai livelli del 2001”, di Massimo Franchi

Alla vigilia del vero avvio sulla riforma del lavoro, arrivano dati sempre più scoraggianti sull’occupazione. Il nostro Paese si conferma fanalino di coda in Europa sul tasso di occupati che ha toccato a dicembre quota il56,9% conun calo 0,1% rispetto a dicembre 2010. Il quadro è desolante per l’occupazione femminile: siamo l’unico Paese europeo dove il tasso di occupazione è più basso di quello di inattività: 46,8% contro 48,2%. In pratica sono più le donne che non hanno un lavoro e neanche lo cercano, di quelle che hanno un’attività. IL TOP DA 7 ANNI L’Istat continua a certificare la vera tragedia italiana. La disoccupazione tocca il picco e non va meglio per i giovani: uno su tre è senza lavoro. Con un aumento dello 0,1% rispetto a novembre e dello 0,8% su un anno fa, la disoccupazione si attesta all’8,9%. Le persone alla ricerca di un impiego sono aumentate in un solo mese di 20 mila unità e su base annua di 221 mila. Si tratta del dato più alto da quando, nel 2004, sono iniziate le serie dell’Istat. E se ci si riferisce alle serie trimestrali si torna ai livelli del 2001 tornando a 2,2 milioni di disoccupati. Il tasso di disoccupazione giovanile (persone tra i 15 e i 24 anni) è pari al 31%, in diminuzione di 0,2% rispetto a novembre ma in aumento de 3% rispetto a dicembre 2010 (era al 28%). E intanto in Germania le cose vanno molto diversamente: nell’ultimo anno la disoccupazione è scesa dal 6,7% (mentre in Francia è salita dal 9,7% al 9,9%, la media europea è al 10,4%, ai massimi dall’introduzione della moneta unica). Magari è quello il modello a cui guardare. I dati comunque sono allarmanti. E la Cgil li “lavora” per darne di ancora più tragici, soprattutto rispetto alle possibili riforme annunciate dal governo. «Prima della crisi – attacca il segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni – gli occupati erano 700 mila in più, se non ci fosse stata la cassa integrazione e in particolare la Cig straordinaria e la deroga, i disoccupati sarebbero oggi più di 3 milioni. Questo – continua Fammoni – sarebbe già avvenuto e avverrà se la cassa integrazione sarà ridotta e se si punterà solo sulla disoccupazione e su un reddito minimo per il quale però non c’è alcuna risorsa». Ma Fammoni rilancia soprattutto il problema dei giovani. «Al 31% di giovani disoccupati (che in realtà sono di più perché anche una parte dei giovani è in cassa integrazione), che prospettiva si dà? Un lavoro con meno diritti e sempre più ricattabile? Una mobilità da un lavoro precario in un’azienda a un lavoro temporaneo in un’altra? Ricordo che la teoria del “meglio un lavoro qualunque”, ha portato proprio a questa situazione di lavoro per i giovani ». Per la Cgil dunque dai dati Istat arriva un messaggio preciso per la trattativa che parte domani: «Servono tutele straordinarie e uno straordinario Piano per il lavoro per ridurre il precariato – conclude il segretario Cgil – e dare ammortizzatori universali a tutti i lavoratori mantenendo la possibilità di non rompere il rapporto con l’impresa in tutti i casi possibili e dando una tutela maggiore alla disoccupazione. Dire invece che occorre facilitare il licenziamento per più occupabilità è il contrario dei dati reali». Il segretario generale aggiunto della Cisl Giorgio Santini, sottolinea che «è necessario un intervento organico di sostegno alle assunzioni dei giovani, delle donne, degli over 50 e per il reimpiego dei lavoratori in cassa integrazione e dei disoccupati, valorizzando in primo luogo l’apprendistato, il contratto di inserimento, il part-time lungo, mettendo in campo ulteriori incentivi al loro utilizzo». INCONTRO SINDACATI-CONFINDUSTRIA Dopo gli annunci dei giorni scorsi, ieri è stato ufficializzato l’incontro tra le parti sociali preparativo al tavolo con il governo di domani. Confindustria, Cgil, Cisl, Uil e Ugl si incontreranno alle 9,30 alla foresteria dell’associazione degli industriali in via Veneto a Roma. L’incontro tra Emma Marcegaglia, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti e Giovanni Centrella punta a definire una posizione comune sulle possibili proposte del governo. Come anticipato lunedì, non ci sarà però nessun documento scritto. In più al tavolo mancheranno ReteImprese, Abi (che doveva ospitare il vertice nella sua sede) e Ania, che invece saranno a palazzo Chigi domani. Nessuna frattura tra le parti sociali, solo differenti tattiche rispetto ad un tavolo che rappresenta un punto interrogativo per tutti. Rimasti spiazzati dall’atteggiamento e conduzione del ministro Fornero nella prima riunione, le parti sociali rimangono assai guardinghe. E si aspettano ancora sorprese.

L’Unità 01.02.12

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“Giovani, disoccupazione record”, di Al. T.

Disoccupazione all’8,9 per cento, in media, e al 31 per cento per i giovani. Gli ultimi dati che arrivano dal rapporto di dicembre 2011 dell’Istat non sono rassicuranti. Il numero dei disoccupati a dicembre raggiunge quota 2,243 milioni, in aumento dello 0,9 rispetto a novembre. Il valore maggiore da gennaio 2004 e, se si fa riferimento alle serie trimestrali, in linea con i livelli record di dieci anni fa. Ma non c’è solo l’Italia: secondo Eurostat, la disoccupazione nella zona dell’euro ha raggiunto a dicembre il livello più alto dall’introduzione della moneta unica: 10,4 (con l’eccezione della Germania, ai minimi storici con il 6,7). Livello tanto alto da spingere il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, a scrivere ai primi ministri di otto paesi con tassi di disoccupazione giovanile sopra la media, Italia compresa, per spingerli ad agire per usare presto e bene i fondi europei.
Tra novembre e dicembre il livello degli occupati in Italia è rimasto sostanzialmente invariato. Ma rispetto allo scorso anno, diminuisce dello 0,1 per cento: concretamente, di 221 mila unità. Cala l’occupazione maschile, che tocca i valori minimi dal ’99, perdendo lo 0,4 su base annua. A parziale consolazione, c’è il lieve aumento dell’occupazione femminile, dello 0,3 per cento.
A preoccupare è anche, e soprattutto, il dato che riguarda i giovani tra i 15 e i 24 anni: il tasso di disoccupazione è in calo di 0,2 punti rispetto a novembre, ma in aumento di tre punti rispetto allo scorso anno, raggiungendo quota 31. Per fare un raffronto e intuire la gravità del fenomeno, nel 2007 il tasso oscillava tra il 19 e il 21 per cento. Per valutare le dimensioni del fenomeno su basi territoriali ci sono i dati della Cgia di Mestre, che individuano nella Campania la regione con il tasso di disoccupazione più alto tra i giovani: 44,2 per cento. Ma correggendo il dato in considerazione dell’incremento degli inattivi (cioè di chi ha rinunciato a cercare lavoro), il tasso reale di marginalità arriva al 51,10 per cento. Seguono, tra le Regioni con disoccupazione giovanile «reale» più alta, Basilicata, Lazio, Sicilia, Lombardia e Sardegna. Agli ultimi posti, la Liguria e l’Umbria.
Se il governo annuncia che nei primi posti dell’agenda ci saranno provvedimenti proprio sull’occupazione, sindacati e forze politiche si interrogano su come fronteggiare l’emergenza. Per Cesare Damiano, «i dati Istat sono allarmanti: non solo aumenta la disoccupazione, ma diminuisce addirittura il tasso di attività, vale a dire il numero di coloro che sono attualmente al lavoro». Secondo Damiano, «questi dati dimostrano che la cassa integrazione esercita un effetto di contenimento della disoccupazione». Sergio D’Antoni (Pd) chiede di utilizzare gli otto miliardi di fondi europei sbloccati dalla Commissione, e gli altri otto recuperati con l’abbassamento del cofinanziamento nazionale, «per dare il via a un grande piano di rilancio nazionale incentrato sul Mezzogiorno». Antonio Di Pietro e Maurizio Zipponi (Idv), in una nota congiunta, chiedono al governo di agire subito e contestano che il confronto sia partito «dalla riduzione, per i neoassunti, dei diritti previsti dall’articolo 18». Il segretario del Psi, Riccardo Nencini, vede in una patrimoniale la soluzione per finanziare l’occupazione, mentre il verde Angelo Bonelli chiede investimenti sulla green economy. Il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero chiede «come primo provvedimento necessario, il reddito sociale per i disoccupati, da trovare tassando i grandi patrimoni».
Tra i sindacati, il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, sottolinea i dati sulle grandi imprese, che vedono un aumento dei licenziamenti del 35 per cento in sei anni: «Prima della crisi gli occupati erano 700 mila in più, se non ci fosse stata la cassa integrazione e in particolare la Cig straordinaria e in deroga, i disoccupati oggi sarebbero più di tre milioni». D’accordo Luigi Angeletti, della Uil: «Se siamo ancora sotto la media europea è solo per la cassa integrazione». Giorgio Santini, segretario aggiunto della Cisl, chiede di «incentivare l’apprendistato e il contratto di inserimento». Sulla stessa linea Paolo Reboani, presidente di Italia Lavoro, l’agenzia tecnica del ministero del Lavoro: «Bisogna attuare le azioni già esistenti: apprendistato, contratti di inserimento per le donne, credito di imposta e sgravio Irap».

Il Corriere della Sera 01.02.12

RAI, Bersani: "E' ora che la RAI cambi governance e sia estranea ai partiti"

La RAI è un’azienda pubblica e il governo ha il dovere di intervenire. Il Segretario parla alla vigilia della riunione del CdA Rai che dovrà decidere le nomine dei vertici di Tg1 e Tg.
“Oggi credo che il CdA della RAI debba riflettere su un passaggio che rischia di segnalare un vecchio rito, mentre in Italia e in Europa succede di tutto, la RAI prosegue con i vecchi riti. Questo sarebbe assolutamente inaccettabile”. Così il Segretario del PD Pier Luigi Bersani invita i vertici RAI a fermarsi sulle nomine ribadendo che “una grande azienda non può essere mandata allo sbaraglio e invece sta andando allo sbaraglio”.

Bersani parla alla vigilia della riunione del CdA Rai che dovrà decidere delle nomine di Tg1 e Tg regionali su cui i membri del vertice di viale Mazzini sono divisi e che passerebbe con i soli voti dei consiglieri di Pdl e Lega.

“La RAI è un’azienda pubblica e il governo ha il dovere di intervenire. Ho sentito dalla destra che non tocca a questo governo fare una riforma della Rai, non sono d’accordo. Nel CdA c’è un rappresentante del Tesoro e io vorrei sapere cosa pensa il Tesoro – ha detto il Segretario democratico rispondendo ai cronisti – della progressiva distruzione dell’azienda”.

“La nostra proposta è semplice – ha ribadito Bersani – e prevede una norma per modificare il governo dell’azienda in modo che ci sia un responsabile unico, i partiti non c’entrano. Se si dovesse rinnovare il CdA con le regole di adesso dico subito che noi non parteciperemmo, diciamo basta. Non vogliamo essere corresponsabili della distruzione dell’azienda”.

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Si legge inoltre in una nota del Gruppo parlamentare del PD: “Nell’informazione dei Tg il Pdl gode di un trattamento che, in termini di tempo di parola, raddoppia quello del PD ed eguaglia e supera quello di tutti gli altri partiti messi insieme; anche lo spazio che viene dato al governo Monti – non potrebbe essere diversamente, vista la forza della notizia – non garantisce l’equilibrio complessivo dell’informazione”.

“Tutto questo emerge dai dati sul pluralismo politico relativo ai soggetti politici ed istituzionali del mese di dicembre 2011, diffusi dall’Agcom – con circa quindici giorni di ritardo rispetto al tempo promesso e con un ritardo ancor maggiore rispetto ai dati diffusi dall’Osservatorio di Pavia”. E’ quanto denuncia Roberto Zaccaria, deputato del PD, il quale sottolinea che “come al solito si tratta di dati di non facile lettura ma dai quali risulta confermato il privilegio di cui gode il Pdl. Abbiamo già espresso stupore per il silenzio dell’Autorità, come se i dati confermassero la normalità, eppure l’equilibri o pluralistico in TV è principio che dovrebbe essere rispettato tutto l’anno e non solo in campagna elettorale”.

Ha concluso Zaccaria: “Naturalmente, spicca in termini di equilibrio la posizione del TG3 mentre i TG Mediaset accentuano lo squilibrio – ma l’Agcom evita di considerarlo un problema. A partire dal prossimo mese – annuncia Zaccaria –
presenteremo esposti formali”.

www.partitodemocratico.it

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Maccari confermato al Tg1, si spacca il Cda Rai

Passa la linea della Lei, vota contro il presidente Garimberti, che parla di una situazione “ormai ingovernabile”, aggiungendo che “Il dg aveva preso altri impegni”. Bersani: “Stanno distruggendo un’azienda, non resteremo con le mani in mano”
Si spacca il consiglio d’amministrazione Rai: con 5 sì e quattro no, è stato confermato alla guida del Tg1 Alberto Maccari, che in teoria doveva essere un direttore di transizione, visto che è entrato in età da pensione. Ai tg regionali scelto, con la stessa maggioranza, Alessandro Casarin. Alla fine del Cda, il consigliere Rizzo Nervo si è dimesso.

A favore della nomina, proposta dal direttore generale Lorenza Lei, hanno votato Antonio Verro, Guglielmo Rositani, Angelo Maria Petroni, Giovanna Bianchi Clerici e Alessio Gorla. Contro si sono espressi il presidente Paolo Garimberti e i consiglieri Nino Rizzo Nervo, Giorgio Van Straten e Rodolfo De Laurentiis. Maccari ha accettato un contratto a tempo determinato fino al 31 dicembre con diritto di recesso per l’azienda.

Garimberti: “Il dg aveva preso altri impegni”. Garimberti è polemico: “Ciò che è accaduto oggi è la conferma che questa governance condanna la Rai all’ingovernabilità e che è urgente affrontare il problema delle norme che regolano la vita e l’attività dell’Azienda”. Il presidente della Rai prosegue: “Il voto di stasera indica che a forza di star chiusi nel Palazzo della Rai si perde la sintonia con il Paese. Si poteva ragionare su un mandato dei direttori legato a quello della durata del Cda ma la pervicacia con cui si sono portate avanti le nomine al Tg1 e alla Tgr dimostra che non si tratta di nomine di emergenza ma di nomine che hanno
spaccato il Consiglio e che per questo non possono che incontrare la mia disapprovazione, soprattutto perchè il Direttore Generale aveva preso altri impegni al momento del primo interim consegnato ad Alberto Maccari”.

Maccari proprio ieri è stato vittima di uno scherzo: a un finto Umberto Bossi 1 ha detto: “Lei sa che può contare su un amico”. Casarin, da parte sua, è considerato in quota Carroccio.
Il segretario del Pd bersani attacca duramente: “Stanno distruggendo l’azienda, non resteremo a guardare”, dice. La replica è di Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl: “Bersani usa sulla Rai il linguaggio della minaccia e della protervia. La smetta. Rispetti le decisioni del consiglio di amministrazione, rilegga le sentenze della Corte Costituzionale e si renda conto che la sua arroganza non lo porterà da nessuna parte. Quel che lui dice è falso. Quel che propone è illegale”.

La lettera di dimissioni. Rizzo Nervo scrive al presidente: “Si tratta di un atto scriteriato, di una gestione condizionata da logiche di parte che sta spingendo l’azienda verso un rapido declino”. Aggiunge: “Ho più volte denunciato anche in Consiglio la gravità della situazione e ti do atto (a Garimberti, ndr) degli sforzi che hai compiuto in questi anni per preservare l’autonomia delle decisioni e per tutelare gli interessi aziendali”.

Giulietti: “Si dimetta anche Garimberti”. Giuseppe Giulietti rincara la dose: “Dopo le dimissioni di Rizzo nervo mi aspetto quelle di Garimberti”, dice il deputato Pd. “La Rai è ormai travolta dalla arroganza e dal ridicolo, ed è difficile dire quale dei due atteggiamenti sia ormai prevalente. Oggi la Rai si è autocommissariata, anzi è stata definitivamente commissariata dalla banda del conflitto di interessi. Un grazie al consigliere Rizzo Nervo che si è dimesso, siamo sicuri che non resterà solo e che anche altri a cominciare dal ” Presidente di garanzia” vorranno seguite il suo esempio”.

da www.repubblica.it

Lavoro, disoccupazione al 8,9% Istat: "Italia al livello del 2001"

L’istituto di statistica: “C’è stato un peggioramento consistente del mercato”. Un giovane su tre senza impiego. Su base annua i disoccupati crescono del 10,9% a 2,423 milioni: 1,243 milioni sono uomini. La preoccupazione dell’Ue: “Inaccettabile un livello così alto tra i ragazzi”. Continua ad aumentare la disoccupazione in Italia raggiungendo livelli record. A dicembre dello scorso anno il tasso di disoccupazione è salito all’8,9% in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a novembre e di 0,8 punti percentuali su base annua con una crescita, quindi, del 10,9%: battute, in negativo, anche le stime degli analisti che stimavano un tasso al 8,7%. Si tratta del dato più alto dal gennaio 2004, anno d’inizio delle serie storiche mensili dell’Istat. Ai minimi da 20 anni la disoccupazione in Germania al 6,7%. 1

I numeri in Europa – A dicembre, invece, il tasso di disoccupazione nell’Eurozona era del 10,4%, stabile rispetto a novembre (10% nel dicembre 2010). Nella Ue 9,9%, come in novembre (9,5% nel dicembre 2010). Lo rileva Eurostat che stima 16,469 milioni di disoccupati nell’Eurozona e 23,816 milioni nell’Unione europea. Rispetto a novembre i senza lavoro sono aumentati di 20mila e 24mila rispettivamente; rispetto a dicembre 2010 sono aumentati di 751mila e di 923mila.

Le cifre dell’Italia – Se si prendono in considerazione le serie storiche trimestrali italiane, invece, per ritrovare un tasso di disoccupazione così alto bisogna tornare addirittura al terzo trimestre del 2001. Lo ha reso noto l’Istat sottolineando che il numero di senza lavoro in Italia ha raggiunto quota 2 milioni e 243mila persone: si tratta di 1,243 milioni di maschi e un milione di donne. A livello europeo, fra dicembre 2010 e dicembre 2011, il tasso di disoccupazione maschile è aumentato dal 9,7% al 10,2% nell’Eurozona e dal 9,5% al 9,8% nella Ue; il tasso femminile da 10,3% a 10,6% e da 9,6% a 9,9%.

L’allarme dell’Ue – A pagare il prezzo più alto, ancora una volta però, sono i giovani: uno su tre di quanti partecipano attivamente al mercato del lavoro, è senza impiego con un tasso di disoccupazione al 31%, in calo di 0,2 punti base rispetto a novembre, ma in aumento di 3 punti su base annua. Nel complesso, i giovani disoccupati erano 3,920 milioni nell’Eurozona e 5,493 milioni nella Ue, rispetto a dicembre 2010 sono aumentati rispettivamente di 113mila e 241mila. Il tasso di disoccupazione tra i giovani era così al 21,3% e al 22,1% rispettivamente contro 20,6% e 21% di un anno prima.

La lettera di Barroso – Dati che preoccupano l’Unione europea. Un portavoce della Commissione Ue ha detto: “Dobbiamo agire ora, è inaccettabile che ci sia un livello così allarmante di giovani senza lavoro”, mentre il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, ha inviato oggi una lettera all’Italia ed agli altri sette paesi con i più alti livelli di disoccupazione giovanile, sollecitando l’uso dei fondi europei per favorire l’accesso al lavoro per i giovani. I tassi più alti di disoccupazione giovanile si registrano in Spagna (48,7%), Grecia (47,2%, a ottobre) e Slovacchia (35,6%); l’Italia è al 31,2%. I tassi più bassi sono quelli di Germania (7,8%), Austria (8,2%) e Olanda (8,6%). Nelle lettere, Barroso informa gli Stati che squadre di esperti in materia di occupazione giovanile saranno inviati nei Paesi interessati già a febbraio.

I dati Istat sull’Italia. Nel dettaglio, a dicembre gli occupati occupati erano 22 milioni 903mila, un livello sostanzialmente invariato rispetto a novembre, in presenza di un calo della componente maschile e di una crescita di quella femminile: 13,510 di milioni gli uomini, 9,393 milioni le donne. Nel confronto con l’anno precedente, invece, l’occupazione diminuisce dello 0,1% (-23mila unità). Per i tecnici dell’Istituto di statistica c’è stato “un peggioramento consistente del mercato del lavoro”. La disoccupazione maschile cresce, dunque, del 5,1% rispetto a novembre e del 15,1% su base annua. Diminuisce invece il numero di donne senza impiego: -3,9% rispetto a novembre, -6,2% nel confronto su base annua.

Alla fine dello scorso anno, quindi, il tasso di occupazione a dicembre è pari al 56,9% (fermo sul mese e in calo di 0,1 punti percentuali sull’anno) con un tasso di inattività al 37,5% (-0,1 su mese e -0,5 su anno). L’analisi di genere mostra per i maschi un tasso di occupazione al 67,1%, di disoccupazione all’8,4% e di inattività al 26,7%; per le donne il tasso di occupazione è al 46,8%, quello di disoccupazione al 9,6% e di inattività al 48,2%.

da www.repubblica.it

La Camera approva il milleproroghe: modifiche su pensioni, aumentano le sigarette, proroga per il Sistri

Via libera dell’Aula della Camera al decreto legge Milleproroghe sul quale il governo ha incassato la fiducia di Montecitorio la settimana scorsa. I voti favorevoli sono stati 449, i contrari 78, 11 gli astenuti. Il provvedimento passa adesso all’esame del Senato per la seconda lettura. A palazzo Madama si annunciano già nuove modifiche. A favore hanno votato Pdl, Pd e Terzo polo, mentre Lega e IdV hanno votato no. Tra le novità del passaggio del decreto alla Camera ci sono i correttivi alla riforma delle pensioni targata Fornero per i lavoratori cosiddetti “esodati” e i “precoci” e l’aumento del prezzo delle sigarette.

Queste sono le principali modifiche:
– pensioni: i lavoratori “precoci” (coloro che lasceranno il lavoro con 42 anni di anzianità, prima di avere compiuto i 62 anni d’età (41 e un mese per le donne) non avranno penalizzazioni se lasciano il lavoro con un’anzianità contributiva maturata entro il 31 dicembre 2017 inclusi i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e cassa integrazione ordinaria. Agli “esodati” (coloro che accettando incentivi economici dall’azienda in crisi si sono licenziati con la prospettiva di andare i pensione entro i successivi due anni e che con le nuove norme hanno visto svanire questa possibilità) non verrà applicata la riforma Fornero se hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011. Se le risorse non fossero sufficienti potrebbe scattare un aumento dei contributi che le imprese versano per gli ammortizzatori sociali.
– sigarette: le risorse per “precoci” ed “esodati” arriveranno con un incremento dell’aliquota di base dell’accisa sui tabacchi lavorati per assicurare “maggiori entrate in misura non inferiore a 15 milioni di euro per l’anno 2013 e 140 milioni annui a decorrere dal 2014”.
– Sistri: proroga di ulteriori quattro mesi fino al 30 giugno per
l’operatività del Sistri.
– spiagge: le concessioni su spiagge, laghi e porti, anche ad uso diverso da quello turistico-ricreativo, in essere al 31 dicembre 2011 sono prorogate di un anno.
– agenzia strade e autostrade: quattro mesi in più per l’adozione
dello Statuto dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali.
– esuli Libia: in arrivo 150 milioni in tre anni in favore degli esuli cacciati nel 1970 da Gheddafi.
– rimborsi elettorali per il Molise: prorogati i termini per la presentazione della richiesta dei rimborsi elettorali relativi al rinnovo del Consiglio regionale del 16 e 17 ottobre scorso.
– risorse per gli alluvionati di Messina: i 70 milioni di euro in arrivo per gli alluvionati di la Spezia e Massa Carrara e Genova vengono suddivise anche con Livorno, il Comune di Ginosa, la frazione di Metaponto e Messina.
– 500mila euro per Pietrelcina: in arrivo 500mila euro nel 2012 per il Comune di Pietrelcina.

da www.ilsole24ore.it

"Rinnovarsi, la strada dei partiti", di Giorgio Napolitano

Se vogliamo riflettere sulla crisi della politica dobbiamo ragionare contemporaneamente sullo stato delle istituzioni; e più specificamente dei sistemi politici. Lo dico riferendomi all’Italia ma non soltanto ad essa. Assistiamo certamente, da qualche tempo, all’appannarsi di determinati moventi dell’impegno politico, inteso come impegno di effettiva e durevole partecipazione. Tra i moventi che si sono affievoliti si può collocare quella che ritengo sia giusto chiamare la forza degli ideali, e la stessa percezione del ruolo insostituibile della politica. Insostituibile in quanto decisivo per la soluzione dei problemi di cambiamento e sviluppo della società, cui si legano i destini individuali e collettivi nel quadro nazionale e internazionale.
Ma se tale percezione si è affievolita, insieme con la “forza degli ideali”, è anche per effetto di una perdita di efficacia, persuasività e inclusività del sistema politico. E mi riferisco alle istituzioni rappresentative, ai processi elettorali, ai partiti: una crisi da cui si può uscire solo attraverso riforme in tutti questi campi. D’altronde ben al di là dell’Italia la politica è in affanno e i sistemi politici sono in tensione. Guardiamoci attorno, nella vasta e varia Europa unita: vedremo in molti paesi fenomeni di disincanto, di distacco dalla politica, di più dubbiosa partecipazione ai confronti elettorali, e anche di indebolimento e di crisi di equilibri politici, di schemi di alleanza tra partiti affini, di modelli di alternanza e di stabilità che per lunghi periodi erano rimasti costanti apparendo ormai consolidati.
Hanno fatto il loro ingresso sulla scena politica ed elettorale soggetti nuovi – nella stessa Germania dopo la riunificazione, e in numerosi paesi dell’Europa centrale e settentrionale; si sono alterati preesistenti rapporti di forza; in più casi (finanche nel Regno Unito) schemi politici divenuti quasi consuetudini storiche hanno dovuto cedere il passo a soluzioni realisticamente improntate a maggiore duttilità.
C’è da chiedersi quanto, in Europa, le difficoltà, le fibrillazioni della politica e dei sistemi politici, riflettano la sempre più incerta sostenibilità di politiche pubbliche e di relazioni economico- sociali che hanno per lungo tempo garantito livelli elevati di benessere, specie nel quadro della costruzione comunitaria via via allargatasi fino ad abbracciare 15 paesi prima della svolta del 1989…
Nel corso di questo profondo cambiamento su scala mondiale si è nel 2008 innescata, partendo dagli Stati Uniti, una crisi finanziaria che ha investito anche l’Europa, e che si è, nel 2011, tradotta in una pressione concentrica sull’Eurozona, soprattutto sui debiti sovrani di paesi come l’Italia.
Le politiche di bilancio restrittive che è stato quindi, ed è, indispensabile adottare, e insieme il brusco contrarsi delle prospettive di crescita in tutta l’area dell’Eurozona, con ricadute su un’economia mondiale già in difficoltà nel suo complesso, hanno reso più evidenti e stringenti i rischi di insostenibilità degli equilibri economici e sociali consolidatisi in Europa nel passato, alimentando le inquietudini di vasti strati della popolazione, anche se in termini diversi da paese a paese.
Le risposte delle leadership politiche e di governo nazionali si sono fatte più incerte e problematiche; si è esteso in varie parti d’Europa il fenomeno di reazioni populiste, di aperto rigetto dei vincoli di corresponsabilità e solidarietà europea, di anacronistica difesa di posizioni acquisite e di privilegi corporativi. Non c’è dubbio che tutto questo abbia trovato sbocco nell’affermarsi di nuove formazioni di stampo, appunto, populistico e abbia più in generale eroso antiche basi di fiducia nella politica, nei partiti tradizionali, nelle istituzioni.
Ecco le spinte e le sfide fino a ieri imprevedibili cui deve far fronte la politica democratica in Europa. Questo è lo sfondo entro il quale va collocata anche la visione delle cose italiane. Io credo che si stiano tuttavia delineando alcuni campi d’intervento decisivi al fine di superare le contraddizioni e le crisi di questa fase cruciale: alcuni campi d’intervento che però richiedono e suggeriscono seri sforzi di riqualificazione culturale e programmatica da parte delle forze politiche eredi della dialettica democratica dispiegatasi validamente per un cinquantennio nell’Europa occidentale. E quei campi d’intervento cui mi riferisco possono segnare il nuovo perimetro entro il quale sono chiamati a competere e collaborare nel prossimo futuro partiti volti a caratterizzarsi per chiara e responsabile vocazione di governo.
Senza confondersi e nemmeno allearsi tra loro, questi partiti già oggi si cimentano su grandi problemi comuni: come quelli della definizione di nuove regole capaci di arginare e governare l’area tanto dilatatasi, anche in senso speculativo, della finanza e il potere di condizionamento dei relativi, incontrollati mercati globali. O come quelli della promozione di politiche di sviluppo sostenibile – anche socialmente sostenibile – secondo i principi della libertà d’iniziativa, della libertà degli scambi, del rispetto dei diritti umani e della dignità del lavoro…
È nello scenario che ho cercato di tratteggiare che confluiscono oggi le vicende della politica e delle istituzioni in Italia, dopo aver seguito un loro singolare percorso. Nei primi anni ’90 dovemmo uscire – sotto la spinta di un forte movimento di opinione, espressosi anche per via referendaria – da una peculiare condizione di “democrazia bloccata”, sfociata in una crisi, per taluni aspetti traumatica, del sistema dei partiti. Se ne uscì con una riforma in senso maggioritario della legge elettorale, e con un profondo rimescolamento e cambiamento negli schieramenti politici. Prese corpo anche nel nostro paese una democrazia dell’alternanza, che ha garantito un non trascurabile periodo di stabilità politico-governativa : pur in assenza di riforme istituzionali di riconosciuta necessità.
Quel che è accaduto in Italia nell’ultimo anno va in parte ricondotto al quadro europeo che ho richiamato in precedenza: il logoramento di un equilibrio politico che – nonostante il sussidio più rigidamente maggioritario della legge elettorale del 2005 – è stato scosso da contraddizioni interne alla alleanza di governo uscita vincente dalle elezioni, e senz’alcun dubbio dalle prove della crisi finanziaria globale e segnatamente di quella dell’Eurozona e dei debiti sovrani, tra i quali il nostro è risultato il più esposto. Il logoramento della maggioranza di governo e l’emergenza di un rischio di vero e proprio collasso finanziario pubblico hanno determinato la necessità di ricorrere anche in Italia a soluzioni non rinvenibili entro gli schemi ordinari, evitando un improvvido, precipitoso scioglimento del parlamento e avviando politiche ormai urgenti di risanamento finanziario e di riforma di non più sostenibili assetti economici e sociali.
Questo è stato il senso della soluzione rappresentata dal formarsi del governo Monti, e dal decisivo pronunciarsi di una larghissima parte del parlamento a suo sostegno col voto di fiducia. È nell’interesse comune che lo sforzo appena intrapreso, con significative proiezioni in sede europea, continui e si sviluppi in un clima costruttivo. Fuori discussione sono le prerogative del parlamento e le esigenze di un corretto confronto tra governo e forze sociali.
Non intervengo nel merito di alcuna questione politicamente o socialmente controversa: metto però in guardia contro la pericolosità di reazioni, a qualsiasi provvedimento legislativo, che vadano ben al di là di richieste di ascolto e confronto e anche di proteste nel rispetto della legalità, per sfociare nel ribellismo e in forzature e violenze inammissibili. E nello stesso tempo voglio sottolineare come il consolidarsi, nei prossimi mesi, in parlamento e nei rapporti politici, del clima costruttivo già delineatosi risponda all’interesse delle stesse forze politiche, per il superamento della crisi prodottasi nel loro rapporto con la società e con i cittadini.
Importanti a tal fine sono le prove che esse in gran parte hanno dato e stanno dando del loro senso di responsabilità sia cooperando attivamente all’adozione di scelte volte a fronteggiare le emergenze di questa fase critica, sul piano finanziario ed economico, per l’Italia e per l’Europa, sia predisponendosi ad affrontare temi molteplici, più che mai rimessi ai partiti e alle camere, di riforma delle istituzioni e delle regole parlamentari ed elettorali.
Si dovrà verificare in parlamento anche la possibilità di definire – o di prospettare credibilmente – revisioni di norme della seconda parte della Costituzione, come si riuscì a fare anni fa solo con la riforma del Titolo V in senso più conseguentemente autonomistico. L’apporto della politica resta dunque decisivo anche dopo la nascita di un governo senza la partecipazione di personalità rappresentative dei partiti. È a questi che spetta creare le condizioni per il rilancio di una competizione non lacerante – quando al termine della legislatura gli elettori saranno chiamati alle urne – e per il nuovo avvio di una dialettica di alternanza non più inficiata da una conflittualità paralizzante e non chiusa alle convergenze politiche che le esigenze e l’interesse del paese potranno richiedere.
Il saper aprire questa prospettiva appare oggi condizione essenziale perché i partiti e le istituzioni recuperino quella fiducia che si è venuta tanto indebolendo. E altre condizioni per recuperare fiducia e prestigio stanno in quello sforzo di riqualificazione culturale e programmatica che ho già indicato come necessario in Europa per le maggiori formazioni politiche. Esse stanno – in Italia – nell’abbandono da parte del mondo politico di comportamenti e di posizioni acquisite che hanno alimentato polemiche e reazioni di rifiuto devastanti, così come nella restituzione ai cittadini-elettori della voce che ad essi spetta innanzitutto nella scelta dei loro rappresentanti, e infine nella selezione di candidati a ruoli di rappresentanza istituzionale che presentino i necessari titoli di trasparenza morale e competenza.
Non ho esitato a evocare, o invocare, il ruolo dei partiti. Perché questo nodo è ineludibile, come possono dirci, con adeguato fondamento storico e teorico, gli scienziati – non onorari – della politica…Non si prenda l’abbaglio di ritenere che la soluzione sia offerta dal miracolo delle nuove tecnologie informatiche, dall’avvento della Rete: questa fornisce soltanto in modo fino a ieri imprevedibile accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all’aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi.
Ma anche canali da tempo consolidati – come quelli associativi – di educazione e avvicinamento alla politica, pur esercitando su di essa una non trascurabile influenza, non sono apparsi mai sostitutivi dei partiti. Non c’è partecipazione individuale e collettiva efficace alla formazione delle decisioni politiche nelle sedi istituzionali, senza il tramite dei partiti. I partiti possono – nelle situazioni concrete, nella cornice degli stati nazionali o anche delle istituzioni europee – conoscere periodi di involuzione e di decadenza, perdendo tra l’altro il senso del limite. Ma la sola strada che resta aperta è quella del loro auto-rinnovarsi.
Questo vorrei dire soprattutto ai giovani. Tra il rifiutare i partiti e il rifiutare la politica, l’estraniarsi con disgusto dalla politica, il passo non è lungo: ed è fatale, perché conduce alla fine della democrazia e quindi della libertà.
Della nobiltà della politica sono state d’altronde portatrici personalità significative, e non rare, dell’Italia repubblicana. E mi riesce naturale, qui a Bologna, tornare a ricordarne in particolare una, Nino Andreatta. Andreatta fu, in tutte le fasi della sua battaglia politica e della sua attività parlamentare e di governo, convinto e sapiente assertore delle scelte di fondo che fin dagli anni ’50 fecero dell’Italia un protagonista non marginale delle relazioni internazionali: la scelta europeista e la scelta atlantica. E io ancor oggi ritengo che decisivo sia stato l’essere via via riusciti, nei decenni passati, a fare di quelle due scelte fondamentali, dapprima contrastate politicamente e ideologicamente, la base condivisa di ogni possibile evoluzione dei rapporti tra forze politiche accomunate da un antico e costante ancoraggio ai principi della Costituzione repubblicana…
Ma mi si lasci ricordare l’apporto determinante che nello stesso senso dette una personalità del Pci in parlamento, il sen. Paolo Bufalini, con la stesura della risoluzione votata a larghissima maggioranza in senato nell’autunno del 1977, con cui per la prima volta anche il maggior partito della sinistra italiana si riconobbe nelle scelte di fondo dell’impegno europeistico e dell’alleanza Nato. Essi appartennero entrambi alla schiera di quei politici umanisti, nel senso più ampio e vitale dell’espressione, su cui l’Italia ha potuto contare e di cui avrà bisogno anche nel futuro. E dove ci si può formare come tali se non nelle università che si muovono nel solco della vostra, dell’Alma Mater di Bologna?
Accogliete dunque il mio augurio sincero per il nuovo anno accademico che vi vede impegnati in un ulteriore sforzo di rinnovamento e di apertura all’Europa.

Dalla lezione del presidente della repubblica “Le difficoltà della politica (in Europa e in Italia)” tenuta ieri a Bologna in occasione della laurea ad honorem

da Europa Quotidiano 31.01.12
Giorgio Napolitano

"Una lezione per tutti", di Claudio Sardo

A Oscar Luigi Scalfaro, uomo della Costituzione, non è stata risparmiata la polemica neppure nel giorno della sua morte. I giornali di destra hanno riproposto l’antico risentimento per le vicende del ’94. Più squallidamente i rappresentanti Pdl di Bologna, Modena e Reggio Emilia sono usciti dalle aule consiliari durante le commemorazioni. Si tratta di un gesto che umilia le istituzioni e che nessun dissenso politico può giustificare. Scalfaro era un uomo intransigente. La sua stella polare era sì la Costituzione «casa di tutti gli italiani», ma la sua idea di politica non era riconducile a una mera pratica di compromesso. Le polemiche e i duri attacchi personali lo ferivano, tuttavia ha sempre pensato che la politica fosse innanzitutto battaglia e richiedesse convinzione e rischio. Il centrodestra italiano cresciuto all’ombra di Berlusconi ha coltivato e rappresentato un’idea radicalmente diversa
dalla sua. Una diversa idea di politica e una diversa etica della politica. Ma ciò che infine ha provocato lo scontro con la «squadra» berlusconiana è stata l’interpretazione della Costituzione. Il Cavaliere è sceso in campo sull’onda populista.
I suoi motti erano iper-democratici e iper-maggioritari: in nome del potere ai cittadini pretendeva il mandato diretto del premier, «unto del Signore». La Seconda Repubblica si è materializzata sulle ceneri di Tangentopoli senza modifiche formali alla Carta. E così la Costituzione «materiale» è diventata terreno di scontro politico, laddove invece per mezzo secolo è stata il luogo della condivisione, anzi dell’«allargamento delle basi democratiche». Da presidente, Scalfaro ha combattuto contro la modifica «di fatto» alla Costituzione, di cui Berlusconi nel ‘94 si fece interprete e leader. La gestione della crisi del primo governo Berlusconi – quella che i giornali di destra indicano ancora come il «ribaltone» – fu un passaggio decisivo per ribadire il primato della Costituzione formale, consegnataci dai costituenti, e per respingere i tentativi di torsione, sostenuti da tanti politologi di passaggio.
A tanti anni da quello scontro si può dire che la vittoria di Scalfaro salvaguardò la qualità democratica del nostro sistema. Anche se ovviamente non riuscì a evitare la crisi politica e istituzionale, che maturò negli anni successivi. La Seconda Repubblica
ha tradito le sue promesse, perché non si può innestare un presidenzialismo di fatto in un sistema parlamentare (neppure attraverso il maggioritario di coalizione). Scalfaro alzò una barricata in difesa della Costituzione. La destra per questo non lo perdonò mai. Non lo perdonò anche perché, dal punto di vista di Scalfaro, quell’assalto alla Costituzione «materiale» violava un principio etico della politica. La vittoria di Scalfaro, però, ha preservato la stessa dialettica della Seconda Repubblica, trattenendo almeno in parte le spinte alla delegittimazione reciproca. E se oggi si può sperare, finalmente, in una riforma che apra una nuova stagione politica, se oggi una parte del gruppo dirigente del centrodestra è più avvertita del rischio populista, molto si deve al coraggio e alla fermezza di Scalfaro. Il suo messaggio comunque reca unsegno di contraddizione anche per il centrosinistra, che oggi giustamente lo celebra e gli rende onore. Scalfaro è uno dei padri del Pd. Lo è perché il Pd, nato dall’esperienza dell’Ulivo, si è definito sempre più come il «partito della Costituzione». Attenzione: questa identità non può essere rivendicata in modo
esclusivo. Essere il partito della Costituzione vuol dire costruire attorno ad essa, ed eventualmente alle modifiche che il Parlamento apporterà alla seconda parte, una larga, matura condivisione. Il partito della Costituzione è un partito fedele ai principi fondativi e a quell’idea di democrazia, radicata nella società, negli interessi, nelle istituzioni, che certo non si concilia con il populismo corrente e con le fughe ipermaggioritarie. Ma dobbiamo porci con onestà la domanda: quanti, anche a sinistra, in questi anni hanno coltivato l’idea di una Seconda Repubblica presidenzialista nei fatti, senza neppure il contrappeso di poteri radicati nella Costituzione formale?
Scalfaro era anche un cattolico intransigente. Un uomo di fede, devoto, persino conservatore, che aveva però conosciuto e praticato la laicità della politica, incrociando talvolta l’incomprensione della Chiesa ufficiale. Non era un uomo del Concilio, come tanti cattolici per i quali è stato facile, quasi naturale, l’impegno a sinistra per l’uguaglianza e la solidarietà. Nella Dc ha combattuto da destra la battaglia contro il centrosinistra di Moro. È stato, appunto, il filo della fedeltà alla Costituzione a portarlo ad essere, a pieno titolo, uno dei fondatori del Partito democratico. Forse addirittura uno dei simboli. Per una personalità che tanto ha dato alla Patria, si ha timore di parlarne come uomo di parte. Ma l’etica della politicasta nel cercare il bene comune anche muovendo da una parte.

L’Unità 31.01.12

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“Addio a Scalfaro dalle due Repubbliche, manca il Pdl”, di Alessandro Capponi

Ci sono ragazzi giovanissimi, ventenni o poco più, che si abbracciano commossi appena fuori la chiesa di Santa Maria in Trastevere. Altri sono dentro, seduti sui gradini in marmo ai piedi dei confessionali. Sono venuti in tanti per dire addio a Oscar Luigi Scalfaro: politici della Prima Repubblica, moltissimi della Seconda, e cittadini di ogni età e ceto sociale, che lo accompagnano anche nel tragitto breve, poche centinaia di metri, tra la camera ardente e il funerale. Accade poco prima delle due del pomeriggio: gli uomini della scorta — così robusti, così in lacrime — portano il feretro a spalla per una stradina di Trastevere. È una bellissima giornata di sole, il cielo terso, le persone immobili ai lati, altre affacciate ai palazzi. E c’è un silenzio così pulito, in quei pochi minuti, così colmo di rispetto.
«Sul suo comodino c’erano la Bibbia, le fonti francescane, la Costituzione e il rosario. Ecco: forse Scalfaro era tutto qui». Monsignor Vincenzo Paglia offre ai presenti un’omelia carica d’affetto, prima ancora che di stima: Marianna è seduta nelle prime file, si commuove, a tratti sorride. Come quando ascolta ricordare l’amore di Scalfaro per la moglie Maria, «perduta giovanissima, lui diceva che era bellissima, e tu Marianna lo prendevi un po’ in giro dicendogli che era vecchio. Oggi si riabbracceranno con un amore ancora più grande, senza più separazione». Ecco, ci sono passaggi dell’omelia che raccontano l’uomo, non solo il politico: «Il turbamento che ebbe nel vedere la condizione dei poveri di Calcutta, quando volle partecipare ai funerali di Madre Teresa». E ancora: «Fu audace, durante la guerra tra Iran e Iraq, nel chiedere al governo turco di lasciar attraversare la frontiera a trecento profughi, permettendo così loro di sfuggire alla morte. “Un vero miracolo”, commentò lui stesso». La bara è semplice, in legno chiaro, sopra c’è un bouquet di peperoncini. Ovunque, in chiesa, i politici che l’hanno stimato: tra i primi a rendere omaggio a Scalfaro, oggi, il presidente del Senato, Renato Schifani, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il parlamentare pd Walter Veltroni. Romano Prodi ricorda «il suo richiamo etico alla Costituzione. Una Carta che ha difeso sempre non come fredda lista di norme giuridiche ma come patto tra italiani». Per Massimo D’Alema «c’è un certo mondo berlusconiano che lo ha indicato come avversario. Ma credo che Scalfaro sia stato sempre corretto nel suo ruolo istituzionale. A livello etico e politico, era agli antipodi rispetto al berlusconismo». C’è tanta Dc, in questa chiesa: il senatore a vita Emilio Colombo, l’ex segretario Arnaldo Forlani. Ovviamente, nella «sua» Sant’Egidio, non manca il ministro della Cooperazione, Andrea Riccardi. C’è quasi tutto il Pd, c’è il segretario Api Francesco Rutelli e quello della Cgil, Susanna Camusso. E poi, soprattutto, tante persone comuni: ascoltano rapite di quando Scalfaro, nel ricordo dell’arcivescovo di Terni, «obbedì al vescovo di Novara che gli chiese di scendere in politica perché la prima linea era lì». O come quando, giovanissimo parlamentare, assisteva agli «scontri mattutini» tra colleghi che poi «nel pomeriggio si trasformavano, accantonando gli scontri per dedicarsi alla stesura della Costituzione». Di sé, delle sue origini familiari, «napoletane, calabresi e piemontesi, Scalfaro amava dire “sono figlio dell’unità d’Italia”. È stato un grande italiano. Ha amato questa patria terrena con passione, tenacia, caparbietà sino all’ostinazione». Monsignor Paglia ricorda anche «il credente, aveva una fede scevra da ideologismi». Dopo una vita così, è bello pensare che Scalfaro non si riferisse solo a quel suo ultimo attimo di presente quando «alla figlia — spiega Paglia — che lo abbracciava in punto di morte, ha detto “sto bene”».
Quando la bara esce dalla chiesa, piazza Santa Maria in Trastevere è gremita. La gente applaude. Interpreta il sentimento del Paese, forse, ma non tutto: anche nel giorno del funerale, si registrano divisioni. Per fare solo pochi esempi: a Bologna, il Pdl esce dal consiglio comunale durante il minuto di raccoglimento in sua memoria. E il deputato Fabio Garagnani sorride soddisfatto: «Mi complimento». A Roma, Storace (La destra) esce dall’aula Giulio Cesare. E il presidente della commissione Cultura, Federico Mollicone, scrive su Twitter la seguente frase: «Io non ci sto…non ci sto…più». Poi rettifica, almeno in parte: «La frase è una rievocazione intima e personale di una cartolina satirica ideata in quegli anni». Sul web, sul forum dello «Spazio azzurro», anonimi scrivono che «Scalfaro è stato il peggior presidente». Se si escludono Gianni Letta, l’ex ministro Beppe Pisanu e il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che partecipano alla camera ardente, il Pdl è assente. Dice Pier Ferdinando Casini: «All’ipocrisia preferisco il silenzio». Monsignor Paglia ricorda le «apicali responsabilità che lo hanno visto in prima linea. Non è mio compito parlarne, altri lo faranno con maggiore competenza. E sarà la storia a trarre le conclusioni».

Il Corriere della Sera 31.01.12

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“Il saluto rispettoso della politica”, di Mariantonietta Colimberti

Ai funerali di Scalfaro tanti esponenti del Pd e nessun leader del Pdl. «Una giornata di grande luce per un uomo che credeva nella luce eterna », osserva un anziano e noto giornalista, che di Oscar Luigi Scalfaro non ha la fede religiosa, ma ne condivide appieno quella nella Costituzione e nelle istituzioni laiche della repubblica, mentre il feretro del presidente riceve l’omaggio di personaggi importanti e cittadini comuni. Molti i politici che arrivano nella chiesa di Sant’Egidio dove è stata allestita la camera ardente al mattino, prima dei funerali privati, officiati nella vicina basilica di Santa Maria in Trastevere da monsignor Paglia.
Tanti gli esponenti del Pd, il partito al quale Scalfaro aveva aderito da senatore a vita: il segretario Bersani e il vicesegretario Letta, i capigruppo di camera e senato, Franceschini e Finocchiaro, la presidente Bindi, il presidente della provincia di Roma Zingaretti, Veltroni, Fassino, Damiano. Ci sono gli ex presidenti del consiglio Dini, Prodi e D’Alema, protagonisti ognuno di fasi cruciali della nostra storia recente, ora così lontana. C’è il ministro Riccardi, di casa a Sant’Egidio, ci sono Rutelli, i sindacalisti Bonanni e Camusso, il capo della polizia Manganelli e quello del Sisde De Gennaro. C’è Renzo Arbore.
Non mancano personaggi di quella prima repubblica il cui disfacimento impose a Scalfaro l’assunzione di responsabilità fortissime e contrastate: Forlani, Colombo, Mancino. Rendono omaggio alla salma i presidenti di camera e senato, Fini e Schifani; sono presenti i colleghi giuristi Flick, Rodotà, Casavola, Capotosti, Palamara.
Nessun leader del Pdl, però c’è il sindaco di Roma, Alemanno, che già domenica aveva pronunciato parole di rammarico per polemiche «forse eccessive». E ci sono Pisanu e Gianni Letta, il primo ormai lanciato nella ricerca di compagnia cattolica e centrista, il secondo ora libero di compiere gesti autonomi.
Sull’assenza dei politici di destra taglia corto Casini: «Preferisco il silenzio all’ipocrisia». Forse anche Scalfaro avrebbe espresso la stessa preferenza. Sono gremite le tre navate della bellissima Santa Maria: persone mature soprattutto, ma si vedono anche molti giovani. Monsignor Paglia racconta di un uomo profondamente credente, «figlio di questo paese e insieme suo grande servitore. Sarà la storia a trarre le conclusioni, ma dobbiamo riconoscere che ha amato questo paese con passione, tenacia, caparbietà fino all’ostinazione». Ricorda passaggi importanti della vita del presidente, come quando «obbedì al vescovo di Novara che gli aveva chiesto di scendere in politica perché la prima linea era lì». Sul comodino – spiega Paglia – Scalfaro teneva il rosario, la Costituzione, la Bibbia, le fonti francescane; alla figlia Marianna, che gli era accanto negli ultimi momenti, aveva detto: «Sto bene».
«Quando l’altro giorno sono andato a trovarlo – racconta ancora il vescovo di Terni – era consapevole che la morte stava per arrivare. Ma la morte è arrivata dolce e senza traumi». All’uscita, un lungo applauso. Poi la partenza per Novara, città natale del «figlio dell’Italia unita», come Scalfaro si definiva, alludendo alle origini calabro-piemontesi della sua famiglia.

da Europa Quotidiano 31.01.12